Alcune Considerazioni scientifiche sulle norme che regolano gli allevamenti biologici e relativi incentivi di Giuseppe Altieri, Agernova, Accademia Internazionale di Agroecologia in tema di carni pazze e alla diossina o al cromo, antibiotici e coloranti.... il tutto condito di accumuli di pesticidi, invio alcune considerazioni sulle norme che regolano gli allevamenti biologici e gli indirizzi di politica del ministro italiano, ...Prima della direttiva europea sulla zootecnia biologica e del recepimento Italiano con Decreto del ministro Pecoraro (Agosto 2000), la carne biologica sottostava a regole molto restrittive delle associazioni biologiche o delle Regioni, risultando sicura e lo è ancora, negli allevamenti biologici storici . Con Direttiva e Decreto del Ministro,agosto 2000, si è assistito a un tentativo di peggioramento qualitativo del settore, autorizzando una parte di alimentazione non biologica per il bestiame certificato "bio" e addirittura, nella direttiva UE come nel decreto ministeriale, inserendo farine e altri prodotti "di pesce" come "alimenti" (che nessuno ha mai utilizzato nel biologico, almeno sino alla data del decreto ministeriale in questione).In realtà, essendoci oggi il divieto totale e recente delle farine animali, auspicato da tempo dal Ministro dell'Agricoltura italiano, non ci dovrebbero essere più rischi, e la carne biologica pertanto risulta esente da farine animali e quindi sicura, almeno in quel senso. Ma il problema non risiede solo nelle farine animali . Attualmente infatti il decreto ministeriale e le proposte di rielaborazione risultano troppo permissive (come denunciato con lettera al Ministro da una delle componenti del Comitato, Dr.ssa Maria De Dominicis ) e non conformi ai principi scientifici di base della Produzione biologica Tra le anomalie del decreto e le proposte di ulteriori deroghe sulla zootecnia biologica, vorrei segnalarvi intanto: 1 . la necessità escludere l'impiego delle Vitamine sintetiche,proposte dal comitato ( oggi sono vietate,come previsto nel decreto in vigore), che possono consentire di eliminare il pascolo o la somministrazione di alimenti freschi, fatto improponibile in una zootecnia che voglia definirsi biologica, 2. possibilità di allevamenti senza terra con l'escamotage di un 35 % di alimentazione obbligatoria dal "comprensorio" invece che aziendale, fatto assolutamente deprecabile in quanto contrastante con i principi dell'agricoltura biologica. 3. 10-20 % di alimentazione (sulla sostanza secca, cioè quasi tutta la componente di concentrati, prevalentemente soia e mais, che hanno un valore nutritivo elevato, rispetto al resto della razione rappresentata da fieni, paglie, crusca, ecc.) con prodotti non biologici...tra cui latte in polvere, con relativi rischi...anche se in ogni caso non geneticamente modificati. pongo a questo punto un quesito al ministro e comitato: come si può controllare tutte le partite di soia e mais convenzionali che entrano nell'alimentazione biologica (contenenenti residui di pesticidi e diserbanti, che si accumulano nelle carni, ndr...), visto che solo quelle biologiche sono certificati "OGM-FREE con tolleranza zero" (anche in USA)? I controlli sono di fatto impossibili, con rischi di contaminazione da OGM nel biologico, poichè i prodotti convenzionali hanno una tolleranza per gli ogm, senza necessità di etichettatura e non c'è separazione a monte degli ogm. Inoltre, per gli alimenti zootecnci, non sussiste obbligo dell'analisi qualitativa pcr, l'unica in grado di evidenziare tracce minime di ogm. Se qualche allevatore necessita di alimenti biologici per il bestiame, può acquistarli sul mercato, la cui offerta di conseguenza crescerà, sbarrando la strada al rischio di componenti transgeniche; oppure è possibile l'accordo con i vicini e riconvertire i terreni acquistando foraggi biologici "in conversione" che possono tranquillamente sostituire il 20% di alimenti convenzionali. E' questo un esempio di sviluppo del "Bioregionalismo", su cui paesi come la Germania hanno puntato, che si contrappone al monopolio alimentare convenzionale globalizzato che rischia di contaminare la filiera biologica. Se si vogliono inserire delle deroghe transitorie per favorire la riconversione, queste vanno evidenziate nei confronti dei consumatori ad esempio con l'etichetta di "Prodotto in conversione", come avviene per la frutta e i prodotti vegetali, ed escludendo prodotti convenzionali di cui siano coltivate varietà Geneticamente Modificate e con una limitata % riferita al "Valore nutritivo" degli alimenti e non alla sostanza secca degli stessi. Occorre difendere l'integrità di base di un prodotto Biologico ...prima che sia troppo tardi, ovvero prima che mass media e consumatori vengano confusi da norme ambigue( i primi segnali si sono già avuti dai mass media in tal senso). Cio sarà a danno degli allevatori biologici migliori e seri che dimensionano l'allevamento alla terra disponibile, i quali subiranno la concorrenza sleale dei produttori "bio-integrati". ( povero Ovidio, ndr) Intanto in Europa e in italia nascono enti che certificano il 100% bio, che il consumatore spesso pretendere, con ulteriore aggravio di costi per i produttori agricoli e zootecnici.
4. Per i trattamenti veterinari allopatici è necessaria una lista di prodotti ammessi, com'è per le produzioni vegetali, e non solo un'azione sui tempi di carenza delle somministrazioni. 6.Proposta di modifica del sistema di certificazione Se gli Enti di certificazione biologica non riescono a garantire i controlli,per scarsità di fondi, propongo il sistema Danese, dove la certificazione la paga lo stato. Invece di gravare su 50.000 produttori bio, con aumento dei costi del biologico, pagherebbero 50.000.000 di consumatori. Con 5.000 £ annue per italiano avremmo 250 Miliardi, 5 volte quello che oggi gli enti di controllo ricavano dalle aziende, dando lavoro a molti ispettori e garantendo 5 controlli all'anno invece di 1, com'è oggi. Perugia, 27/02/2001 |
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