Terrorismo, sessantuno gli 'italiani' di Al Qaeda nella Lista nera dell'OnuUn terrorista
(Xinhua) ultimo aggiornamento: 30 ottobre, ore 17:59 Roma
- (Adnkronos) - Sono tunisini, per la gran parte, ma
anche algerini, marocchini, egiziani, libici, iracheni,
somali. Nel nostro Paese un quarto del totaledell'elenco,
aggiornato al 21 ottobre scorso, che conta 259
nomi. Terrore al Qaeda: nei
cargo bombe capaci di far precipitare un aereo Annunci Google Un elenco di quanti, variamente inquadrati nei ruoli previsti dal copione jihadista (predicatori di violenza, fiancheggiatori, organizzatori, aspiranti kamikaze), hanno vissuto, soggiornato, o semplicemente transitato per il nostro Paese, vivendo la doppia condizione di cittadini, a volte insospettabili, e di combattenti salafiti. A leggere l'elenco, che l'Onu iniziò a stilare in base alla Risoluzione 1267 del 1999, e aggiornato al 21 ottobre scorso, scorre davanti agli occhi la ricostruzione di quello che la minaccia jihadista ha rappresentato (e ancora rappresenta) per la sicurezza nazionale e per quella dei Paesi alleati. Sessantuno nomi che, nelle innumerevoli traslitterazioni dall'arabo si moltiplicano in una gamma quasi ingovernabile di alias e rimandano all'origine dei membri della galassia di Al Qaeda in Italia: tunisini, per la gran parte, ma anche algerini, marocchini, egiziani, libici, iracheni, somali. Una conferma di come il Nordafrica, tradizionale bacino di immigrazione regolare e irregolare verso l'Italia, abbia costituito in questi anni il serbatoio principale per impiantare il jihadismo in Italia. E di come, nel caso dell'attentatore libico Mohamed Game, condannato a 14 anni per l'attentato alla caserma Santa Barbara di Milano, sia anche luogo d'origine dei cosiddetti 'homegrown terrorists'.
Dall'11 settembre 2001 il nostro Paese è stato usato in alcuni casi come semplice base logistica per reclutare e inviare combattenti in Iraq, nei giorni più caldi della guerra, o in Afghanistan, in altri come vero e proprio 'Dar al-Harb', territorio di guerra, per compiere attentati che scoraggiassero l'opinione pubblica e costringessero i governi nazionali a ritirare i nostri contingenti militari. La gamma dei reati, e delle relative condanne, indicati nella Lista Onu, rimanda alle tante inchieste che si sono susseguite in Italia in questi anni, in particolare al Nord, e che spesso hanno visto il coinvolgimento di frequentatori delle moschee milanesi di viale Jenner e via Quaranta: fiancheggiamento, finanziamento, pianificazione di attacchi. Come ricorda anche l'arresto, lo scorso anno, di 17 algerini accusati di vari reati, dal furto alla contraffazione di documenti, che hanno fruttato un milione di euro in 3 anni, transitati da un'istituzione culturale e in seguito usati per finanziare al-Qaeda nel Maghreb islamico. Non mancano anche nomi 'illustri', come quello, ad esempio, di Mohammed Daki, il marocchino assolto nel 2005 dalle accuse di terrorismo internazionale dal gup Clementina Forleo, in base alla controversa distinzione operata dalla Forleo tra il ruolo di "guerriglieri" e quello di "terroristi". Daki e gli altri coimputati di quel processo furono poi espulsi nei loro Paesi d'origine nello stesso anno, l'assoluzione della Forleo fu poi cancellata dalla Cassazione e successivamente Daki e gli altri furono condannati per reati connessi al terrorismo internazionale.
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