La donna nell'Islâm (1°: la parte storica) di Gabriel Mandel, shaykh sufi. Se il marito guarda con amore la
moglie e la moglie guarda con amore il
marito, Dio guarda con amore entrambi. Il Profeta Maometto
L'imperatore turco Ulugh Bey (o Ulugh Beg, 1393-1449), eminente scienziato, aveva fatto scolpire sulla facciata delle università da lui fondate a Bukhara e a Samarkanda il detto del Profeta Maometto: «Uomo o donna, ogni musulmano deve studiare le scienze». Inutile dire che le sue università erano frequentate da uomini e da donne, e molte di queste donne si distinsero al punto di diventare giudici e docenti. Il fatto fu tutt'altro che raro nel mondo islamico dei periodi d'oro. Questi di oggi, per tutto il mondo, sembrano non essere più i periodi d'oro; e d'altronde l'attuale realtà dell'Islâm è complessa e differenziata al massimo, poiché si esprime in paesi, ambienti, etnie e culture altamente dissimili. Si va dalla Repubblica turca (nazione europea altamente evoluta) al regno dell'Arabia Saudita o dello Yemen, ancorati a tribalismi medioevali. La sopravvivenza di costumi locali preislamici - costumi anche aberranti contro i quali ci si può accanire a giusta ragione, ma che nulla hanno a che vedere con l'Islâm - va da quelli dell'Africa nera a quelli dell'Indocina. Non si può fare d'ogni erba un fascio, occorre saper procedere alle necessarie distinzioni. In effetti, il Corano ha liberato la donna dal degrado preislamico, conferendole gli stessi diritti legali degli uomini, tutelandone le proprietà e il diritto all'eredità, affidando a lei i figli in caso di divorzio - divorzio che in ogni caso, sia l'uomo a chiederlo, sia la donna a chiederlo, tutela la donna poiché a lei dà per legge coranica tutte le sue proprietà, tutti i doni che ha ricevuto, e un quarto delle proprietà del marito. Per l'Islâm, la donna può scegliere di abortire, se lo vuole; ed è solo la donna che ne può decidere, non l'uomo. A giusta ragione il più eminente teologo del nostro secolo, il defunto Si Hamza Boubakeur (rettore della Moschea di Parigi, rettore dell'Istituto universitario islamico di Francia, membro del Parlamento francese, discendente diretto di Abu Bakr), nel suo Trattato moderno di teologia islamica (Parigi1985) scrisse: «Le genti male informate e i detrattori dell'Islâm che generalmente non retrocedono davanti a nessuna menzogna, lo accusano d'aver distrutto la condizione femminile. Tuttavia nessuna religione conosciuta, sia pagana sia rivelata, monoteista o politeista, è tanto favorevole al bambino e alla donna quanto l'Islâm». Si dice in occidente che il Corano discrimina la donna a favore dell'uomo togliendole la parità dei diritti anche nell'ambito religioso. (Sûra 33. Dice il Corano ª, Versetto 35): Certo: i musulmani e le musulmane, i credenti e le credenti, gli oranti e le oranti, gli uomini veritieri e le donne veritiere, i perseveranti e le perseveranti, quelli e quelle che temono Dio, quelli e quelle che sono temperanti, quelli e quelle che invocano sovente Dio, a costoro Dio ha riservato perdono e una ricompensa magnifica. Per l'Islâm, il matrimonio è un contratto sociale, non un sacramento. Nel Corano le regole matrimoniali - e del pari i diritti ereditari delle donne - sono ben chiari, espressi nella seconda Sûra, dal versetto 221 al versetto 242. La donna è socialmente tutelata inoltre da numerosi Versetti della quarta Sûra. In altri passi dice il Corano (4°19): Credenti! Non vi è lecito diventare eredi delle vostre mogli contro la loro volontà. E nemmeno costringerle, per togliere loro una parte di ciò che avete donato loro, a meno che esse non abbiano commesso una turpitudine manifesta. Comportatevi onestamente nei loro confronti. Se avete avversione per loro, è possibile che abbiate avversione per qualcosa in cui Dio ha messo un gran bene. Il Corano continua così, in questa Sûra, sino al versetto 28, con altre proibizioni rivolte agli uomini, e che pongono le donne al riparo dalle disonestà degli uomini. Ciò per quanto riguarda la religione. Certo è pur vero che in paesi islamici arretrati, in luoghi in cui sopravvivono ancor oggi costumi e consuetudini preislamici gli inviti del Corano non sono del tutto seguiti, e questo a carattere generale. E' indubbio che la Francia e l'Albania sono paesi d'Europa; è indubbio che tanto a Milano quanto a Corleone siamo in Italia; ma che differenze socio-economico-politiche. Ripeto: non si può generalizzare, non si può fare d'ogni erba un fascio. Una notizia del dieci marzo scorso: l' âyatollâh Khamenei condanna - dichiarandolo contrario alla Legge islamica - il matrimonio forzato (cioè l' obbligare una giovane a sposare uno che non ama, uno senza il suo consenso), costume ancora in uso presso alcune tribù iraniane delle montagne. E se non ci fosse stata Khadija, moglie del Profeta Maometto? Diede al Profeta una sicurezza, lo confortò quando questi ricevette la prima rivelazione e ne abbe paura, e nei momenti di sconforto e di pericolo dei primi tempi. Con la sua morte, i Quraishiti si sentirono liberi di organizzare l'assassinio del Profeta, che per questo motivo dovette fuggire a Yatrìb. E quando, nel corso della battaglia di Uhud, il profeta cadde ferito, dall'assalto dei nemici lo salvò una donna coraggiosa e pugnace: Nusayba bint Ha'b. Come ho detto, la sola donna ha il diritto di scegliere l' aborto, se lo desidera, secondo le quattro disposizioni della Legge religiosa, espresse in particolare da Abû Hâmid âlGhazâlî, l'eminente teologo turco (1058-1111). Tali motivi sono: 1) una nascita che potrebbe portare pregiudizio alla salute della madre; 2) una nascita che portasse nocumento al tono economico familiare, 3) una nascita il cui concepimento è stato imposto con la forza; 4) una nascita che potrebbe compromettere la bellezza della madre. In ogni caso i medici dell'Islàm misero a punto sin da mille anni or sono tutta una serie di validi contraccettivi, e alcuni contraccettivi del nostro tempo (Supposte Maltus, Coni Randell) si sono basati sui principi attivi dei contraccettivi comuni nel mondo islamico. Il velo non è una specifica imposizione coranica (il Corano indica la pudicizia e l'abbigliamento conveniente). E' piuttosto un costume preislamico, ed è ancor oggi condiviso a volte con comunità non musulmane. Pertanto in alcuni paesi esso è in uso, in altri non è neanche accettato. In uno stesso paese vi sono zone in cui si porta il velo, o il foulard, e zone in cui non lo si porta. E' anche una sorta di divisa in ambienti in cui si vuol far notare la propria appartenenza ad una corrente fondamentalista. Anche San Paolo impose il velo alle cristiane (11,6) e inoltre le escluse dalla ritualistica. Roger Garaudi disse del velo: "Criminale imporlo, criminale vietarlo", in una intervista organizzata dal Centro islamico di Parigi alla Televisione Antenne 2 il 18 ott 1992. D'altro canto perché impedire il velo a quelle donne musulmane che, portandolo, intendono manifestare la loro appartenenza alla religione? Anche in Europa, anche in Italia, anche qui vi sono donne cattoliche che portano il velo per la stessa ragione: le suore. Tuttavia i cattolici non rivolgono loro critiche; perché le rivolgono alle musulmane, abrogandosi il diritto di ledere il diritto personale di vivere secondo un proprio costume? Ora: vediamo nella storia il ruolo della donna musulmana. Anzitutto pensiamo alle donne sufi. I sufi sono i mistici dell'Islâm, da secoli organizzati in Confraternite regolari; l' aspetto più eminente della religiosità islamica, la gente chiave nelle scienze, nell' esoterismo, nella letteratura, nelle arti. Da un volume dello shaykh Javad Nurbakhsh, capo della Confraternita iraniana dei sufi Nimatallh, libro intitolato appunto Donne sufi, se ne rilevano 124. Importante fu la Maestra spirituale di Dhû âlNûn âlMisrî, la turca Fâtima âlNîsâbûriyya. La più nota di tutte è probabilmente l'iraqena Rabi`a âl`Adawiyya. Numerose sono state le donne musulmane regine, capi di Stato, condottiere, nei secoli passati. La più importante fu forse la Raziye Khatûn, sultana di Delhi, in India, nel XIII° secolo. Nel 1232 essa conquistava lo stato di Gwalior. La scrittrice Bahriye Üçok, deputata al Governo turco, ha elencato in un suo libro (Donne turche sovrane e reggenti negli stati islamici), sedici regine non turche e ventotto tra regine, imperatrici e reggenti negli stati turchi. Son da rammentare fra queste Shajar âlDurr, regina mamelucca d'Egitto dal 1249 al 1250; e la dinastia di begum che regnarono sullo stato indiano di Bhopal dal 1844 al 1926. Ultima fu la begum Sultan Jahan, che regnò dal 1901 al 1926. Alcune Validé Sultan della Corte ottomana turca furono reggenti del trono imperiale durante la minore età del loro figlio successore al trono (ad esempio la validè Kösem Mahpeyker, che regnò dal 1623 al 1632; Hadice Tarhàn, che visse dal 1627 al 1683). Scrittrici e giornaliste musulmane contemporanee che si battono per eliminare le "interpretazioni" maschiliste del Corano, affinché l'eguaglianza propugnata dal Corano diventi una eguaglianza anche nella pratica: Azizah âlHibri Amina Wadud-Muhsin Fatima Mernissi Riffat Hassan Laila Ahmad Aisha AbdulRahman Merryl Wyn Davies Salima Ghezali Samya Kuidar (e mi scuso con quante ho dimenticato) Sono inoltre importanti anche le testimonianze di donne europee, sulla libertà della donne turche nei secoli scorsi: in particolare Lady Mary Wortley-Montagu, che nel Settecento fu la moglie dell'ambasciatore inglese a Istànbul; e Cristina Belgioioso-Trivulzio, che nell'Ottocento fu una irredentista italiana tra le più importanti. Lady Mary Wortley-Montagu, nelle sue Lettere pubblicate più volte in Europa a partire dall'edizione Claland di Londra del 1763, scrive: «Le donne... sono padrone del proprio denaro, che prendono con sé al momento di un eventuale divorzio, oltre alla somma che il marito è obbligato a versar loro. A conti fatti penso che le donne turche sono gli esseri più liberi dell'impero. Perfino il Parlamento le rispetta, e il Gran Signore, quando un pascià è condannato a morte, non infrange mai il privilegio degli appartamenti, che passano inviolati direttamente alla vedova. Regnano come regine sulle loro schiave che i mariti non hanno mai il permesso di guardare... Le donne turche sono libere da ogni preoccupazione, passano il loro tempo libero in visite, in bagni, e nella occupazione gradevole di spender denaro e di inventar nuove mode». Cristina Belgioioso-Trivulzio, nel suo Scènes de la vie turque stampato a Parigi da Michel Lèvy nel 1858, scrisse: «Non v' è un solo turco che si permetta di maltrattare una donna, e io conosco donne d'ogni classe della società musulmana che tirano la barba ai loro mariti senza che questi usino delle rappresaglie sui loro capelli. Si potrebbe scrivere un intero libro di aneddoti curiosi che testimoniano il rispetto e la condiscendenza del sesso forte nei riguardi del sesso debole.» E nel suo Diario: «La famiglia del contadino turco è simile a quella del contadino cristiano e, lo dico con rammarico, il primo potrebbe servire da esempio al secondo. Per ciò che riguarda la fedeltà, il vantaggio sarebbe del turco, perché tale virtù non gli è imposta né dalla fede religiosa né da quella civile, né dagli usi, né dai costumi né dall'opinione pubblica, ma dalla bontà della sua natura, alla quale ripugna il pensiero di affliggere la propria compagna. E non le fa mai pagare il privilegio, di cui non osa privarla, di essere la sola padrona della casa... Le grandi dame di Isltànbul non si tengono paghe di vedere il mondo attraverso le griglie delle loro finestre; vanno a passeggio nella città, nel bazar, ovunque loro garba e senza essere sottomesse ad alcuna sorveglianza incomoda». Naturalmente, ho detto all'inizio che l'attuale realtà dell'Islâm è complessa e differenziata al massimo, poiché si esprime in paesi, ambienti, etnie e culture altamente differenziate. Si va dalla Repubblica turca (nazione europea a livello di una Francia) al regno dell'Arabia Saudita o dello Yemen, ancorati a tribalismi medioevali. La sopravvivenza, in alcune zone particolari, di costumi locali preislamici - costumi anche aberranti contro i quali ci si può accanire a giusta ragione (come ad esempio l'escissione femminile), non ha nulla a che vedere con l'Islâm - Occorre, ripeto, saper procedere alle necessarie distinzioni.
Testi di Gabriele Mandel: Il Corano. Traduzione di Gabriele MANDEL; commenti di Si Hamza BOUBAKEUR e Gabriele MANDEL. (dodici volumi). Edizioni Universitarie COOPLI, Milano, 1979 e ss. Edizione riveduta e ampliata: Università Internazionale Islamica di Córdoba, 1997. Il Corano senza segreti. Rusconi, Milano 1991 ed ediz. seguenti. Una edizione in Pocket Book. La Magia nell' Islàm. Simonelli, Milano 1996. Maometto (uno studio sugli Ahàdìth). Collana "I Breviari" Rusconi, Milano 1995. Saggezza islamica (le novelle dei Sufi). Edizioni Paoline, Milano 1993. Storia del
Sufismo. Rusconi, Milano 1995. I novantanove Nomi di Dio nel Corano. Edizioni San Paolo, Milano 1995. Storia dell' Harem. Rusconi, Milano 1991. Rûmî e il Sufismo. ILG, Bergamo 1996. Come riconoscere l' arte islamica. Rizzoli, Milano 1979. Essere e
fare. Edizioni COOPLI-IULM, Milano
1984 e ss. Storia del parato ceramico nell' architettura islamica. In "Ca", n.i 1-8. Faenza Editrice, Faenza 1990. I moduli del parato ceramico nell' architettura dell' Islàm. "Ca" n.i 22-25. Faenza Editrice, Faenza 1995 Maometto (collana "I grandi di tutti i tempi"; riedito nella collana "I grandi della Storia"). Mondadori, Milano 1976. Riedizione riveduta 1978. Il Sufismo vertice della piramide esoterica. SugarCo, Milano 1977. Il regno di Saba, ultimo paradiso archeologico. SugarCo, Milano 1996. I detti di alHallaj. Edizioni Alkaest, Genova 1980. Un sufi e il potere. Edizioni del Fiore d' oro. Milano 1981. I caravanserragli turchi. Lucchetti Editore, Bergamo 1988. Mamma li Turchi. Lucchetti Editore, Bergamo 1990. Trecento quartine di Rumi. Prefazione di Halil Cin. Edizioni dell' Università Islamica, Casamassima 1986. Salomone.
Alla ricerca della realtà e dell' utopia di una
"razza", di un regno e di un re. SugarCo, Milano 1977. La civiltà della Valle dell' Indo. SugarCo, Milano 1975. La preghiera nell'Islâm. Sta in: L'Occidente guarda all'Islâm. San Fedele edizioni, Milano 1996. Islâm: nel nome di Allah. A cura di Angelo Montani e Gabriele Mandel. Revisione e aggiornamento di Monica Colombo. Speciali di "Italia Missionaria"1996. Il senso di colpa nell'Islâm. Sta in "La Ginestra", quaderni di cultura psicoanalitica; direttore Vincenzo Loriga. Franco Angeli, Milano 1996. La parabola nell'Islâm. Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo (MIlano) 1998. KLEIN, Arpad:
Kommentierte und erläuterte
Übersetzung auf Deutsch der Blümenblätter einer "Sufi-Blume" von GABRIEL MANDEL Khân. Con teto italiano a fronte. COOPLI-IULM, Milano 1988. MANDEL, Jusuf Aled Roberto: Il cantico dei cieli, poema sufico. SLM, Milano 1940. (in trilogia con Il cantico del Mare; Il cantico della vita).72) MANDEL, Massimiliano: L' arte dell' India, dell' Indonesia e dell' Indocina. Sta in "Enciclopedia dell' Arte" diretta da Vittorio Sgarbi. Mondadori, Verona 1986. MANDEL, Massimiliano & RONCALLI, Marco: Il Tigri e l' Eufrate fiumi del Paradiso. Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo 1993. MANDEL, Massimiliano: L' arte dell' India, dell' Indonesia e dell' Indocina. Sta in "Enciclopedia dell' Arte". Mondadori, Verona 1986. MANDEL, Paola: La pantofola di sabbia Vedi in: Teatro sufi. TEATRO SUFI. Introduzione di Kassim Bayatli; Il Maestro di Konya di Gabriele Mandel; La pantofola di sabbia di Paola Mandel. Coopli, Milano 1995.
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