Erano anni che pensavo di farlo,
invece avevo cominciato la giornata male stavo poco bene, tutto è stato una delusione. Al mio paese dal quale ero partito quando avevo otto anni, ero tornato diverse volte, ma sempre con uno dei miei genitori, per far visita ai vari parenti, mai avevo avuto il tempo di ritornare a tutti i luoghi della mia infantile memoria, adesso che finalmente mi ero deciso, ho imbroccato la giornata storta, , i luoghi che cercavo erano pressoche irriconoscibili, o comunque mi sono estranei, tanto era il loro cambiamento, o forse sono io che li avevo modificati nella mia mente. Sono entrato nalla biblioteca, sperando di trovare qualche libro di storia locale, non avendo trovato niente, ho preso alcuni opuscoli, uscendo deciso di ritornarmene a casa. Ma, sto propio poco bene, infatti, invece di uscire verso la strada, sbaglio e mi ritrovo in un vecchio cortile, nei pochi minuti che sono stato nella biblioteca, il tempo è cambiato, il sole ha lasciato improvvisamente il posto ad ad una lattiginosa foschia. Guardo intorno cercando di orientarmi, ed improvvisamente la riconosco, è la mia vecchia scuola, identica a come la ricordavo, le porte delle aule che danno direttamente sul cortile, alcuni ippocastani in fondo. Penso allo scherzo del destino, era uno dei posti che intendevo visitare, vi avevo rinunciato, ed invece è l'unico che riaccende i ricordi, le emozioni, chissà dove sono finiti i miei compagni di allora; non ne più rivisto nessuno. Seguo i miei ricordi, guardando le vuote aule, chissà da quanto sono abbandonate...Un rumore di passi mi fa voltare, un ragazzino sta attraversando il cortile: Non farete ancora scuola qui? Gli chiedo appena mi arriva vicino, fa cenno di si con la testa, arrossisce e rimane li fermo imbarazzato, mi fa tenerezza, è così difficile trovare dei bambini timidi al giorno d'oggi; mi sembra di rivedere me, spesso la maestra, se aveva qualcosa da comunicare alla sua amica che aveva la classe dalla parte opposta del cortile, mandava uno di noi, spesso, probabilmente per svegliarmi, mandava me, Decido di togliere dalle spine il ragazzino: Torna pure in classe, altrimenti la maestra ti sgrida. E vedendo che aveva eddocchiato gli opuscoli che tenevo in mano, prima che si giri glieli allungo, li prende titubante, poi si allontana di corsa. Rimango ad osservare la porta in cui è entrato, era la mia classe. Una voce improvvisa mi distoglie: Desidera qualcosa? Il tono è secco; mi rendo conto che non sarei dovuto entrare, almeno senza chiedere il permesso. -Mi deve scusare, sono entrato per sbaglio, gli dico con tono affabile - e poi mi sono accorto che era la mia vecchia scuola. Anche il tono del mio interlocutore cambia: _ Ah, lei veniva a scuola qui? Faccio cenno di si con la testa, aggiungendo: Un sacco di anni fa.... Si si, mi interrompe il mio interlocutore; altri tempi allora, c'era il Duce, il fascismo, il sabato si veniva vestiti da balilla. Non rispondo, ma ammetto che ci rimango malissimo, Io sono del 1953, sono nato quindi otto anni dopo che Mussolini è morto, devo apparire ben vecchio, se il mio intelocutore ritiene che andassi a scuola in pieno ventennio; cerco di consolarmi pensando che molti conoscono la storia a spanne, magari, sbagliava di un dieci o quindici anni le date, eppoi aveva pronunciato la parola Duce, con una certa enfasi, probabilmente era un nostalgico, che anche a sproposito voleva nominare....Improvvisamente il corso dei miei pensieri si blocca, il pensare che chi mi sta di fronte fosse fascita, mi riporta il ricordo al mio vecchio bidello, che lo era stato: Non che lui venisse a parlarne a noi ragazzi, ma mio padre durante la guerra aveva avuto una disavventura con lui, Quando era intervenuto a difendere alcune persone che lui ed un altro, stavano minacciando, perché non avevano rispettato il coprifuoco. E, appena mi viene in mente il bidello, provo la sensazione di averlo di fronte, è identico, non avrei dubbi che fosse lui, se non fossero passati quarantanni: Mi scusi se posso sembrare invadente - Gli dico: ma per caso, lei è figlio o parente del Bidello che c'era ai miei tempi, non so se fosse il cognome od un soprannome, ricordo che lo chiamavano: Gambarì. E' il soprannome di famiglia,- mi risponde con un tono entusiasta,- dunque lei a fatto in tempo a venier a scuola quando c'era mio padre? Accenno di si, allora soggiunge: Strano però: nessuno ha mai detto che ci somigliassimo, ed anche a me, non è mai parso che ci fosse quella gran somiglianza. Gli dico che probabilmente era dovuto al fatto che gli altri, li avevano sempre visti con la loro differenza di età, mentre io, vedendolo pressapoco dell'età che aveva allora suo padre. Si convince subito, e si mette a raccontarmi delle benemerenze non riconosciute di suo padre, dei sacrifici che aveva fatto, di come allora non ci fossero tutte le moderne comodità; lo interrompo dicendo che ricordavo che addirittura per riscaldamento, c'era ancora la stufa a legna. rimane come perplesso, facendomi venire il dubbio che li avessero ancora le stufe a legna, non era poi così assurdo, vista come era conciata la scuola, sembrava uscita da una stampa d'epoca. Comunque non indago; non avevo mai saputo che fine avesse fatto la mia vecchia maestra glielo chiedo: La maestra Scaramussa? si si, insegna ancora... Gli dico che sicuramente era un altra persona, in quanto, la mia maestra era già anziana all'epoca; mi interrompe a sua volta: No; è lei di sicuro, è una vita che insegna. Seppure perplesso rispondo: magari dipende dal fatto che all'epoca le donne, appena passati i trent'anni, cominciavano a vestirsi da vecchie, per cui poteva darsi avesse quarant'anni ed io la credessi molto più vecchia. Si mostra d'accordo e si mette a dissertire sulle modernità, specialmente della nuova moda delle donne, di portare i pantaloni, il che mi crea seri dubbi sull'emancipazione del mio paese, poi prosegue a parlare di cose che riguardavano la scuola, che naturalmente non possono interessarmi. Anche perché nel frattempo sto riflettendo sul fatto che sicuramente si sbagliava, infatti non solo anche se avesse avuto quarant'anni, la mia maestra non avrebbe in nessun caso potuto insegnare ancora, dato che ne sono passati altri quaranta, ma sopratutto che non aveva all'epoca quarant'anni, dato che parlava di portare a termine la nostra classe e poi andare in pensione. Pare aver letto il mio pensiero: Mi stavo dimenticando di dirle che la sua maestra ha deciso una volta portata in fondo la sua classe, di andare in pensione, con lei se ne andrà anche la sua amica, la maestra Meda..... Il mio cervello si mette a turbinare: gli avevo nominato per caso la maestra Meda,? Sono sicuro di no, se non me lo avesse ricordato, probabilmente non mi sarebbe neanche venuto in mente quel nome. Una sgradevole sensazione mi prende: quella scuola che pareva ferma nel tempo, quello strano bambino, e questo bidello così identico a suo padre che mi parla di fatti avvenuti quarant'anni fa come se dovessero ancora avvenire. Anche se per assurdo, mi stesse prendendo in giro, come faceva a sapere della mia maestra che voleva portare fino in fondo la mia classe, e del fatto che fosse amica della Maestra Meda? Trovo una spiegazione molto più semplice di tutte le congetture che avrei potuto fare: Probabilmente i cognomi Meda e Scaramussa, non erano i loro da ragazze, ma quelli dei mariti, per cui, potevano avere delle figlie pressapoco coetanee, che come le madri erano amiche. Il bidello ha riprende a parlare delle sue questioni, rinuncio a dirgli che la mia maestra doveva essere la madre della Scaramussa di adesso, e appena si interrompe un attimo lo saluto: Mi scusi; ma sicuramente sto disturbando, immagino che lei avrà da fare, per cui mi scuso e tolgo il disturbo. Mi saluta a sua volta, ma appena gli volgo le spalle mi richiama: Non mi ha detto come si chiama, magari la conoscevo. Gli dico il mio nome aggiungendo però subito dopo: Ma è molto improbabile, avevo otto anni, e sono via da quaranta. Poi però mi rammento della vecchia storia di mio padre, forse suo padre gli aveva raccontato: forse però avrà sentito di mio padre, era Battista Cattaneo, e abitava nel quartiere Rivelino. Rimane perplesso facendo segno di no con la testa resto un poco deluso, mio padre aveva rischiato la vita, e probabilmente ero il solo a saperlo. -Un Battista del Rivelino che è andato ad abitare via quarant'anni fa? No; non ne ho mai sentito. Forse ero stato un po' vago: Per la verità, quando si era sposato con Luigia Costa, si era trasferito al Cascinetto, dopo dieci anni è poi andato ad abitare nel milanese..... -Ma allora se abitavate al Cascinetto siete perenti del Cattaneo Battista che ci abita adesso. Per la verità, conosco chi abitava adesso al cascinetto, ma non è mio parente, e non si chiama come mio padre, ma prima che possa obiettare si mette a farmi un racconto stupefacente: Ha un fegato quell'uomo li......E mi racconta il vecchio episodio che aveva visto protagonista mio padre durante la guerra, preciso persino nei particolari: però ne parla come di un fatto accaduto a lui; solo che in tal caso avrei dovuto avere di fronte una persona di quasi ottant'anni, invece, al massimo avrà quarantacinque, o, cinquant'anni. La spiegazione poteva essere una sola: colui che mi stava di fronte, aveva avuto una regressione psitica, si immedisemava in suo padre e credeva dovessoro ancora avvenire fatti di quarant'anni fa, in poche parole era matto. Me ne preoccupo, anche perché, dato che svolge un lavoro a contatto con dei bambini, mi sento in dovere di avvertire qualcuno delle condizioni dell'uomo. Ma mi viene anche il dubbio di prendere una cantonata, che figura avrei fatto a dire che uno era matto, magari per un equivoco, infatti parlava in dialetto stretto, forse avevo mal interpretato qualche parola, forse mi aveva detto: mio padre, mi ha raccontato che....e poi aveva parlato in prima persona, decido di sincerarmene: Mi scusi, non ho ben capito: questo fatto. è successo a lei o a suo padre? Cambia espressione: Non vorrà mica dire che racconto balle! Mai contraddire un matto dico fra me: No, no, solo che mi pareva fosse così giovane. Temevo se la sarebbe presa di più, invece lo accoglie come un complimento: Eh: pensi invece che non ero un giovanotto neanche allora mi risponde lasciandomi ancor più estrefatto. -Comunque, nel caso avesse ancora qualche dubbio, domandi a quel signore la, è lui il Battista, è venuto a prendere suo figlio. Guardo indietro verso il portone, intravido la figura di uno fermo sulla bicicletta, che non posso riconoscere per la penombra. Nel frattempo il bidello si era congedato, e al suono della campanella cominciano ad uscire le classi. Ancora una volta ho l'impressione del tempo fermo: ragazzi con una casacca nera i più grandi, il grembiulino dello stesso colore i piccoli, vecchie cartelle, molte di cartone, vestiti un po' lisi che fanno indovinare quasi in tutti una certa povertà, mi sono messo a pensare al contrasto fra il lusso che c'era fuori ed il modo in cui mandano a scuola i bambini. Ma il flusso dei miei pensieri viene bloccato. I bambini, che erano usciti in fila dalla mia classe si erano accodati ad un altra classe e le maestre si erano avvicinate per chiaccherare: non potevo sbagliare; Quella alta e magra era la maestra Meda, l'altra la mia. Ma come era possibile? Frattanto i bambini usciti dalla mia classe sono giunti vicini a me: impossibile, li riconosco: Felice, Amilcare, i due Renzo, Mario e Mariolino, Francesco, Giuseppe, Santino, Andreino, Schiappati, Galli, Signo, il Negher, e gli altri di cui non mi ricordo più ne nome ne soprannome, ma di cui ricordo tutti i volti. Non riesco neanche a ragionare, mi ripeto solo che non sto sognando. Poi il mio sguardo viene di nuovo attratto dallo strano bambino che avevo già incontrato prima: chi era, non era della mia classe non lo ricordo, ma mi è così familiare. Le maestre mettono in libertà i bambini, che con schiamasso rompono le righe: lo strano bambino, mi passa accanto, come a raggiungere qualcuno che stesse dietro di me, mi volto, riconosco l'uomo che stava nel portone, e , che si era portato alle mie spalle , era mio padre. Mi da una breve occhiata, fa un cenno di saluto, poi carica suo figlio sulla bici e si avvia all'uscita. Impietrito, rimango ad osservare mio padre che si allontana in bicicletta con me sul sellino. Rapidamente il cortile si svuota; mi avvio fuori di corsa, devo raggiungere mio padre, non so cosa dirgli, ma dopo nove anni che se è andato, nulla può essere per me più meraviglioso di poterlo riabbracciare. Di corsa attraverso l'androne, restando abbagliato dal sole. Subito mi rendo conto che la giornata di sole che c'è fuori, non è la stessa di quella che c'era nel cortile. E che aqnche l'epoca non è la stessa. Mi riprecipito dentro avrei aspettato il giorno dopo per rivederlo, vado quasi a sbattere su dei cavalletti da muratore, davanti a me un cortile in demolizione, ritorno fuori e rifaccio lo stesso percorso in un assurda speranza, con lo stesso risultato. vengo preso da una terribile angoscia; fino ad un minuto prima credevo di star parlando con un bidello matto, invece ero io un matto che credeva di aver visto un bidello matto, i suoi compagni di quarant'anni prima la sua maestra suo padre e se stesso. Non voglio rassegnarmi all'idea, ma al di fuori di un allucinazione, che altra spiegazione? D'un tratto mi soffermo ad osservare il mio vestito, una strana idea comincia a ronzarmi per la testa, con affanno cerco in tasca. Si: uno degli opuscoli era rimasto, lo tengo a lungo fra le dita, mentre osservo intorno a me quei muri mezzi demoliti che avevo visto in piedi, le porte le finestre seppur semidistrutte sono le stesse di alcuni minuti prima. Infine mi faccio coraggio, guardo l'opuscolo, è un reclam di un computer: io ne avevo già visto di simili: quarant'anni prima, me li aveva dati un signore vestito stranamente. Li avevo anche mostrati a mio padre, che mi aveva detto che era una cosa di fantascienza, cioé che non esisteva, ma che forse fra qualche centinaio di anni. Ne sono sicuro, io da piccolo avevo incontrato me stesso. Guardo ancora un poco la mia vecchia scuola, poi provo ad andare alla mia casa natale: Un tuffo al cuore, ma no, non è mia madre, non le somiglia nemmeno. Riparto, verso la mia nuova casa, ma ogni anno, in questo giorno, tornerò al mio paese, sono sicuro che prima o poi rivedrò mio padre, rivedrò tutti.
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