DICEMBRE 2001

Gran movimento di uomini e mezzi a stelle e strisce
Raid su Jalalabad e Tora Bora per stanare Bin Laden


I marines: "Ore decisive
per conquistare Kandahar"

Secondo l'agenzia di stampa vicina ai Taliban
i bombardieri Usa avrebbero ucciso 20 civili

KANDAHAR - "Ovunque vengono avvistati Taliban, subito scatta una pressione nei loro confronti, come un serpente che li avvolge e sicuramente possiamo tirarli fuori di lì nel prossimo futuro". Stringono i tempi i marines americani, convinti che la battaglia per Kandahar sia arrivata a un "punto culminante". Nella base aerea allestita dagli Usa nel deserto nel sud dell'Afghanistan, a pochi chilometri dall'ultimo bastione degli integralisti Taliban, fervono i preparativi per l'attacco finale. Nella base aerea Usa c'è un gran movimento di mezzi. Ieri sera una lunghissima colonna di veicoli americani, compresi cingolati leggeri, ha lasciato la base. I marines potrebbero essere partiti per Kandahar o verso Tora Bora, dove nel ginepraio delle caverne si pensa che si stia nascondendo Osama Bin Laden con alcune centinaia di fedelissimi. Di più non si sa, anche perché i giornalisti al seguito degli americani hanno l'obbligo di non rivelare luoghi o obiettivi.

Nelle ultime ore i bombardieri americani hanno intensificato i raid su Tora Bora e Jalalabad, provocando, secondo l'agenzia Aip legata ai Taliban, la morte di 20 civili e il ferimento di altre 18 persone. Ma la guerra continua pure a Kandahar dove, secondo fonti dell'Alleanza del nord potrebbe ancora trovarsi lo sceicco del terrore. La città è isolata, i marines tengono d'occhio il territorio a sud della capitale spirituale dei Taliban mentre i bombardieri continuano a colpire le postazioni degli studenti coranici e dei guerriglieri stranieri loro alleati.

In particolare l'aviazione Usa ha preso di mira la zona a sud dell'aeroporto di Kandahar dove, sempre secondo l'Aip, le bombe hanno colpito il distretto di Agama, circa 38 chilometri a sud della città facendo 13 vittime e molti feriti.

(2 dicembre 2001)

Nei bunker sotterranei nessuna traccia di Osama Bin Laden
Kandahar consegna le armi, cede anche Spin Boldak


I Taliban consegnano le armi
presa nella notte Tora Bora

Karzai: "Omar sarà processato"
ma il mullah non sarebbe più in città


KANDAHAR - I miliziani taliban assediati a Kandahar hanno iniziato a deporre le armi nelle mani di una commissione formata da membri delle tribù e delle etnie afgane. La resa della capitale spirituale del regime degli studenti coranici è stato il segnale della fine per il regime. Nella notte era caduta Tora Bora, la "città sotterranea" nelle montagne dove si pensava si fosse rifugiato Osama Bin Laden, la provincia di Helmand, nel sud ovest, si è arresa nella prima mattinata, poi dopo un inutile tentativo di resistenza anche Spin Boldak si è arresa.

Il regime si è dunque sfaldato, strangolato dall'alleanza con Osama Bin Laden ma restano ancora in libertà lo sceicco terrorista e il mullah Omar. Il capo di al Qaeda non era a Tora Bora. I mujahiddin, entrati armi in pugno nei bunker sotto le montagne, hanno trovato cittadini arabi comprese delle donne, hanno sequestrato armi e mezzi ma non hanno trovato alcuna traccia dello sceicco terrorista. "Forse è in Pakistan", dicono i miliziani dell'Alleanza del nord ma su questo non c'è nessuna certezza.

Così come al momento è impossibile definire la sorte del mullah Omar anche se, fonti americane sostengono che la sua cattura è ormai prossima. Hamid Karzai, il futuro primo ministro dell'Afghanistan, dice che sarà giudicato da un tribunale insieme a tutti gli altri capi del regime ma per il momento né i mujiahiddin né i marines o i grupi speciali sono riusciti a mettergli le mani addosso. Tuttavia, forse anche per tranquillizzare gli americani infastiditi dalle trattative sul futuro dei capi taliban Karzai ha detto che i leader dell'ex regime saranno consegnati "alla giustizia internazionale".

Nei mesi passati, ha spiegato Karzai alla Cnn, "ho chiesto al mullah Omar di rinunciare al terrorismo e di condannare le violenze legate al terrorismo in Afghanistan, negli Stati Uniti e nel resto del mondo. Lui non l'ha fatto. La notte scorsa era la sua ultima occasione per farlo prima di cedere il potere. Non l'ha fatto e deve essere considerato responsabile di associazione con il terrorismo". Ma dove effettivamente sia il mullah nessuno lo sa. L'unica notizia viene dai taliban che sostengono che il loro capo spirituale "non è più a Kandahar e si è trasferito in una loscalità segreta".

Altro problema sono i miliziani stranieri accorsi in Afghanistan per rispondere alla chiamata alle armi di Osama Bin Laden. Sarebbero, secondo foti dei Taliban, usciti da Kandahar e si sarebbero radunati nelle vicinanze della città. "Hanno lasciato la città, ma sono nelle vicinanze - dicono fonti degli studenti coranici - risolvere il loro problema è un processo lungo e difficile".

Ma le trattative per la resa di Kandar e il ruolo svolto dal premier in pectore hanno creato dei malumori nel fronte dell'Aleanza del nord. Il comandante pashtun Gul Agha ha sferrato un nuovo duro attacco contro il premier designato Hamid Karzai precisando che "a nessuna condizione accetterà" l'accordo raggiunto con i taliban per la consegna di Kandahar al mullah Naqib Ullah. Ed ha accusato Karzai di aver dato un rifugio sicuro al mullah Omar.

(7 dicembre 2001)

Parla il chirurgo italiano rientrato dopo mesi in Afghanistan
Kabul, le polemiche, la passione per il calcio e il futuro


Gino Strada: "Emergency
simbolo contro la guerra"

ROMA - Gino Strada è tornato in Italia mercoledì sera dopo tre mesi passati in Afghanistan: giusto in tempo per partecipare ai funerali dell'avvocato Peppino Prisco, come lui tifosissimo dell'Inter, toccare con mano l'ondata di solidarietà che ha circondato Emergency dall'inizio della guerra, ed essere coinvolto nella polemica sulla posizione sua e della sua organizzazione nei riguardi del conflitto.

Emergency è stata oggetto di critiche per aver rifiutato i contributi del governo italiano e aver condannato duramente l'intervento in Afghanistan. Ci spiega questa posizione?
"E' semplice: le organizzazioni non governative non possono accettare i soldi della guerra. Da anni c'è la tendenza da parte dei governi a coniugare bombe e aiuti: lo abbiamo visto prima in Kosovo, ora in Afghanistan. Ma per noi questo non è accettabile: si genera una confusione che ci fa perdere il nostro ruolo e la nostra indipendenza. Il mondo umanitario ha delle valenze etiche molto forti: ma dove finirebbero se accettassimo i soldi di chi tira le bombe per curare i feriti?".

Lei ha condannato gli attentati di New York, ma anche, e con durezza, la rappresaglia americana. Tanto che si è detto che per lei Bin Laden e Bush sono la stessa cosa...
"Nella condanna al terrorismo di Emergency sono incluse tutte le forme di terrorismo che finiscono per uccidere degli innocenti. Questa condanna dunque vale per chi ha ucciso migliaia di innocenti a New York, come per chi ha lanciato in Afghanistan
cluster bombs che uccidono bambini. Da qui ai titoli a effetto, ne corre".

In questi mesi la solidarietà verso Emergency è cresciuta moltissimo. Raccolte di fondi, spettacoli, dischi: cosa vuol dire?
"La mia idea è che l'attenzione nei confronti di Emergency sia espressione del rifiuto della guerra. Siamo diventati una bandiera della pace in un paese che, al contrario del suo Parlamento, non è schierato in maniera monolitica in favore di questo conflitto. L'Italia è quanto meno divisa in due, e i politici dovrebbero riflettere su questo. L'impressione che ho è quella di una democrazia violata: non capisco perché come cittadino debba essere consultato sulla caccia, e non sulla caccia all'uomo".

Frequenta l'Afghanistan da anni. Qual è la situazione ora? Cosa possiamo aspettarci per il futuro?
"La situazione è ancora molto instabile e fluida: ci sono già malumori nei confronti del nuovo governo, e per la vita della gente non è cambiato molto. Mancano ancora cibo e beni primari. In ospedale, noi continuiamo a ricevere almeno un ferito da mina o da
cluster bomb al giorno. I nostri posti letto sono tutti occupati, pieni di civili e di combattenti di entrambe le parti, compresi molti stranieri. Tutti sperano che questa sia la fine di 25 anni di conflitti, molti temono che non sia così".

E' a casa dopo molti mesi di lavoro. Cosa farà ora?
"Passerò il Natale con la mia famiglia, e spero di essere ancora in grado di cucinare per loro un buon piatto di pesce. Poi domani andrò allo stadio a vedere Inter-Chievo: è una partita importantissima, fra le due prime in classifica, non posso mancare. Poi fra qualche settimana ripartirò. Destinazione: Kabul".

(14 dicembre 2001)

Nel filmato trasmesso da Al Jazeera lo sceicco saudita
appare pallido e invecchiato, ma non meno minaccioso


Bin Laden nell'ultimo video:
"La fine dell'America è vicina"

BEIRUT - Pallido e stanco, ma non per questo meno risoluto, Bin Laden si è mostrato in video rilanciando i suoi propositi guerreschi: "La fine dell'America è imminente, sia che io viva che io muoia". La versione integrale del nuovo filmato anticipato ieri è andata in onda stasera sulla tv satellitare Al Jazeera a partire dalle 19.35, ora italiana. La registrazione dura poco più di mezz'ora.

Leggermente più emaciato in volto rispetto alle precedenti apparizioni, il terrorista più ricercato del mondo, che indossava una tuta mimetica e aveva a fianco l'inseparabile kalashikov, ha esordito affermando che "tre mesi dopo i benedetti attacchi contro l'ateismo mondiale e il suo leader, l'America, e quasi due mesi dopo l'inizio della feroce crociata contro l'Islam, dobbiamo fare il punto dell'impatto avuto da questi eventi che hanno dimostrato importanti verità".

Quella principale, dal punto di vista dello sceicco saudita, è che l'Occidente odia l'Islam. "E' ormai chiaro - ha proseguito con calma - che l'Occidente in generale e l'America in particolare provano un indicibile odio nei confronti dell'Islam e coloro che hanno vissuto gli ultimi mesi sotto i continui bombardamenti americani lo hanno capito bene". "Quanti villaggi sono stati distrutti - si chiede Bin Laden - e quanti milioni di persone sono state buttate fuori al freddo? Questi uomini, donne e bambini che sono stati dannati e ora vivono sotto le tende in Pakistan non hanno commesso alcun peccato. Essi sono innocenti. Ma, sulla base di un puro sospetto, gli Stati Uniti hanno scatenato questa crudele campagna".

La trasmissione del video ha aperto più interrogativi a Washington di quante risposte abbia dato sulla sorte dell'uomo che il presidente George W. Bush ha detto di volere "vivo o morto". Era il timore più grande in seno all'amministrazione Bush: ritrovarsi Bin Laden su Al Jazeera dopo esser sfuggito ai bombardamenti, aveva detto proprio ieri un alto funzionario dell'intelligence Usa. Puntualmente poche ore dopo la tv del Qatar faceva con la nuova cassetta l'ennesimo scoop.

La mezz'ora del nastro ha colto in contropiede la squadra di George Bush. Ancora oggi la Casa Bianca ha dibattuto su come articolare la risposta al messaggio, e uno scenario allo studio è stato di affidarla, come in passato all'ambasciatore in Siria Chris Ross, che parla arabo correttamente e ha già replicato su Al Jazeera in novembre a un altro video di Bin Laden.

"Non sappiamo se Osama sia in Afghanistan o in Pakistan. Non sappiamo se sia vivo o morto. Non abbiamo idea", ha detto il portavoce del Pentagono Richard McGraw. In Texas, fonti vicine al presidente Bush che si accinge a passare il capodanno nel ranch di Crawford, hanno liquidato come "la solita stanca retorica, la solita propaganda anti-occidentale" la nuova apparizione televisiva del leader di Al Qaeda.

Bin Laden soffre di diabete e nel video di Al Jazeera appare stanco, pallido, invecchiato. E' mancino, ma nel video gesticola con la mano destra tanto che alcuni commentatori si sono chiesti se non fosse ferito. C'è chi, in Kuwait, ha ipotizzato che la cassetta rappresenti "il suo ultimo messaggio".

"Ha l'aspetto di qualcuno che non ha dormito molto negli ultimi giorni, che ha passato molto tempo lontano dal sole", ha commentato per la Cnn l'ex consigliere per la sicurezza nazionale di Bill Clinton, Sandy Berger.

Il video anche stavolta non aiuta: "Non ci conferma neanche se sia ancora in vita", ha detto una fonte dell'amministrazione notando che, se è vero che Al Jazeera è entrata in possesso della cassetta il giorno di Natale, la formidabile rete di Al Qaeda ha impiegato settimane per farlo pervenire dal Pakistan in Qatar: "Per chiunque volesse far arrivare il suo messaggio in fretta - ha detto un funzionario - è un passo da lumaca".

(27 dicembre 2001)

Sotto il bombardamento Usa, crolla il regime dei Taliban e l'Alleanza del Nord conquista Kabul e le principali città afgane. A Bonn, sotto l'egida delle Nazioni Unite, le fazioni afgane raggiungono un accordo per il nuovo governo che sarà guidato da Hamid Karzai. Cadono prima Kandahar e poi Tora Bora. L'Onu raggiunge un accordo per mandare una forza di pace nel paese. Gli Usa diffondono un video in cui Bin Laden rivendica gli attentati dell'11 settembre. Ecco gli altri eventi di questo mese.

Infuocata seduta al Senato. Il ministro Castelli accusa i giudici
"Alcuni magistrati usano la toga per fare lotta politica"


Il caso Taormina si chiude
Berlusconi accetta le dimissioni

Il presidente del Senato Pera rinvia il dibattito a domani
Il centrosinistra protesta a lungo

ROMA - La "telenovela" si chiude alle 19,15 quando il ministro per i rapporti con il Parlamento Giovanardi annuncia che le dimissioni del sottosegretario al'Interno Carlo Taormina - annunciate poco prima con una lettera dal ministro degli Interni Scajola - sono state accettate. Poche parole, che chiudono un seduta costantemente ai confini della rissa al Senato.

Il colpo di scena delle dimissioni, anticipato alla vigilia della votazione dallo stesso premier, si è materializzato dopo un pomeriggio di notizie e smentite. L'apice in una contestatissima ricostruzione della questione giustizia, dove il ministro Roberto Castelli ripete in aula tutti i temi cari alla Casa delle libertà a partire dalla politicizzazione di alcuni magistrati che "vogliono ribaltare per via giudiziaria il verdetto elettorale". Parole che scatenano la reazione del centrosinistra, duro anche con l'atteggiamento "poco bipartisan" del presidente Pera.

La seduta inizia con le comunicazioni del ministro Castelli che disegna un "quadro generale" in cui descrive una "giustizia al collasso" e un Paese oberato da quello che il ministro chiama "da debito pubblico giudiziario", addebitando la situazione all'eredità ricevuta dalla sinistra.

E mentre l'opposizione insorge il ministro continua accennando per la prima volta al sottosegretario: "Perché questo polverone? Il sottosegretario, con toni forti va ammesso, ha sollevato questione reale. Due esponenti del governo, Berlusconi e Bossi hanno subito più di un centinaio di provvedimenti e questo è un dato oggettivo che fa nascere il legittimo sospetto che parte della magistratura faccia lotta politica".

Altri boati di disapprovazione dai banchi del centrosinistra che Castelli alimenta citando i casi di magistrati che hanno parlato contro la legge sulle rogatorie e sul G8 e per i quali "ho avviato la procedura disciplinare" per poi affondare il colpo diretto sul mento dell'opposizione: "Taormina ha attirato l'attenzione sul problema di una magistratura contigua o addirittura interna alla sinistra. La magistratura deve essere indipendente dal potere politico ma quest'ultimo deve essere protetto da attacchi strumentali da parte dei giudici".

Castelli smette di parlare nella bagarre assoluta e nella confusione il presidente del Senato Pera annuncia che il ministro Scajola doveva fare delle comunicazioni. A questo punto si capisce che Taormina decide di lasciare, e infatti Scajola annuncia una lettera di Taormina a Berlusconi in cui annuncia le dimissioni. Lettera che Scajola legge ai senatori. "Chiedo - scrive Taormina - ai detrattori di volermi riconoscere non già valenza scientifica ma la fedeltà morale agli ideali di giustizia". L'ex sottosegretario esprime ammirazione per i giudici ma afferma: "Mi batto però perché disonesti, incapaci o politicizzati non facciano parte della magistratura. Signor presidente del Consiglio, metto a disposizione il mio mandato nella certezza che il mio sacrificio serva affinché il governo possa essere additato per aver restituito ai cittadini la fiducia nella vera giustizia". Poco dopo tocca a Pera annunciare il rinvio del dibattito a domani.

(4 dicembre 2001)

Dura risposta dell'Anm agli attacchi della maggioranza
Il presidente Gennaro: "Non accettiamo processi sommari"


Giustizia, si dimette
la giunta dei magistrati

Il procuratore di Milano D'Ambrosio denuncia:
"Gravissima l'accusa di uso politico delle sentenze"

ROMA - Il veleno del caso Taormina sta nella coda, con le dimissioni dell'intera giunta dell'Associazione nazionale magistrati. Il giorno dopo le dimissioni dell'avvocato sottosegretario lo scontro tra maggioranza e opposizione continua. Berlusconi annuncia che "cambierà la riforma in sei mesi" e la magistratura reagisce con un'iniziativa unica nel suo genere. Non era mai successo che il gruppo dirigente eletto dall'Anm abbandonasse in blococ la carica. La motivazione è nei contenuti della risoluzione della
Casa della libertà sulla giustizia e i ripetuti attacchi ai magistrati sul suo uso politico.

A spiegare il gesto è il presidente dell'Associazione, Giuseppe Gennaro: "Non accettiamo di essere processati in maniera sommaria con giudizi immotivati ed ingiusti", e aggiunge che in queste condizioni è impossibile proseguire sulla strada del dialogo. Immediata la reazione del ministro Castelli, che, questa volta, usa parole concilianti: "Invito la giunta dell'Anm a ripensarci. Proprio adesso che, come ho detto anche in Senato, dobbiamo aprire un tavolo per discutere di cose concrete, spero che ci ripensi...".

Ad aprie la giornata sul fronte dei giudici, il procuratore della Repubblica di Milano, Gerardo D'Ambrosio: "La sottoposizione del pubblico ministero all'esecutivo non è certo salutare nel nostro Paese" e aggiunge: "Non bisogna mai dimenticare che l'Italia è uscita da un ventennio di fascismo. E anche dopo la fine della dittatura, nonostante che i costituenti si fossero preoccupati di assicurare l'indipendenza al pm, vi sono stati procuratori della Repubblica che hanno archiviato i procedimenti nel cassetto solo per soggezione, e non per sottoposizione all'esecutivo".

"Non mi stupisco affatto - continua D'Ambrosio - che il governo affronti il tema della sottoposizione del pm all'esecutivo, perchè la separazione delle carriere tra magistratura giudicante e pubblico ministero faceva parte del programma della Casa delle Libertà. Un programma per realizzare il quale la maggioranza degli italiani ha dato il proprio consenso".

Secondo il Procuratore di Milano, infatti, "la separazione è prodromica alla sottoposizione del pm all'esecutivo. Ne è la conseguenza logica". D'Ambrosio ha ribadito ancora una volta di "non essere assolutamente contrario ad una separazione delle funzioni tra giudici e pubblici ministeri" e, in relazione alle accuse del ministro Castelli ad una parte della magistratura che avrebbe usato le proprie funzioni per fare politica, risponde: "E' un'aaccusa gravissima per chi ha esercitato le proprie funzioni in modo imparziale e nella perfetta osservanza della legge".

(5 dicembre 2001)

Il gruppo torinese cambia tutto, chiuderà 18 stabilimenti
due in Italia, previste cassa integrazione e flessibilità


Rivoluzione alla Fiat
tagli e ristrutturazioni

Manovra finanziaria da 12 mila miliardi: tra aumento
di capitale, dismissioni e un'operazione americana

TORINO - Rivoluzione alla Fiat. Il Cda straordinario convocato oggi ridisegna la strategia dell'intero settore auto a partire dalla rimozione dell'amministratore delegato Roberto Testore. In due anni il gruppo torinese ha progettato un piano di ristrutturazione e chiusure in 18 stabilimenti, due dei quali in Italia. Gli organici all'estero saranno ridotti di 6.000 unità. Ma anche in Italia si ricorrerà agli ammortizzatori sociali. A questi provvedimenti strutturali corrispondono dismissioni finanziarie per oltre 3.872 miliardi di lire (due miliardi di euro) ai quali si aggiunge un aumento di capitale da 1.936 miliardi di lire (un miliardo di euro) mediante offerta di opzione agli azionisti di nuove azioni ordinarie con warrant. Inoltre, è stao approvato un prestito obbligazionario quinquennale per l'importo di 2,2 miliardi di dollari (4.700 miliardi di lire, 2,4 miliardi di euro) convertibile in circa 32 milioni di azioni General Motors. L'operazione sarà lanciata domani.

La lunga giornata della Fiat incomincia alle 16 con la convocazione del Cda straordinario. In Borsa vengono sospese le azioni della galassia, Ifi, Ifil e Fiat. L'ipotesi più accreditata è che il Lingotto metterà mano a una sostanziale riduzione dell'indebitamento dovuto all'aggravarsi della crisi del mercato dell'auto. Ma questo è solo uno degli aspetti di quanto emergerà poco più tardi. Non una semplice operazione di contenimento attraverso la conversione di azioni obbligazionarie in ordinari: quello che comunica Fiat alla fine della riunione è una rivoluzione, sia industriale che finanziaria.

Cambio al vertice.
Roberto Testore si è dimesso dall'incarico di amministratore delegato di Fiat Auto che lascerà a fine anno. A prendere il suo posto sarà Giancarlo Boschetti dal 1990 amministratore delegato dell'Iveco. La conferma è arrivata in serata con un comunicato. Amministratore delegato di Iveco è stato nominato Michel De Lambert, ora in Iveco responsabile di Transolver e amministratore delegato di Fraikin, società che si occupa di noleggio a lungo termine di veicoli industriali.
Ristrutturazioni e chiusure Nel periodo 2002-2004 la Fiat attuerà un piano che prevede la razionalizzazione degli impianti, ristrutturazioni e chiusure in 18 stabilimenti, due dei quali in Italia. Quindici verranno ristrutturati o chiusi entro la fine del 2003. Gli organici saranno ridotti di 6.000 unità al di fuori dell'Italia. Per quanto riguarda l'Italia il gruppo - precisa la nota - sta utilizzando tutti gli strumenti di flessibilità disponibili, dalla cassa integrazione al minor ricorso al lavoro temporaneo e interinale. Il piano di ristrutturazione industriale comporta costi straordinari accantonati per circa 800 milioni di euro nell'esercizio 2001 (150 di questi saranno un esborso di cassa), con conseguente impatto negativo sui conti dell'anno.

"Da questo consiglio di amministrazione arriveranno sicuramente guai per i lavoratori", è stato il primo commento del segretario generale della Fiom Piemonte, Giorgio Cremaschi. "Purtroppo resta la rabbia - ha aggiunto - per essere stati per troppo tempo gli unici a dire che in Fiat le cose non andavano come l'azienda diceva".

La nuova Fiat. La Fiat Auto sarà riorganizzata in quattro unità di business: Fiat/Lancia, Alfa Romeo, Sviluppi internazionali, Servizi. Ciascuna sarà trasformata in una vera e propria azienda, responsabile dei propri risultati economici e finanziari.

Aumento di capitale. Sarà di un miliardo di euro (1.936 miliardi di lire), mediante offerta di opzione agli azionisti di nuove azioni ordinarie con warrant. Saranno emesse 65.820.600 azioni ordinarie nel rapporto di 3 nuove azioni ogni 25 azioni possedute, di qualsiasi categoria, al prezzo di sottoscrizione di 15,5 euro per azione (di cui 10,5 euro a titolo di sovrapprezzo) con godimento l'1 gennaio 2001.

I warrant, di tipo europeo, sono esercitabili alla scadenza. In tale occasione fiat ha la facoltà di corrispondere, in luogo delle azioni da emettere, il differenziale tra la quotazione delle azioni ordinarie e il prezzo di esercizio. Il prezzo di esercizio del warrant verrà definito in prossimità dell'avvio dell'operazione il cui lancio è previsto a gennaio.

Ifi e Ifil, le cassaforti della famiglia Agnelli, parteciperanno per la quota di loro competenza all'aumento di capitale sottoscrivendo le azioni ordinarie spettanti alle azioni sia ordinarie sia privilegiate Fiat possedute, al fine di mantenere una quota superiore al 30% del capitale ordinario. Ifi e Ifil investiranno circa 300 milioni di euro (581 miliardi di lire).

General Motors. Il prestito obbligazionario con General Motors sarà emesso dalla controllata Fiat Finance Luxembourg. Nel caso di consegna delle azioni a seguito di completa richiesta di conversione, la posizione finanziaria netta del gruppo migliorerebbe di circa 2,2 miliardi di dollari (circa 4.780 miliardi di lire, 2,4 miliardi di euro).

L'operazione - sottolinea un comunicato - permette al gruppo di raggiungere contemporaneamente più obiettivi: un finanziamento a costo ridotto che consente la riduzione degli utilizzi di linee bancarie e il rimborso di altro debito; la diversificazione delle fonti di finanziamento tramite un collocamento presso un target di investitori istituzionali diversi da quelli che tipicamente sottoscrivono le emissioni di titoli di debito del gruppo; l'allungamento delle scadenze del debito per rafforzare il profilo di liquidità del gruppo.

(10 dicembre 2001)

Roma, il faccia a faccia tra Berlusconi
e il premier belga ha esito positivo


Italia-Ue, compromesso
sul mandato di cattura

Immutata la lista dei reati, in cambio il nostro Paese ottiene
di renderla operativa solo dopo modifiche costituzionali

ROMA - "L'Italia accetta il mandato di cattura europeo e si avvia a firmare un accordo che comunque dovrà tener conto delle necessarie modifiche delle procedure di diritto interno per rendere compatibili le nuove norme europee con i diritti fondamentali previsti dal nostro Paese": si risolve così, con un accordo il rebus sulla giustizia. Ad annunciarlo è il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, in una conferenza stampa congiunta con il il primo ministro belga Guy Verhofstadt, arrivato a Roma proprio per ricucire, in extremis, lo strappo tra il governo e il resto dell'Unione.

Alla base dell'intesa, un compromesso basato su un principio "irrinunciabile": per rendere operativo il mandato di cattura europeo, l'Italia dovrà modificare la sua Costituzione. Per questo motivo, ha proseguito Berlusconi, "l'esecutivo si rimette al Parlamento" ed eventualmente ai cittadini, che potranno esprimersi con un referendum sulle leggi costituzionali.

Sui tempi, il presidente del Consiglio non dà certezze, ma dice di sperare che tutto si concluderà entro il 2004. Quanto al premier del Belgio - presidente di turno della Ue - Verhofstadt ha assicurato che il Consiglio Europeo prenderà atto della necessità di modificare la nostra Costituzione. E ha poi espresso soddisfazione per l'intesa raggiunta.

Si conclude così una vicenda che ha rischiato di provocare una spaccatura profonda tra l'Italia e il resto dei Quindici. E che, sul fronte interno, ha provocato polemiche durissime tra maggioranza e opposizione. Il nostro governo, infatti, si opponeva fermamente al fatto che nella lista dei reati inclusi nel mandato di cattura ci fossero voci come corruzione e riciclaggio. Su questo, però, gli altri paesi sono stati intransigenti, rifiutandosi di ritoccare l'elenco. Accettando, invece, un compromesso sui modi e i tempi di attuazione. E adesso che tutto finito, Berlusconi non resiste e lancia una battuta polemica ai giornalisti: "Ci vediamo alla prossima telenovela...".

(11 dicembre 2001)

Gli Usa cercano di salvare la situazione
ma in Israele prevalgono le istanze più estreme


Israele rompe con Arafat
"Non è più credibile"


GERUSALEMME - Yasser Arafat è solo. Nello notte, dopo l'attentato che ha ucciso dieci coloni e ferito almeno altre trenta persone, il governo israeliano, con l'opposizione del ministro degli Esteri Shimon Peres, ha deciso di rompere i contatti con il presidente dell'Autorità nazionale palestinese. "Israele si difenderà con le sue forze e ritiene che Arafat sia fuori gioco - ha detto un portavoce - Non avremo più contatti con lui dato che non fa niente contro il terrorismo". Si tratta di una decisione drastica, mai presa finora, accompagnata da quella di dare via libera a una serie di operazioni militari nei Territori tese a "attuare arresti e confiscare armi".

Israele specifica però che non sta cercando di uccidere Arafat. "La decisione di rompere con il presidente palestinese - ha proseguito il portavoce - non significa che il governo israeliano voglia colpirlo fisicamente".

Arafat è sotto assedio a Ramallah: il presidente palestinese si trova in un edificio a 200 metri da quello della radio dell'Anp distrutta questa mattina dai carri armati israeliani. "Non è felice, ma è vivo", ha detto di lui Radun Abu Ayash, direttore della radio-televisione distrutta.

Gli Stati Uniti, che la scorsa settimana hanno inviato nella zona un nuovo mediatore, Anthony Zinni, cercano di calmare le acque: "Arafat rimane il capo dell'Autorità nazionale palestinese e gli Usa vogliono continuare a negoziare con la sua dirigenza", ha detto a Damasco il vicesegretario di Stato Williams Burns. Ma in Israele sembrano prevalere le istanze più estremiste: secondo il ministro della Sicurezza interna, Uzi Landau, il governo dovrebbe prendere in considerazione l'ipotesi di espellere il presidente dell'Anp. Landau, spesso su posizioni più estreme di quelle del primo ministro Sharon, interrogato sulla possibilità di espellere Arafat ha detto. "E' una questione tattica e anche una questione politica. Non dovremmo escludere questa possbilità".

(13 dicembre 2001)

Via libera questa mattina dal Consiglio dei ministri
Bossi: "Entro fine inverno il primo passaggio alle Camere"


Devolution, approvato
il disegno di legge


ROMA - Il governo ha approvato il disegno di legge costituzionale sulla Devolution, che trasferisce competenza esclusiva alle Regioni in materia di scuola, sanità e polizia locale. Il provvedimento il 20 dicembre arriverà all'esame della Conferenza Stato-Regioni, che deve esprimere il suo parere; dopo potrà cominciare l'iter parlamentare.

Il testo, che riforma gli articoli 117, 116, 118 e 123 della Costituzione, è uno storico cavallo di battaglia della Lega. Così oggi, dopo il varo, il commento del ministro delle Riforme, nonché leader del Carroccio, è entusiasta: "Oggi cambia tutto, l'Italia diventerà uno stato federale. Non c'è più il mini federalismo della sinistra, con le piccole competenze delle regioni che più o meno le avevano già".

Il riferimento di Bossi è al progetto di riforma federale approvato dall'Ulivo nella scorsa legislatura: progetto sul quale è stato indetto anche il referendum confermativo, così come prevede la Costituzione. La consultazione si è svolta due mesi fa: a prevalere è stato il sì, con un'affluenza intorno al 34 per cento.

"Certo - prosegue ancora Bossi - il percorso è ancora lungo, però il processo si è messo in moto e si è messo in moto nei tempi stabiliti. Il disegno di legge non era previsto immediatamente, era previsto per il secondo semestre e nel secondo semestre è passato. Ormai le cose sono avviate...". Il ministro conclude annunciando che entro la fine dell'inverno il primo passaggio per le due Camere potrebbe essere concluso.

(13 dicembre 2001)

La sentenza è appena più mite delle richieste del pm
Entrambi i ragazzi in lacrime dopo la lettura del verdetto


Condannati Erika e Omar
16 anni per lei, 14 per lui

I giudici non hanno riconosciuto ai due, come chiesto
dai legali, l'incapacità d'intendere e volere

TORINO - Erika condannata a 16 anni, Omar a 14. Questo il verdetto sul duplice omicidio di Novi Ligure, compiuto lo scorso 21 febbraio, in cui furono uccisi a coltellate la madre della ragazza, Susy Cassini, e il suo fratellino Gianluca. Una sentenza dura, che ammorbidisce di pochissimo le richieste del pubblico ministero Livia Locci. Erika e Omar, ritenuti capaci di intendere e di volere, resteranno in carcere. Il Tribunale dei Minori di Torino, nel rendere noto quest'ultimo particolare, chiede a tutti di far calare un velo di silenzio sulla vicenda.

La sentenza è arrivata oggi pomeriggio poco prima delle 17 e dopo sette ore di camera di consiglio. I giudici del Tribunale dei minori del capoluogo piemontese si erano riuniti alle 9,30 di questa mattina. Si conclude così il breve dibattimento - svolto con rito abbreviato - per uno dei fatti di sangue che hanno sconvolto di più l'opinione pubblica.

Nella requisitoria il pm Livia Locci, aveva chiesto 20 anni di reclusione per Erika, e 16 per Omar. Una riduzione di pena quella concessa ai due imputati, che i legali della ragazza, Mario Boccassi e Cesare Zaccone, hanno spiegato con la minore età e le attenuanti generiche. Erika, vestita di nero, con una giacca di pelle rossa, ha ascoltato in silenzio la lettura, poi è scoppiata a piangere. Sembrava molto arrabbiata. Si è sfogata con i suoi avvocati, poi è stata consolata dal padre, l'ingegnere Francesco De Nardo, che le è sempre stato accanto nelle diverse fasi del processo. Omar, maglione e jeans, ha stretto la mano ai suoi legali ed è scoppiato in lacrime. I suoi genitori non c'erano, hanno atteso a casa e sono stati informati dai legali del ragazzo.

Anche Omar ha pianto alla lettura del dispositivo di sentenza: a raccontarlo i legali del giovane, Lorenzo Repetti e Vittorio Gatti. "Non siamo contenti della pena - hanno detto - ma nella seconda parte del dispoitivo viene chiaramente sottolineato che Omar è recuperabile e per questo motivo sarà valutato con attenzione per verificare la possibilità di eventuali progetti di recupero".

I difensori avevano invocato l'assoluzione, motivandola con l'incapacità di intendere e di volere al momento del fatto. In subordine avevano chiesto, per Erika, il vizio parziale di mente e, per Omar, la sospensione del procedimento con la messa in prova dell'imputato. In sostanza, non il carcere, ma un periodo di "osservazione" in cui l'imputato lavora a certe condizioni in un servizio socialmente utile e vive a casa o in comunità seguendo orari e ritmi rigidissimi. Al termine del periodo, se supera la "prova", potrebbe essere libero perché estinto il reato.

Ma era chiaro, da tanti segnali, che le richieste dell'accusa, motivate anche dalla necessità di dare ai giovani un'indicazione di fermezza davanti a reati così terribili, sarebbero state accolte almeno parzialmente. D'altra parte, la corte disponeva di una perizia che stabiliva la piena capacità di intendere e di volere dei due ragazzi.


(14 dicembre 2001)

L'incendio è scoppiato all'una di notte nel Salernitano
e per gli ospiti a letto non c'è stato nulla da fare


Brucia casa per anziani
muoiono 19 malati psichici

La struttura era nuova ma costruita con vetroresina infiammabile
la causa più verosimile del disastro sembra un corto circuito

SAN GREGORIO MAGNO (SALERNO) - Arse vive o asfissiate, sono morte nell'incendio di una casa per anziani 19 persone. Solo otto sono gli scampati dalle fiamme che hanno avvolto, nella notte, a San Gregorio Magno in provincia di Salerno tre prefabbricati contigui adibiti dalla Asl a Struttura Intermedia Riabilitativa. Vi erano alloggiati anziani con handicap psichiatrici ed alcuni anche con deficit motori. La causa più verosimile del tragico incidente sembra al momento un corto circuito elettrico.

All'alba il lavoro dei vigili del fuoco di Eboli e Salerno continuava febbrile, in un'aria resa difficilmente respirabile dal fumo che sale dalle macerie dei prefabbricati. Il centro per anziani si trova lungo la strada che unisce San Gregorio Magno a Buccino. Il fuoco è divampato a grande velocità - facilitato dalle strutture in vetroresina, molto infiammabile - provocando in pochissimo tempo il crollo della struttura prefabbricata che era stata donata al Comune dalla Francia, dopo il terremoto del 23 novembre 1980 che aveva duramente colpito la zona.

Le fiamme si sono propagate all'improvviso all'una della scorsa notte. Gli infermieri in servizio hanno avuto appena il tempo di rendersi conto di quanto stava accadendo che già la situazione era divenuta incontrollabile. In pochi minuti si è consumata la tragedia: fiamme, fumo, crolli, rovine. E gli anziani, rimasti bloccati nei loro letti, sono morti senza possibilità di scampo.

Scattato l'allarme, sul posto sono giunti i vigili del fuoco, i carabinieri, la polizia, mentre sia da San Gregorio Magno che da Buccino, numerosi volontari hanno sfidato il rigore della notte, nel tentativo - ma era solo una speranza - di poter prestare aiuto.



Era un centro di riabilitazione nuovo, operativo dal 1997. Le vittime - secondo quanto si è e appreso - avevano un'età compresa tra i 25 e i 60 anni. Provenivano tutti da varie strutture psichiatriche della provincia di Salerno e dormivano in camerette con due o tre letti. Le persone che si sono salvate vi sono riuscite grazie all'aiuto di tre infermiere, ora interrogate dagli investigatori per cercare di stabilire con precisione le cause dell'incendio.

"E' un fatto accidentale. E' ormai quasi sicuro che è così" ha dichiarato il sostituto procuratore della Repubblica del Tribunale di Salerno, Maria Carmela Polito, all'uscita dal centro distrutto. Il magistrato ha aggiunto che nell'incendio "non vi dovrebbero essere responsabilità, al massimo qualcuna di natura colposa, ma è ancora presto per dirlo"

Nel centro vi erano 5 "moduli abitativi" dove si trovavano alloggiati i pazienti. Quando sono intervenuti i pompieri, tre "moduli" erano stati già completamente divorati dalle fiamme, un quarto era stato semidistrutto e il quinto era rimasto indenne.
Un vigile del fuoco ha spiegato che in ogni modulo abitativo vi era un impianto di riscaldamento a muro ed è probabile che un corto circuito abbia determinato la tragedia.

(16 dicembre 2001)

Misura estrema per fermare gli assalti ai negozi e le rivolte
Si sarebbe dimesso il ministro dell'Economia, Cavallo


Argentina, De la Rua
proclama lo stato d'assedio

Quattro i morti negli scontri di oggi

BUENOS AIRES - Torna lo stato d'assedio in Argentina: a più di venti anni dall'instaurazione della dittatura nel Paese, il presidente democraticamente eletto Fernado De la Rua ha deciso di ricorrere alla più estrema delle misure per fermare le rivolte e gli assalti ai negozi che si sono moltiplicati in tutto il Paese in seguito alla crisi economica. L'annuncio dello stato d'assedio non è ancora stato dato ufficialmente, ma è stato confermato da fonti vicine alla presidenza, che preferiscono rimanere anonime, alle agenzie di stampa.

La decisione è stata presa al termine di una riunione di emergenza del governo convocata oggi nella Casa Rosada a Buenos Aires: al centro del dibattito la politica economica restrittiva voluta dal ministro dell'Economia Domingo Cavallo per arginare il debito pubblico nazionale, pari a 132 miliardi di dollari. Cavallo, secondo voci non confermate, potrebbe essersi dimesso: al suo posto subentrerebbe un triumvirato di responsabili economici di ispirazione nettamente neoliberale.

Ieri il presidente De la Rua aveva negato di avere intenzione di dichiarare lo stato d'assedio: ma gli assalti ai supermercati in tutto il paese, i quattro morti e le decine di feriti in seguito agli spintoni e ai proiettili di gomma sparati dalla polizia, oltre ai sassi lanciati contro la sua auto nel pieno centro della capitale nel pomeriggio gli hanno fatto cambiare idea.

Fra ieri e oggi la gente è scesa in piazza in tutto il paese dando l'assalto ai negozi e prendendo tutto quello che era possibile: cibo, vestiario, mezzi di trasporto, beni per la casa. Scene simili a quelle viste nel 1989, quando una rivolta cacciò l'allora presidente Raul Alfonsin. De la Rua ha deciso una distribuzione di aiuti per sette milioni di dollari, ma questo non è bastato a fermare la rabbia di un paese che vede ogni giorno le liste di chi vive sotto la soglia della povertà allungarsi di 2000 persone.

L'economia argentina è in cattive acque da anni: quella che era una delle maggiori promesse dei mercati emergenti alla negli anni '90, è stata costretta ad ancorare la sua moneta al dollaro per arginare la svalutazione. Ma la misura non ha funzionato. Ultimo a prendersi carico della drammatica situazione è stato Domingo Cavallo, già autore negli anni passati di un piano di ripresa economica che aveva raccolto i consensi degli economisti di mezzo mondo. Questa volta il superministro dell'Economia ha presentato al Parlamento misure che implicavano tagli alla spesa pubblica per il 2002 di quasi il 20 per cento. Ma in un Paese che ha alle spalle quattro anni di recessione e dove la disoccupazione è al 18,3 per cento, questa politica ha provocato una durissima reazione popolare.

(19 dicembre 2001)

Si è concluso oggi, con il sì del Senato, il lungo iter
del provvedimento che cambia le regole delle elezioni


E' legge: gli italiani all'estero
voteranno dalle prossime elezioni

Eleggeranno 12 deputati e 6 senatori fra candidati
residenti fuori Italia. Le quattro circoscrizioni

ROMA - Gli italiani all'estero potranno finalmente votare davvero. Con il sì del Senato è definitivamente passata la legge di attuazione che fissa le nuove regole per l'elezione dei rappresentanti. L'assemblea di palazzo Madama ha infatti concluso il lungo esame parlamentare del provvedimento, confermando il testo approvato dalla Camera lo scorso 20 novembre. La votazione del Senato è stata pressoché plebiscitaria: 185 sì, un no e dieci astenuti, i senatori del gruppo Verde.

Mirko Tremaglia, ministro per gli Italiani nel Mondo e storico sostenitore della legge che vede oggi la luce non ha saputo, uscendo dall'aula, trattenere la commozione: "Oggi è il coronamento di un impegno di anni e anni. E' una grandissima vittoria, una grandissima giornata, anche per il Parlamento". Tremaglia ha dedicato l'approvazione definitiva della legge a suo figlio Marzio, scomparso qualche anno fa, agli italiani all'estero ("che hanno avuto in passato tante illusioni") e al presidente della Repubblica "che si è innamorato degli italiani all'estero".

La legge costituzionale di
modifica all'articolo 48 della Carta fondamentale era stata approvata definitivamente, in seconda lettura, il 29 settmbre del 1999. Restava, appunto, la legge di attuazione che ha avuto un iter abbastanza travagliato che oggi è giunto in porto.

Alle prossime elezioni politiche, dunque, gli italiani all'estero potranno votare per eleggere i loro rappresentanti al Parlamento. Voteranno per posta, con il sistema proporzionale, per eleggere dodici deputati e sei senatori. Nella circoscrizione estero potrà candidarsi solo chi risiede fuori dalla madre patria. Il voto per posta potrà essere usato anche per i referendum.

Ecco, in sintesi, che cosa prevede la legge punto per punto.

LA CIRCOSCRIZIONE ESTERO
La nuova circoscrizione sarà articolata in quattro ripartizioni. In ognuna di esse verrà eletto un deputato e un senatore; gli altri seggi riservati agli italiani all'estero saranno distribuiti in proporzione al numero dei cittadini italiani che risiedono nelle quattro ripartizioni.
Le quattro ripartizioni in cui è divisa la circoscrizione estero sono:
1) Europa (compresa la Federazione Russa e la Turchia);
2) America Meridionale;
3) America Settentrionale e Centrale;
4) Africa, Asia, Oceania e Antartide.

CANDIDATURE
Nella circoscrizione estero, potranno candidarsi unicamente gli italiani residenti fuori dai confini nazionali e che non tornano in Italia per votare.

OPZIONE
A ogni tornata elettorale, il cittadino italiano residente all'estero dovrà scegliere se votare nella circoscrizione estero o in Italia. Se sceglierà l'Italia, voterà nella circoscrizione in cui è iscritto.

QUANDO SI VOTA
Gli italiani all'estero saranno chiamati a votare qualche giorno prima della scadenza della campagna elettorale nazionale. Saranno validi i voti giunti al consolato entro le 16 del giovedì che precede la domenica elettorale.

COME SI VOTA
Ogni elettore riceverà dal consolato più vicino un pacchetto contenente un foglio con le istruzioni per votare, le liste dei candidati, il testo della legge, il certificato elettorale, la scheda e una busta per inviare la scheda al consolato. I consolati riceveranno per posta i voti dei cittadini italiani; quindi spediranno in Italia, in valigia diplomatica e per aereo, le buste arrivate entro le 16 del giovedì che precede la domenica elettorale. Le schede arrivate in ritardo saranno bruciate.

I SEGGI E LO SPOGLIO
I seggi per lo spoglio delle schede estere saranno istituiti presso la Corte d'appello di Roma: un seggio ogni 5 mila elettori. Lo spoglio avrà luogo contestualmente a quello nazionale.

ELENCHI DEI VOTANTI
Il Governo dovrà stilare l'elenco aggiornato dei cittadini italiani residenti all'estero per predisporre le liste elettorali. Oggi esistono due differenti elenchi, che hanno dati non coincidenti: per l'Aire, l'anagrafe degli italiani residenti all'estero tenuta dai consolati, i residenti all'estero sono circa 2 milioni e seicento mila, mentre per il ministero dell'Interno 3 milioni 900mila.

CAMPAGNA ELETTORALE
Lo Stato italiano dovrà concludere apposite forme di collaborazione con gli Stati in cui risiedono i cittadini italiani all'estero per garantire lo svolgimento della campagna elettorale. Spetterà ai consolati e alle ambasciate prendere le iniziative necessarie a promuovere il confronto elettorale.

DIRITTO DI VOTO
Alle rappresentanze diplomatiche spetta anche il dovere di concludere intese con i governi per garantire l'esercizio del diritto di voto in condizioni di eguaglianza, libertà e segretezza. Per i cittadini italiani che risiedono in Stati dove non viene garantito il diritto di voto, torneranno in Italia per votare e potranno contare su un rimborso parziale del costo del biglietto.

(20 dicembre 2001)

Roma, decine di migliaia alla manifestazione degli studenti
I giovani invitati contestano la Moratti e vengono cacciati dalla sala


Assediati fuori, contestati dentro
Finiti gli Stati Generali

Corteo, solo alla fine momenti di tensione

ROMA - Assediati fuori, contestati dentro: gli Stati Generali della scuola convocati da Letizia Moratti sono finiti fra le grida di "buffoni, buffoni" dei 70 mila manifestanti (centomila secondo gli organizzatori) che cingevano d'assedio il Palazzo dei congressi e con Silvio Berlusconi costretto a parlare mentre in platea una ventina di studenti di sinistra delle consulte, quelli che non erano stati espulsi dopo una rumorosa contestazione al ministro Letizia Moratti, mostravano dei cartelli con i codici e barre e con su scritto "Non in vendita".

L'attenzione di tutti era concentrata all'esterno, alle migliaia e migliaia che fin dal primo mattino sfilando per le strade dell'Eur erano giunti fin sotto il Palazzo dei congressi con i loro slogan e la loro musica sparata a volumi altissimi. Nessuno aveva prestato fede allo "scherzetto" che i ragazzi delle consulte stavano preparando a Letizia Moratti e Silvio Berlusconi.

Nella sala ovattata le voci concitate degli slogan non arrivavano, ma è bastato che la Moratti iniziasse a parlare e pronunciasse la parola democrazia affinché scoppiasse il caos. Gli studenti invitati dalla Moratti iniziano a fischiare, a contestare "ma quale democrazia" i gorilla dell'organizzazione si schierano e iniziano a spingerli verso l'esterno, i ragazzi resistono, "siamo stati invitati" gridano mentre si materializza la polizia che forma un cordone. I giovani vengono spinti verso l'atrio qualche spintone, alcune ragazze piangono mentre un vicequestore tenta di placare gli animi parlando alla folla.

Una giovane napoletana, Francesca, piange nell'atrio e mormora "perché ci avete invitato, perché ci avete invitato" la stessa cosa che aveva urlato all'interno mentre Silvio Berlusconi iniziava a parlare. E mentre nell'atrio si gridano slogan, un altro gruppetto di contestatori rimasto in platea mentre il presidente del consiglio parla alzano dei manifestini con scritto "non in vendita". Berlusconi li ignora ma giornalisti e telecamere sono tutti per loro.

E mentre la protesta prosegue Matteo dell'Uds tira fuori una busta e la consegna ad un membro del'organizzazione. Dentro c'è un biglietto indirizzato a "Silvio Berlusconi, presidente del consiglio". "Vogliamo fare gli auguri", dice Matteo e in effetti sul biglietto c'è scritto: "Resistenti alla privatizzazione disobbedienza alla Moratti. Con gli auguri di tutti gli studenti che sono fuori al freddo a manifestare". Non si sa se gli auguri sono giunti al premier ma per i ragazzi bastava averlo consegnato e così hanno preso le loro cose e sono usciti a raggiungere gli altri manifestanti.

Quelli di fuori erano tanti. C'erano gli studenti delle scuole occupate, i giovani dei Ds, i centri sociali, i No Global e poi professori, genitori, politici. Alla partenza arriva Pietro Folena e un manipolo di diessini ma il corteo non gradisce: "Fuori quelli che hanno votato la riforma Berlinguer e che sono a favore della guerra. Non li vogliamo in testa al corteo", gridano dai camion dove ci sono le amplificazioni. Verso Folena parte un palloncino pieno d'acqua finché il dirigente diessino si allontana verso la coda dove ci sono i ragazzi della Sinistra Giovanile.

In piazza c'erano un po' tutti, i Verdi con Paolo Cento e Pecoraro Scanio, Fausto Bertinotti, Diliberto dei Comunisti italiani. Ma i protagonisti erano i giovani. In testa uno striscione "No agli Stati Generali rivoluzioniamo la scuola" dietro due file di studenti quelli "pay" della scuola a pagamento e quelli "free" della scuola pubblica, poi gli striscioni delle diverse delegazioni e delle varie scuole. "Zona demorattizzata" c'era scritto su molti cartelli mentre un maiale di cartapesta rappresentava Berlusconi, un po' come i maiali che a Genova rappresentavano gli otto grandi del G8.

Non una coincidenza perché quello visto oggi era proprio il popolo di Genova, non a caso slogan e striscioni ricordavano Carlo Giuliani coì come i ragazzi con le bombolette che scrivevano "Giustizia per Carlo" su ogni muro.

Il corteo sfila tranquillo controllato a distanza e poi si piazza intorno al Palazzo dei congressi. Musica sparata, slogan, tutto tranquillo tranne qualche provocazione verso carabinieri e polizia, schierati ma tutto sommato a buona distanza dai manifestanti.

L'assedio va avanti per un paio d'ore poi, a Stati Generali chiusi si rischia l'incidente. Sette, ottomila manifestanti premono sulle transenne, le scavalcano. La celere si schiera a difendere il palazzo ormai vuoto. Parte anche una bottiglia ma, alla fine, prevale il dialogo. I dirigenti della Digos in piazza parlano con i contestatori, i leader dei no global cercano di stemperare gli animi che si riaccendono solo quando si avvicinano i carabinieri. Poi tutto va per il meglio: "Ragazzi abbiamo vinto non roviniamo tutto" urla al megafono uno dei leader di studenti in movimento e l'assedio si scioglie.

(20 dicembre 2001)

Messaggio televisivo del leader palestinese
blocatto a Ramallah dall'assedio israeliano


Arafat: "Un crimine impedirmi
la visita a Betlemme"


RAMALLAH - "Col cuore pieno di tristezza non assisterò alla messa di Natale a Betlemme perché impedito dai carri armati e dai soldati israeliani". "Un crimine" lo ha definito il presidente dell'Autorità nazionale palestinese Yasser Arafat comunicando al suo popolo tramite la televisione che per la prima volta dal 1995 non avrebbe celebrato la nascita di Gesù a Betlemme.

Il presidente dell'Autorità nazionale palestinese si è sottomesso al diktat di Sharon ma, avendo dalla sua le cancellerie del mondo e il Vaticano, ha approfittato per ribadire la sua volontà di lottare. "Il crimine che mi priva del diritto di partecipare alle celebrazioni della nascita di Gesù - ha detto Arafat - in ogni caso non intaccherà la determinazione mia e del mio popolo di perseguire una pace equa e duratura".

"Il sito dove Gesù e nato e così la santa Gerusalemme - ha poi continuato - sono assediati da tutte le direzioni". E questo assedio "è ancora più stretto che in passato". Arafat ha aggiunto che i carri armati e i soldati israeliani non gli impediranno di continuare a cercare "la pace degli audaci". Il leader palestinese si è poi rivolto al Papa e ai leader religiosi di tutto il mondo per ribadire che, malgrado tutto, non si è indebolita la sua ferma risoluzione "a cercare la pace dei giusti e non dei carri armati".

Arafat ha poi detto che davanti alle difficoltà poste dalle autorità israeliane alla libertà di movimento dei palestinesi per raggiungere i Luoghi Santi cristiani e musulmani non si deve permettere a Israele di continuare l'occupazione dei territori palestinesi. "Questa - ha detto - deve cessare e si deve creare uno stato palestinese con capitale Gerusalemme che saprà invece rispettare tutte le religioni".

(25 dicembre 2001)

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