M’HAMAS O NON M’HAMAS
La vera posta in palio in Palestina e la trappola ideologica fondamentalismo-laicismo

Lo scontro frontale scoppiato tra le milizie di Hamas e quella di Fatah rattrista tanti amici della causa palestinese. Il mito di un popolo unito malgrado tutto si è dissolto per sempre. Ciò avrà conseguenze assai durature, non solo riguardo alle prospettive della lotta di liberazione palestinese, ma anche nel composito movimento internazionale di solidarietà. In questi frangenti occorre tuttavia starci con la testa, tentare di capire le ragioni di questa battaglia e quindi decidere chi abbia ragione e chi torto. Alcuni, che certamente ci rimprovereranno questa nostra impostazione «manichea», hanno condannato gli scontri facendo appello all’unità e alla conconcordia. Anche i fratelli del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina (FPLP) hanno adottato questa posizione.

Lo scontro virulento non è emerso dal giorno alla notte, ha cause e radici profonde, aveva già avuto dei precedenti negli anni passati. La causa delle cause è che da Oslo in poi al-Fath ha sempre più decisamente puntato a raggiungere per via negoziale un accordo con Israele sulla base dello slogan «due popoli due stati». Sono passati quasi vent’anni, un’intera generazione, e il fallimento di questa strategia è sotto gli occhi di tutti, soprattutto degli stessi palestinesi. I palestinesi non hanno niente, i sionisti invece si sono tenuti tutto, hanno anzi rafforzato le loro posizioni. Costruendo nuovi insediamenti coloniali sionisti nel cuore della Cisgiordania, erigendo un colossale muro di cinta accerchiando i Bantustan palestinesi.

Nel frattempo gli Stati Uniti, il grande sponsor di Israele ha aggredito l’Iraq nell’ottica del «Nuovo Medio Oriente» del quale Israele resta la spina dorsale —e in quest’ottica continuano ad armarlo fino ai denti, non senza sostenere la sua spinta aggressiva (Libano 2006). Al-Fatah si è prestato a questo gioco, è anzi stato un attore fondamentale di questo inganno storico «due popoli due stati». Per di più, una volta acquisito il potere nei Bantustan cisgiordani, ha amministrato in una maniera vergognosamente mafiosa, nepotistica, corrotta e anche ferocemente repressiva verso le componenti ostili agli accordi. Non era un segreto per nessuno che i servizi di sicurezza di Abu Mazen, quelli del famigerato uomo forte Dahlan per capirci, hanno strettamente collaborato con quelli sionisti allo scopo di stroncare e decapitare le frazioni radicali e antimperialiste palestinesi.


Perse le ultime elezioni a vantaggio di Hamas, al-Fath non ha fatto alcuna autocritica, ha anzi usato pro domo sua l’infame embargo dichiarato dalla comunità internazionale allo scopo di ricattare i palestinesi affinchè si pentissero di aver votato per Hamas.
Il sostegno plateale e fulmineo offerto da Bush e da Olmert ad Abu Mazen dopo che Hamas ha ottenuto il pieno controllo di Gaza è eloquente. Abu Mazen è una loro pedina. Gli islamisti palestinesi, non ha torto, dicono che egli è un fantoccio di Israele e degli americani. Le potenze imperialiste hanno infatti sostenuto non solo la gravissima decisione di Abu Mazen di dimissionare il governo capeggiato da Hamas (il vero casus belli dello scontro in atto). Esse hanno anche ritenuto legittimo il colpo di mano di Abu Mazen con il quale ha formato un nuovo governo che non rappresenta nessuno.


Le decisioni di Abu Mazen violano apertamente la costituzione palestinese
in quanto egli, pur formalmente potendo dimissionare un governo, non può insediarne un altro con atto di’imperio, ovvero senza l’approvazione del Consiglio Legislativo Palestinese (PLC). C’è di più. La Costituzione non da al Presidente, nemmeno ove dichiarasse lo stato di emergenza, di sospendere gli articoli che riguardano l’autorità del governo (Consiglio Legislativo Palestinese) né ha l’autorità di dissolvere o interrompere i lavori del CLP durante il periodo di emergenza (articolo 113). In poche parole se golpe c’e’ stato questo è quello orchestrato per procura da Abu Mazen. Questo va ricordato agli amici nostrani di Abu Mazen, che per confondere le acque la buttano sul piano della democrazia.

Allo scopo di assicurarsi l’appoggio di americani, israeliani ed europei, Abu Mazen ha denunciato quei paesi stranieri che si immischierebbero negli affari interni palestinesi (leggi: Siria e Iran che stanno con Hamas). Questo e’ proprio il colmo dei colmi! Gli israeliani compiono incursioni unilaterali in terra palestinese quasi ogni giorno, uccidono, bombardano, arrestano, demoliscono, sradicano —il tutto con l’avvallo della vasta schiera degli Stati alleati— e questo sicofante, vero e proprio simbolo e arnese del regime di satrapia e vassallaggio a cui la Palestina è sottoposta, sbraita contro l’ingerenza iraniana e siriana. Ovvero l’ingerenza dei suoi pupari ba bene, quella dei suoi avversari no. L’internazionalismo degli americani è benvenuto, quello persiano sarebbe illegittimo. Siamo alla farsa.

L’ultima trappola ideologica utilizzata dagli amici e dai simpatizzanti di Abu Mazen-al-Fatah per sostenere il golpe è che esso sarebbe necessario per stroncare il desiderio di Hamas di istituire una dittatura teocratica islamista. E’ la medesima trappola ideologica usata dai fans dell’esportazione bushiana della democrazia per cui non ci sarebbero Resistenze popolari, in Iraq o in Libano, in Afganistan, ma solo movimenti fondamentalisti religiosi per i quali la liberazione nazionale contro gli invasori sarebbe solo un pretesto per edificare regimi teocratici oscurantisti. Tutto fa brodo quando si tratta di camuffare gli scopi reconditi delle potenze imperialiste. Tutto fa brodo quando si tratta di delegittimare le Resistenze, sputtanarle e isolarle.

Purtroppo in tanti abboccano. Per loro il mondo è come un teatrino di ombre cinesi. Essi non vedono gli interessi reali in gioco, le aspirazioni concrete e i bisogni, le cause più profonde dei conflitti ma, appunto, solo le loro rappresentazioni immaginarie e spesso alienate. E’ la classica inversione soggetto predicato. I popoli oppressi che combattono per la loro liberazione e che oggi si servono dell’Islam per dare senso storico alla loro lotta (dopo tanti tentativi falliti  quali il socialismo, nazionalismo panarabista, ecc.) da soggetti reali diventano ombre, protesi della forma in cui si rappresenta oggi la loro spinta emancipatrice. Il soggetto diventa così la religione, l’islam il demiurgo. Per cui non è che Hamas dia corpo alle aspirazioni palestinesi alla liberazione  nazionale e sociale (e per questo dovrebbe essere compresa e sostenuta), Hamas va invece contrastata perché sarebbe anzitutto l’incarnazione di quella diabolica potenza metafisica che è l’Islam. Materialismo storico addio. Addio anche alle sofisticate argomentazioni illuministiche per cui la riforma protestante sarebbe stata, malgrado l’oscurantismo misticheggiante di un Lutero, la rappresentazione religiosa di forze storiche eversive capitalistche, vanno a farsi benedire. Scopriamo che l’analisi storica introspettiva e critica varrebbe solo per noi occidentali, non per gli arabi o gli afgani, che essendo notoriamente dei barbari non meritano la nostra intelligenza e sensibilità.


Addio Lenin, addio Trotsky, addio Mao. La contraddizione principale non sarebbe più quella tra sfruttati e sfruttatori, tra oppressi e oppressori, tra imperialismo e popoli in cerca di emancipazione. Sarebbe quella tra forze laiche secolariste, e forze clericali oscurantiste e fondamentaliste. Lo scontro principale sarebbe tra democrazia e teocrazia. Al fondo, in una forma politicamente sacralizzata, la battaglia tra il bene e il male. Questa rappresentazione è proteiforme, tentacolare, pervasiva. Copre uno spettro amplissimo che va da Bush e dai nazi-sionisti, fino alle più estreme propaggini della sinistra radicale. Volevate sapere una delle cause della crisi dei movimenti contro la guerra? Eccovela: è che proprio attraverso la sinistra zone ampie di questi movimenti sono precipitate nella trappola ideologica imperiale che la guerra sarebbe guerra tra le civiltà per cui si diventa sordi al grido di aiuto delle resistenze. All’obiezione che non ci sono guerriglieri taliban in Europa, ma soldataglia occidentale in Afganistan, e che occorre dunque fare una scelta di campo tra l’internazionalismo imperialista e il nazionalismo patan, ti rispondono con un’alzata di spalle, né di qua né di là. Al fondo la considerazione è questa: sempre meglio vivere alla nostra maniera, confort e privilegi annessi, che nella pauperitas antimodernista dei taliban.


Che occorra distinguere le cause materiali e geopolitiche di una guerra dalle sue rappresentazioni ideologiche non significa che questa rappresentazioni non abbiano importanza. Certo che ce l’hanno. Certo che l’Islam è un potente fattore ideologico di mobilitazione, come i diritti umani, la libertà e l’eguaglianza lo sono stati per gli oppressi in occidente. Quello su cui occorre interrogarsi è perché l’Islam sia assurto a grido di battaglia per gli oppressi, mentre la democrazia sia diventata, da principio universalistico emancipatorio, l’inno di guerra dei becchini e dei carnefici americani. Non amiamo nessun fondamentalismo religioso ma una cosa è certa: gli islamisti hanno ragione da vendere quando affermano che la democrazia è diventata la foglia di fico della moderna tirannia imperiale e sionista.
E’ vero che l’umanità deve scoprire forme nuove, universali e libertarie di emancipazione. Dubitiamo che questa scoperta possa essere compiuta in laboratorio, a prescindere dall’esito della battaglia epocale in corso. Occorre un habitat adeguato affinchè idee nuove possano germogliare. Bisogna che il sollevamento dei popoli oppressi (non quindi un’altro blocco neo-imperialistico, magari sino-russo) distrugga le pretese imperialistiche americane e occidentali affinché l’umanità, e non più solo ristrette minoranze, sia posta concretamente davanti all’urgenza di trovare un’alternativa, a trovare un modello che sappia coniugare libertà ed eguaglianza.
Anche per questo, malgrado tutto, siamo con Hamas.