NE'
VENDETTA, NE' PERDONO:
GIUSTIZIA E PACE SONO LE CATEGORIE DELLA POLITICA
Di
Mao Valpiana *
Dopo il dolore, il silenzio, il lutto, è il momento
della riflessione.
Non si è ancora data sepoltura alle vittime innocenti, e
già si sente
parlare di ritorsione militare. Il nemico è stato
individuato in Osama Bin
Laden (che a suo tempo fu un pupillo della CIA), e lo
stato-canaglia questa
volta è l'Afghanistan (i cui guerriglieri furono
sostenuti e finanziati
dall'America in chiave antisovietica). Si richiamano i
riservisti, si
scaldano i motori dei caccia bombardieri, si muove la
flotta e si
preannuncia che la guerra sarà lunga ma vittoriosa. Si
rispolvera il
vecchio armamentario ideologico della lotta del Bene
contro il Male.
Pochi vogliono concedersi il lusso di pensare, di porsi
qualche domanda, di
guardarsi allo specchio. Tutti gli appelli sono solo per
la vendetta. Il
buonismo del perdono ora non serve a nulla. La sfida che
ci aspetta è
veramente dura.
Di fronte al terrorismo, anche il più efferato, secondo
la civiltà
giuridica uno Stato di diritto ha una sola strada:
individuare i colpevoli,
i mandanti, gli organizzatori, arrestarli e processarli.
Se si tratta di
terrorismo internazionale, ci sono i tribunali per i
crimini contro
l'umanità; se è uno Stato ad essersi macchiato di tali
delitti, deve
intervenire l'ONU, con la sua autorità e le sue truppe.
Questo è il
compito della giustizia. Se si esce da questo tracciato,
si entra
nell'arbitrio, nella giustizia "fai da te", che
è lo stesso parametro usato
dai terroristi.
La politica, invece, deve interrogarsi sulle cause, sui
moventi, sugli
scopi, sugli obiettivi del terrorismo. Deve estirpare il
seme dell'odio,
impedire che germogli e fruttifichi.
Per chi vuole usare la testa (e il cuore) prima che le
mani (e le armi) le
domande sono chiare.
Se l'occidente non vuole rimettersi a fare le crociate
deve chiedersi se
quanto sta accadendo nel mondo non sia forse il frutto di
cinquecento anni
di colonialismo e oltre duemila anni di dominio
culturale, dai tempi
dell'Impero Romano. Il colonialismo europeo in Africa,
Asia e America
Latina; la spartizione del mondo a Yalta fra Usa e Urss;
la creazione dello
Stato di Israele; il dominio del dollaro; l'appoggio
della politica
militare americana a governi corrotti; i colpi di stato
finanziati e
organizzati dalla Cia; la crescita della Nato a scapito
dell'Onu; i
bombardamenti su Bagdad e su Belgrado; gli embarghi per
Cuba e Iraq; il
ruolo americano in Somalia e Turchia; il dramma dei
kurdi; i palestinesi
abbandonati a se stessi . Decenni di supremazia
militare, hanno trasformato
il mondo in una polveriera.
Non si tratta ora di criticare cultura e politica
americana, ma la cultura
e la politica di cui si sono alimentati i paesi del mondo
ricco e potente.
Questa cultura (guadagnare e investire denaro, produrre e
consumare sempre
di più) e questa politica (prepararsi alla guerra per
difendere i propri
interessi) non solo costituiscono il programma di ogni
governo, ma sono
sostenute e alimentate dai governati, che sono gli
artefici e i costruttori
quotidiani di questa società. Ognuno dovrebbe quindi
criticare la propria
cultura e la propria politica. Aiutare l'Amercia a
cambiare, è un gesto di
profonda amicizia con il popolo americano.
Fargli capire la fragilità della loro società: sono
bastati dei coltelli da
supermercato per colpire al cuore la superpotenza
nucleare. Anche qui
emerge chiara una domanda: le ingenti spese per la difesa
militare,
sottratte alla sanità, all'istruzione, alla
cooperazione, a cosa sono
servite? Forse difesa militare e sicurezza non sono la
stessa cosa.
Sono passati ottocento anni dalla Crociate, e il
rapporto fra Occidente e
paesi Arabi non ha fatto grandi progressi. Forse bisogna
ripensare e
seguire l'esempio del più illuminato fra gli uomini
europei dell'epoca,
Francesco d'Assisi, che andò alle crociate a mani nude,
per incontrare e
parlare col Saladino. Sta tutta qui l'indicazione di come
si deve ripensare
la politica: è solo il dialogo, lo scambio, la
conoscenza reciproca che può
offrire una via d'uscita ad una situazione troppo
intricata. Bisognerebbe
far studiare l'arabo nelle american school, e far
studiare l'inglese nelle
scuole coraniche. Portare in medioriente i testi di Kant
e Cartesio e noi
imparare la filosofia islamica.
L'antidoto alla guerra di religione sta nel contaminarsi
reciprocamente.
Per questo dobbiamo trovare alleanze con i settori
moderati, democratici,
realmente religiosi della società islamica. La
repressione e la lotta muro
contro muro significa solamente regalare interi paesi al
fondamentalismo.
"O nonviolenza, o non esistenza" diceva Martin
Luther King, il più grande
leader nonviolento degli Stati Uniti. La nonviolenza
impone oggi un
profondo esame di coscienza a tutto l'occidente.
Questo mondo, così com'è, ci porta dritti
all'autodistruzione. E' un mondo
basato sulla violenza strutturale, che ha scelto un tipo
di sviluppo
insostenibile: un quarto degli uomini con la pancia e gli
arsenali pieni,
tre quarti che desidererebbero partecipare al banchetto,
ma ne vengono
esclusi. Un mondo lanciato verso il progresso materiale,
impaurito di
perdere i privilegi raggiunti; un livello di sviluppo
energivoro,
ecologicamente impossibile per l'intero pianeta, di cui
gode solo il 20%
dell'umanità. Un mondo regolato da una logica economica
i cui rapporti di
forza sono basati sulla potenza militare, è un mondo
ricco di denaro, ma
povero di futuro.
E' indispensabile una conversione ecologica ed economica:
un'economia
nonviolenta, per questo, deve trovare interlocutori anche
nei paesi extra
G8, nel bacino del Mediterraneo, nei paesi dell'est, nel
mondo islamico:
lavorare insieme per un nuovo modello di sviluppo, per
una società
sostenibile.
Certo, è difficile invertire la rotta, ma è la
sola scelta che abbiamo. La
nonviolenza è la più grande arma di cui disponga
l'umanità: ce l'ha
insegnato Gandhi.
* Movimento Nonviolento
Verona, 16 settembre 2001
Tu potrai dire che io sono un sognatore
ma non sono il
solo....
(J. Lennon)