DICEMBRE
2001
Gran
movimento di uomini e mezzi a stelle e strisce
Raid su Jalalabad e Tora Bora per stanare Bin Laden
I
marines: "Ore decisive
per conquistare Kandahar"
Secondo
l'agenzia di stampa vicina ai Taliban
i bombardieri Usa avrebbero ucciso 20 civili
KANDAHAR - "Ovunque vengono avvistati
Taliban, subito scatta una pressione nei loro confronti,
come un serpente che li avvolge e sicuramente possiamo
tirarli fuori di lì nel prossimo futuro". Stringono
i tempi i marines americani, convinti che la battaglia
per Kandahar sia arrivata a un "punto
culminante". Nella base aerea allestita dagli Usa
nel deserto nel sud dell'Afghanistan, a pochi chilometri
dall'ultimo bastione degli integralisti Taliban, fervono
i preparativi per l'attacco finale. Nella base aerea Usa
c'è un gran movimento di mezzi. Ieri sera una
lunghissima colonna di veicoli americani, compresi
cingolati leggeri, ha lasciato la base. I marines
potrebbero essere partiti per Kandahar o verso Tora Bora,
dove nel ginepraio delle caverne si pensa che si stia
nascondendo Osama Bin Laden con alcune centinaia di
fedelissimi. Di più non si sa, anche perché i
giornalisti al seguito degli americani hanno l'obbligo di
non rivelare luoghi o obiettivi.
Nelle ultime ore i bombardieri americani hanno
intensificato i raid su Tora Bora e Jalalabad,
provocando, secondo l'agenzia Aip legata ai Taliban, la
morte di 20 civili e il ferimento di altre 18 persone. Ma
la guerra continua pure a Kandahar dove, secondo fonti
dell'Alleanza del nord potrebbe ancora trovarsi lo
sceicco del terrore. La città è isolata, i marines
tengono d'occhio il territorio a sud della capitale
spirituale dei Taliban mentre i bombardieri continuano a
colpire le postazioni degli studenti coranici e dei
guerriglieri stranieri loro alleati.
In particolare l'aviazione Usa ha preso di mira la zona a
sud dell'aeroporto di Kandahar dove, sempre secondo
l'Aip, le bombe hanno colpito il distretto di Agama,
circa 38 chilometri a sud della città facendo 13 vittime
e molti feriti.
(2 dicembre
2001)
Nei bunker
sotterranei nessuna traccia di Osama Bin Laden
Kandahar consegna le armi, cede anche Spin Boldak
I
Taliban consegnano le armi
presa nella notte Tora Bora
Karzai:
"Omar sarà processato"
ma il mullah non sarebbe più in città
KANDAHAR - I miliziani taliban assediati a
Kandahar hanno iniziato a deporre le armi nelle mani di
una commissione formata da membri delle tribù e delle
etnie afgane. La resa della capitale spirituale del
regime degli studenti coranici è stato il segnale della
fine per il regime. Nella notte era caduta Tora Bora, la
"città sotterranea" nelle montagne dove si
pensava si fosse rifugiato Osama Bin Laden, la provincia
di Helmand, nel sud ovest, si è arresa nella prima
mattinata, poi dopo un inutile tentativo di resistenza
anche Spin Boldak si è arresa.
Il regime si è dunque sfaldato, strangolato
dall'alleanza con Osama Bin Laden ma restano ancora in
libertà lo sceicco terrorista e il mullah Omar. Il capo
di al Qaeda non era a Tora Bora. I mujahiddin, entrati
armi in pugno nei bunker sotto le montagne, hanno trovato
cittadini arabi comprese delle donne, hanno sequestrato
armi e mezzi ma non hanno trovato alcuna traccia dello
sceicco terrorista. "Forse è in Pakistan",
dicono i miliziani dell'Alleanza del nord ma su questo
non c'è nessuna certezza.
Così come al momento è impossibile definire la sorte
del mullah Omar anche se, fonti americane sostengono che
la sua cattura è ormai prossima. Hamid Karzai, il futuro
primo ministro dell'Afghanistan, dice che sarà giudicato
da un tribunale insieme a tutti gli altri capi del regime
ma per il momento né i mujiahiddin né i marines o i
grupi speciali sono riusciti a mettergli le mani addosso.
Tuttavia, forse anche per tranquillizzare gli americani
infastiditi dalle trattative sul futuro dei capi taliban
Karzai ha detto che i leader dell'ex regime saranno
consegnati "alla giustizia internazionale".
Nei mesi passati, ha spiegato Karzai alla Cnn, "ho
chiesto al mullah Omar di rinunciare al terrorismo e di
condannare le violenze legate al terrorismo in
Afghanistan, negli Stati Uniti e nel resto del mondo. Lui
non l'ha fatto. La notte scorsa era la sua ultima
occasione per farlo prima di cedere il potere. Non l'ha
fatto e deve essere considerato responsabile di
associazione con il terrorismo". Ma dove
effettivamente sia il mullah nessuno lo sa. L'unica
notizia viene dai taliban che sostengono che il loro capo
spirituale "non è più a Kandahar e si è
trasferito in una loscalità segreta".
Altro problema sono i miliziani stranieri accorsi in
Afghanistan per rispondere alla chiamata alle armi di
Osama Bin Laden. Sarebbero, secondo foti dei Taliban,
usciti da Kandahar e si sarebbero radunati nelle
vicinanze della città. "Hanno lasciato la città,
ma sono nelle vicinanze - dicono fonti degli studenti
coranici - risolvere il loro problema è un processo
lungo e difficile".
Ma le trattative per la resa di Kandar e il ruolo svolto
dal premier in pectore hanno creato dei malumori nel
fronte dell'Aleanza del nord. Il comandante pashtun Gul
Agha ha sferrato un nuovo duro attacco contro il premier
designato Hamid Karzai precisando che "a nessuna
condizione accetterà" l'accordo raggiunto con i
taliban per la consegna di Kandahar al mullah Naqib
Ullah. Ed ha accusato Karzai di aver dato un rifugio
sicuro al mullah Omar.
(7
dicembre 2001)
Parla il
chirurgo italiano rientrato dopo mesi in Afghanistan
Kabul, le polemiche, la passione per il calcio e il
futuro
Gino
Strada: "Emergency
simbolo contro la guerra"
ROMA - Gino Strada è tornato in Italia
mercoledì sera dopo tre mesi passati in Afghanistan:
giusto in tempo per partecipare ai funerali dell'avvocato
Peppino Prisco, come lui tifosissimo dell'Inter, toccare
con mano l'ondata di solidarietà che ha circondato
Emergency dall'inizio della guerra, ed essere coinvolto
nella polemica sulla posizione sua e della sua
organizzazione nei riguardi del conflitto.
Emergency è stata oggetto di critiche per aver rifiutato
i contributi del governo italiano e aver condannato
duramente l'intervento in Afghanistan. Ci spiega questa
posizione?
"E' semplice: le organizzazioni non governative non
possono accettare i soldi della guerra. Da anni c'è la
tendenza da parte dei governi a coniugare bombe e aiuti:
lo abbiamo visto prima in Kosovo, ora in Afghanistan. Ma
per noi questo non è accettabile: si genera una
confusione che ci fa perdere il nostro ruolo e la nostra
indipendenza. Il mondo umanitario ha delle valenze etiche
molto forti: ma dove finirebbero se accettassimo i soldi
di chi tira le bombe per curare i feriti?".
Lei ha condannato gli attentati di New York, ma anche, e
con durezza, la rappresaglia americana. Tanto che si è
detto che per lei Bin Laden e Bush sono la stessa cosa...
"Nella condanna al terrorismo di Emergency sono
incluse tutte le forme di terrorismo che finiscono per
uccidere degli innocenti. Questa condanna dunque vale per
chi ha ucciso migliaia di innocenti a New York, come per
chi ha lanciato in Afghanistan cluster
bombs che uccidono bambini. Da qui
ai titoli a effetto, ne corre".
In questi mesi la solidarietà verso Emergency è
cresciuta moltissimo. Raccolte di fondi, spettacoli,
dischi: cosa vuol dire?
"La mia idea è che l'attenzione nei confronti di
Emergency sia espressione del rifiuto della guerra. Siamo
diventati una bandiera della pace in un paese che, al
contrario del suo Parlamento, non è schierato in maniera
monolitica in favore di questo conflitto. L'Italia è
quanto meno divisa in due, e i politici dovrebbero
riflettere su questo. L'impressione che ho è quella di
una democrazia violata: non capisco perché come
cittadino debba essere consultato sulla caccia, e non
sulla caccia all'uomo".
Frequenta l'Afghanistan da anni. Qual è la situazione
ora? Cosa possiamo aspettarci per il futuro?
"La situazione è ancora molto instabile e fluida:
ci sono già malumori nei confronti del nuovo governo, e
per la vita della gente non è cambiato molto. Mancano
ancora cibo e beni primari. In ospedale, noi continuiamo
a ricevere almeno un ferito da mina o da cluster
bomb al giorno. I nostri posti letto
sono tutti occupati, pieni di civili e di combattenti di
entrambe le parti, compresi molti stranieri. Tutti
sperano che questa sia la fine di 25 anni di conflitti,
molti temono che non sia così".
E' a casa dopo molti mesi di lavoro. Cosa farà ora?
"Passerò il Natale con la mia famiglia, e spero di
essere ancora in grado di cucinare per loro un buon
piatto di pesce. Poi domani andrò allo stadio a vedere
Inter-Chievo: è una partita importantissima, fra le due
prime in classifica, non posso mancare. Poi fra qualche
settimana ripartirò. Destinazione: Kabul".
(14
dicembre 2001)
Nel filmato
trasmesso da Al Jazeera lo sceicco saudita
appare pallido e invecchiato, ma non meno minaccioso
Bin
Laden nell'ultimo video:
"La fine dell'America è vicina"
BEIRUT - Pallido e stanco, ma non per questo
meno risoluto, Bin Laden si è mostrato in video
rilanciando i suoi propositi guerreschi: "La fine
dell'America è imminente, sia che io viva che io
muoia". La versione integrale del nuovo filmato
anticipato ieri è andata in onda stasera sulla tv
satellitare Al Jazeera a partire dalle 19.35, ora
italiana. La registrazione dura poco più di mezz'ora.
Leggermente più emaciato in volto rispetto alle
precedenti apparizioni, il terrorista più ricercato del
mondo, che indossava una tuta mimetica e aveva a fianco
l'inseparabile kalashikov, ha esordito affermando che
"tre mesi dopo i benedetti attacchi contro l'ateismo
mondiale e il suo leader, l'America, e quasi due mesi
dopo l'inizio della feroce crociata contro l'Islam,
dobbiamo fare il punto dell'impatto avuto da questi
eventi che hanno dimostrato importanti verità".
Quella principale, dal punto di vista dello sceicco
saudita, è che l'Occidente odia l'Islam. "E' ormai
chiaro - ha proseguito con calma - che l'Occidente in
generale e l'America in particolare provano un indicibile
odio nei confronti dell'Islam e coloro che hanno vissuto
gli ultimi mesi sotto i continui bombardamenti americani
lo hanno capito bene". "Quanti villaggi sono
stati distrutti - si chiede Bin Laden - e quanti milioni
di persone sono state buttate fuori al freddo? Questi
uomini, donne e bambini che sono stati dannati e ora
vivono sotto le tende in Pakistan non hanno commesso
alcun peccato. Essi sono innocenti. Ma, sulla base di un
puro sospetto, gli Stati Uniti hanno scatenato questa
crudele campagna".
La trasmissione del video ha aperto più interrogativi a
Washington di quante risposte abbia dato sulla sorte
dell'uomo che il presidente George W. Bush ha detto di
volere "vivo o morto". Era il timore più
grande in seno all'amministrazione Bush: ritrovarsi Bin
Laden su Al Jazeera dopo esser sfuggito ai bombardamenti,
aveva detto proprio ieri un alto funzionario
dell'intelligence Usa. Puntualmente poche ore dopo la tv
del Qatar faceva con la nuova cassetta l'ennesimo scoop.
La mezz'ora del nastro ha colto in contropiede la squadra
di George Bush. Ancora oggi la Casa Bianca ha dibattuto
su come articolare la risposta al messaggio, e uno
scenario allo studio è stato di affidarla, come in
passato all'ambasciatore in Siria Chris Ross, che parla
arabo correttamente e ha già replicato su Al Jazeera in
novembre a un altro video di Bin Laden.
"Non sappiamo se Osama sia in Afghanistan o in
Pakistan. Non sappiamo se sia vivo o morto. Non abbiamo
idea", ha detto il portavoce del Pentagono Richard
McGraw. In Texas, fonti vicine al presidente Bush che si
accinge a passare il capodanno nel ranch di Crawford,
hanno liquidato come "la solita stanca retorica, la
solita propaganda anti-occidentale" la nuova
apparizione televisiva del leader di Al Qaeda.
Bin Laden soffre di diabete e nel video di Al Jazeera
appare stanco, pallido, invecchiato. E' mancino, ma nel
video gesticola con la mano destra tanto che alcuni
commentatori si sono chiesti se non fosse ferito. C'è
chi, in Kuwait, ha ipotizzato che la cassetta rappresenti
"il suo ultimo messaggio".
"Ha l'aspetto di qualcuno che non ha dormito molto
negli ultimi giorni, che ha passato molto tempo lontano
dal sole", ha commentato per la Cnn l'ex consigliere
per la sicurezza nazionale di Bill Clinton, Sandy Berger.
Il video anche stavolta non aiuta: "Non ci conferma
neanche se sia ancora in vita", ha detto una fonte
dell'amministrazione notando che, se è vero che Al
Jazeera è entrata in possesso della cassetta il giorno
di Natale, la formidabile rete di Al Qaeda ha impiegato
settimane per farlo pervenire dal Pakistan in Qatar:
"Per chiunque volesse far arrivare il suo messaggio
in fretta - ha detto un funzionario - è un passo da
lumaca".
(27
dicembre 2001)
Sotto il bombardamento Usa, crolla il regime dei
Taliban e
l'Alleanza del Nord conquista Kabul e le principali
città afgane. A Bonn, sotto l'egida delle Nazioni Unite,
le fazioni afgane raggiungono un accordo per il nuovo
governo che sarà guidato da Hamid Karzai. Cadono prima
Kandahar e poi Tora Bora. L'Onu raggiunge un accordo per
mandare una forza di pace nel paese. Gli Usa diffondono
un video in cui Bin Laden rivendica gli attentati dell'11
settembre. Ecco gli altri eventi di questo mese.
Infuocata
seduta al Senato. Il ministro Castelli accusa i giudici
"Alcuni magistrati usano la toga per fare lotta
politica"
Il
caso Taormina si chiude
Berlusconi accetta le dimissioni
Il
presidente del Senato Pera rinvia il dibattito a domani
Il centrosinistra protesta a lungo
ROMA - La "telenovela" si chiude
alle 19,15 quando il ministro per i rapporti con il
Parlamento Giovanardi annuncia che le dimissioni del
sottosegretario al'Interno Carlo Taormina - annunciate
poco prima con una lettera dal ministro degli Interni
Scajola - sono state accettate. Poche parole, che
chiudono un seduta costantemente ai confini della rissa
al Senato.
Il colpo di scena delle dimissioni, anticipato alla
vigilia della votazione dallo stesso premier, si è
materializzato dopo un pomeriggio di notizie e smentite.
L'apice in una contestatissima ricostruzione della
questione giustizia, dove il ministro Roberto Castelli
ripete in aula tutti i temi cari alla Casa delle libertà
a partire dalla politicizzazione di alcuni magistrati che
"vogliono ribaltare per via giudiziaria il verdetto
elettorale". Parole che scatenano la reazione del
centrosinistra, duro anche con l'atteggiamento "poco
bipartisan" del presidente Pera.
La seduta inizia con le comunicazioni del ministro
Castelli che disegna un "quadro generale" in
cui descrive una "giustizia al collasso" e un
Paese oberato da quello che il ministro chiama "da
debito pubblico giudiziario", addebitando la
situazione all'eredità ricevuta dalla sinistra.
E mentre l'opposizione insorge il ministro continua
accennando per la prima volta al sottosegretario:
"Perché questo polverone? Il sottosegretario, con
toni forti va ammesso, ha sollevato questione reale. Due
esponenti del governo, Berlusconi e Bossi hanno subito
più di un centinaio di provvedimenti e questo è un dato
oggettivo che fa nascere il legittimo sospetto che parte
della magistratura faccia lotta politica".
Altri boati di disapprovazione dai banchi del
centrosinistra che Castelli alimenta citando i casi di
magistrati che hanno parlato contro la legge sulle
rogatorie e sul G8 e per i quali "ho avviato la
procedura disciplinare" per poi affondare il colpo
diretto sul mento dell'opposizione: "Taormina ha
attirato l'attenzione sul problema di una magistratura
contigua o addirittura interna alla sinistra. La
magistratura deve essere indipendente dal potere politico
ma quest'ultimo deve essere protetto da attacchi
strumentali da parte dei giudici".
Castelli smette di parlare nella bagarre assoluta e nella
confusione il presidente del Senato Pera annuncia che il
ministro Scajola doveva fare delle comunicazioni. A
questo punto si capisce che Taormina decide di lasciare,
e infatti Scajola annuncia una lettera di Taormina a
Berlusconi in cui annuncia le dimissioni. Lettera che
Scajola legge ai senatori. "Chiedo - scrive Taormina
- ai detrattori di volermi riconoscere non già valenza
scientifica ma la fedeltà morale agli ideali di
giustizia". L'ex sottosegretario esprime ammirazione
per i giudici ma afferma: "Mi batto però perché
disonesti, incapaci o politicizzati non facciano parte
della magistratura. Signor presidente del Consiglio,
metto a disposizione il mio mandato nella certezza che il
mio sacrificio serva affinché il governo possa essere
additato per aver restituito ai cittadini la fiducia
nella vera giustizia". Poco dopo tocca a Pera
annunciare il rinvio del dibattito a domani.
(4
dicembre 2001)
Dura
risposta dell'Anm agli attacchi della maggioranza
Il presidente Gennaro: "Non accettiamo processi
sommari"
Giustizia,
si dimette
la giunta dei magistrati
Il
procuratore di Milano D'Ambrosio denuncia:
"Gravissima l'accusa di uso politico delle
sentenze"
ROMA - Il veleno del caso Taormina sta nella
coda, con le dimissioni dell'intera giunta
dell'Associazione nazionale magistrati. Il giorno dopo le
dimissioni dell'avvocato sottosegretario lo scontro tra
maggioranza e opposizione continua. Berlusconi annuncia
che "cambierà la riforma in sei mesi" e la
magistratura reagisce con un'iniziativa unica nel suo
genere. Non era mai successo che il gruppo dirigente
eletto dall'Anm abbandonasse in blococ la carica. La
motivazione è nei contenuti della risoluzione della
Casa della libertà sulla giustizia e i ripetuti attacchi
ai magistrati sul suo uso politico.
A spiegare il gesto è il presidente dell'Associazione,
Giuseppe Gennaro: "Non accettiamo di essere
processati in maniera sommaria con giudizi immotivati ed
ingiusti", e aggiunge che in queste condizioni è
impossibile proseguire sulla strada del dialogo.
Immediata la reazione del ministro Castelli, che, questa
volta, usa parole concilianti: "Invito la giunta
dell'Anm a ripensarci. Proprio adesso che, come ho detto
anche in Senato, dobbiamo aprire un tavolo per discutere
di cose concrete, spero che ci ripensi...".
Ad aprie la giornata sul fronte dei giudici, il
procuratore della Repubblica di Milano, Gerardo
D'Ambrosio: "La sottoposizione del pubblico
ministero all'esecutivo non è certo salutare nel nostro
Paese" e aggiunge: "Non bisogna mai dimenticare
che l'Italia è uscita da un ventennio di fascismo. E
anche dopo la fine della dittatura, nonostante che i
costituenti si fossero preoccupati di assicurare
l'indipendenza al pm, vi sono stati procuratori della
Repubblica che hanno archiviato i procedimenti nel
cassetto solo per soggezione, e non per sottoposizione
all'esecutivo".
"Non mi stupisco affatto - continua D'Ambrosio - che
il governo affronti il tema della sottoposizione del pm
all'esecutivo, perchè la separazione delle carriere tra
magistratura giudicante e pubblico ministero faceva parte
del programma della Casa delle Libertà. Un programma per
realizzare il quale la maggioranza degli italiani ha dato
il proprio consenso".
Secondo il Procuratore di Milano, infatti, "la
separazione è prodromica alla sottoposizione del pm
all'esecutivo. Ne è la conseguenza logica".
D'Ambrosio ha ribadito ancora una volta di "non
essere assolutamente contrario ad una separazione delle
funzioni tra giudici e pubblici ministeri" e, in
relazione alle accuse del ministro Castelli ad una parte
della magistratura che avrebbe usato le proprie funzioni
per fare politica, risponde: "E' un'aaccusa
gravissima per chi ha esercitato le proprie funzioni in
modo imparziale e nella perfetta osservanza della
legge".
(5
dicembre 2001)
Il gruppo
torinese cambia tutto, chiuderà 18 stabilimenti
due in Italia, previste cassa integrazione e
flessibilità
Rivoluzione
alla Fiat
tagli e ristrutturazioni
Manovra
finanziaria da 12 mila miliardi: tra aumento
di capitale, dismissioni e un'operazione americana
TORINO - Rivoluzione alla Fiat. Il Cda
straordinario convocato oggi ridisegna la strategia
dell'intero settore auto a partire dalla rimozione
dell'amministratore delegato Roberto Testore. In due anni
il gruppo torinese ha progettato un piano di
ristrutturazione e chiusure in 18 stabilimenti, due dei
quali in Italia. Gli organici all'estero saranno ridotti
di 6.000 unità. Ma anche in Italia si ricorrerà agli
ammortizzatori sociali. A questi provvedimenti
strutturali corrispondono dismissioni finanziarie per
oltre 3.872 miliardi di lire (due miliardi di euro) ai
quali si aggiunge un aumento di capitale da 1.936
miliardi di lire (un miliardo di euro) mediante offerta
di opzione agli azionisti di nuove azioni ordinarie con
warrant. Inoltre, è stao approvato un prestito
obbligazionario quinquennale per l'importo di 2,2
miliardi di dollari (4.700 miliardi di lire, 2,4 miliardi
di euro) convertibile in circa 32 milioni di azioni
General Motors. L'operazione sarà lanciata domani.
La lunga giornata della Fiat incomincia alle 16 con la
convocazione del Cda straordinario. In Borsa vengono
sospese le azioni della galassia, Ifi, Ifil e Fiat.
L'ipotesi più accreditata è che il Lingotto metterà
mano a una sostanziale riduzione dell'indebitamento
dovuto all'aggravarsi della crisi del mercato dell'auto.
Ma questo è solo uno degli aspetti di quanto emergerà
poco più tardi. Non una semplice operazione di
contenimento attraverso la conversione di azioni
obbligazionarie in ordinari: quello che comunica Fiat
alla fine della riunione è una rivoluzione, sia
industriale che finanziaria.
Cambio al vertice. Roberto
Testore si è dimesso
dall'incarico di amministratore delegato di Fiat Auto che
lascerà a fine anno. A prendere il suo posto sarà Giancarlo Boschetti dal
1990 amministratore delegato dell'Iveco. La conferma è
arrivata in serata con un comunicato. Amministratore
delegato di Iveco è stato nominato Michel De Lambert,
ora in Iveco responsabile di Transolver e amministratore
delegato di Fraikin, società che si occupa di noleggio a
lungo termine di veicoli industriali.
Ristrutturazioni
e chiusure Nel periodo
2002-2004 la Fiat attuerà un piano che prevede la
razionalizzazione degli impianti, ristrutturazioni e
chiusure in 18 stabilimenti, due dei quali in Italia.
Quindici verranno ristrutturati o chiusi entro la fine
del 2003. Gli organici saranno ridotti di 6.000 unità al
di fuori dell'Italia. Per quanto riguarda l'Italia il
gruppo - precisa la nota - sta utilizzando tutti gli
strumenti di flessibilità disponibili, dalla cassa
integrazione al minor ricorso al lavoro temporaneo e
interinale. Il piano di ristrutturazione industriale
comporta costi straordinari accantonati per circa 800
milioni di euro nell'esercizio 2001 (150 di questi
saranno un esborso di cassa), con conseguente impatto
negativo sui conti dell'anno.
"Da questo consiglio di amministrazione arriveranno
sicuramente guai per i lavoratori", è stato il
primo commento del segretario generale della Fiom
Piemonte, Giorgio Cremaschi. "Purtroppo resta la
rabbia - ha aggiunto - per essere stati per troppo tempo
gli unici a dire che in Fiat le cose non andavano come
l'azienda diceva".
La nuova Fiat. La Fiat Auto sarà riorganizzata in
quattro unità di business: Fiat/Lancia, Alfa Romeo,
Sviluppi internazionali, Servizi. Ciascuna sarà
trasformata in una vera e propria azienda, responsabile
dei propri risultati economici e finanziari.
Aumento di capitale. Sarà di un miliardo di euro (1.936
miliardi di lire), mediante offerta di opzione agli
azionisti di nuove azioni ordinarie con warrant. Saranno
emesse 65.820.600 azioni ordinarie nel rapporto di 3
nuove azioni ogni 25 azioni possedute, di qualsiasi
categoria, al prezzo di sottoscrizione di 15,5 euro per
azione (di cui 10,5 euro a titolo di sovrapprezzo) con
godimento l'1 gennaio 2001.
I warrant, di tipo europeo, sono esercitabili alla
scadenza. In tale occasione fiat ha la facoltà di
corrispondere, in luogo delle azioni da emettere, il
differenziale tra la quotazione delle azioni ordinarie e
il prezzo di esercizio. Il prezzo di esercizio del
warrant verrà definito in prossimità dell'avvio
dell'operazione il cui lancio è previsto a gennaio.
Ifi e Ifil, le cassaforti della famiglia Agnelli,
parteciperanno per la quota di loro competenza
all'aumento di capitale sottoscrivendo le azioni
ordinarie spettanti alle azioni sia ordinarie sia
privilegiate Fiat possedute, al fine di mantenere una
quota superiore al 30% del capitale ordinario. Ifi e Ifil
investiranno circa 300 milioni di euro (581 miliardi di
lire).
General Motors. Il prestito obbligazionario con General
Motors sarà emesso dalla controllata Fiat Finance
Luxembourg. Nel caso di consegna delle azioni a seguito
di completa richiesta di conversione, la posizione
finanziaria netta del gruppo migliorerebbe di circa 2,2
miliardi di dollari (circa 4.780 miliardi di lire, 2,4
miliardi di euro).
L'operazione - sottolinea un comunicato - permette al
gruppo di raggiungere contemporaneamente più obiettivi:
un finanziamento a costo ridotto che consente la
riduzione degli utilizzi di linee bancarie e il rimborso
di altro debito; la diversificazione delle fonti di
finanziamento tramite un collocamento presso un target di
investitori istituzionali diversi da quelli che
tipicamente sottoscrivono le emissioni di titoli di
debito del gruppo; l'allungamento delle scadenze del
debito per rafforzare il profilo di liquidità del
gruppo.
(10
dicembre 2001)
Roma, il
faccia a faccia tra Berlusconi
e il premier belga ha esito positivo
Italia-Ue,
compromesso
sul mandato di cattura
Immutata
la lista dei reati, in cambio il nostro Paese ottiene
di renderla operativa solo dopo modifiche costituzionali
ROMA - "L'Italia accetta il mandato di
cattura europeo e si avvia a firmare un accordo che
comunque dovrà tener conto delle necessarie modifiche
delle procedure di diritto interno per rendere
compatibili le nuove norme europee con i diritti
fondamentali previsti dal nostro Paese": si risolve
così, con un accordo il rebus sulla giustizia. Ad
annunciarlo è il presidente del Consiglio Silvio
Berlusconi, in una conferenza stampa congiunta con il il
primo ministro belga Guy Verhofstadt, arrivato a Roma
proprio per ricucire, in extremis, lo strappo tra il
governo e il resto dell'Unione.
Alla base dell'intesa, un compromesso basato su un
principio "irrinunciabile": per rendere
operativo il mandato di cattura europeo, l'Italia dovrà
modificare la sua Costituzione. Per questo motivo, ha
proseguito Berlusconi, "l'esecutivo si rimette al
Parlamento" ed eventualmente ai cittadini, che
potranno esprimersi con un referendum sulle leggi
costituzionali.
Sui tempi, il presidente del Consiglio non dà certezze,
ma dice di sperare che tutto si concluderà entro il
2004. Quanto al premier del Belgio - presidente di turno
della Ue - Verhofstadt ha assicurato che il Consiglio
Europeo prenderà atto della necessità di modificare la
nostra Costituzione. E ha poi espresso soddisfazione per
l'intesa raggiunta.
Si conclude così una vicenda che ha rischiato di
provocare una spaccatura profonda tra l'Italia e il resto
dei Quindici. E che, sul fronte interno, ha provocato
polemiche durissime tra maggioranza e opposizione. Il
nostro governo, infatti, si opponeva fermamente al fatto
che nella lista dei reati inclusi nel mandato di cattura
ci fossero voci come corruzione e riciclaggio. Su questo,
però, gli altri paesi sono stati intransigenti,
rifiutandosi di ritoccare l'elenco. Accettando, invece,
un compromesso sui modi e i tempi di attuazione. E adesso
che tutto finito, Berlusconi non resiste e lancia una
battuta polemica ai giornalisti: "Ci vediamo alla
prossima telenovela...".
(11
dicembre 2001)
Gli Usa
cercano di salvare la situazione
ma in Israele prevalgono le istanze più estreme
Israele
rompe con Arafat
"Non è più credibile"
GERUSALEMME - Yasser Arafat è solo. Nello
notte, dopo l'attentato che ha ucciso dieci coloni e
ferito almeno altre trenta persone, il governo
israeliano, con l'opposizione del ministro degli Esteri
Shimon Peres, ha deciso di rompere i contatti con il
presidente dell'Autorità nazionale palestinese.
"Israele si difenderà con le sue forze e ritiene
che Arafat sia fuori gioco - ha detto un portavoce - Non
avremo più contatti con lui dato che non fa niente
contro il terrorismo". Si tratta di una decisione
drastica, mai presa finora, accompagnata da quella di
dare via libera a una serie di operazioni militari nei
Territori tese a "attuare arresti e confiscare
armi".
Israele specifica però che non sta cercando di uccidere
Arafat. "La decisione di rompere con il presidente
palestinese - ha proseguito il portavoce - non significa
che il governo israeliano voglia colpirlo
fisicamente".
Arafat è sotto assedio a Ramallah: il presidente
palestinese si trova in un edificio a 200 metri da quello
della radio dell'Anp distrutta questa mattina dai carri
armati israeliani. "Non è felice, ma è vivo",
ha detto di lui Radun Abu Ayash, direttore della
radio-televisione distrutta.
Gli Stati Uniti, che la scorsa settimana hanno inviato
nella zona un nuovo mediatore, Anthony Zinni, cercano di
calmare le acque: "Arafat rimane il capo
dell'Autorità nazionale palestinese e gli Usa vogliono
continuare a negoziare con la sua dirigenza", ha
detto a Damasco il vicesegretario di Stato Williams
Burns. Ma in Israele sembrano prevalere le istanze più
estremiste: secondo il ministro della Sicurezza interna,
Uzi Landau, il governo dovrebbe prendere in
considerazione l'ipotesi di espellere il presidente
dell'Anp. Landau, spesso su posizioni più estreme di
quelle del primo ministro Sharon, interrogato sulla
possibilità di espellere Arafat ha detto. "E' una
questione tattica e anche una questione politica. Non
dovremmo escludere questa possbilità".
(13
dicembre 2001)
Via libera
questa mattina dal Consiglio dei ministri
Bossi: "Entro fine inverno il primo passaggio alle
Camere"
Devolution,
approvato
il disegno di legge
ROMA - Il governo ha approvato il disegno di
legge costituzionale sulla Devolution, che trasferisce
competenza esclusiva alle Regioni in materia di scuola,
sanità e polizia locale. Il provvedimento il 20 dicembre
arriverà all'esame della Conferenza Stato-Regioni, che
deve esprimere il suo parere; dopo potrà cominciare
l'iter parlamentare.
Il testo, che riforma gli articoli 117, 116, 118 e 123
della Costituzione, è uno storico cavallo di battaglia
della Lega. Così oggi, dopo il varo, il commento del
ministro delle Riforme, nonché leader del Carroccio, è
entusiasta: "Oggi cambia tutto, l'Italia diventerà
uno stato federale. Non c'è più il mini federalismo
della sinistra, con le piccole competenze delle regioni
che più o meno le avevano già".
Il riferimento di Bossi è al progetto di riforma
federale approvato dall'Ulivo nella scorsa legislatura:
progetto sul quale è stato indetto anche il referendum
confermativo, così come prevede la Costituzione. La
consultazione si è svolta due mesi fa: a prevalere è
stato il sì, con un'affluenza intorno al 34 per cento.
"Certo - prosegue ancora Bossi - il percorso è
ancora lungo, però il processo si è messo in moto e si
è messo in moto nei tempi stabiliti. Il disegno di legge
non era previsto immediatamente, era previsto per il
secondo semestre e nel secondo semestre è passato. Ormai
le cose sono avviate...". Il ministro conclude
annunciando che entro la fine dell'inverno il primo
passaggio per le due Camere potrebbe essere concluso.
(13
dicembre 2001)
La sentenza
è appena più mite delle richieste del pm
Entrambi i ragazzi in lacrime dopo la lettura del
verdetto
Condannati
Erika e Omar
16 anni per lei, 14 per lui
I
giudici non hanno riconosciuto ai due, come chiesto
dai legali, l'incapacità d'intendere e volere
TORINO - Erika condannata a 16 anni, Omar a
14. Questo il verdetto sul duplice omicidio di Novi
Ligure, compiuto lo scorso 21 febbraio, in cui furono
uccisi a coltellate la madre della ragazza, Susy Cassini,
e il suo fratellino Gianluca. Una sentenza dura, che
ammorbidisce di pochissimo le richieste del pubblico
ministero Livia Locci. Erika e Omar, ritenuti capaci di
intendere e di volere, resteranno in carcere. Il
Tribunale dei Minori di Torino, nel rendere noto
quest'ultimo particolare, chiede a tutti di far calare un
velo di silenzio sulla vicenda.
La sentenza è
arrivata oggi pomeriggio poco prima delle 17 e dopo sette
ore di camera di consiglio. I giudici del Tribunale dei
minori del capoluogo piemontese si erano riuniti alle
9,30 di questa mattina. Si conclude così il breve
dibattimento - svolto con rito abbreviato - per uno dei
fatti di sangue che hanno sconvolto di più l'opinione
pubblica.
Nella requisitoria il pm Livia Locci, aveva chiesto 20
anni di reclusione per Erika, e 16 per Omar. Una
riduzione di pena quella concessa ai due imputati, che i
legali della ragazza, Mario Boccassi e Cesare Zaccone,
hanno spiegato con la minore età e le attenuanti
generiche. Erika, vestita di nero, con una giacca di
pelle rossa, ha ascoltato in silenzio la lettura, poi è
scoppiata a piangere. Sembrava molto arrabbiata. Si è
sfogata con i suoi avvocati, poi è stata consolata dal
padre, l'ingegnere Francesco De Nardo, che le è sempre
stato accanto nelle diverse fasi del processo. Omar,
maglione e jeans, ha stretto la mano ai suoi legali ed è
scoppiato in lacrime. I suoi genitori non c'erano, hanno
atteso a casa e sono stati informati dai legali del
ragazzo.
Anche Omar ha pianto alla lettura del dispositivo di
sentenza: a raccontarlo i legali del giovane, Lorenzo
Repetti e Vittorio Gatti. "Non siamo contenti della
pena - hanno detto - ma nella seconda parte del
dispoitivo viene chiaramente sottolineato che Omar è
recuperabile e per questo motivo sarà valutato con
attenzione per verificare la possibilità di eventuali
progetti di recupero".
I difensori avevano invocato l'assoluzione, motivandola
con l'incapacità di intendere e di volere al momento del
fatto. In subordine avevano chiesto, per Erika, il vizio
parziale di mente e, per Omar, la sospensione del
procedimento con la messa in prova dell'imputato. In
sostanza, non il carcere, ma un periodo di
"osservazione" in cui l'imputato lavora a certe
condizioni in un servizio socialmente utile e vive a casa
o in comunità seguendo orari e ritmi rigidissimi. Al
termine del periodo, se supera la "prova",
potrebbe essere libero perché estinto il reato.
Ma era chiaro, da tanti segnali, che le richieste
dell'accusa, motivate anche dalla necessità di dare ai
giovani un'indicazione di fermezza davanti a reati così
terribili, sarebbero state accolte almeno parzialmente.
D'altra parte, la corte disponeva di una perizia che
stabiliva la piena capacità di intendere e di volere dei
due ragazzi.
(14
dicembre 2001)
L'incendio
è scoppiato all'una di notte nel Salernitano
e per gli ospiti a letto non c'è stato nulla da fare
Brucia
casa per anziani
muoiono 19 malati psichici
La
struttura era nuova ma costruita con vetroresina
infiammabile
la causa più verosimile del disastro sembra un corto
circuito
SAN GREGORIO MAGNO (SALERNO) - Arse vive o
asfissiate, sono morte nell'incendio di una casa per
anziani 19 persone. Solo otto sono gli scampati dalle
fiamme che hanno avvolto, nella notte, a San Gregorio
Magno in provincia di Salerno tre prefabbricati contigui
adibiti dalla Asl a Struttura Intermedia Riabilitativa.
Vi erano alloggiati anziani con handicap psichiatrici ed
alcuni anche con deficit motori. La causa più verosimile
del tragico incidente sembra al momento un corto circuito
elettrico.
All'alba il lavoro dei vigili del fuoco di Eboli e
Salerno continuava febbrile, in un'aria resa
difficilmente respirabile dal fumo che sale dalle macerie
dei prefabbricati. Il centro per anziani si trova lungo
la strada che unisce San Gregorio Magno a Buccino. Il
fuoco è divampato a grande velocità - facilitato dalle
strutture in vetroresina, molto infiammabile - provocando
in pochissimo tempo il crollo della struttura
prefabbricata che era stata donata al Comune dalla
Francia, dopo il terremoto del 23 novembre 1980 che aveva
duramente colpito la zona.
Le fiamme si sono propagate all'improvviso all'una della
scorsa notte. Gli infermieri in servizio hanno avuto
appena il tempo di rendersi conto di quanto stava
accadendo che già la situazione era divenuta
incontrollabile. In pochi minuti si è consumata la
tragedia: fiamme, fumo, crolli, rovine. E gli anziani,
rimasti bloccati nei loro letti, sono morti senza
possibilità di scampo.
Scattato l'allarme, sul posto sono giunti i vigili del
fuoco, i carabinieri, la polizia, mentre sia da San
Gregorio Magno che da Buccino, numerosi volontari hanno
sfidato il rigore della notte, nel tentativo - ma era
solo una speranza - di poter prestare aiuto.
Era un centro di riabilitazione nuovo, operativo dal
1997. Le vittime - secondo quanto si è e appreso -
avevano un'età compresa tra i 25 e i 60 anni.
Provenivano tutti da varie strutture psichiatriche della
provincia di Salerno e dormivano in camerette con due o
tre letti. Le persone che si sono salvate vi sono
riuscite grazie all'aiuto di tre infermiere, ora
interrogate dagli investigatori per cercare di stabilire
con precisione le cause dell'incendio.
"E' un fatto accidentale. E' ormai quasi sicuro che
è così" ha dichiarato il sostituto procuratore
della Repubblica del Tribunale di Salerno, Maria Carmela
Polito, all'uscita dal centro distrutto. Il magistrato ha
aggiunto che nell'incendio "non vi dovrebbero essere
responsabilità, al massimo qualcuna di natura colposa,
ma è ancora presto per dirlo"
Nel centro vi erano 5 "moduli abitativi" dove
si trovavano alloggiati i pazienti. Quando sono
intervenuti i pompieri, tre "moduli" erano
stati già completamente divorati dalle fiamme, un quarto
era stato semidistrutto e il quinto era rimasto indenne.
Un vigile del fuoco ha spiegato che in ogni modulo
abitativo vi era un impianto di riscaldamento a muro ed
è probabile che un corto circuito abbia determinato la
tragedia.
(16
dicembre 2001)
Misura
estrema per fermare gli assalti ai negozi e le rivolte
Si sarebbe dimesso il ministro dell'Economia, Cavallo
Argentina,
De la Rua
proclama lo stato d'assedio
Quattro
i morti negli scontri di oggi
BUENOS AIRES - Torna lo stato d'assedio in
Argentina: a più di venti anni dall'instaurazione della
dittatura nel Paese, il presidente democraticamente
eletto Fernado De la Rua ha deciso di ricorrere alla più
estrema delle misure per fermare le rivolte e gli assalti ai
negozi che si sono moltiplicati in tutto il Paese in
seguito alla crisi economica. L'annuncio dello stato
d'assedio non è ancora stato dato ufficialmente, ma è
stato confermato da fonti vicine alla presidenza, che
preferiscono rimanere anonime, alle agenzie di stampa.
La decisione è stata presa al termine di una riunione di
emergenza del governo convocata oggi nella Casa Rosada a
Buenos Aires: al centro del dibattito la politica
economica restrittiva voluta dal ministro dell'Economia
Domingo Cavallo per arginare il debito pubblico
nazionale, pari a 132 miliardi di dollari. Cavallo,
secondo voci non confermate, potrebbe essersi dimesso: al
suo posto subentrerebbe un triumvirato di responsabili
economici di ispirazione nettamente neoliberale.
Ieri il presidente De la Rua aveva negato di avere
intenzione di dichiarare lo stato d'assedio: ma gli
assalti ai supermercati in tutto il paese, i quattro
morti e le decine di feriti in seguito agli spintoni e ai
proiettili di gomma sparati dalla polizia, oltre ai sassi
lanciati contro la sua auto nel pieno centro della
capitale nel pomeriggio gli hanno fatto cambiare idea.
Fra ieri e oggi la gente è scesa in piazza in tutto il
paese dando l'assalto ai negozi e prendendo tutto quello
che era possibile: cibo, vestiario, mezzi di trasporto,
beni per la casa. Scene simili a quelle viste nel 1989,
quando una rivolta cacciò l'allora presidente Raul
Alfonsin. De la Rua ha deciso una distribuzione di aiuti
per sette milioni di dollari, ma questo non è bastato a
fermare la rabbia di un paese che vede ogni giorno le
liste di chi vive sotto la soglia della povertà
allungarsi di 2000 persone.
L'economia argentina è in cattive acque da anni: quella
che era una delle maggiori promesse dei mercati emergenti
alla negli anni '90, è stata costretta ad ancorare la
sua moneta al dollaro per arginare la svalutazione. Ma la
misura non ha funzionato. Ultimo a prendersi carico della
drammatica situazione è stato Domingo Cavallo, già
autore negli anni passati di un piano di ripresa
economica che aveva raccolto i consensi degli economisti
di mezzo mondo. Questa volta il superministro
dell'Economia ha presentato al Parlamento misure che
implicavano tagli alla spesa pubblica per il 2002 di
quasi il 20 per cento. Ma in un Paese che ha alle spalle
quattro anni di recessione e dove la disoccupazione è al
18,3 per cento, questa politica ha provocato una
durissima reazione popolare.
(19
dicembre 2001)
Si è
concluso oggi, con il sì del Senato, il lungo iter
del provvedimento che cambia le regole delle elezioni
E'
legge: gli italiani all'estero
voteranno dalle prossime elezioni
Eleggeranno
12 deputati e 6 senatori fra candidati
residenti fuori Italia. Le quattro circoscrizioni
ROMA - Gli italiani all'estero potranno
finalmente votare davvero. Con il sì del Senato è
definitivamente passata la legge di attuazione che fissa
le nuove regole per l'elezione dei rappresentanti.
L'assemblea di palazzo Madama ha infatti concluso il
lungo esame parlamentare del provvedimento, confermando
il testo approvato dalla Camera lo scorso 20 novembre. La
votazione del Senato è stata pressoché plebiscitaria:
185 sì, un no e dieci astenuti, i senatori del gruppo
Verde.
Mirko Tremaglia, ministro per gli Italiani nel Mondo e
storico sostenitore della legge che vede oggi la luce non
ha saputo, uscendo dall'aula, trattenere la commozione:
"Oggi è il coronamento di un impegno di anni e
anni. E' una grandissima vittoria, una grandissima
giornata, anche per il Parlamento". Tremaglia ha
dedicato l'approvazione definitiva della legge a suo
figlio Marzio, scomparso qualche anno fa, agli italiani
all'estero ("che hanno avuto in passato tante
illusioni") e al presidente della Repubblica
"che si è innamorato degli italiani
all'estero".
La legge costituzionale di modifica
all'articolo 48 della Carta fondamentale era
stata approvata definitivamente, in seconda lettura, il
29 settmbre del 1999. Restava, appunto, la legge di
attuazione che ha avuto un iter abbastanza travagliato
che oggi è giunto in porto.
Alle prossime elezioni politiche, dunque, gli italiani
all'estero potranno votare per eleggere i loro
rappresentanti al Parlamento. Voteranno per posta, con il
sistema proporzionale, per eleggere dodici deputati e sei
senatori. Nella circoscrizione estero potrà candidarsi
solo chi risiede fuori dalla madre patria. Il voto per
posta potrà essere usato anche per i referendum.
Ecco, in sintesi, che cosa prevede la legge punto per
punto.
LA CIRCOSCRIZIONE ESTERO
La nuova circoscrizione sarà articolata in quattro
ripartizioni. In ognuna di esse verrà eletto un deputato
e un senatore; gli altri seggi riservati agli italiani
all'estero saranno distribuiti in proporzione al numero
dei cittadini italiani che risiedono nelle quattro
ripartizioni.
Le quattro ripartizioni in cui è divisa la
circoscrizione estero sono:
1) Europa (compresa la Federazione Russa e la Turchia);
2) America Meridionale;
3) America Settentrionale e Centrale;
4) Africa, Asia, Oceania e Antartide.
CANDIDATURE
Nella circoscrizione estero, potranno candidarsi
unicamente gli italiani residenti fuori dai confini
nazionali e che non tornano in Italia per votare.
OPZIONE
A ogni tornata elettorale, il cittadino italiano
residente all'estero dovrà scegliere se votare nella
circoscrizione estero o in Italia. Se sceglierà
l'Italia, voterà nella circoscrizione in cui è
iscritto.
QUANDO SI VOTA
Gli italiani all'estero saranno chiamati a votare qualche
giorno prima della scadenza della campagna elettorale
nazionale. Saranno validi i voti giunti al consolato
entro le 16 del giovedì che precede la domenica
elettorale.
COME SI VOTA
Ogni elettore riceverà dal consolato più vicino un
pacchetto contenente un foglio con le istruzioni per
votare, le liste dei candidati, il testo della legge, il
certificato elettorale, la scheda e una busta per inviare
la scheda al consolato. I consolati riceveranno per posta
i voti dei cittadini italiani; quindi spediranno in
Italia, in valigia diplomatica e per aereo, le buste
arrivate entro le 16 del giovedì che precede la domenica
elettorale. Le schede arrivate in ritardo saranno
bruciate.
I SEGGI E LO SPOGLIO
I seggi per lo spoglio delle schede estere saranno
istituiti presso la Corte d'appello di Roma: un seggio
ogni 5 mila elettori. Lo spoglio avrà luogo
contestualmente a quello nazionale.
ELENCHI DEI VOTANTI
Il Governo dovrà stilare l'elenco aggiornato dei
cittadini italiani residenti all'estero per predisporre
le liste elettorali. Oggi esistono due differenti
elenchi, che hanno dati non coincidenti: per l'Aire,
l'anagrafe degli italiani residenti all'estero tenuta dai
consolati, i residenti all'estero sono circa 2 milioni e
seicento mila, mentre per il ministero dell'Interno 3
milioni 900mila.
CAMPAGNA ELETTORALE
Lo Stato italiano dovrà concludere apposite forme di
collaborazione con gli Stati in cui risiedono i cittadini
italiani all'estero per garantire lo svolgimento della
campagna elettorale. Spetterà ai consolati e alle
ambasciate prendere le iniziative necessarie a promuovere
il confronto elettorale.
DIRITTO DI VOTO
Alle rappresentanze diplomatiche spetta anche il dovere
di concludere intese con i governi per garantire
l'esercizio del diritto di voto in condizioni di
eguaglianza, libertà e segretezza. Per i cittadini
italiani che risiedono in Stati dove non viene garantito
il diritto di voto, torneranno in Italia per votare e
potranno contare su un rimborso parziale del costo del
biglietto.
(20 dicembre 2001)
Roma, decine
di migliaia alla manifestazione degli studenti
I giovani invitati contestano la Moratti e vengono
cacciati dalla sala
Assediati
fuori, contestati dentro
Finiti gli Stati Generali
Corteo,
solo alla fine momenti di tensione
ROMA - Assediati fuori, contestati dentro: gli
Stati Generali della scuola convocati da Letizia Moratti
sono finiti fra le grida di "buffoni, buffoni"
dei 70 mila manifestanti (centomila secondo gli
organizzatori) che cingevano d'assedio il Palazzo dei
congressi e con Silvio Berlusconi costretto a parlare
mentre in platea una ventina di studenti di sinistra
delle consulte, quelli che non erano stati espulsi dopo
una rumorosa contestazione al ministro Letizia Moratti,
mostravano dei cartelli con i codici e barre e con su
scritto "Non in vendita".
L'attenzione di tutti era concentrata all'esterno, alle
migliaia e migliaia che fin dal primo mattino sfilando
per le strade dell'Eur erano giunti fin sotto il Palazzo
dei congressi con i loro slogan e la loro musica sparata
a volumi altissimi. Nessuno aveva prestato fede allo
"scherzetto" che i ragazzi delle consulte
stavano preparando a Letizia Moratti e Silvio Berlusconi.
Nella sala ovattata le voci concitate degli slogan non
arrivavano, ma è bastato che la Moratti iniziasse a
parlare e pronunciasse la parola democrazia affinché
scoppiasse il caos. Gli studenti invitati dalla Moratti
iniziano a fischiare, a contestare "ma quale
democrazia" i gorilla dell'organizzazione si
schierano e iniziano a spingerli verso l'esterno, i
ragazzi resistono, "siamo stati invitati"
gridano mentre si materializza la polizia che forma un
cordone. I giovani vengono spinti verso l'atrio qualche
spintone, alcune ragazze piangono mentre un vicequestore
tenta di placare gli animi parlando alla folla.
Una giovane napoletana, Francesca, piange nell'atrio e
mormora "perché ci avete invitato, perché ci avete
invitato" la stessa cosa che aveva urlato
all'interno mentre Silvio Berlusconi iniziava a parlare.
E mentre nell'atrio si gridano slogan, un altro gruppetto
di contestatori rimasto in platea mentre il presidente
del consiglio parla alzano dei manifestini con scritto
"non in vendita". Berlusconi li ignora ma
giornalisti e telecamere sono tutti per loro.
E mentre la protesta prosegue Matteo dell'Uds tira fuori
una busta e la consegna ad un membro del'organizzazione.
Dentro c'è un biglietto indirizzato a "Silvio
Berlusconi, presidente del consiglio".
"Vogliamo fare gli auguri", dice Matteo e in
effetti sul biglietto c'è scritto: "Resistenti alla
privatizzazione disobbedienza alla Moratti. Con gli
auguri di tutti gli studenti che sono fuori al freddo a
manifestare". Non si sa se gli auguri sono giunti al
premier ma per i ragazzi bastava averlo consegnato e
così hanno preso le loro cose e sono usciti a
raggiungere gli altri manifestanti.
Quelli di fuori erano tanti. C'erano gli studenti delle
scuole occupate, i giovani dei Ds, i centri sociali, i No
Global e poi professori, genitori, politici. Alla
partenza arriva Pietro Folena e un manipolo di diessini
ma il corteo non gradisce: "Fuori quelli che hanno
votato la riforma Berlinguer e che sono a favore della
guerra. Non li vogliamo in testa al corteo", gridano
dai camion dove ci sono le amplificazioni. Verso Folena
parte un palloncino pieno d'acqua finché il dirigente
diessino si allontana verso la coda dove ci sono i
ragazzi della Sinistra Giovanile.
In piazza c'erano un po' tutti, i Verdi con Paolo Cento e
Pecoraro Scanio, Fausto Bertinotti, Diliberto dei
Comunisti italiani. Ma i protagonisti erano i giovani. In
testa uno striscione "No agli Stati Generali
rivoluzioniamo la scuola" dietro due file di
studenti quelli "pay" della scuola a pagamento
e quelli "free" della scuola pubblica, poi gli
striscioni delle diverse delegazioni e delle varie
scuole. "Zona demorattizzata" c'era scritto su
molti cartelli mentre un maiale di cartapesta
rappresentava Berlusconi, un po' come i maiali che a
Genova rappresentavano gli otto grandi del G8.
Non una coincidenza perché quello visto oggi era proprio
il popolo di Genova, non a caso slogan e striscioni
ricordavano Carlo Giuliani coì come i ragazzi con le
bombolette che scrivevano "Giustizia per Carlo"
su ogni muro.
Il corteo sfila tranquillo controllato a distanza e poi
si piazza intorno al Palazzo dei congressi. Musica
sparata, slogan, tutto tranquillo tranne qualche
provocazione verso carabinieri e polizia, schierati ma
tutto sommato a buona distanza dai manifestanti.
L'assedio va avanti per un paio d'ore poi, a Stati
Generali chiusi si rischia l'incidente. Sette, ottomila
manifestanti premono sulle transenne, le scavalcano. La
celere si schiera a difendere il palazzo ormai vuoto.
Parte anche una bottiglia ma, alla fine, prevale il
dialogo. I dirigenti della Digos in piazza parlano con i
contestatori, i leader dei no global cercano di
stemperare gli animi che si riaccendono solo quando si
avvicinano i carabinieri. Poi tutto va per il meglio:
"Ragazzi abbiamo vinto non roviniamo tutto"
urla al megafono uno dei leader di studenti in movimento
e l'assedio si scioglie.
(20
dicembre 2001)
Messaggio
televisivo del leader palestinese
blocatto a Ramallah dall'assedio israeliano
Arafat:
"Un crimine impedirmi
la visita a Betlemme"
RAMALLAH - "Col cuore pieno di tristezza
non assisterò alla messa di Natale a Betlemme perché
impedito dai carri armati e dai soldati israeliani".
"Un crimine" lo ha definito il presidente
dell'Autorità nazionale palestinese Yasser Arafat
comunicando al suo popolo tramite la televisione che per
la prima volta dal 1995 non avrebbe celebrato la nascita
di Gesù a Betlemme.
Il presidente dell'Autorità nazionale palestinese si è
sottomesso al diktat di Sharon ma, avendo dalla sua le
cancellerie del mondo e il Vaticano, ha approfittato per
ribadire la sua volontà di lottare. "Il crimine che
mi priva del diritto di partecipare alle celebrazioni
della nascita di Gesù - ha detto Arafat - in ogni caso
non intaccherà la determinazione mia e del mio popolo di
perseguire una pace equa e duratura".
"Il sito dove Gesù e nato e così la santa
Gerusalemme - ha poi continuato - sono assediati da tutte
le direzioni". E questo assedio "è ancora più
stretto che in passato". Arafat ha aggiunto che i
carri armati e i soldati israeliani non gli impediranno
di continuare a cercare "la pace degli audaci".
Il leader palestinese si è poi rivolto al Papa e ai
leader religiosi di tutto il mondo per ribadire che,
malgrado tutto, non si è indebolita la sua ferma
risoluzione "a cercare la pace dei giusti e non dei
carri armati".
Arafat ha poi detto che davanti alle difficoltà poste
dalle autorità israeliane alla libertà di movimento dei
palestinesi per raggiungere i Luoghi Santi cristiani e
musulmani non si deve permettere a Israele di continuare
l'occupazione dei territori palestinesi. "Questa -
ha detto - deve cessare e si deve creare uno stato
palestinese con capitale Gerusalemme che saprà invece
rispettare tutte le religioni".
(25
dicembre 2001)
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