LA PAPPA PRONTA

di Valerio Cruciani

Scrivo questo breve articolo in risposta alle parole del prof. Giulio Ferroni apparse sul Corriere del 1 marzo (Segni e voci oltre l’apparire).

Sono un ragazzo di 23 anni, studio letteratura all’Università, etc…

Nel suddetto articolo, si nominavano due tipologie comunicative: quelle dell’etere (Tv e ora anche Internet) e quelle dei concreti incontri nei locali romani.

Si ricordavano poi, velocemente, i salotti letterari degli anni ’50.

Chiudeva sottolineando la triste mancanza di iniziative capaci di stabilire "un rapporto autentico con i luoghi concreti in cui viene a manifestarsi" la cultura, iniziative capaci di "fare della cultura qualcosa che coinvolga, che metta in causa sicurezze e luoghi comuni".

Roma è una città ricchissima di stimoli, dove si trovano istituzioni di ogni genere ad ogni angolo di strada, dove le proposte di ordine culturale sono anche troppe, molte interessanti e impossibili da seguire tutte.

Tre università, Cinecittà, teatri stabili e non, biblioteche pubbliche, cineclub, enti, associazioni, locali e cantine: tanto, tantissimo, nulla.

Si continua a respirare un’aria stantìa, quasi di vecchiume ammuffito. I salotti non mancano, caro professore, non è questo il problema. Il vero problema è che si sono incupiti, sono grigi, sfatti, simili ad evanescenti memorie oniriche. Assisto ad una specie di rinuncia, di sconfitta decisa a tavolino: si sfilacciano tutti i pur esili richiami e contrappesi che possono legare le Iniziative alla Città Si propone, eccome, ma solo in due principali modalità: il grande concorsone del Comune, di richiamo anche internazionale, che sfocia (nel migliore dei casi) in una giostra estiva dei "vincitori", oppure nelle cantinacce, in sotterranei o (nella migliore delle ipotesi) in localini non pensati per essere agibili, in posti, dove non c’è spazio nemmeno per le uscite di sicurezza, dove manca l’aria, dove spesso non possono entrare i disabili, luoghi autogestiti al punto da non potersi permettere neanche il lusso di un po’ di pubblicità (eppure continuano a dire che la pubblicità è l’anima del commercio, e non scandalizzatevi se vedete questa parola abbinata all’argomento di cui qui si tratta). Ed assistiamo poi all’ultimo scandalo, attualissimo, dichiaratamente italiano, quello dei controlli a tappeto di tutte (?) le associazioni culturali: dopo vent’anni hanno deciso che la legge va fatta rispettare, che non si possono tollerare attività lucrose; e allora sguinzagliano le Forze dell’Ordine dovunque, con multe salatissime per ogni minimo errore, al fine di far abbassare più serrande possibile. E molti stanno già chiudendo.

E’ tutto giusto, la legge deve essere rispettata; ma non è possibile tirar fuori i muscoli così all’improvviso, nel mentre di una campagna elettorale, colpendo indiscriminatamente piccoli e grandi truffatori, chi lucra centomila lire e chi dieci milioni, chi propone attività creative lasciando spazio ai giovani e chi gestisce il solito ristorante-karaoke-pub. La botte fa acqua e si pensa di tappare il buco nel muro!

L’ufficialità commerciale e la garanzia di divertimento sembrano essere l’unico passaporto per entrare nel mondo dello spettacolo, che deve essere quello e solo quello. E spesso mi pongo una domanda: è venuto prima il pubblico (con le sue esigenze, la sua domanda) o lo spettacolo (da intendersi in senso amplissimo, tutto ciò che è offerta culturale)? Non è forse possibile pensare che le deficienze di uno vadano incontro contemporaneamente a quelle dell’altro? Non c’è forse il desiderio, dall’una e dall’altra parte, di ritrovarsi la pappa pronta per evitare la fatica di impegnarsi davvero in una direzione nuova e creativa? Non lo so, questo è un insieme di suggestioni.

Dietro le mie parole c’è la preoccupazione che un’offerta valida e una domanda ricca e curiosa, potenzialmente in grado di venirsi incontro, dando vita a nuovi fermenti culturali, si sfiorino e non s’incontrino mai per colpa della miopia di qualcuno.