PROSPETTIVE ECONOMICHE

PROSPETTIVE ECONOMICHE

Volevamo una moneta forte? L’abbiamo avuta; se facciamo finta che l’euro sia il vecchio marco tedesco ci accorgiamo che l’attuale livello del cambio è vicinissimo al massimo del ’95 quando la lira viaggiava attorno a 1200 contro la moneta tedesca. A rigore potremmo dire che l’attuale quotazione è maggiore di quella in quanto la moneta unica incorpora economie come la nostra, la Grecia, Portogallo e altre che se fossero fuori potrebbero avere cambi ben piu’ bassi. In ogni modo oggi dobbiamo dimostrare che la moneta forte che abbiamo voluto è cosa buona e giusta per la nostra economia.

Purtroppo l’esperienza dimostra che le cose non andranno bene. L’Argentina pre-defualt aveva proprio questo problema: rinunziarono ad avere un proprio segno monetario capace di fluttuare contro dollaro; il cambio fisso con gli USA fu cosa positiva finchè il dollaro si mantenne debole: si riuscì a restituire credibilità alla politica economica e finanziaria del paese e quindi si fermò l’inflazione catturando nuovi investimenti …. Si gridò al miracolo. Ma appena il dollaro cominciò a rivalutarsi cominciarono i guai: i debiti pubblici e privati dell’Argentina divennero sempre piu’ gravosi, le esportazioni sempre piu’ difficili, il gettito sempre minore, fino all’insolvenza.

Processo durato pochi anni. Per uscire dal disastro e creare le condizioni di un rilancio si è dovuto coniare una nuova moneta con una valutazione molto piu’ bassa (svalutazione del cambio) e quindi ricominciare ad esportare; oggi l’Argentina vanta un’economia in ripresa e, forse pagherà anche parti rilevanti del proprio debito rimasto non onorato. Si è avviata una nuova e ben piu’ promettente fase di sviluppo.

Stessa storia è accaduta per l’Italia: fino a quando l’euro è rimasto debole, si è riusciti a sopravvivere; pur schivando i micidiali colpi della burocrazia e del fisco e nonostante il calo verticale delle vendite interne, le nostre imprese si sono arrabattate alla men peggio vendendo le proprie eccedenze nel nord America. Molte di esse hanno dovuto trasferire all’estero le proprie produzioni per abbattere i costi che rendevano improponibili i propri prodotti anche nei mercati piu’ ricchi.

Altre ancora si sono riconvertite cambiando prodotto al fine di assicurarsi una propria nicchia poco interessante per cinesi e simili. Si è arrivati ad oggi con una situazione economica italiana fortemente variegata e praticamente irriconducibile ad unità. Certamente coloro che hanno delocalizzato non parteciperanno alle dinamiche prossime venture; molte nicchie riusciranno a non subire i costi del nuovo cambio; ma la stragrande maggioranza delle imprese subirà l’aggravio di prezzo dei loro prodotti per i consumatori americani e la maggiore aggressività degli esportatori in dollari (che non sono solo quelli USA ma tutti quelli di monete minori che da sempre usano il dollaro come moneta per gli scambi internazionali).

Il costo delle materie prime certamente rimarrà piu’ basso di quello subito dagli operatori esterni all’area euro ma lo loro incidenza sarà ampiamente compensata dai danni sul fronte della vendita del prodotto finito. Quindi il livello dell’export non potrà essere piu’ lo stesso e quindi anche il gettito erariale non potrà essere lo stesso; il debito pubblico e il costo del suo servizio avrà quindi un valore maggiore in termini finanziari. Cioè continuerà ad evidenziarsi lo stesso scenario che ha portato al default argentino con ulteriori aggravi: oggi è probabile una crescita sostanziale dei tassi di interesse che aggraveranno ulteriormente l’eterno problema del nostro debito pubblico.

Inoltre, ancora, questo fenomeno va accadendo proprio in un momento in cui il livello dei salari è già estremamente sacrificato e necessita di essere rettificato al rialzo non solo per restituire la dignità perduta alla gran massa dei collaboratori dell’imprenditore ma anche per scongiurare tensioni sociali quanto mai legittime e per ridare un minimo di elasticità alla domanda interna la cui progressiva riduzione sta colpendo anche la grande distribuzione.

Infine, il Mezzogiorno; le nostre produzioni sono sensibili alle variazioni di prezzo e subiscono le concorrenze degli altri paesi mediterranei con costi piu’ bassi; cioè nella loro piu’ gran parte non sono né di nicchia né delocalizzate. Sarebbe quindi bene che i Governatori delle regioni meridionali oltre a preoccuparsi di temi alti e poetici si impegnino a sostenere una politica nazionale che ponga in essere alcune misure capaci di lenire o, ancor meglio, prevenire disastri prevedibili ed impossibili da risolvere a posteriori.

Ma chi si preoccupa di questo problema? Nessuno, né i reggitori dei destini locali né di quelli nazionali; i maggiori calibri romani sono interamente assorbiti dalle gravissime emergenze ereditate da decenni di assenza di politiche serie o dall’appassionante sport della litigiosità interna alla maggioranza. Ancor peggio è da dire delle Istituzioni economiche nostrane.

Che fare? confideremo nello Stellone italico, come sempre.

Bari, 4.11.2007 Canio Trione caniotrone@virgilio.it