VIRUS

di Silvio Cinque

L’idea di considerare la società umana come una sorta di organismo vivente affascinò fin dal suo nascere la sociologia dell’età moderna. La società veniva studiata come un organsimo nel quale sussistevano complesse componenti tutte tra loro correlate da una serie sofisticata di relazioni. Tra queste anche quelle forme definite patologiche e cioè nocive alla sussistenza della società stessa. Il pensiero umano tentò e indicò varie risposte sul come e il perché esistessero queste componenti e su come vi si potesse porre rimedio.

 

La filosia, la teologia e la scienza non sembravano dare esaurienti risposte alla nuova costituzione della società. Così qualcuno ne attribuì le cause a complesse dinamiche economiche che la nascita della nuova classe sociale (la borghesia) aveva generato; altri cercarono di organizzare nuove interpretazioni attraverso metodiche euristiche e principi verificabili contribuendo alla formazione di due nuove discipline pseudoscientifiche: la sociologia e la psicologia; altri organizzarono e fondarono varie congregazioni religiose in modo da affrontare il problema secondo nuove dinamiche sociali. Da Comte in poi la sociologia si dotò di una serie di strumentazioni e tecniche, quali la matematica e la statistica, in grado di rilevare e percepire la società nel suo complesso e nelle sue specificità. Ma queste applicazioni scientifiche davano a queste due nuove branche del sapere una impronta pseudoscientifica perché le conclusioni, si basavano poi su una serie di interpretazioni e di analisi soggettive. Il tentativo di superare la concezione romantica del mondo rientrava dalla finestra di una interpretazione romantica della scienza.

 

Si consolidavano talune forme basate sull’antropomorfismo e cominciavano a serpeggiare i primi germi di quella etnologia ed antropologia che sarebbero state il riferimento successivo di alcune teorie ed ideologie razziste. L’dea della società come un organismo è una di queste perché presuppone una serie di regole e di discipline in grado di conservarla e di conservarla in salute. Cosa poi si intenda per salute è da riferirsi a modelli e valori che la nuova classe emergente andava imponendo. Si identificarono perciò tutti quegli elementi patogeni (povertà, proletariato e sotto proletariato, ebrei, zingari, indios) che ne potevano compromettere la intergità e si intervenne su di essi come fossero virus.

 

L’idea delle impronte digitali del ministro Maroni non è nuova e rimanda a queste concezioni.

 

Se Lumbroso avesse potuto corredare alla sua teoria antropomorfica del criminale le attuali  rilevazioni dattiloscopiche e statistiche forse, per onestà intellettuale e scientifica, avrebbe potuto correggere le sue intenzioni. Ma anche lui, come l’attuale ministro, rappresentava e perseguiva altri intenti e scopi. Prendere le impronte dei bambini rom è come somministrare il vaccino contro il morbillo, con l’assurda differenza che se per arrivare ad un vaccino, (fatti salvi ed esclusi gli interessi di chi il vaccino, efficace o meno, lo produce,) se per arrivare ad un vaccino occorrono serie e certe applicazioni scientifiche e perciò mediche e statistiche (ed oggi l’OMS è in grado di farlo) per applicare la teoria pseudolumbrosiana delle impronte digitali ai bambini rom si ricorre solo ad interpretazioni che sono, e non possono che esserlo, di carattere ideologico perciò relativo e strumentale, né più e né meno come le teorie pseudoscientifiche della sociologia. Se la rilevazione delle impronte ai piccoli rom fosse come la somministrazione della Sabin allora è ingiusto privare altri bambini, quelli non rom, di questa somministrazione. Ma poiche questa rilevazione è comunque una pratica inutile e demagogica, non si può non dedurne il carattere dannoso per l’intera società nella quale anche i rom fanno parte. Così le impronte sono la diffusione non di un vaccino, ma di una epidemia le cui conseguenze non sono difficili da ipotizzare. Ci saranno bambini con quelle piccole macchie indelebili sulle dita e bambini che non le avranno e questa differenza non potrà essere semplicemente cancellata dalla omologazione di grembiulini, tutti dello stesso colore.

 

Lunedì 7 luglio a piazza Esquilino c’erano persone che sicuramente sarebbero stati presenti il giorno dopo a piazza Navona. Ma in quel contesto, a due passi dal Viminale, il significato simbolico era evidente.

 

Tuttavia la “donazione” libera e spontanea di impronte, fatta con la consapevole indignazione di chi non accetta nessun tipo di criminalizzazione e di discriminazione, è cosa ben diversa da quella acquisita coattamente in situazioni e condizioni ben diverse.

 

“Dalle 4 o le 6 di mattina sono generalmente le ore ideali per i blitz. Concorrono tutte le componenti repressive altrimenti conosciute come forze dell’ordine per attuare una coordinata e combinata operazione di pulizia e polizia. (Nel recente linguaggio sociologico-poliziesco si chiama bonifica)Ultimamente ai nuclei operativi comunemente preposti ed alle squadre speciali si accompagnano nuove risorse: dalla forestale al nucleo della protezione animale. Gli uni per individuare coltivazioni sospette e proibite (manco fossimo nella serra amazzonica), gli altri per sgomberare pollai abusivi e censire cani e gatti. Solo dopo ed occasionalmente intervengono quelle unità che potrebbero definirsi “laiche” cioè non armate e non militarizzate: sono le assistenti sociali, l’ambulanza dei misericordiosi volontari, qualche operatore sociale che conosce la realtà del campo e maltollerati perché spesso unici testimoni, amici e fotografi amici di qualche famiglia.

 

I cani antidroga sono in orgasmico fermento: i loro nasi catturano sensazioni ed odori che gli umani non individuerebbero. I nuclei abitativi vengono fatti uscire dai miseri o dignitosi alloggi nelle esatte condizioni in cui sono stati brutalmente strappati al sonno. La confusione regna sovrana in un via vai di defender, pulmini, pattuglie e macchine di vario genere e colore. Si cercano quei vigili o quegli ispettori che hanno sempre dimostrato umanità, comprensione e affidabilità, ma sembrano circondati da altri solerti e più “neutrali” colleghi.

 

Le abitazioni, misere o dignitose, sono perquisite, frugate, messe a soqquadro esattamente come i corpi che seminudi  attendono all’adiaccio spesso con le gambe allargate e le mani in alto. Vengono chiesti, con brutale e sbrigativa efficienza, documenti e permessi e controllati passaporti mentre aleggia inevitabile qualche salace battuta sopportata e malvissuta dai malcapitati con poco senso dell’umorismo. La perquisizione del donne non sempre è effettuata da personale di genere e questo è vissuto come l’ennesimo, intollerabile affronto..  Gli inadempienti vengono accompagnati negli appositi pulman e furgoni e portati a destinazione. Se l’inadempiente è un genitore, la loro prole viene affidata momentaneamente ai familiari presenti. Poi dagli accertamenti successivi si deciderà il destino o la destinazione dei minori. Dovunque si strilla, si piange e si domanda. I bambini, spesso terrorizzati, cercano conforto e sicurezza, si aggrappano alle madri scarmigliate ed ai padri gonfi di rabbia, sonno e paura. I cani individuano, magari nei pannolini dei bimbi, magari dentro i loro miseri vestitini, uno dei tanti motivi di tanto efficace spiegamento. Qualcuno viene condotto direttamente a destinazione con la macchina, gazzella o pantera, del destinatario.

 

Il tutto spesso senza la presenza di difensori civici che vengono convocati successivamente ed a conclusione, in altra sede. Un blitz è un blitz: non si preannuncia con squilli di tromba, perché altrimenti non sarebbe un blitz. Gli avvocati delle parti in causa non potrebbero essere convocati prima perché in questo caso avrebbero l’obbligo di informare anzitempo i loro assistiti. Perciò tutto avviene all’improvviso. Chi garantisce la corretta procedura delle operazioni? Chi garantisce i più elementari diritti? Chi tutela i minori?

 

Non ci sono risposte, non c’è soluzione perché  un blitz non prevede l’esatta certezza dei diritti, la correttezza e la tutela delle più elementari norme di rispetto.”

 

 Tutto questo grande spiegamento non potrebbe essere fatto in un altro modo, meglio e prima? Perché è noto al mondo che dietro le discariche del nostro benessere, oltre i muri marci e sdruciti che recintano i campi più o meno abusivi non si stendono piantagioni e piantagioni di papaveri colorati. Qualcuno, non zingaro, nella parte non zingara della città per bene, ha già provveduto affinché altri pusher, altri distributori, altri spacciatori sostituiscano quelli che sono caduti.

 

Ma le forze dell’ordine, almeno quelle del territorio sanno, o dvrebbero sapere, chi nel campo si mescola e si nasconde tra chi non ha altra risorsa che la questua, il parcheggio abusivo, le rose la sera. Sanno chi si arrangia in cento piccoli dignitosi e fastiodsi modi e chi in una sola notte rimedia di che vivere per mese e più vendendo la morte. Non accade così anche altrove, in quartieri ed in borgate dove campi e rom non ci sono mai stati?

 

Non accade anche altrove che i bambini vengano utilizzati per portare pacchetti, pizzini e stabilire contatti? Le impronte non vaccinano i bambini contro sé stessi, ma il mondo, quello di Maroni, contro di loro e li condannano per sempre ad una realtà che non si vuole migliorare o cambiare, ma solo distruggere. Ma loro, i bambini, che siano figli di gerarchi nazisti o di capi mafia, che respirino l’aria profumata di palazzi cardinalizzi o il tanfo acre delle zeribe, i bambini che colpa ne hanno? Chi si occupa di loro e ne tutela la momentanea condizione e ne prepara in maniera dignitosa l’avvenire?

 

Nella guerra tra le forze del bene e quelle del male, i rom ed i poliziotti di Pasolini sono solo dei piccoli, sostituibili soldati utilizzati spesso dalla propaganda mediatica.

 

E gli uni e gli altri hanno bambini, bambini che a torto o a ragione li ameranno, li temeranno e qualcuno di loro li piangerà. I bambini rom sono già abituati (così piccoli e già zingari! per parafrasare il titolo di un libro curato da Moni Ovadia) alla violenza, all’abuso ed alla cattiveria degli adulti, quegli adulti che spesso rappresentano il mondo ostile dell’autorità, della legge, della chiesa o del finto benefattore. Già da piccoli diffidano e diffidano e diffidano e sanno che devono crescere in fretta e spesso da soli per potersi meglio organizzare.

 

Non accade solo nei paesi del terzo mondo, nel sud del mondo.

 

L’idea tanto cara a Maroni assomiglia non solo ad un vaccino portatore di virus, ma anche a quella sorta di acqua lustrale che dovrebbe rendere immuni o cancellare la grande colpa di essere nati, nati umani, ma rom: con le impronte si avrà un battesimo che li renderà tutti immuni al male originario. Ma presto, anche in questa epoca, avremo i conversos, i gagizzati, i marrani, che abbandoneranno le tradizioni e la cultura millenaria dei loro avi per convertirsi, come noi, ad una società senza origini, senza radici e senza infanzia, fatta solo di cose già cresciute.