Il conduttore di Sciuscià:
"Berlusconi ha voluto oscurarmi
paradossale se ora vestisse i panni dell'editore
liberale"
Santoro rifiuta
l'invito
di Maurizio Costanzo
ROMA - Michele
Santoro non ci sarà quando Costanzo canterà Contessa.
Non sarà presente lunedì sera quando il popolare talk
show riaprirà i battenti con una trasmissione dedicata
all'informazione. Quattro mesi, nella contesta puntata di
Sciuscià a doppia conduzione Santoro-Costanzo il
conduttore di Canale 5 aveva lanciato una sfida: se il
programma di RaiDue non fosse tornato nei palinsesti
autunnali, lui avrebbe cantato la canzone di Paolo
Pietrangeli alla riapertura del suo show al Parioli.
Costanzo dovrebbe mantenere l'impegno, ma Santoro ha
deciso di rifiutare l'invito. "Sarebbe veramente
paradossale" scrive in una lettera a Costanzo
"che il presidente del Consiglio, dopo aver chiesto
e ottenuto il nostro oscuramento, vestisse i panni
dell'editore liberale, concedendoci mezz'ora d'aria sulle
reti di sua proprietà. Francamente preferisco il
silenzio o il rumore della strada".
"Caro Maurizio" scrive il
conduttore di Sciuscià "innanzitutto voglio
ringraziarti per aver firmato la petizione che chiede il
ritorno in onda del Fatto e Sciuscià e per
tutte le posizioni che hai assunto pubblicamente a nostro
favore. Ho a lungo riflettuto sul tuo invito a
partecipare alla puntata inaugurale del Costanzo Show
che sarebbe stata una buona occasione per spiegare a
tante persone cosa sta accadendo nella televisione
italiana".
"Rifiuterò anche" continua Santoro "i
numerosi inviti che mi vengono rivolti a partecipare a
programmi di intrattenimento molto prestigiosi. Non mi
considero un caso umano ma un caso professionale che ha
assunto, mio malgrado, una rilevanza politica. E c'è
poco da riderci sopra". E conclude: "Non
avertene a male. Contessa, se puoi, cantala da
solo. Del resto anch'io ho cantato da solo Bella Ciao
e non ho avuto paura di stonare. Tu farai più fatica con
le parole che con la musica. Comunque starò in prima
fila a guardarti, come ogni anno quando ricominci. In
bocca al lupo".
Per quella famosa puntata di Sciuscià Santoro ha
ricevuto una lettera di "contestazione
disciplinare" dal direttore generale della Rai,
Agostino Saccà, che lo ha "richiamato" proprio
per la presenza di Maurizio Costanzo, ritenuta
inopportuna dall'azienda.
Polemica dunque ancora caldissima anche se oggi in
mattinata un invito a Santoro è arrivato da Paolo
Ruffini. "Su RaiTre c'è posto per Fazio e
Santoro" ha detto il direttore della terza rete a
Palermo al Prix Italia. Per Fazio il progetto è quello
del meteo, quanto a Santoro, "lunedì ho detto a
Saccà" ha detto Ruffini "che sono disponibile
ad accoglierlo sulla mia rete dal 2003".
(18 settembre 2002)
Politici,
televisione e giornali: le pagelle di dArcais
- ROMA
- I giornali, la tivù, la
piazza che ad ogni nome di politico reagiva -
vibrante o distratta -, il «quanti eravamo
davvero». Dopo San Giovanni, dopo sabato 14
settembre, Paolo Flores dArcais passa in
rassegna il campo di battaglia: qui i titoli dei
giornali avversari, questi i commenti di chi non
ha capito. «Leggo su tutti i quotidiani una
frase di DAlema: "La mia presenza a
Roma non avrebbe aggiunto alcunché". Va
bene la modestia, ma sta esagerando, nel
sottovalutarsi"». Chissà quanti applausi
avrebbe incassato, DAlema, se Nanni Moretti
lavesse citato, dal palco, infilando il suo
nome con la nonchalance toccata agli altri...
«Lavete scritto: lapplauso a
Cofferati è stato forte, udibile... E dopo
Cofferati, il politico più applaudito è stato
Walter Veltroni». Con locchio felice del
vincitore, Paolo Flores esamina, analizza,
critica: la sfida è appena stata lanciata e lui
gradirebbe andare al galoppo, proporre, per dire,
un confronto, possibilmente in tv: «Portiamo le
fotografie, facciamo vedere le riprese
dallalto. Vediamo se cera più gente
sabato 14, o alla manifestazione del Polo, nel
98, o a quella dellUlivo, lanno
scorso».
E domenica, «dArcais», come lo
chiamano i politici del centrodestra senza sapere
che, dallaltra parte, egli è per tutti e
solo «Flores», Paolo Flores dArcais,
insomma, ha dormito a lungo e ora si divide tra i
due telefoni fissi e il cellulare a portata di
squillo. La moglie Anna, che è anche sua
efficiente assistente-centralinista-suggeritrice,
ogni tanto interviene citando date, nomi,
occasioni. È anche suggeritrice di slogan, Anna
Flores, giacché quello di sabato 14, «Una festa
di protesta», se lè inventato lei, più o
meno un mese fa, preparando le scorte di passato
di pomodoro per le cene invernali a casa Flores.
Giornali sparsi sul divano, la giornata,
ovviamente, è cominciata leggendo le prime
pagine e ci sono cose che al padron di casa non
vanno giù. Non gli sono piaciuti i commenti del
«Corriere della Sera», apprezza invece il modo
in cui è stata raccontata la manifestazione.
Anche dalla tivù gli son venute scarse
soddisfazioni: «I telegiornali non li ho visti,
però ho guardato La7, lunica che aveva
chiesto la diretta. Lha chiesta e poi
lha fatta solo per mezzora. Invece di
riprendere la folla dallalto, invece di far
girare i cronisti tra la gente, dopo
mezzora hanno mandato in onda una specie di
Porta a Porta, meno fazioso di Vespa, si capisce,
ma sempre con gli uomini di governo, con i
Macaluso... Abbiamo ricevuto una marea di
telefonate di protesta». Bocciata La7, si salva
almeno «Primopiano», lapprofondimento del
Tg3? Flores appare dubbioso, ma la moglie Anna
interviene dalla stanza vicina: «Primopiano era
buono». La perentorietà del giudizio modera
lipercriticismo di Flores: «Però anche a
Primopiano dilagava Veneziani e la manifestazione
restava sullo sfondo».
Nessun commento sui compagni davventura,
quelli che con lui si sono avvicendati sul palco,
ma almeno un encomio solenne, proprio uno, Paolo
Flores dArcais chiede di poterlo fare: «Va
detto che senza Olivia Sleiter la manifestazione
non ci sarebbe stata». Olivia Sleiter, direttore
di produzione per il cinema e, assicura Flores,
grande organizzatrice. A lei va il pieno dieci e
lode della coppia Flores dArcais. Su
Olivia, ecco, laccordo è totale.
di
maria latella corriere della sera. 15 settembre 2002.
Piero
Fassino, segretario ds: "A san Giovanni
c'è stata una manifestazione bellissima"
"In
piazza la nostra gente
l'alleanza si è rialzata"
Siamo usciti dal cono d'ombra grazie alla Cgil
e ai movimenti ma anche ai partiti
di BARBARA JERKOV
ROMA
- La manifestazione dei girotondi il giorno dopo. Qual è
il suo bilancio politico, onorevole Fassino?
"E' stata una bellissima manifestazione, che dice di
quante risorse umane, di quanta passione il
centrosinistra possa avvalersi. Era una piazza che
fotografa quella che è oggi la situazione del
centrosinistra: donne e uomini che venivano da
tutt'Italia, con le loro bandiere di partito, di
sindacato, di movimento, dimostrando che è del tutto
astratta qualsiasi contrapposizione fra partiti e
movimenti. Da quella piazza è venuta una grande domanda
di unità, prima di tutto. Il fatto che ci fossero coloro
che hanno suscitato movimenti di società civile, i
dirigenti dei partiti, una così grande moltitudine di
cittadini mi pare rappresentasse bene questa tensione
unitaria".
Tensione unitaria e voglia di riscossa?
"E' la dimostrazione di come il centrosinistra non
sia a un anno fa. Un anno fa il centrodestra aveva il
vento nelle vele, il centrosinistra era piegato dalla
sconfitta. Oggi è il centrodestra ad essere in affanno
evidente. La sua politica economica è un fallimento, la
sua arroganza su giustizia e informazione suscita
preoccupazione. Il centrosinistra è uscito dal cono
d'ombra della sconfitta e si è rimesso in movimento. Per
tante strade. Con l'iniziativa sindacale e con la grande
manifestazione della Cgil. Attraverso i girotondi e la
società civile. Attraverso i partiti, perché i Ds e le
altre forze del centrosinistra in questi mesi hanno
riorganizzato le loro fila. Si è rimesso in movimento
come Ulivo: in quella stessa piazza, il 2 marzo, abbiamo
fatto una manifestazione grande, imponente, che è stata
il primo vero segnale di riscossa".
Nel
frattempo ci sono state anche le elezioni amministrative,
che hanno segnato un'inversione di tendenza.
"Soprattutto, direi. Non si spiegherebbe quella
carica e anche quella grande fiducia che veniva dalla
piazza di sabato, senza pensare che alle spalle c'è un
primo successo elettorale significativo. Abbiamo vinto
non solo dove già eravamo forti, ma abbiamo conquistato
roccaforti di Berlusconi, spostando elettorato".
Lei dice che per questa riscossa è merito di
contributi diversi.
"Come tanti torrenti che affluiscono verso un unico
fiume".
Ecco, come organizzare adesso questi affluenti perché
la loro forza non si disperda di nuovo?
"Personalmente, ho tratto ulteriore conferma di
quanto avevo scritto in un articolo che proprio
Repubblica ha pubblicato qualche settimana fa. Cioè la
necessità che il centrosinistra sia capace di un salto
di qualità in tre direzioni: primo, dobbiamo darci un
programma che renda evidente sempre di più la nostra
proposta alternativa a quella delle destre, così da dare
credibilità all'ambizione di essere un'alternativa di
governo. Secondo: abbiamo bisogno di dare all'Ulivo un
gruppo dirigente che associ tutte le le risorse di cui il
centrosinistra dispone. Terzo: abbiamo bisogno di un
salto di qualità nel rapporto con la società italiana,
sia un rapporto nuovo con i movimenti, e sia con quella
tantissima parte di società che non ha ancora fatto una
scelta ma è sempre più inquieta di fronte alla politica
della destra. Per vincere e tornare a essere maggioranza
abbiamo bisogno sia di confermare la fiducia di chi già
si è affidato a noi, ma anche - proprio come avvenuto
qualche mese fa in tante città - di penetrare nel campo
dell'avversario e di conquistare una parte dei consensi
che un anno fa andarono a Berlusconi".
In concreto, ritiene che a questo punto nella cabina
di regia dell'Ulivo debbano entrare Moretti e gli altri
leader dei movimenti?
"Un conto è il centrosinistra come coalizione
politica, altro conto è il sistema di rapporti e di
relazioni che il centrosinistra ha con la società e con
i movimenti. Non sono la stessa cosa. Proprio perché
partiti e movimenti non coincidono e non devono
coincidere. Io ho parlato di una cabina di regia volendo
dire che oltre a Rutelli e ai segretari dei partiti,
devono prendervi parte le personalità politiche più
significative. Certamente, ad esempio, un uomo come
Cofferati e le nostre personalità politiche che sono
stati capi di governo. Questo gruppo dirigente dovrà
essere capace di interloquire con le tante articolazioni
della società italiana e dunque anche con i movimenti e
i loro leader".
A piazza San Giovanni gli ultimi due premier del
centrosinistra, D'Alema e Amato, sia pur offrendo
motivazioni diverse, non c'erano. Come valuta questa
assenza?
"Trovo sbagliato imbastire su questo una polemica.
L'unità del centrosinistra si costruisce a partire dal
rispetto del pensiero di ciascuno. Io mi confronto con
Moretti, con Flores d'Arcais, con Pardi, senza pretendere
che loro la pensino esattamente come me. E viceversa. La
forza dell'Ulivo non sta nell'omologarsi tutti a un
medesimo pensiero, ma nel mettere insieme uomini e donne
che venendo da storie diverse ed essendo espressione di
culture diverse, si uniscono intorno ad un
progetto".
Alla fine, fra tutte queste storie e culture diverse,
non c'è il rischio che il solo progetto comune sia
buttar giù Berlusconi?
"Per questo io dico che ci vuole un programma.
Buttar giù Berlusconi è l'obiettivo di tutti. Il modo
per farlo è costruire le condizioni non solo perché
l'opposizione sia in grado di interdire la destra quando
fa scelte sbagliate, ma sia capace di avere una sua
proposta che parli ad una maggioranza di italiani,
conquistando anche quella parte di elettorato del
centrodestra che di fronte alla politica concreta di
Berlusconi è sempre più inquieta".
Il quotidiano spagnolo El Paìs si chiede, raccontando
la manifestazione di Roma, "E' nata una nuova
leadership della sinistra italiana?". Come si è
trovato a partecipare per la prima volta sotto e non
sopra il palco?
"Mi sono trovato assolutamente a mio agio perché in
quella manifestazione c'era la mia gente. Ho passato tre
ore a stringere mani, firmare tessere, salutare compagni.
Mi sono trovato circondato da un calore, da un affetto
che confermano assolutamente come la contrapposizione fra
partiti e movimenti non esista. Naturalmente, avvertivo
anche la grande domanda che ci veniva e la
responsabilità enorme che abbiamo di deluderla. Quando
Moretti dice che non ci sono deleghe in bianco, dice una
cosa giusta. Anche perché in democrazia le deleghe non
sono mai in bianco, i gruppi dirigenti sono sempre
sottoposti a verifica".
Adesso che succede, segretario? Gli ottocentomila di
piazza San Giovanni da cosa capiranno che la loro
richiesta di unità e di risposte concrete è stata
raccolta?
"Chi ha la responsabilità politica di dirigere
l'Ulivo deve dare un segnale forte e fare subito le
scelte necessarie. Allora: costituiamo subito il
"laboratorio progettuale" per scrivere il
programma del centrosinistra. Costituiamo subito il
gruppo dirigente del nuovo Ulivo. Terzo: un piano serrato
di iniziative concrete di mobilitazione. Penso alla
battaglia sulla legge Cirami, sulla Finanziaria, al tema
dell'informazione, su cui abbiamo il dovere di avanzare
una proposta che sia in sintonia con il messaggio di
Ciampi; penso all'impegno per scongiurare una nuova
guerra".
(16 settembre 2002)
14.09.2002
Tutti insieme, lItalia è in
movimento
di Piero Sansonetti
Era
una piazza enorme. Gli organizzatori dicono che ci
fossero più di un milione di persone. Sicuramente è
stata una delle tre o quattro manifestazioni più grandi
degli ultimi ventanni. Alle tre del pomeriggio era
impossibile avvicinarsi al palco, non si passava più, la
folla si pigiava su via Labicana e su via Emanuele
Filiberto. Era anche una piazza un po insolita.
Cerano alcune decine di migliaia di persone che
probabilmente non erano mai venute prima ad una
manifestazione politica. Cera un numero grandissimo
di bambini, anche piccoli, coi passeggini, le palle, i
giocattoli: cioè cerano le famiglie. Non erano le
vecchie famiglie comuniste romane, quelle storiche,
politicizzatissime, che riempivano piazza San Giovanni e
le feste dellUnità negli anni 70 e 80:
erano famiglie di ceto medio, benestanti, serene -
"per bene", potremmo dire - che la politica la
conoscono da poco. Ma insieme a loro cerano
migliaia e migliaia di militanti dei partiti e dei
sindacati, militanti del movimento no-global, e
altrettanti "girotondini", cioè intellettuali,
professionisti, lavoratori che oggi non si fidano più
troppo dei partiti e preferiscono far politica in
proprio. Cerano tutte queste cose insieme,
mischiate, equilibrate, che si integravano e formavano
una forza politica potente, una forza durto, un
punto di riferimento per un pezzo dItalia che su
tante cose non la pensa allo stesso modo, ma su una si:
non ne può più del berlusconismo.
E impossibile dire se la piazza fosse giovane, o
cinquantenne, o vecchia, o maschile, o femminile, o
rossa, o radicale, o moderata, se fosse borghese o
proletaria, o se prevalesse il ceto medio, o gli
intellettuali, o gli impiegati, o i commercianti:
cera tutto. Cera una foltissima
rappresentanza di tutta quella parte dItalia che
non si riconosce più in Berlusconi. Che lo detesta.
Sicuramente cerano anche molti elettori che un anno
fa hanno votato per la destra, e ora sono delusi,
scorati, arrabbiati, furiosi, perché si sentono presi in
giro. Le televisioni di Berlusconi (cioè più o meno
tutte le televisioni) continuano a dire che in democrazia
lunica cosa che conta è la cabina elettorale, il
voto e il suo risultato, e che il resto è eversione, è
estremismo, follia totalitaria. Cioè dicono che la
democrazia prevede che un cittadino abbia diritto di
parola non più di una volta ogni cinque anni. Per il
resto decide solo Palazzo Chigi. Impera Mediaset. Chissà
come pensano che sia stato costruito questo paese, che ha
avuto il divorzio e laborto quando comandavano i
democristiani, che ha ottenuto lo Statuto dei lavoratori
quando lopposizione di sinistra era al 25 per
cento, che ha mandato sotto processo ministri, e ha
cacciato premier e presidenti della Repubblica che
disponevano di maggioranze solidissime in Parlamento. E
chissà se ignorano che nella patria del liberalismo, in
America, le leggi contro il razzismo sono state scritte
dopo oceaniche manifestazioni di piazza e interminabili
cortei di migliaia di chilometri, e che la rivolta degli
studenti ha fatto persino perdere una guerra guerreggiata
alla Casa Bianca.
La piazza di ieri non aveva niente di sovversivo. Era
pacifica, educatissima, in alcune sue frange persino un
po sorniona. Alle tre in punto su via Labicana
sfilava il corteo che si era formato spontaneamente a
piazza Vittorio, ed era guidato da una banda musicale
molto compita, che suonava a ripetizione il "ponte
sul fiume Kuwait", cioè la canzone del film che
celebra leroismo dei prigionieri americani. Non era
roba da "Potere operaio". Slogan pochi, poche
canzoni di lotta. Clima di festa, facce serene. Cè
solo un pezzo agguerrito del corteo, quello degli
immigrati, guidato da un centinaio di lavoratori del
Bangladesh che grida a squarciagola: "legge schifo,
legge schifo..". Non ce lhanno però con tutte
le leggi, solo con una: la Bossi-Fini.
La forza di questo enorme girotondo era proprio qui:
nella sua calma e nella sua eterogeneità. Non si parlava
addosso, non cercava la retorica o il grido di
esaltazione di se stessi: voleva parlare agli altri. Lo
ha detto in modo magistrale Vittorio Foa, il più vecchio
di tutti, il più saggio, il più ricco di storia, di
ricordi, di eredità gloriose. Ha detto:
limportante è riuscire a cambiare la testa
allItalia, è far tornare tutti a ragionare.
Dobbiamo parlare a quelli che un anno fa hanno votato per
Berlusconi, spiegare loro che questuomo è
pericoloso, perché vuole una legge che non è uguale per
tutti, perché vuole forzare la Costituzione, perché non
lascia libertà di informazione. Foa è un gigante della
politica italiana, è un simbolo e una inesauribile
memoria vivente. Lui si ricorda di quando, ragazzetto di
ventanni, vide la polizia entrare in casa sua e
mettergli le manette: lo portarono in galera, perché era
un antifascista, e poi buttarono la chiave e lo
lasciarono in cella per anni e anni. Foa ieri ha fatto un
appello allunità e a un nuovo spirito comune che
tenga insieme movimenti, partiti, sindacati, e tutte le
nuove forme della politica, che sono il segno di un
disagio di massa ma anche di una nuova grande vitalità.
La manifestazione di ieri ha detto una cosa chiara: che
in Italia è in corso, ormai da un anno, un sommovimento
politico che solo i ciechi possono non vedere. Negli
ultimi 14 mesi, cioè dalle giornate di Genova, si sono
svolte almeno una decina di imponenti manifestazioni
politiche. Che hanno coinvolto milioni di persone. Il
grado della partecipazione popolare è tornato ai livelli
che non si vedevano da dieci anni, o da venti, e forse li
ha anche superati. I soggetti della politica si sono
incredibilmente moltiplicati, e si sono dislocati su un
campo molto vario di posizioni. Cè una parte del
movimento, che ieri era preponderante, sensibile
soprattutto sul terreno della giustizia, cè il
movimento sindacale, cè la grande forza dei
pacifisti (che ieri è stata rappresentata da Gino
Strada), ci sono i partiti tradizionali, come i ds o la
Mergherita. Non è vero che la crescita del movimento ha
portato ad un aumento delle divisioni. Su temi come la
guerra, per esempio, la sinistra era molto più divisa
due o tre anni fa, e ancora lo era appena un anno fa, ai
tempi dellAfghanistan. Del resto ieri si è visto
come anche da parte dei leader dei "girotondi"
è stato compiuto uno sforzo evidentissimo per smussare
gli spigoli, evitare le tensioni, mediare. Moretti ha
tenuto dal palco un discorso molto bello, molto onesto,
nel quale ha liberato la discussione di tutti gli acidi
che lavevano un po inquinata nei mesi scorsi.
Ha criticato i partiti, ma ha anche criticato la società
civile", è uscito dalla contrapposizione di due
realtà che difficilmente possono restare contrapposte
senza suicidarsi. Ha mostrato la tempra del vero leader,
di quello che sa farsi carico anche dei problemi degli
altri. Ha limitato la polemica con DAlema, in
unalunga intervista alla "Sette" a un solo
sorriso, un po ammiccante e in fondo molto
dalemiano. Persino uno come Flores, che in genere - per
carattere, per formazione - non riesce ad astenersi dalla
polemica interna, ieri è stato quasi esemplare per
misura e autocontrollo.
Adesso, naturalmente, viene la parte più difficile. Dopo
il successo della manifestazione si passa i problemi
concreti, e sono terribili. La minaccia di guerra,
innanzitutto; e poi le questioni sociali e la battaglia
parlamentare sulla legge Cirmai e sullarticolo 18.
Se i movimenti e i partiti faranno tesoro di questa
manifestazione, che è un monumento al pluralismo, e
sapranno "usarsi" reciprocamente, allora i
rapporti di forza tra destra e sinistra, in Italia,
cambieranno molto.
Il
creatore del commissario Montalbano sarà
a Roma il 14 settembre con i "girotondini"
"Aderisco
alla manifestazione
contro il Cavaliere da jogging"
di ANDREA CAMILLERI
Con
questa lettera, lo scrittore Andrea Camilleri aderisce
alla manifestazione dei girotondini in programma a Roma
(piazza san Giovanni) il 14 settembre. Il testo esce
sulla newsletter "Centomovimenti" diretta da
Lamberto Sechi. Per riceverla è necessario andare al
sito www.centomovimenti.it e iscriversi.
Con una tuta blu da jogging, circondato dai suoi membri
del gabinetto in giacca e cravatta, Berlusconi, al
termine del Consiglio dei ministri del 30 agosto, ha
dichiarato alla stampa che la proposta di legge Cirami è
prioritaria e va approvata al più presto possibile. Apro
una parentesi. Perché Berlusconi ama farsi vedere in
tuta da jogging anche quando non dovrebbe, per un minimo
di rispetto verso ciò che rappresenta e i suoi stessi
elettori? Sappiamo le conseguenze di questa sua
forsennata mania su coloro che gli stanno attorno per
sudditanza, rovinose cadute, crolli fisici, infarti
sfiorati e via di seguito, ma non conosciamo le ragioni
che questa mania hanno provocato. Io vorrei portare un
mio modesto contributo: penso che Berlusconi,
conoscendosi meglio di ogni altro, tenti di scappare da
se stesso. Senza naturalmente riuscirci. Qualche
ministro, a vederlo conciato in tuta, ha avuto
un'atterrita premonizione: vuoi vedere - si è detto -
che ai prossimi consigli dovremo presentarci tutti in
felpa e fare dieci giri di tavolo al galoppo ogni
mezz'ora? Chiusa la parentesi.
Con
questa dichiarazione, Berlusconi ha fatto due cose: ha
gettato la maschera e ha voluto fare un gesto di sfida.
Dando la priorità alla legge Cirami rispetto alle vere
priorità (economia allo sfacelo, sanità allo sbando,
scuola nel caos, conti pubblici alla deriva, inflazione
in salita, disoccupazione al sud in aumento), egli vuole
salvare se stesso e i suoi più fidati amici dai processi
che li vedono coinvolti. È cosa risaputa. La prima
azione che faranno i suoi avvocati-deputati, una volta
approvata questa legge, sarà quella di ricorrere al
legittimo sospetto contro i giudici di Milano e di
Palermo. E così guadagneranno tempo fino alla
prescrizione del reato. Berlusconi è un recordman in
fatto di prescrizioni. Il gesto di sfida poi è un gesto
d'arroganza: con quella frase Berlusconi ordina ai suoi e
agli alleati, che non hanno più dignità, di votare la
legge ad ogni costo facendo leva sui numeri, vale a dire
sulla stragrande maggioranza di yesmen alla Camera
e al senato. E l'opposizione non potrà fare nulla se non
coraggiosamente, ma vanamente, cercare di contrastare la
preponderanza numerica degli avversari.
Finito il Consiglio dei ministri, Berlusconi ha indossato
giacca e cravatta ed è volato all'informale riunione dei
ministri degli esteri europei dove si è affrettato a
dichiarare che firmerà un patto bilaterale con gli Usa
in controtendenza all'Ue: con questo patto bilaterale, i
soldati americani che commetteranno eventuali atrocità
in territorio italiano non saranno sottoposti al giudizio
del tribunale internazionale, ma godranno, in Italia,
dell'impunità. In parole povere, gli Stati Uniti possono
comportarsi nel nostro paese come in una colonia. A
Berlusconi non interessa nulla che gli altri paesi
europei abbiano diverso convincimento, lui preferisce
allinearsi con Israele, la Romania e Timor-Est, perché
ogni idea di tribunale e di giustizia lo sconvolge, gli
fa alzare la pressione, non lo fa dormire la notte, gli
fa cadere i pochi capelli che gli restano e gli aumenta
le rughe invano nascoste dal fondotinta. La giustizia,
per Berlusconi, è come il panno rosso per il toro.
Quest'uomo rappresenta un autentico pericolo per l'Italia
e l'Europa.
Ecco perché sarò presente alla manifestazione del 14
settembre. E accanto a me, naturalmente, ci sarà il
commissario Salvo Montalbano. Mi piacerebbe molto se, tra
la folla, egli potesse riconoscere tanti dei suoi
lettori.
(7 settembre 2002)
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