GENOVA: IL VOLTO DELL’IMPERO

Genova 20 e 21 luglio, in una città trasformata nel fantasma di se stessa, le truppe d'assalto imperiali scorazzano, attaccano, picchiano le decine di migliaia di manifestanti giunti nel capoluogo ligure per protestare contro il G8.L'operazione è di quelle scientifiche, studiate a tavolino, ed il bilancio assomiglia ad un bollettino di guerra: 1 morto, 700 feriti, oltre 300 arresti, un numero imprecisato di scomparsi e voci insistenti di altri morti. L'impero mostra così il suo lato oscuro, il suo volto autoritario, il suo fascismo postmoderno. Ciò a cui assistiamo non è la riedizione del ventennio, ma qualcosa di più sottile ed altrettanto feroce: l'aspetto più arrogante della società del controllo. Il diritto a manifestare viene fatto a pezzi a colpi di pistola e lacrimogeni, la propaganda imperiale cerca di costruire consenso a colpi di Fede e Mentana, mentre i comportamenti della moltitudine vengono quotidianamente lisciati, controllati dalla messa in produzione dell'esistenza, dalla gestione della cooperazione sociale, da un perverso meccanismo basato su esclusione/inclusione/premialità. Quando Carlo è morto mi si è fermato il cuore, ho sentito che un pezzo di me se ne stava andando, ho sentito che la frattura emersa era irricucibile. Ma chi ha voluto questa gestione Kriminale e deliberata della piazza? Il Governo Berlusconi ed i suoi inquietanti affaristi e "post" fascisti? Oppure, prima a Napoli e poi a Göteborg era possibile scorgere una diversa modalità dell'impero nell'affrontare il nascente movimento? Che dire poi della mancanza di qualunque formale protesta degli altri Governi componenti il G8 per il trattamento riservato anche a molti loro cittadini? La firma del massacro appare quindi facilmente leggibile ed affianco a quella del centurione Berlusconi spiccano quelle del resto del "Komando" imperiale, nelle sue varie articolazioni istituzionali, politiche, economiche, militari.

LO SCOPO DELLA MATTANZA

Genova doveva servire da monito e non solo per il movimento, ma per la moltitudine nel suo complesso. Il dialogo proposto da Ruggiero prima dei fatidici tre giorni e le modalità dell'intervento militare operato dalle truppe imperiali il 20 ed il 21, rispondono oltre che alla logica del dividi et impera a quella del ricondurre i "ribelli" alla ragione. Finché si chiede l'elemosina ai "grandi" le proteste e lo spettacolo sono legittime, ma se si prova a mettere in discussione l'impero e le sue nascenti istituzione la reazione è e sarà quella che molti hanno sperimentato sui propri corpi a Genova. "Abbandonate le opzioni radicali e vedremo cosa si puo' fare" è stata la frase più ricorrente…Perché il messaggio potesse essere recepito da tutt*, il massacro non doveva e poteva risparmiare nessuno, il terrore doveva farla da padrone! Genova ha dimostrato senza ombra di dubbio la definitiva scomparsa della mediazione e di qualunque opzione riformista. Di fronte alla ripresa del conflitto, le mistificazioni cadono, cominciano a intravedersi le sagome delle contraddizioni, l'impero mostra il suo volto più intransigente e feroce! L'arroganza che si è vista prima durante e dopo Genova, l'omologazione comportamentale diffusa, i discorsi che ogni tanto sentiamo al bar, la forma stessa e le modalità operative delle istituzioni imperiali, sembrano il sintomo di una crescente fascistizzazione della società. Le innovazioni sociali, economiche, politiche, produttive che hanno connotato il passaggio dal fordismo all'attuale modello di produzione erano caratterizzate da un’estrema necessità del capitale di spremere al massimo i cervelli della moderna forza lavoro. Per ottenere il massimo da ognuno era quindi indispensabile stimolarne la compartecipazione, fornirgli motivazioni forti, farlo sentire libero di agire, insomma l'esponenziale sviluppo della potenza produttiva necessitava di una sorta di caos creativo. Spettava poi ad una rigida gestione della comunicazione, ai meccanismi liscianti del controllo dominare la cooperazione sociale, produrne sintesi e komando. Probabilmente, oggi, la fase è mutata e l'esigenza primaria è divenuta quella di ripristinare komando sul ciclo produttivo nella sua interezza. I complessi meccanismi economici e produttivi che attraversano i vari territori imperiali, sono sempre più difficili da governare, le vecchie istituzioni sono ormai inservibili e le nuove vengono messe immediatamente sotto accusa da un nascente movimento globale. Qualcosa comincia a sfuggire di mano. L'ordine della produzione, dell'economia globale, deve essere ripristinato. La cooperazione sociale deve essere dominata, komandata, ma nello stesso tempo il controllo non puo' assumere esclusivamente la forma del dominio militare, la coercizione rischia di compromettere seriamente quella libertà formale indispensabile per lo sfruttamento dei cervelli. Forse sono queste le vere ragioni dell’attuale processo di fascistizzazione postmoderno.

LE FORME

Eppure nonostante la politica del terrore nei giorni seguenti Genova in tutto il mondo centinaia di migliaia di persone sono scese in piazza (a Milano martedì 24 luglio eravamo quasi 100.000).Ora tutt* si chiedono come proseguire. Ovunque si sono aperte discussioni sulle forme organizzative e la radicalizzazione territoriale del movimento. A partire da questa dibattito è indispensabile provare a ragionare attorno alle questioni poste all'ordine del giorno dalla nuova situazione politica. Molti sono stati i tentativi imperiali di dividere il "movimento", soprattutto su una strumentale e sterile contrapposizione tra presunti buoni e presunti cattivi, per questo non si può che ribadire che di fronte all'impero siamo tutt* la stessa cosa, dalla stessa parte. Però questo tratto comune non deve divenire appiattimento o cancellazioni delle diversità in nome dell'unitarietà. E' necessario, oggi più che mai, aprire una discussione franca su limiti, potenzialità e forme organizzative del movimento. Certo con delicatezza, ma con chiarezza e soprattutto con spirito costruttivo e non polemico. Partiamo dalle forme. Varrebbe per lo meno la pena ricordare che le forme andrebbero ripensate partendo dalle esigenze dei soggetti produttivi e non del ceto politico e delle sue mediazioni interne. Nello specifico, la moltitudine ha come sua caratteristica fondamentale quella di essere frantumata e scomposta nei mille rivoli della cooperazione sociale, spezzettata in mille differenti specificità e controllata e dominata nel suo processo bio produttivo dal capitale. Qualunque forma organizzativa pensata non può quindi basarsi sull'unanimità, perché le condizioni, le sensazioni, i linguaggi, le sofferenze, le esigenze che attraversano la moltitudine non sono univoche. La diversità è quindi il punto di partenza, così come il riconoscersi e la ricerca di tratti comuni sono indispensabili per costruire un cammino comune. Quindi il movimento oggi non può che essere polimorfo, aperto ai singoli ed ai soggetti collettivi, capace di coinvolgere molto più che di rappresentare, perché lì risiede la sua potenza. Bisogna quindi uscire dalla logica degli intergruppi, dalle operazioni di egemonia, dalla tradizione organizzativa che abbiamo ereditato dagli anni passati, bisogna saper reinventare forme nuove di organizzazione, con l’attenzione rivolta alla moltitudine. Se la discussione sulle forme organizzative è importante non da meno è quella sul radicamento territoriale, sulla quotidianità. La politica degli eventi spettacolari, del gioco della rappresentanza, hanno spesso suscitato una forte attrazione anche su questo movimento. Genova, però, e la successiva gestione massmediatica, decerebrante, all’insegna della menzogna, hanno prodotto necessità nuove. Si tratta probabilmente di una frattura destinata ad acuirsi, che in ogni caso rimanda ad una gestione diretta dell’informazione da parte del movimento, che pone l’esigenza di non farsi chiudere, di allargare, di recuperare una relazione diretta con i soggetti sociali. Proprio questo pare rappresentare un altro nodo rilevante nel dibattito, non solo perché è necessario discutere di strumenti di comunicazione, di molteplicità dei linguaggi, ma anche e soprattutto perché affronta un’altra questione basilare per la moltitudine: "la comunicazione". Passare dalla semplice informazione alla comunicazione, significa passare da un atto unilaterale alla reciprocità. Comunicazione infatti è scambio, di relazioni, di informazioni, di sensazioni, in cui due o più soggetti interagiscono tra loro, ovvero la comunicazione non puo’ essere ridotta a rapporto tra maestro ed alunno, avanguardia illuminante e soggetto ignorante. Con la comunicazione si impara e si cresce insieme.

IL SALTO

Quello che finora il movimento ha espresso in maniera disarticolata ed a volte confusa è una consistente dose di insofferenza verso l’impero, i suoi affari, la sua politica. Le varie organizzazioni che hanno promosso la manifestazione di Genova, hanno trovato come loro tratto comune la contestazione al G8, ma sono animate da storie, percorsi e ragionamenti diversi. La vera scommessa del movimento oggi è però quella di riuscire a compiere uno straordinario salto di qualità capace di produrre lotte adeguate alla modernità. Un salto dalle pratiche resistenziali, terzomondiste, volontaristiche a quelle offensive, capaci di rivolgersi e coinvolgere la moltitudine. Ma proviamo ad andare con ordine. L’esigenza di radicare il movimento, pone di per sé il problema di quali sono oggi le contraddizioni che vivono le persone qui da noi. Sarebbe folle pensare di stimolare interesse semplicemente facendo leva su presunti sensi di colpa per le terribili condizioni che interessano il Sud del Mondo. Oggi le divisioni tra Sud e Nord del mondo si riproducono di pari passo ovunque, anche nelle metropoli dei territori centrali dell’impero. Il problema non è semplicemente quello di stimolare la solidarietà con chi sta peggio, ma di sviluppare lotte partendo da esigenze comuni. In questo senso le opzioni terzomondiste e solidaristiche appaiono assolutamente inadeguate a compiere alcun salto in avanti. Esistono poi una serie di situazioni che intendono il radicamento territoriale come una sorta di riedizione di quanto già visto in passato, riproponendo in continuazione, dopo una leggera rispolverata, le stesse tematiche e le stesse lotte degli anni ’70. Ma la situazione non è più quella di allora ed i soggetti produttivi sono strutturalmente mutati, mentalmente cambiati, vivono storie, condizioni, sofferenze, desideri profondamente diversi da quelli di 20/30 anni fa e non sembrano per nulla interessati ad effettuare salti all’indietro nel tempo. In questo contesto il lavoro di inchiesta che diversi gruppi stanno svolgendo potrebbe quantomeno fornire alcune interessanti indicazioni. Certo le inchieste sono tutt’altro che concluse, anzi vanno approfondite ed allargate anche ad altri territori. Però alcuni tratti comuni che attraversano la moltitudine cominciano ad emergere. Per brevità varrebbe la pena quantomeno di accennarne due: il reddito, da garantire, il tempo, da liberare. Ovviamente le questioni all’ordine del giorno sono molte di più: la formazione, le bio tecnologie, la libera circolazione dei cittadini del mondo, la costruzione di percorsi di liberazione centrati sulle bio ed eco esigenze, lo sviluppo della potenza della cooperazione contro il potere dell’impero, ecc. Su queste tematiche sarebbe importante sviluppare battaglie ad iniziare dalla rivendicazione di un Reddito Universale Incondizionato di Cittadinanza. Riportare queste tematiche dentro il movimento significa soprattutto lavorare sul proprio pezzo, per confrontarsi con gli altri sui percorsi reali. Solo così sarà possibile uscire da confuse ed inutili omogeneità di percorso e garantire la polimorfità e la ricerca di tratti comuni dentro il movimento. Qualunque rete per funzionare realmente necessita che i diversi nodi siano capaci di esprimere punti di vista e percorsi reali. Ma qual è il contesto geografico in cui sviluppare reti di collegamento tra le diverse situazioni e soggettività in movimento? Per quanto ci riguarda lo spazio minimo necessario per uscire dalla dimensione locale ed affrontare le questioni globali non puo’ che essere costituito dall’Europa, che oggi appare come l’anello debole dell’impero. Forse questo lavoro comune, in rete, potrebbe davvero cominciare a trasformare in realtà questa idea, tanto sbandierata, che un altro mondo è possibile.

Insomma, per dirla con un vecchio slogan "siamo irrealisti chiediamo il possibile!".

saluti e baci Paolo Punx

 

 

 

 

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