Nella Logica
Federalista? Anche
la Contrattazione del Lavoro decentrata, allora Da più parti si lanciano allarmi
su un progressivo impoverimento del ceto medio.
E' così? Quali ne
sono le cause e gli effetti?
Intervista a
Giuliano Cazzola
di Giuliana
D'Olcese
Sin dai tempi in
cui fondai e poi coordinai i Comitati dei Sindaci
d'Italia per il Federalismo, poi il Movimento per le
Riforme Istituzionali,
Movimento trasversale a tutte le forze politiche e di
Cittadinanza, credo fermamente negli effetti benefici del
Federalismo (quello vero, non
di maniera) e cioè del massimo decentramento a livello
territoriale, non più centralista, delle funzioni.
Perciò ringrazio Giuliano
Cazzola, tra i massimi esperti italiani dei
sistemi previdenziali, del welfare e sindacali, per
l'intervista concessami.
D. L'inflazione 2003
certificata dall'Istat pare si chiuderà al 2,7%,
quasi il doppio rispetto all'1,4%
indicato dal governo per il 2004. Che
senso ha fissare un'inflazione programmata così bassa? Il
governo non ha sbagliato ad abbandonare la concertazione
di un tempo?
R.
Lo scarto tra
inflazione programmata e reale ha un senso solo se tra i
due valori vi è una differenza sostanziale, perché
l'inflazione programmata (lo dice la parola stessa) è un
obiettivo da realizzare che non può essere vanificato in
partenza. Certo, si
può dire che lo scarto è eccessivo, ma qualche decimale
di punto in più non avrebbe fatto la differenza per come
la intendono i sindacati. I margini per adeguate
politiche salariali sarebbe stati comunque modesti. Poi,
non dimentichiamo mai che il percorso contrattuale, alla base del
protocollo del 1993, consente di correggere una
previsione errata adeguando le retribuzioni al dato
dell'inflazione reale. Infine, dobbiamo metterci
d'accordo una buona volta. Questo paese dispone ancora di
statistiche ufficiali od ognuno è legittimato a farsi la
propria? L'Istat, nei giorni scorsi, ha certificato che
le retribuzioni hanno mantenuto il passo con
l'inflazione. Tra l'altro, i dati migliori si sono avuti
in quel settore dei trasporti dove più acute sono state
le proteste. Quanto
poi alla fine della concertazione, io non darei tutte le
colpe all'attuale Governo. Già nella passata legislatura
la concertazione era morta, uccisa dai veti della Cgil di
Sergio Cofferati. L'attuale Governo sarà stato anche
maldestro ma si è trovato ad affrontare un fuoco di
sbarramento sindacale che non ha precedenti nella storia
recente.
D. I sindacati ripetono ormai
all'unisono che la politica dei redditi impostata nel
1993 va cambiata. Che ne pensa? E come
cambiarla?
R. Qui sta il punto. Nel 1998
l'assetto contrattuale stabilito nel 1993 fu confermato
pedissequamente, quando in realtà la situazione era
cambiata. Quell'impostazione agiva allinterno di un
saggio d'inflazione pari più o meno al 6% ed era
finalizzato alla sua riduzione. All'interno di quel tetto
c'era spazio per due livelli di contrattazione (nazionale
e decentrato). Con i limiti attuali questi margini non ci
sono più. Il modello contrattuale è assolutamente
inadeguato: il contratto nazionale si applica in metà
del paese, per recuperarne gli oneri si è prolungata in
una dimensione poliennale la sua durata, in una realtà
che cambia rapidamente; la contrattazione decentrata si
fa in una infima minoranza di aziende. Uno studio della
Banca d'Italia condotto sulle aziende italiane,
raggruppate secondo le grandi aree geografiche, dimostra
che solo una minoranza modesta di imprese (il 34%) ha
stipulato almeno un contratto negli ultimi 10 anni.
Nessuno lo crederebbe, ma in testa alla classifica sta il
Nord-Est (col 42% dei datori di lavoro) a fronte di un
orgoglioso Nord-Ovest che si accontenta del 31,4%. Nel
Sud quasi l'85% delle aziende non è stata toccata dalla
contrattazione collettiva nell'ultimo decennio. Se poi si
guarda ai contenuti di tale contrattazione, si scopre che
ben pochi sono gli incrementi salariali con
caratteristiche innovative (solo il 7,7% delle aziende ha
stipulato accordi con la previsione di incrementi
variabili. Ritengo indispensabile, anche in una logica
federalista, ampliare gli spazi di contrattazione
decentrata, con un occhio alle differenze esistenti a
livello territoriale, per quanto riguarda le
produttività del lavoro. Siamo il paese dei tanti
divari; è assurdo che la sola uniformità esistente sia
quella, forzata, delle retribuzioni.
D. Da più parti si lanciano
allarmi su un progressivo impoverimento del ceto medio.
E' così? Quali ne sono le cause e
gli effetti?
R. Che in Italia esiste una questione
salariale è più che evidente. Le politiche sindacali
degli ultimi anni sono state ispirate ad un tradizionale
modello socialdemocratico: tregua con le imprese e
rivalsa sul terreno della spesa pubblica, del welfare, in
particolare. Questa politica ha protetto talune classi
sociali e punito altre. Siamo il paese in Europa in cui
è più basso il rischio di povertà degli anziani, dei
pensionati. Ma ciò ha penalizzato il lavoro attivo, sul
lato fiscale e parafiscale. Ci sono dei dati da tener
sempre presenti quando si ragiona di retribuzioni. Per
semplicità facciamo il conto in lire: 100 lire di
retribuzione lorda al datore costano 145, in tasca
al lavoratore ne restano 72. Si spiega così perché
oneri sostanziosi per le imprese si traducano in aumenti
modesti e come le
riforme sociali possano servire a sbloccare una
situazione altrimenti senza uscite.
D. Baldassarri ha dichiarato
al quotidiano della CEI Avvenire che la concertazione e
un nuovo patto sociale oggi devono privilegiare il
completamento delle riforme strutturali,
per aumentare la competitività del sistema Italia e
puntare a ridistribuire gli aumenti di produttività.
E' un'impostazione da condividere o no?
R. Mi sembra di aver già risposto
affermativamente. Il problema è un altro. Fino ad oggi
questo Governo è sembrato più attento a non scontentare
il blocco sociale che fa riferimento alla sinistra che
non a costruirsene stabilmente uno proprio mettendo
insieme le classi sociali emarginate dal blocco di potere
dominante. Prenda il caso delle pensioni. Tutti si
sbracciano a salvaguardare coloro che andranno in
pensione entro il 2007 (che sono quelli più
privilegiati); nessuno ha mosso un dito quando. Solo per
fare cassa - il Governo ha aumentato l'aliquota
contributiva dei cococo.
D. Se la gente fatica di più
oggi ad arrivare a fine mese, quali
misure occorre adottare nell'immediato?
R. La realtà non è questa o comunque non è
una realtà generalizzata. Avrà visto che le città
durante queste feste erano deserte? Ci sono delle
situazioni di bisogno che vengono trascurate, perché in
realtà si presta ascolto solo agli interessi forti e
coalizzati. Lo sa che la collettività va in aiuto all'ex
Inpdai con 1,2 miliardi di euro per pagare le pensioni ai
dirigenti dell'industria (la categoria che ha in % il
maggior numero di trattamenti di anzianità e la cui
pensione media è pari a 45mila euro l'anno) mentre
spende poche centinaia di milioni per il reddito di
ultima istanza?
D. Stando ai dati,
l'occupazione sta crescendo, grazie
anche alla maggiore flessibilità. Ma,
tirando le somme, non si rischia,
a meno di opportuni correttivi, di dar
vita a un Paese magari con maggiori opportunità,
ma con minori garanzie e minor benessere per tutti?
R.
La questione intollerabile è quella di un
mercato del lavoro spaccato in due. Sono troppe le garanzie per alcuni e troppo
poche per altri. Per
la prima volta nella storia dellumanità la
discriminazione non è dovuta al sesso, o alla fede
politica o religiosa o al coloro della pelle, ma
alletà anagrafica. Siamo un paese di vecchi
egoisti che sanno solo pensare alla pensione, anche se
ciò comporta di aver prodotto una generazione di Peter
Pan (i figli e i nipoti) condannati allinsicurezza
e alla precarietà.
|