Il crimine di De Cataldo

di Silvio Cinque

Molte riflessioni sulla simbolicità, attivate dall’opera di Giancarlo De Cataldo Romanzo Criminale, collana Stile Libero, Einaudi 2002. Innazitutto il luogo e la biblioteca. Chi pensasse a Spinaceto rivà con la mente alla bianca motoretta di Caro Diario, ma ahimè troppo pochi, Moretti compreso, sanno che a Spinaceto esiste una bellissima Biblioteca pubblica dedicata ad un assoluto del Novecento: Pier Paolo Pasolini. Chi pensasse a Pasolini nel contesto di Spinaceto non troverebbe affatto strano che nel piovoso mercoledì del 12 novembre convenissero nella Biblioteca, come sempre, numerosi, entusiasti, ostinati ed intelligenti, i circoli di lettura per incontrare Giancarlo De Cataldo e della di lui opera suddetta. Nella platea che fa anche da sala mostre ed incontri si è svolta la penultima delle kermesse previste dal Premio Biblioteche di Roma. E lì più che per altrove, numeroso il pubblico di giovani e di giovanissimi a parlare del libro e dell’autore con rimandi e riferimenti a tanti, pochi invero femminili, autori che caratterizzano il bagaglio culturale del nostro. Da Pasolini a Moravia de Gli indifferenti, da Elroy di American Tabloid a Balzac de La Comédie humaine, Dickens e Dostoevskij fino al grande Sergio Leone, al quale una delle domande trova conferma sollecita e sollevata felice l’autore di ritrovare nelle sue faticose pagine la sensibilità e le affinità di cuori eletti ed attenti. All’amico giornalista Emilio Radice, che presenta il libro riferendosi spesso alla cronaca nera e quotidiana, ricorda altri scrittori quali Carlotto e Lucarini, Olivieri fino al grande Simenon ed a Balzac eredità grata e gradita di paterne cure. Il romanzo è un pietoso anche se realistico, amoroso, appassionato tributo, innanzitutto a Roma, città adottata ed adottiva, lui di tarantine origini, ma romano e romanista per sua esplicita confessione; ed è un tributo a quella umanità e realtà che la pratica professionale porta quotidianamente davanti al suo altare di Giudice. Come più volte ha espresso in una conversazione che non poteva non affrontare anche questo aspetto, la professione impone obblighi e capacità altamente tecniche nell’applicazione dei dispositivi legislativi. Ma al di là, lontano ed al di fuori di questa, emerge complesso e delicato tutto il mondo di sensibilità, pietà e dolore che caratterizzano De Cataldo come uomo. Così dismessi gli asettici e freddi panni togali ecco rivelarsi, attraverso la scrittura, l’animo e la mente che finalmente …. si liberano e librandosi, liberano libri.  Il mondo col quale il giudice ha quotidianamente a che fare rivive con l’occhio dell’empatia laddove anche nelle vite più turpi, anche nelle Storie più scellerate, e qui m’è dobbligo il riferimento al film di Sergio Citti di  cui Pasolini è stato sceneggiatore, compare incredibile, invisibile, un barlume di umanità.

De Cataldo scrittore non dà giudizi, non emette sentenze ma espone con cura e attenzione rovistando meticoloso nei reconditi anfratti angusti e squallidi dell’animo umano e degli archivi.

Una sorta del già citato Balzac nel quale la descrizione dei personaggi e dei fatti popolari, una sorta di feulleton, si ritrovano nella coralità aristotelica della tragedia greca. È a queste origini nobilissime ed antiche che riferisce spesso nella trattazione della scrittura, ma con riferimento altrettanto forte al pragmatismo quasi incontaminato e spregiudicato della grande, anche se giovane, letteratura americana dal già detto Elroy fino a Caldwell e Vidal. Commedia umana, dunque, e descrizione impietosa di fatti e personaggi riferibili con evidenza quasi d’imbarazzo a fatti e persone storicamente possibili e dunque reali. Ma su chi sia il Vecchio del libro non ha improntato più di tanto la coversazione dei Circoli a vantaggio di ben altri argomenti e riflessioni. Perché in realtà chi sia o potrebbe essere il Vecchio, grande o piccolo, occulto o ben ostinatamente visibile, ha ben poca importanza in un atteggiamento di “costume” italico che il nostro rimanda alle Signorie e ancor prima all’anno Mille. C’è una apparente ineluttabilità, nel riconoscere la banalità illimitata, hainoi, del male, ineluttabilità che assumerebbe quasi l’assioma di filosofia mafiosa, (De Cataldo racconta della spicciola, ma profonda, filosofia di Badalamenti) se avesse la convinzione del diritto quasi naturale al suo trionfo.

Lo stesso finale del romanzo rimanda a questa illimitatezza, ma ovviamente non alla sua ineluttabilità, poiché non sappiamo, e l’intenzione di nuove fatiche e di continuazioni sanciscono la nostra attesa, cosa mai Scialoja ne farà del dossier dell’ “inesistente” Vecchio.

Curiosa e gradevole la descrizione del rituale della scrittura, della ricerca appassionata di particolari storici, di riferimenti alla cronaca alla quale tributava, in omaggio all’amico Radice, la sua mancata passione di giornalista. Alla fine della faticosa ricerca “cancello tutto e scrivo come mi viene”. Entusiasta della composizione computerizzata “la penna avrebbe l’impaccio di una zampa di gallina”, solo dopo centinaia di pagine compaiono riferimenti ai più moderni mezzi di comunazione scritturale. Perché nel lontano e terribile periodo degli anni ’80, lontano dall’assordante e assuefacente era dei cellulari e del personal computer, la vita e l’organizzazione della stessa seguiva ancora i ritmi dell’era post industriale, lasciando spazi, anche se sempre più miseri, ai rapporti diretti e personali, a luoghi, come bar ed osterie, oggi ridotti a simulacri del tempo fuggito.

È in questi luoghi che umanità disgraziata si ritrova per aprirsi, anche, ma non solo, a revolverate, un posto nella vita, con la stessa spietata logica delle più perbene società basate sulla libera concorrenza, in una forsennata corsa verso la sopravvivenza, verso la supremazia, verso il potere assoluto. Un potere assoluto, e qui ritorna l’omaggio indiscusso alla città, che affonda e si radica nel territorio, nel quartiere, nella borgata e quindi nella “famiglia” nel clan nella “banda”, quella della Magliana, ultimo ed essenziale riferimento per la lunga durata. Il perché poi inevitabilmente siffatti fenomeni di criminalità socio-politica durino relativamente poco anche questo è tributato alle caratteristiche di una città che conserva una sua fisionomia “assolutamente anarchica e incotrollabile”.E per assurdo Patrizia è una sorta di Roma, certo non di MammaRoma, ma più corrotta e corruttrice, pur sempre tenacemente, ostinatamente umanamente viva in una sorta di continuo “dopo guerra”. Di Sergio Leone il nostro ricorda ovviamente “C’era una volta in America” e soprattutto “Giù la testa” riprendendo dell’uno la rigorosità storica in cui i personaggi diventano l’emblema di una storia non certo minore e dell’altro la caratteristica umana ed “affascinante” dei protagonisti.

La faticosità del libro non sta affatto nella sua avvincente lettura, ma soprattutto nella sua redazione.

Premesso anche dall’intervento particolareggiato di Annalisa Bucchieri, la referente il Circolo della Borromeo, che non è il primo caso in cui giudici scrivono cose che non sono precipuamente sentenze, l’autore  è ben consapevole del pericoloso e rischioso percorso letterario in tempi attuali in cui, attraverso anche decreti ancora da approvare e che portano per assurda coincidenza, ma solo per coincidenza, il cognome di uno dei padri della Costituzione, si vuole corporativizzare la vita e la funzione di cariche così altamente e socialmente significative, negando l’umanità e la normalità dei togati come persone. Il decreto prevederebbe una serie di ristrettezze e di permessi relativi anche alla partecipazione a manifestazioni pubbliche e culturali come il Premio Biblioteche di Roma. In sintesi ai magistrati è permessa la partecipazione a tutte quelle inizitive che abbiano una certa caratteristica, “non lucrativa, educativa, sportiva…”, ma non culturale. La cosa si desume dal fatto che il termine culturale manca vistosamente. A difesa della libertà di espressione accorrerebbe l’art. 21 della Costituzione e così ciò che Luigi Bobbio proporrebbe sarebbe riequilibrato da ciò che Norberto Bobbio ha collaborato ad edificare 60 anni fa. L’unico possibilità sarebbe l’abolizione dell’art. 21, ma questo sarebbe imperdonabile. Convito perciò, per tradizioni riferenti anche alla filosofia greca classica, della importanza altamente civile ed etica della Politica vista come tributo e contributo del cittadino alla cosa pubblica e sociale, l’autore è costretto talvolta a barcamenarsi in una situazione prudente ed allusiva dalla quale solo con l’attenta lettura, e questo i Circoli lo hanno saputo fare, è possibile …evadere…

Ma riguardo il mestiere dello scrivere, cita volentieri la frase di Sklovskji “ogni scrittore deve avere un mestiere di scorta. Non per arricchirsi, ma per scrivere meglio” condizione precipua per uno scrivere denso ed abbondante, reso sereno dalle lontane preoccupazioni del sopravvivere.

Anche se i riferimenti intellettuali mancano della formidabile componente femminile e femminista, tuttavia una vittima femminile si nasconde dietro le sue immani, seriali fatiche: la moglie con il vaglio competente e puntuale delle sue correzioni, alla quale il libro è significativamente dedicato.

di De Cataldo:

http://www.blackmailmag.com/Giancarlo_De_Cataldo.htm

http://www.wumingfoundation.com/italiano/outtakes/romanzocriminale.html

http://www.comune.roma.it/cultura/biblioteche/pasolini/biografia_De_Cataldo.htm

Elroy

http://www.sira.it/darklava/mondador/tabloid.htm

Balzac

http://www.cronologia.it/storia/biografie/balzac.htm

Carlotto

http://www.massimocarlotto.it/

Leone

http://www.italica.rai.it/principali/argomenti/biografie/leone.htm

Citti e Pasolini

http://vivaifratellicitti.splinder.it/

Moravia

http://digilander.libero.it/DANTE3/indiff.html

i giudici scrittori

http://www.antiarte.it/eugius/

http://www.stradanove.net/news/testi/novita-03b/nmrx2110030.html

l’art. 21

http://www.parlamento.it/funz/cost/art21.htm