Per
la signora Milingo, una sentenza senza processo
La tendenza ricorrente in molta
stampa italiana ad affrontare i problemi
«sub specie televisiva», ha spinto parecchi cronisti a
parlare di una
«telenovela» a proposito della vicenda di mons.
Emmanuel Milingo.
La questione è invece molto seria e drammatica, sotto
vari profili.
Uno è quello ampiamente ricordato, secondo cui i timori
(che hanno spinto la
Chiesa a non condannare automaticamente il monsignore e a
dialogare con lui,
convincendolo a ritornare sulla retta via), sono legati a
problemi esistenti
nel clero africano: rifiuto del celibato, riti più o
meno magici di
guarigione.
L'altro è quello più complesso, e mai approfondito,
inerente
all'interpretazione che, della vicenda stessa, è stata
data circa la
validità o meno del matrimonio di monsignor Milingo.
«Stricto iure», è un matrimonio che non esiste. Ma
ciò non significa nulla,
per chi dovrebbe ricordare quanto sta scritto: non è
l'uomo fatto per la
legge, ma la legge per l'uomo.
In tutta questa storia, Milingo non è solo: fidanzato
(con «promessa
solenne»?) o sposato, il vescovo è finito in questo
mare di guai assieme ad
una donna. Chi ha tenuto conto della duplicità di
aspetti della questione?
La macchina burocratica curiale del Vaticano ha convinto
Milingo a
comportarsi diversamente da quanto lui stesso aveva
dichiarato alla stampa
(sostenendo di dover ascoltare l'altra parte contraente,
quella donna che
lui in quel momento riteneva di avere sposato, e che
quindi considerava sua
«moglie»). Poi l'atteggiamento di Milingo è cambiato.
Alla sua libera personale opinione (giusta o sbagliata
che fosse), è
subentrata l'interpretazione ufficiale, sulla
giurisdizione della volontà:
tu non puoi aver scelto di sposare «quella» donna,
perciò ella non ha nulla
che vedere con te.
E se il monsignore anziché sposarsi con rito considerato
illegittimo, avesse
invece celebrato nozze riconosciute da qualche Stato?
Tutto sarebbe andato
allo stesso modo, oppure la scomunica sarebbe stata
immediata?
La vicenda di monsignor Milingo è stata ridotta,
machiavellicamente, ad una
questione di forma. Si è dimenticata la sostanza, quella
realtà che, secondo
il Vangelo, dovrebbe prevalere nei giudizi; e si è
deligittimata e
ridicolizzata la signora Milingo, parte soccombente in un
processo che avuto
la sentenza senza alcun dibattimento: chi ha infatti
ascoltato le sue
ragioni?
Tommaso
Tamari
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