STELLA TUNDO

Al centro del mio lavoro è l’attenzione alla Natura, animisticamente intesa come luogo della vita e dell’energia, come spazio infinito e ampio e come campo di indagine.

Il legame terra-cielo, la corporeità acquisita nella danza, il gesto che si fa spazio, forma scultorea, la fisicità dei materiali pesanti a contrasto con la leggerezza delle immagini trasparenti di strade nel cielo e di ombre nell’acqua, di nuvole e immagini dotate della consistenza eterea del pensiero, del ricordo, hanno preso forma nelle installazioni ricche di acque, di alberi scrutati nel loro muoversi, di tensioni scoperte nelle foglie, nelle ombre, nei movimenti di oggetti instabili, sensibili alle correnti, al respiro di chi li osserva.

Ricordi di natura sono nel ciclo delle "Estinzioni", cui ho lavorato per quattro anni, ricucendo il filo che lega tutti i deserti del mondo: quelli nati dalla mano dell’uomo e quelli naturali; lapide per ciò che l’uomo ha fatto scomparire, i nomi delle specie in via di estinzione - animali e vegetali - segnati sotto foglie nere, rami neri e bianchi, coralli, immagini di spazi infiniti dove l’uomo è passato e ha lasciato una strada, un segno di morte.

Dopo tre anni di installazioni e bianco e nero, in occasione di un lavoro che mi è stato richiesto per la Biennale delle Arti e delle Scienze del Mediterraneo, torna il colore in un omaggio a Che Guevara. Per non cadere nella sterilità dell’immagine nata dal consumismo costruito attorno al mito ho cercato un collegamento con la realtà attuale, una sopravvivenza: le lotte in Chapas e l’opera "Che/pas", che ancora una volta nasce da una storia di Natura violata, una Natura di cui anche l’uomo, quando vive in armonia con essa e da essa dipende, fa parte.

Tutta la mia ricerca si fonda sul tentativo di individuare e rivitalizzare sopravvivenze: dell’umano, della sensibilità, del sogno, dell’origine, dell’unione tra la dimensione fisica e quella mentale.

I lavori del 2001, raccolti nella mostra "Sospensioni", dipinti su stoffa e messi sul telaio lasciandolo intravedere proprio per far emergere il contrasto tra struttura e sensibilità, riassuntivo di quello istinto-ragione, tendono alla grande dimensione, instaurando un colloquio tra di loro: serie di trittici o di piccoli quadri da accostare e fruire in un continuum di sguardi.

L’immagine della Natura emerge nelle terre, nel colore del mare e del cielo - io vivo e lavoro sul mare che con i suoi suoni e con le sue continue variazioni di luce e colore mi accompagna giorno per giorno - e il gesto si è concentrato, ha costruito uno spazio su superfici sensibili, come di pelle. Ricordi del corpo appaiono dietro la fisicità dell’immagine, quasi appesa su uno schermo. L’essenzialità delle installazioni riaffiora nel gesto che lambisce le figure geometriche di sempre - soprattutto ellissi e quadrati - come archetipi del tentativo dell’uomo di spiegare lo spazio, di individuare una regola sottesa alla mutevolezza della vita, dei sentimenti, delle immagini in movimento.