MAGGIO 2001

Depositate le motivazioni della sentenza di secondo grado
"Salvatore Ferraro invece lo aiutò a eludere le indagini"


Marta Russo: "Scattone
sparò consapevolmente"

L'ex ricercatore: "Una sentenza ingiusta
la mia innocenza sarà riconosciuta"

ROMA - Giovanni Scattone sparò consapevolmente. Non con l'intenzione di uccidere ma prevedendo che la pistola avrebbe esploso un proiettile. Per questo motivo la Corte d'Assise d'Appello di Roma lo ha giudicato colpevole di omicidio colposo aggravato per la morte di Marta Russo. Salvatore Ferraro invece aiutò Scattone a eludere gli investigatori e si adoperò per depistare le indagini dopo il ferimento della ragazza, il 9 maggio 1997, in un vialetto dell'università La Sapienza di Roma.

Queste le motivazioni della sentenza del processo di secondo grado che ha visto condannare Scattone a otto e Ferraro a sette anni di carcere, depositate oggi in tribunale e basate principalmente sulle dichiarazioni di Gabriella Alletto e sulla perizia sulla particella quaternaria trovata nella borsa di Salvatore Ferraro.

"Una persona che, come Scattone, conosce il funzionamento delle armi, avendo prestato il servizio militare nell'arma dei Carabinieri - scrivono i giudici - si posiziona alla finestra con il braccio teso fino a portare la canna dell'arma al limite esterno del davanzale e, in tale posizione, preme il grilletto, non lo fa certamente per sentire il clic del percussore: agisce per sparare". L'ipotesi formulata dalla corte di primo grado secondo cui Scattone poteva non sapere che l'arma fosse carica è dunque, secondo la Corte d'Assise d'appello, priva di qualunque fondamento logico.

Ma l'imputato non può essere considerato colpevole di omicidio premeditato perché mettendosi le mani nei capelli dopo aver colpito Marta Russo ha dimostrato che fu colto di sorpresa.

Secondo Giovanni Scattone, le motivazioni della sentenza d'appello sono ingiuste e non aggiungono nulla di più a quella di primo grado che addirittura lo giudicò con più clemenza. "La ricostruzione dei fatti proposta dalla sentenza non risponde minimamente alla realtà - ha detto l'ex ricercatore - nessun elemento indica che lo sparo che uccise Marta Russo sia avvenuto nella sala assistenti". Secondo Scattone l'unico indizio su cui si basa la condanna sono le dichiarazioni di Gabriella Alletto "totalmente smentite da intercettazioni telefoniche e ambientali inequivocabili, fra cui il famoso video che i giudici hanno inspiegabilmente deciso di non prendere in considerazione".

Critiche alla sentenza di primo grado - nelle pagine delle motivazioni - anche per quanto riguarda la posizione dell'ex usciere Francesco Liparota che i giudici d'appello hanno condannato a quattro anni per favoreggiamento personale, ribaltando la decisione della Corte d'Assise che, invece, lo aveva assolto perché "non punibile" (era stato costretto a mentire in seguito alle minacce rivoltegli da Ferraro). "La generica, vaga, indeterminata minaccia di "ritorsioni" non vale sicuramente - scrive il presidente Plotino - a giustificare il suo silenzio su un fatto così grave".

(4 maggio 2001)

Ucciso il presidente del Partito Popolare dell'Aragona
Il primo attentato da un mese e mezzo a questa parte


Ritorna l'Eta
Omicidio a Saragozza


MADRID - Torna l'Eta, a una settimana dalle elezioni generali basche. Il presidente del Partito Popolare dell'Aragona, Manuel Gimenez Abad, è stato assassinato questo pomeriggio in una strada del centro di Saragozza. Il commando, formato da due terroristi, gli ha sparato alcuni colpi di pistola da un'auto, fuggendo poi rapidamente. I killer, poco dopo, hanno fatto saltare in aria l'automobile impiegata nell'attentato. Secondo un testimone oculare, uno dei due attentatori era un giovane sui 25 anni con i capelli lunghi e un berrettino. Vicino al cadavere del dirigente del Pp sono stati trovati diversi bossoli di proiettili calibro 9 parabellum.

Il tentativo di rianimare il politico si è subito dimostrato vano, nonostante i medici siano accorsi sul posto pochi minuti dopo l'agguato. L'attentato è avvenuto intorno alle sei e mezza del pomeriggio, quando Gimenez Abad si dirigeva verso lo stadio della Romareda, dove avrebbe dovuto assistere alla partita di calcio tra il Saragozza e il Numancia (della serie A spagnola) insieme al sindaco della capitale aragonese.

Gimenez Abad, 53 anni, sposato, due figli, avvocato di professione, era senatore ed era stato nominato alla presidenza del Pp aragonese nel gennaio scorso. Per molti anni aveva svolto la sua carriera professionale nell'amministrazione pubblica. Dal 1977 all'81 era stato segretario generale tecnico del Ministero della Presidenza, poi era passato a occupare un incarico dirigenziale nella Presidenza del governo aragonese. Due anni fa era entrato come deputato nel Parlamento di Saragozza e dal marzo dello scorso anno era diventato senatore in rappresentanza della Comunità Aragonese.

Quello di oggi pomeriggio è il primo attentato dell'Eta dopo circa un mese e mezzo di tregua non dichiarata: l'ultima vittima dei terroristi era stato un altro dirigente politico, Froilan Elespe, vice-sindaco socialista del paesino di Lasarte, nella provincia basca di Guipuzcoa (San Sebastian). L'impressione di parecchi osservatori, nelle ultime settimane, era che i terroristi rinunciassero momentaneamente a colpire per evitare di danneggiare in maniera eccessiva il partito indipendentista di Euskal Herritarrok, dato già in forte calo in vista delle prossime elezioni per il rinnovo del Parlamento basco previste per domenica prossima. Tutti i sondaggi pubblicati oggi sui principali quotidiani spagnoli concordano nell'attribuire a popolari e socialisti un numero di seggi che dovrebbe consentire a una coalizione dei partiti "costituzionalisti" quantomeno di sfiorare la maggioranza assoluta dei seggi. Il Pnv, il partito nazionalista moderato dell'attuale "lehendakari" (il presidente della regione) Juan José Ibarretxe è dato anch'esso in crescita, ma per restare al governo (che occupa da più di vent'anni) dovrebbe puntare tutto su un'alleanza con gli stessi socialisti - decisivi in ogni caso - dopo aver annunciato che non ripeterà l'esperienza di una coalizione con gli estremisti di Euskal Herritarrok: questo partito, vicino ai terroristi dell'Eta, potrebbe vedere addirittura dimezzati i seggi ottenuti due anni fa (passando da 14 a 7).

E forse sono proprio queste ultime cattive notizie sul fronte elettorale che possono aver indotto i terroristi a tornare all'azione. Questa almeno è la tesi del filosofo Fernando Savater: "Ormai convinti dei cattivi risultati che otterrano con le loro scelte, hanno deciso di tornare al terrore, ovvero all'unico linguaggio che conoscono". Secondo Savater - che da mesi è impegnato nella mobilitazione sociale contro l'Eta alla guida dell'organizzazione "Basta Ya" - questo attentato "dimostra fino a che punto la democrazia sta tentando di seguire il suo corso e il terrore tenta di destabilizzare tutti i processi democratici di qualunque tipo, perché sanno che non saranno favorevoli a loro".

(6 maggio 2001)

La decisione del ministero della Giustizia Usa: i federali
hanno sottratto dei documenti alla difesa durante il processo


McVeigh, esecuzione
rinviata di 30 giorni

E' l'autore della strage di Oklahoma City (168 morti)

WASHINGTON - Il ministro della giustizia Usa John Ashcroft rimanderà di 30 giorni l'esecuzione di Timothy McVeigh, lo stragista di Oklahoma City che causò la morte di 168 persone. La notizia è arrivata da fonti del ministero statunitense. Motivo: l'Fbi, durante il processo, ha sottratto per errore dei documenti alla difesa. Lo ha riferito all'Ap una fonte che ha chiesto di mantenere l'anonimato.

L'Fbi ha informato i giudici, a pochi giorni dall'esecuzione di McVeigh, fissata per mercoledì 16 maggio, di avere sottratto alla difesa del terrorista elementi di prova durante il processo, spiegando che l'errore è stato scoperto mentre l'ufficio federale stava archiviando dei documenti. L'avvocato di McVeigh deve ora decidere come utilizzare le rivelazioni a vantaggio del suo cliente, che, però, dal canto suo e nonostante gli appelli per fermare il boia giunti persino dal Papa, non ha mai detto di volere chiedere un rinvio dell'esecuzione.

"Timothy sembra felice ed è pronto a morire" aveva detto il padre del terrorista quando era giunta la lettera di Giovanni Paolo II a George Bush. McVeigh, 33 anni, fece saltare in aria un palazzo intero a Oklahoma City uccidendo 169 persone, tra cui 19 bambini, e non ha mai mostrato rimpianto per la strage né ha mai voluto chiedere perdono ai parenti delle vittime. Per lui si era parlato addirittura di un'esecuzione in diretta web ma poi l'amministrazione penitenziaria si era opposta.

Le reazioni dei parenti delle vittime alla notizia che McVeigh potrebbe scampare al boia sono state durissime. "Se quell'uomo se la cava, vi assicuro, qualche testa qui cadrà" ha detto Kathleen Treanor, sorella di uno dei piccoli morti nell'attentato. "Sono certa che la gente di Oklahoma city e soprattutto i sopravvissuti alla strage compiuta da McVeigh non lo sopporteranno - ha detto Patti Hall che rimase ferita nell'esplosione mentre lavorava nel suo ufficio alla Federal Employees Credit Union - Sono sconvolta, è un'ingiustizia". Patti Hall ribadisce di essere sempre stata contraria all'esecuzione di McVeigh: "Io sono contraria alla pena di morte, ma non così non per un errore e a pochi giorni dall'esecuzione".

(11 maggio 2001)

ELEZIONI 2001

SILVIO Berlusconi ha vinto le elezioni, consegnando alla destra la maggioranza della Camera e del Senato, e dopo aver ottenuto nei prossimi giorni l'incarico dal Capo dello Stato - come vuole la regola di un sistema maggioritario, sia pure imperfetto come il nostro - governerà il Paese da presidente del Consiglio.

Diciamo subito che si tratta di una vittoria piena e legittima, avvenuta dopo una campagna aspra ma pienamente regolare, e conquistata in una giornata (e una nottata) elettorale dominata da un caos tecnico nei seggi che è stato scandaloso, ma che tuttavia non ha tolto nulla alla chiarezza e alla regolarità del responso. E' un vero e proprio "cambio", qualcosa di più di un' alternanza tra destra e sinistra alla guida di una grande democrazia occidentale, com'è avvenuto e avviene in tutt'Europa. Viene sconfitta una classe dirigente che nell'insieme governa il Paese dal 1995, che ha risanato l'economia e che soprattutto ha portato l'Italia nell'Euro, lavorando in stretto rapporto con quel riformismo europeo (la socialdemocrazia tedesca, il socialismo francese, il laburismo inglese) che sembrava fino ad oggi la cultura politica continentale più adatta per coniugare rigore e sviluppo, crescita ed equità.

Torna al potere per la seconda volta la destra berlusconiana, che nel '94 tenne la guida del Paese per sette mesi appena. Berlusconi, che ha costruito se stesso nella mitologia del comando e nella leggenda dell'invulnerabilità, ha in realtà il merito di aver attraversato il deserto dell'opposizione per cinque anni.

E l'ha saputo fare irrobustendo giorno dopo giorno il suo partito (dalla plastica all'acciaio e rafforzando intanto la presa totale sulla sua coalizione, fino a presentarsi ai suoi elettori come leader unico e indiscusso. Per lui, per la sua cultura e per la disperazione politica imprigionata nella lunga opposizione, la data di oggi non è soltanto quella della conquista di una maggioranza di governo, come avviene normalmente nelle alternanze occidentali: è la data della presa del potere, l'anno-zero, l'avvio di un'epoca "rivoluzionaria". Ecco perché siamo davanti a un "cambio", e non ad un semplice passaggio di consegne tra una sinistra uscente e una destra subentrante. Il "cambio", o almeno il cambiamento, è con ogni evidenza ciò che volevano gli italiani.

Più che nei suoi programmi, nei progetti o nelle proposte di governo, Berlusconi rappresenta antropologicamente, biograficamente, addirittura biologicamente un'altra Italia, che vuole impetuosamente "fare", ma chiede di fare da sé, escludendo insieme lo Stato e il senso dello Stato, pur di pagare meno tasse e soprattutto pur di non avere più regole. Ecco, se cercassimo una definizione di fondo del fenomeno venuto alla luce con il voto, dovremmo parlare di un Paese "sregolato", tumultuosamente vitale ma privo di un baricentro civico, senza più una comune identità civile, pronto a lasciarsi comandare pur di non farsi carico di responsabilità collettive, impegni condivisi, parametri comuni.

Un Paese di individui che chiedono di crescere, certamente, ma ognuno per sé e secondo i suoi comodi, delegando al primo tra tutti - ma uguale tra i tanti - di pensare allo Stato, mettendolo in riga: e dunque modernizzandolo, snellendolo, sveltendolo, ma perché poi una volta fatto snello, moderno e più svelto, possa farsi da parte, e non intralciare il cammino di chi ha da fare. Questo spirito dei tempi, mezzo imprenditoriale (negli istinti), mezzo privatistico (nella cultura) non so bene se sia stato da Berlusconi interpretato a perfezione, oppure suscitato e coltivato con cura. Fatto sta che il leader della destra ne è oggi l'interprete e il padrone, il domatore e l'impresario.

Lo ha rappresentato per cinque anni, lo ha trasformato in blocco sociale, lo ha cavalcato dall'opposizione e finalmente con il voto lo ha definitivamente tramutato in forza d'urto elettorale, che ieri ha trovato rappresentanza e da oggi chiede soddisfazione. Un Paese impaziente e insofferente: soltanto il populismo, un moderno populismo telematico e titanico, poteva eccitarlo e domarlo insieme, almeno fino al giorno della vittoria elettorale. Tanto da far dire a Marcello Dell'Utri, supremo sacerdote del berlusconismo, questa frase quasi iniziatica: "Si avverte nell'aria l'idea che siamo tutti alla vigilia di qualcosa di grande". Berlusconi è riuscito in tutto ciò, ed è il suo secondo miracolo, dopo la creazione in pochi mesi del partito che vinse le elezioni nel '94.

Ma ha fatto di più, perché ha tradotto in politica queste spinte di per sé estranee alla politica, se non genericamente "anti", e ha dato loro un contenitore apertamente di destra, inedito in un Paese che non conosceva né una vera destra né dei veri conservatori, perché era governato da quella specie particolare di moderati che erano i democristiani. Oggi la destra è prima di tutto una forza, poi una forza di governo, e addirittura un'identità per una buona parte degli italiani. Tutto questo grazie a Berlusconi, che ha scongelato il post-fascismo di Fini, ha digerito e regolato il separatismo di Bossi, ha subordinato a sè l'eredità democristiana di Casini e Buttiglione. Tutti questi tronconi politici, insieme, non facevano una destra. Il Cavaliere ha aggiunto il berlusconismo, che è una moderna ideologia, l'organizzazione di Forza Italia, la forza "scatenata", senza più catene, di un ceto sociale lasciato libero di crescere comunque e correre dovunque. E' sulla base di questa piattaforma "rivoluzionaria" che Berlusconi ha chiesto un voto, ma soprattutto un plebiscito agli italiani.

Ha avuto il voto, che gli basta per governare - e in democrazia potremmo fermarci qui, perché è ciò che conta. C'è un vincitore alle elezioni, ed è un vincitore chiaro e netto, con tutto lo spazio elettorale per governare. Ma il moderno populista non ha avuto il plebiscito che cercava. Anzi. Se guardiamo da vicino il voto per il Senato, ci accorgiamo che la Casa delle libertà ha conquistato ieri circa due milioni di voti in meno di quanti ne raccolsero il Polo e la Lega nel 1996 (che allora correvano separati), mentre l'Ulivo più Rifondazione comunista (che cinque anni fa erano collegati) hanno totalizzato oggi seicentomila voti in più del '96: e ciò che più conta, mezzo milione di voti più della destra berlusconiana. Se ne deduce che se l'Ulivo e Rifondazione fossero stati uniti contro la destra, avrebbero raccolto al Senato il 43,7 per cento dei voti, contro il 42,5 della Casa delle libertà.

La responsabilità politica di Bertinotti, che con l'inseguimento folle, egoista e inutile dei suoi due senatori ha regalato il Senato e dunque la presidenza del Consiglio a Berlusconi, è di tutta evidenza. Dev'essere per questo che il leader di Rifondazione ieri si è presentato nel suo salotto abituale e preferito, "Porta a Porta", in uno stato di evidente sovreccitazione, anche motoria, e ha attaccato "Repubblica" in anticipo, accusandola - proprio lui - di "stalinismo". Spente le telecamere, e in attesa di una nuova comparsata da Vespa, il leader può calmarsi, visto che è riuscito ad avverare il suo triplice sogno: Berlusconi al potere incarnando il fantasma della destra, Bertinotti in piazza con le bandiere rosse perdenti ma alte, e il riformismo - il vero nemico di Fausto - sconfitto e battuto, con la sinistra di governo all'opposizione.

E tuttavia, persino Bertinotti dovrà riflettere sul voto, insieme con tutta la sinistra e addirittura col Cavaliere. C'è mezzo Paese (nel voto per il Senato è la netta maggioranza, se a Ulivo e Rifondazione si somma il 3,4 di Di Pietro) che non accetta di consegnarsi a Berlusconi. Per la sciagurata incapacità politica dei suoi rappresentanti, questo mezzo Paese o poco più non ha saputo raccogliere le sue differenze in uno schieramento plurale, capace di opporsi con successo al Cavaliere. Ma da qui bisognerà per forza di cose ripartire. Salvo che nella sinistra non prevalga l'istinto fratricida e il cupio dissolvi che l'ha governata e posseduta con successo per cinque anni, vanificando nell'opinione pubblica i buoni risultati ottenuti dai governi Prodi, D'Alema, Amato.

La resa dei conti dopo la sconfitta è un lusso dei poveri, di cui faremmo volentieri a meno, se disponessimo per una volta di una classe dirigente all'altezza. Anche perché il voto, paradossalmente, lascia più di uno spazio per un centrosinistra capace di svolgere il suo ruolo. La vittoria del Cavaliere, infatti, non ha distrutto la leadership nascente dell'Ulivo, come poteva accadere: tutt'altro. Rutelli ha preso in mano una coalizione a pezzi, e insieme con Fassino ha retto per tutta la campagna elettorale, dimostrando tenuta, struttura e capacità politica, non soltanto telegenìa, come dicevano i suoi critici. Il forte risultato della Margherita, con quel 14,5 per cento del tutto inatteso anche dai sondaggisti, rafforza la leadership di Rutelli e la proietta su tutta la coalizione e sulla prossima legislatura.

Io penso che la creazione di una solida "seconda gamba" dell'Ulivo sia un risultato positivo, perché la sinistra da sola non può vincere. Nello stesso tempo, senza la sinistra il centro non vince. Credo anche che la sinistra debba ricostruire se stessa, perché i Ds hanno ottenuto un risultato molto deludente con il loro 16,6 per cento, frutto di un logoramento costante dell'elettorato ex comunista, ma anche della straordinaria e spettacolare mancanza di una leadership visibile in questa campagna elettorale, con Veltroni impegnato nella battaglia per il Campidoglio, D'Alema rinchiuso a Gallipoli nella lotta per difendere il suo seggio, Fassino impegnato a giocare tutte le sue carte per l'Ulivo (non per il partito) a sostegno leale di Rutelli.

Oggi la ricostruzione di un'identità di sinistra riformista e occidentale è aperta, e per qualche aspetto drammatica: proprio Fassino può essere il leader da cui ripartire, insieme con Amato, D'Alema e Veltroni. Ma questa prospettiva non è conflittuale con la buona salute e la crescita della Margherita, né con la leadership di Rutelli, conquistata sul campo. Tutto il resto appartiene alla categoria dell'autolesionismo, che gli elettori di sinistra credo non vogliano più tollerare, dopo l'abuso di questi anni. In più, la vittoria della destra nasconde problemi evidenti. A sorpresa, il Cavaliere si è giovato dell'accordo con la Lega non perché ha sommato i suoi voti con quelli di Bossi, facendo il pieno, ma perché ha divorato letteralmente l'elettorato leghista. Bossi era consapevole del pericolo, fin dal 1994: ogni volta che si avvicina troppo a Berlusconi, il Cavaliere gli si sovrappone elettoralmente, fino a vampirizzarlo.

E con Bossi, Berlusconi si è mangiato direttamente l'elettorato di Casini e Buttiglione e l'intero loro partito (o forse erano due), e un bel pezzo di An, il suo alleato storico: proprio quel pezzo che serviva a Fini per sorpassare i Ds e diventare come sperava il secondo partito. Invece è stato superato anche dalla Margherita, ed è finito al quarto posto tra i partiti italiani. Tutta questa dinamica politicamente poco virtuosa (salvo che per il Cavaliere) è per ora avviluppata dalla vittoria. Ma questi ex leader sono giovani, e vorranno pur pensare al loro futuro. O si sottomettono definitivamente, fondendosi in Forza Italia, oppure dovranno in qualche modo rendersi visibili: l'alternativa è governare da servitori, sotto padrone, con un uomo solo al comando.

L'analisi del voto finisce qui, dal Cavaliere, dov'era cominciata: com'è giusto con chi ha vinto. Ripetiamo, una vittoria legittima. E aggiungiamo, serenamente: una vittoria che non ci piace, perché non pensiamo che quel modello di Paese, di leadership e di destra sia utile all'Italia di oggi. Racconteremo con scrupolo di cronisti l'avvento di quest'era berlusconiana, breve o lunga che sia, com'è nostro dovere, e come vuole il nostro mestiere, in democrazia: con serenità e con severità -perché le domande e i problemi che abbiamo sollevato in campagna elettorale sussistono tutti -sapendo che un giornale è solo un giornale, ma talvolta può rappresentare un pezzo di opinione, di cultura e di Paese. Qualcosa di importante, al di là di chi comanda in quel momento. Un'Italia di minoranza, a cui noi teniamo.

(15 maggio 2001)

I risultati definitivi delle elezioni politiche mostrano
la forza della Cdl sia a Montecitorio che a Palazzo Madama Camere, Polo batte Ulivo
545 parlamentari a 367

ROMA - Un Parlamento saldamente nelle mani della Casa delle libertà: i risultati definitivi delle elezioni politiche, giunti solo questa mattina, confermano le tendenze emerse nel corso del lunghissimo spoglio. Subito qualche cifra, per mostrare la forza del centrodestra in entrambi i rami: alla Camera i deputati del Polo (più Lega) sono 368, contro i 242 dell'Ulivo; mentre a Palazzo Madama i senatori sono 177 contro 125. In generale, dunque, la pattuglia di parlamentari guidati da Silvio Berlusconi conta 545 "soldati", contro i 367 di Francesco Rutelli.

Camera. Come è noto, a Montecitorio tre quarti dei deputati sono eletti col sistema maggioritario, e il rimanente quarto col proporzionale. Nel maggioritario la Casa delle libertà ottiene 282 deputati: 102 in più del centrosinistra, a cui però vanno aggiunti gli 8 seggi conquistati in Trentino Alto Adige dall'alleanza tra l'Ulivo e la Svp. Sul fronte proporzionale, Forza Italia, primo partito italiano, fa la parte del leone, con 62; nettamente distanziata, all'interno della coalizione, An (24). Distanze molto più ridotte nell'altro schieramento, dove i Ds, coi loro 31 deputati, sono tallonati dalla Margherita (27). Completano il quadro gli 11 seggi ottenuti (sempre al proporzionale) da Rifondazione comunista. Nella voce indicata da Viminale come "altri" (candidati non riconducibili ai partiti nazionali), troviamo altri due deputati. Ma il dato vero è il seguente: alla Camera Cdl batte Ulivo 368 a 242; alle politiche del '96, il rapporto (allora in favore del centrosinistra) era di 284 a 246 (esclusi i 35 onorevoli di Rifondazione).

Senato. Più semplice il calcolo dei risultati al Senato, dove non c'è quota proporzionale. Qui il centrodestra ottiene 177 seggi, 52 in più degli avversari del centrosinistra (fermi a 125), a cui vanno aggiunti i 2 di Ulivo-Svp. Le forze alternative ai due poli devono accontentarsi delle briciole: 3 senatori a Rifondazione, 2 a Democrazia europea, 2 alla Svp (da sola), 1 a una lista autonomista, 1 a un candidato individuale.

(15 maggio 2001)

Non raggiungono il quorum: Di Pietro, D'Antoni, i Verdi e lo Sdi
anche i Radicali fuori dal Parlamento, non accadeva dal '76 La sconfitta dei piccoli
solo Rifondazione si salva

ROMA - Nelle elezioni del trionfo del centrodestra, il centrosinistra non è l'unico sconfitto: a fargli compagnia ci sono tutti "i piccoli" partiti (eccetto Rifondazione) schiacciati dalla nuova logica del maggioritario, che mantiene saldo il suo elettorato. La vittima più illustre dello sbarramento del 4 per cento è la Lega di Umberto Bossi (al 3,9), ma ci restano impigliati anche Antonio Di Pietro con la sua Italia dei Valori (pure al 3,9), la coppia Sergio D'Antoni-Giulio Andreotti con Democrazia Europea (2,4), Marco Pannella e Emma Bonino con i Radicali (2,3) e il Girasole (al 2,2), ultimo nato dell'unione tra i Verdi e lo Sdi di Boselli.

Un pugno di leader che ha sofferto una notte e un giorno. Ha visto i sondaggi trasformarsi in proiezioni e poi in dati reali. E' rimasto in silenzio, poi si è arrampicato sugli specchi della dialettica politica. Alla fine davanti ai quei dannati numeri che non cambiavano mai - se non al ribasso - si è dovuto arrendere: l'Italia li ha bocciati. La logica del maggioritario non rende oltremodo rischioso correre da soli.

Per i radicali è la prima volta dal 1976 che restano fuori dal Parlamento. La Lista Bonino ha tentato l'impresa disperata di raggiungere il 3,5 per cento in Lombardia per far scattare almeno l'elezione di un senatore.

L'obiettivo non è stato però raggiunto. Alla Camera sono rimasti senza seggio, perchè non ri-candidati, alcuni esponenti storici del movimento radicale, anche se ormai si erano "naturalizzati" in Forza Italia.

Gli esempi più eclatanti sono quelli di Peppino Calderisi e di Marco Taradash. Francesca Scopelliti, eletta nel '96 sotto lo scudo" del Polo ma iscritta e militante nel Pr è stata invece ieri notte battuta a Mantova. Pietro Milio, unico rappresentante in Parlamento eletto nel '96 nelle liste Bonino non è stato riconfermato nella sua Sicilia.

Sconfitta imprevista anche per D'Antoni e Giulio Andreotti, con il senatore a vita che ammette con onestà: "Non mi aspettavo questo risultato".

Accettono la sconfitta anche i fondatori del Girasole, i Verdi, che pensano di sciogliersi, e lo Sdi, che ha già avviato un'autocritica serrata. Tacciono gli uomini di Di Pietro, che pensano ai ricorsi contro "una presunta irregolarità delle votazioni" per strappare il fatidico pass.

(14 maggio 2001)

A "Porta a porta" l'intervista del leader del centrodestra
"Stop alla riforma della scuola e vigile di quartiere" Berlusconi: "Subito i ministri
poi via alle priorità" Un messaggio all'opposizione: "Collaboriamo"
Sarà riformato anche l'intero sistema degli appalti

ROMA - La prima dichiarazione agli italiani è un testo scritto, letto davanti alle televisioni. La prima intervista, Silvio Berlusconi, la concede a Bruno Vespa, a quella che il leader della Casa delle Libertà chiama "la vera agorà della politica". Seduto in uno studio diverso da quello usato per la campagna elettorale: niente più maxi slogan dietro le spalle, ma scrivania di ciliegio e oggetti di antiquariato ad arredare l'ambiente. E' soddisfatto Berlusconi per il successo elettorale, "una vittoria ampiamente prevista", tanto che il leader del Polo ad un certo punto della notte se n'è andato a letto: "Immaginavo un margine così largo".

Il pezzo forte dell'intervista è l'elencazione del primo ordine del giorno, del primo giorno di lavoro del secondo governo Berlusconi. I punti elencati sono quelli già previsti dal programma elettorale, ma certo non era previsto che entrassero tutti assieme nell'agenda delle prime 24 ore.

Il primo provvedimento riguarda la tassa di successione, che Berlusconi vuole assolutamente cancellare. Poi la scure del Poli si abbatterà sulla riforma della scuola, messa a punto da Berlinguer e De Mauro: "Una riforma che va bloccata immediatamente per poi avere il tempo di prepararne un'altra migliore. Soprattutto una riforma che incontri il favore degli alunni, delle loro famiglie e dei docenti".

Poi ci sarà una "riforma sostanziale di tutto il sistema degli appalti, per rimettere in moto la macchina dei lavori pubblici, immobile da anni".



Ultimo punto all'ordine del giorno nel primo giorno di lavoro per Berlusconi e i suoi ministri sarà l'istituzione "del poliziotto, del carabiniere e del vigile di quartiere". "Un provvedimento - dice Berlusconi - fondamentale per la sicurezza nelle nostre città. Una delle esigenze più sentite dai nostri elettori".

Sempre a Porta a Porta l'anticipazione sulla possibile lista dei ministri: "Mi piacerebbe poter annunciare la squadra di governo subito dopo essere uscito dallo studio del capo dello Stato per l'incarico, dopo averne discusso con il presidente della Repubblica".

Sul risultato degli alleati non proprio entusiasmante, Berlusconi spiega: "Penso che gli alleati saranno assolutamente soddisfatti, poichè dispongono di gruppi parlamentari ampiamente superiori ai voti ottenuti, il che consentirà loro di essere importanti nel lavoro parlamentare".

Parole anche per l'opposizione: "La Casa delle Libertà è assolutamente aperta al dialogo, tocca all'opposizione fare il suo mestiere e farci sentire addosso il suo controllo. Ma spero che questo rimanga nei limiti di un'opposizione responsabile, come abbiamo fatto noi, che siamo stati presenti tutte le volte che bisognava approvare una legge positiva per il paese o si trattava di una situazione che riguardava la presenza italiana nel panorama internazionale".

(14 maggio 2001)

Il leader dell'Ulivo: "Non c'è stato il plebiscito per Berlusconi"
e sul futuro: "Sono a disposizione della coalizione" Rutelli ammette la sconfitta
"Ora opposizione intransigente" "La vittoria del Polo è legittima
Adesso si impone una riforma elettorale"

ROMA - "La Casa delle Libertà ha acquisito una maggioranza alla Camera e al Senato, do atto di questa vittoria legittima". Parte da qui Francesco Rutelli per commentare la sconfitta sua e del centrosinistra. Parte dall'unica concessione, quella dovuta, agli avversari ai quali poi promette subito "un'opposizione incisiva e intransigente".

Il leader dell'Ulivo, accolto al suo arrivo all'hotel Excelsior da un caloroso applauso, è parso sereno. Dopo aver ammesso la sconfitta riparte all'attacco della Casa delle Libertà: "Uno schieramento di cui non abbiamo alcuna fiducia, perché sappiamo che purtroppo per il Paese, non sarà in grado di mantenere le promesse elettorali. Noi li combatteremo e il nostro primo impegno sarà per risolvere immediatamente il conflitto d'interessi che pesa su Silvio Berlusconi".

La sconfitta però non è una disfatta, perché "la destra ha fallito il plebiscito su Berlusconi, sono assestati sulle stesse posizioni del '96". E poi ancora: "A guardare i dati si vede che loro non sono la maggioranza nel Paese, tanto più che la lora forza parlamentare si poggia l'alleanza tra il Polo e la Lega, che appare molto instabile. Noi abbiamo piazzato una grande rimonta ma ci siamo fermati a pochi passi, quelli decisivi".

Rutelli - indicato da Parisi come futuro capo dell'opposizione - guarda al futuro: "Da queste elezioni perdute scaturiranno elementi di forza che ci consentiranno di superare le cause che hanno impedito al centrosinistra di far apprezzare i risultati ottenuti dai governi Prodi, D'Alema e Amato. L'Ulivo ha ritrovato identità, orgoglio e capacità di mobilitazione. Al Senato il nostro consenso è stato più alto di quello del '96, e alla Camera si è avuto un miglioramento di oltre 1,5 milioni di voti nei rapporti di forza tra i due Poli".

Domani Rutelli sarà al vertice dell'Ulivo, dove si getteranno le basi per il futuro: "Io e Fassino siamo a disposizione della coalizione. Certo le nostre analisi dovranno partire da quello che è accaduto ieri. Il primo pensiero va a Rifondazione, che al Senato ha portato un doppio danno: a noi e a se stessa. Abbiamo lavorato per correre assieme, non ci siamo riusciti, ma non ci rassegnamo. Il successo della Margherita - che non è in competizione con i Ds - mi fa felice, ma non mi consola della sconfitta".

Nell'agenda dell'Ulivo ci sarà anche una riforma elettorale, o almeno così dice Rutelli: "Penso che sia necessaria una sostanziale modifica di quella attuale".

(14 maggio 2001)

Antonio Suraci abita in provincia di Reggio Calabria:
"Tante persone anziane si sono sentite male" L'ultimo votante in Italia
"Sette ore in fila"

REGGIO CALABRIA - Il signor maglia nera del voto si chiama Antonio Suraci. Abita a Terreti, una frazione di Reggio Calabria e per poter votare non ha esitato a passare sette ore in fila davanti al seggio. Suraci, che ha 51 anni ed è candidato alle comunali a Reggio nelle liste dello Sdi, si è aggiudicato la palma dell'ultimo votante in Italia: "Sono entrato alle 5 della mattina, dopo sette ore di fila" dice. "Erano le 4,07" ribattono dall'ufficio elettorale del comune di Reggio. Dettagli che non cambiamo di una virgola l'odissea elettorale.

Suraci racconta così la sua esperienza: "Quella di votare per ultimo - ha spiegato Suraci - è stata una mia scelta. In fila con me c'erano molte persone anziane alle quali ho ritenuto giusto dare la precedenza. Molte persone che, durante la lunga attesa per votare, si sono sentite male e alle quali, malgrado si fossero messe in coda dopo di me, ho dato la possibilità di votare prima".

Terreti è una piccola frazione montana in provincia di Reggio Calabria con una sola sezione elettorale per poco meno di 700 elettori, per la maggioranza anziani. E proprio l'età elevata e la complessità del voto, sono state le cause dei ritardi nello svolgimento delle operazioni elettorali. "Ma a provocare più di ogni altra cosa il caos è stata certamente la decisione di ridurre da due ad una le sezioni elettorali - continua Suraci - Sono sicuro, infatti, che se si fosse potuto votare in due sezioni, i problemi sarebbero stati di gran lunga inferiori". Suraci sostiene che la richiesta fatta più volte al Comune nel corso della giornata di aumentare le cabine, in modo da consentire a più persone di votare contemporaneamente, non è stata presa in considerazione.

La "maglia nera" del voto descrive così la sua nottata di passione. "Corridoi stretti e locali angusti dove la gente è rimasta ammassata per ore prima di potere esprimere il proprio voto. Sono stati molti coloro che, vinti dalla stanchezza, hanno preferito uscire dalla fila e tornare a casa". Qualcuno ha desistito ed è tornato a casa. "Quasi trecento persone" continua Suraci.

A complicare la situazione ha contribuito poi la complessità del voto. "Molti elettori - spiega Suraci- di fronte a cinque schede sono stati presi dal panico. E così, alcune persone hanno impiegato parecchio tempo prima di uscire dalla cabina. La triste verità è che siamo stati tutti vittime di una situazione allucinante".

(14 maggio 2001)


I risultati del secondo turno delle comunali. Rimini
e Belluno al centrosinistra, Rovigo e Benevento al Polo Rivincita dell'Ulivo
nelle tre grandi città A Roma, Napoli e Torino vincono
Veltroni, Russo Iervolino e Chiamparino

ROMA - Il centrosinistra si prende una rivincita sui risultati del voto politico e riesce a eleggere i tre suoi candidati alla guida delle grandi città: è il dato che emerge dal turno elettorale di ieri. Una vittoria nel segno di Walter Veltroni a Roma, di Rosa Russo Iervolino e Napoli, di Sergio Chiamparino a Torino; ma anche una conferma per le amministrazioni precedenti, visto che tutte e tre le metropoli sono reduci da due governi consecutivi del centrosinistra. Negli altri quattro capoluoghi di provincia in cui si è votato, situazione di parità: l'Ulivo vince a Belluno e Rimini, la Casa delle libertà a Rovigo e (di strettissima misura) a Benevento

Ecco i risultati città per città. A Roma lo scrutinio si è concluso a tarda notte.

Roma: il diessino Walter Veltroni è al 52,2%, sul forzista Antonio Tajani (47,8). Il candidato del centrosinistra festeggia a piazza Santi Apostoli.

Napoli: Acquisiti i risultati definitivi la candidata dell'Ulivo Rosa Russo Iervolino è al 52,9%, il rivale Antonio Martusciello si ferma al 47,1%.

Torino: Sergio Chiamparino, candidato del centrosinistra, alla fine dello spoglio termina la sua corsa alla poltrona di sindaco col 52,8% dei voti. Sconfiggendo Roberto Rosso del centrodestra.

Negli altri comuni capoluoghi di provincia, a Benevento vittoria per un pugno di voti (intorno ai duecento) per il polista Sandro D'Alessandro, col 50,1%, su Pasquale Grimaldi al 49,9. A Belluno, Ermanno De Col del centrosinistra è sindaco col 51,87; sconfitto Luigi Panzan. A Rimini, Alberto Ravaioli dell'Ulivo prevale col 52,5% su su Gianluca Spigolon della Casa delle libertà. Esito opposto a Rovigo, dove Paolo Avezzù (candidato di Polo più Lega) ottiene il 54% sul rivale Fausto Merchiori.

In tutto, i comuni chiamati alle urne per il ballottaggio sono settantasette, inclusi i sette capoluoghi di provincia.

(28 maggio 2001)

I risultati definitivi delle elezioni politiche mostrano
la forza della Cdl sia a Montecitorio che a Palazzo Madama


Camere, Polo batte Ulivo
545 parlamentari a 367

ROMA - Un Parlamento saldamente nelle mani della Casa delle libertà: i risultati definitivi delle elezioni politiche, giunti solo questa mattina, confermano le tendenze emerse nel corso del lunghissimo spoglio. Subito qualche cifra, per mostrare la forza del centrodestra in entrambi i rami: alla Camera i deputati del Polo (più Lega) sono 368, contro i 242 dell'Ulivo; mentre a Palazzo Madama i senatori sono 177 contro 125. In generale, dunque, la pattuglia di parlamentari guidati da Silvio Berlusconi conta 545 "soldati", contro i 367 di Francesco Rutelli.

Camera. Come è noto, a Montecitorio tre quarti dei deputati sono eletti col sistema maggioritario, e il rimanente quarto col proporzionale. Nel maggioritario la Casa delle libertà ottiene 282 deputati: 102 in più del centrosinistra, a cui però vanno aggiunti gli 8 seggi conquistati in Trentino Alto Adige dall'alleanza tra l'Ulivo e la Svp. Sul fronte proporzionale, Forza Italia, primo partito italiano, fa la parte del leone, con 62; nettamente distanziata, all'interno della coalizione, An (24). Distanze molto più ridotte nell'altro schieramento, dove i Ds, coi loro 31 deputati, sono tallonati dalla Margherita (27). Completano il quadro gli 11 seggi ottenuti (sempre al proporzionale) da Rifondazione comunista. Nella voce indicata da Viminale come "altri" (candidati non riconducibili ai partiti nazionali), troviamo altri due deputati. Ma il dato vero è il seguente: alla Camera Cdl batte Ulivo 368 a 242; alle politiche del '96, il rapporto (allora in favore del centrosinistra) era di 284 a 246 (esclusi i 35 onorevoli di Rifondazione).

Senato. Più semplice il calcolo dei risultati al Senato, dove non c'è quota proporzionale. Qui il centrodestra ottiene 177 seggi, 52 in più degli avversari del centrosinistra (fermi a 125), a cui vanno aggiunti i 2 di Ulivo-Svp. Le forze alternative ai due poli devono accontentarsi delle briciole: 3 senatori a Rifondazione, 2 a Democrazia europea, 2 alla Svp (da sola), 1 a una lista autonomista, 1 a un candidato individuale.

(15 maggio 2001)

La società francese diventa così il primo azionista
del gruppo di Piazzetta Bossi, seguita da Mediobanca


Edf domani annuncia
il 20% in Montedison

E il Tesoro ribadisce la sua contrarietà all'operazione

MILANO - Le indiscrezioni sembrano confermate e Eletricitè de France (Edf) comunicherà domani di aver raggiunto circa il 20% del capitale di Montedison. La notizia giunge da autorevoli fonti finanziarie ed Edf diventa così il primo azionista del gruppo di Piazzetta Bossi, seguito da Mediobanca al 15%. E la prima risposta che viene dal governo è quella di un forte malcontento. Il Tesoro, spiegano fonti del ministero guidato da Vincenzo Visco, "ribadisce la propria contrarietà: l'avevamo detto quando erano al 4% e se salissero ancora la nostra contrarietà sarebbe ulteriormente confermata".

Acqua sul fuoco invece dal versante francese. "Anche se la partecipazione di Edf raggiungesse il 20%, resterebbe una partecipazione finanziaria, come ha detto il ministro Laurent Fabius al suo collega italiano, Vincenzo Visco, nei giorni scorsi" ha dichiarato una portavoce dello stesso Fabius commentando, senza confermarle, le anticipazioni di stasera.

Sempre secondo la portavoce "non c'è motivo di porsi il problema" se Edf sale nel capitale di Montedison. "Ci sono molte società italiane che fanno la stessa cosa con altre società italiane, spagnole, tedesche. Per il momento - ha aggiunto - occorre aspettare per vedere innanzitutto quanto Edf ha comprato in Montedison. In secondo luogo occorre stabilire quale è il motivo per cui Edf non potrebbe prendere una partecipazione in Montedison o fare un'alleanza. Terzo: Edf è una società che rispetta pienamente i limiti dell'apertura del mercato in Francia, i quali corrispondono alle direttive di Bruxelles".

La Electricité de France (Edf), insieme ad alcuni alleati, ha oggi ufficializzato di avere in portafoglio il 6 per cento di Montedison. La
prima indiscrezione <http://www.repubblica.it/online/economia/montedison/alleati/alleati.html> dell'aumento nella partecipazione azionaria era trapelata ieri sera negli ambienti finanziari milanesi.

(22 maggio 2001)

E' il capo del clan di Marano, alle porte di Napoli, noto
anche per i suoi stretti rapporti con la mafia siciliana


Arrestato Nuvoletta
boss della camorra

Sessant'anni, latitante, era ricercato dal 1995
E' stato condannato all'ergastolo per il delitto Siani

NAPOLI - Catturato uno degli storici capi della camorra, ai primi posti dell'elenco dei ricercati più pericolosi: è Angelo Nuvoletta, 60 anni. A mettergli le manette è stata la Direzione investigativa antimafia di Napoli, che è riuscita a scovarlo a Marano, comune alle porte di Napoli: cioè proprio nella località in cui Nuvoletta è sempre vissuto, e di cui è stato per anni boss incontrastato. Il boss ha anche cercato di fuggire, aiutato dalle due persone che erano con lui; ma il tentativo è fallito.

Nuvoletta era latitante da sei anni, cioè dal 1995. E' stato rintracciato nella zona di Poggio Vallesana, a Marano, roccaforte di quello che è considerato uno dei più potenti clan del napoletano. Di recente, con la pronuncia della Cassazione, è diventata definitiva la sua condanna all'ergastolo per l'omicidio di Giancarlo Siani, fatto uccidere la sera del 23 settembre 1985 sotto la sua abitazione napoletana di Piazza Leonardo. Il 27 marzo scorso, sempre a Marano, era stato arrestato anche Gaetano Iacolare, condannato come esecutore del delitto Siani.

Ma torniamo alla "carriera" del boss arrestato oggi. Angelo Nuvoletta è considerato l'ultimo dei grandi padrini della camorra ancora in libertà. Inserito nell'elenco dei 30 latitanti di massima pericolosità, appartiene ad una "famiglia" potentissima, alleata con Cosa Nostra. In passato il clan dei Nuvoletta era governato da tutti e tre i fratelli: Lorenzo, Ciro ed Angelo. Il primo, morto nel '94 dopo una grave malattia che lo aveva colpito mentre era detenuto, era considerato il capo; Ciro - ucciso in un agguato nell'ambito della guerra tra i clan Nuvoletta-Gionta e Bardellino-Alfieri-Galasso-Verde - era il più sanguinario del gruppo; Angelo era invece la "mente", responsabile della gestione economica del gruppo. E proprio aad Angelo era toccato di tenere gli stretti contatti con Cosa Nostra e, in particolare, con la cosca dei corleonesi, con cui, già dagli anni settanta, i Nuvoletta avevano stretto un patto di reciproca collaborazione.

A carico di Nuvoletta ci sono numerose imputazioni: dall'omicidio al traffico di stupefacenti, all'estorsione, al possesso di armi ed esplosivo, all'intimidazione, al controllo degli appalti pubblici.

(17 maggio 2001)

Al regista romano la Palma d'oro
primo italiano dopo 23 anni


Trionfo di Moretti
al Festival di Cannes

A "La pianiste" il Gran premio della giuria
Isabelle Huppert miglior attrice

CANNES - Dopo 23 anni un trionfo italiano sulla croisette di Cannes. E' stato Nanni Moretti con il suo "La stanza del figlio" a vincere la Palma d'oro del 54esimo Festival del cinema di Cannes esattamente 23 anni dopo "L'albero degli zoccoli" di Ermanno Olmi.

Ed è un Moretti emozionato, quasi senza fiato ("non avevo preso i tranquillanti" ha detto dopo) quello che sale sul palco a ricevere la Palma d'oro da Antonio Banderas e Melanie Griffith sotto lo sguardo della madrina della serata Charlotte Rampling. Quando si ritrova il microfono per il discorsetto di ordinanza pronuncia solo un lungo elenco di persone che ringrazia per questa vittoria che, in gran parte, era già stata decretata dal pubblico che aveva visto il film. L'annuncio del premio, da parte di una radiosa Liv Ullmann, che si è battuta evidentemente per lui in una giuria divisa, è stato salutato da un applauso liberatorio. Poi l'applauso si è trasformato in un battimano cadenzato mentre Moretti alzava e mostrava la Palma ricevuta.

"Ci sono stati conflitti, bisognava mettere d'accordo tutti però non per il film di Nanni che ha avuto un'eco fortissima dal pubblico che lo aveva accolto in maniera decisamente forte e poi Nanni da tempo è incoronato in Francia", ha detto Mimmo Calopresti che faceva parte della giuria del Festival.
Il regista ha aggiunto che "il dibattito è sempre stato aperto e onesto" e che i clamori politici italiani di questi giorni "non hanno avuto alcun peso". Calopresti ha parlato del suo lavoro di giurato. "E' stato molto intenso - ha detto - Liv Ullman ci ha fatto lavorare molto, ma è stato un lavoro equilibrato".

A parte il successo del regista romano, a far la parte del leone è stato un controverso film francese, "La pianiste" che oltre al Gran premio della giuria ha portato a casa anche quelli per la miglior attrice conla splendida Isabelle Huppert e per il miglior attore con il giovane Benoit Magimel.

Il premio per la miglior regia è andato, ex aequo, a due grandi del cinema indipendente americano: Joel Coen per "The man who wasn't there" e a David Lynch per "Mullholand drive", mentre fra le sceneggiature è stata premiata quella di "No man's island" del bosniaco Danis Tanovic. Infine, la Camera d'oro (migliore opera prima) è stata attribuita a Zacharias Kunuk per "Atanarjuat the fast runner" (Canada).


(20 maggio 2001)

L'artista si è spento a 81 anni, per problemi respiratori
Una carriera di grande successo, all'insegna dell'ironia


Addio Carosone, maestro
della musica italiana

Tanti i brani celebri del cantante partenopeo: da "Torero"
a "Tu vuò fa l'americano". Manu Chao tra i suoi fan

ROMA - Capita spesso di poter ricostruire più facilmente le vicende di un epoca attraverso i fotogrammi di un film o il ritornello di un brano musicale. Renato Carosone - il grande cantante napoletano morto oggi a Roma a 81 anni, nella sua casa sulla via Flaminia, per problemi respiratori di cui soffriva da tempo - ha raccontato, con il sorriso sulle labbra, la voglia di nuovo dell'Italia del dopoguerra, quella che emergeva dalle macerie, e che si costruiva il suo piccolo mito della "nuova frontiera".

E così una delle sue canzoni, "Tu vuò fa l'americano" è destinata a rimanere il simbolo della parabola artistica di Renato Carosone. Un personaggio atipico che però ha costantemente conservato una profonda consapevolezza dei propri mezzi e del valore della cultura. L'artista partenopeo è stato inoltre uno dei primi autentici umoristi della musica popolare italiana, ma anche un anticipatore di quella commistione di generi che è poi diventata uno degli elementi fondamentali della musica contemporanea. Tanto che, tra gli artisti del mondo che lo hanno riconosciuto come maestro, vanno citati il francese Manu Chao e lo spagnolo Carotone (che si rifà a lui perfino nel nome).

Ma a parlare del segno lasciato sulla musica e sul costume ci sono soprattutto i suoi brani. "Maruzzella", "Pigliate 'na pastiglia", "O' sarracino", "Caravan Petrol" sono i titoli attraverso cui è passato il grande successo di Carosone, e che restano alcuni degli esempi più riusciti di incontro tra Napoli, l'America e la commedia.

Renato Carosone nasce nella Napoli dei vicoli popolari il 3 gennaio del 1920, e comincia la carriera a 17 anni. Diplomatosi in pianoforte al Conservatorio, va in Africa al seguito di una compagnia di varietà, restando in Somalia fino al 1946 e diventando un idolo del circuito dei night locali. La marcia verso il successo si apre quando forma, nel '49, il trio con Van Wood, e Gegé Di Giacomo, il vulcanico batterista che lo accompagnerà negli anni del grande successo.

Il periodo d'oro comincia poco dopo, nel '55, grazie all'incontro con il paroliere Nisa, nome d'arte di Nicola Salerno. Nasce così quel gruppo e quel repertorio che hanno fatto di Carosone uno dei protagonisti della musica italiana. Un successo testimoniato dalla traduzione in 12 lingue di "Torero", che entra addirittura nelle classifiche americane.

Quelli del gruppo guidato dall'autore di "O' sarracino" non sono semplici concerti, sono veri e propri spettacoli, in bilico tra musica e teatro. Ma al culmine del successo, avendo fiutato il cambiamento musicale in atto, il 6 settembre del 1960, durante uno spettacolo televisivo, annuncia il suo ritiro. Per 15 anni rimane lontano dalle scene, continuando a studiare il pianoforte e coltivando la sua nuova passione, la pittura. Nel '75 il suo grande ritorno alla "Bussola" di Viareggio, con un'orchestra di 20 elementi. Da allora continua la sua attività, partecipando più volte a trasmissioni televisive, con l'aria di un grande saggio che non ama troppo la musica che gli cresce attorno, ma che non vuole rimanere prigioniero della nostalgia. E sempre all'insegna di una grande dignità artistica.

(20 maggio 2001)

Sei i fermati dai carabinieri: avrebbero violentato
128 adolescenti e preparavano attentati


Pedofilia, arresti a Roma
nei guai medici e imprenditori

C'è il presunto ideologo del "Fronte di liberazione pedofilo"
Un bidello metteva a disposizione i locali di una scuola

ROMA - Ci sono medici,imprenditori, stimati professionisti, un ex poliziotto e un carabiniere in congedo tra le persone arrestate nell'indagine sulla pedofilia che ha portato all'arresto di sei persone con l'accusa di aver violentato complessivamente 128 bambini, tutti maschi, di cui 37 sono già stati identificati. Si tratta di ragazzini tra i 9 e i 14, nella stragrande maggioranza dei casi con alle spalle situazioni familiari di estremo disagio. Bimbi che i genitori obbligavano a prostituirsi per poche lire.

L'operazione de carabinieri del comando provinciale di Roma, ha preso le mosse dalla denuncia di una madre. I suoi due figli di 11 e 14 anni erano costretti sul marcipiede dal padre. La donna allora si è rivolta ai Carabinieri, l'indagine è scattata e l'uomo è finto in manette.

Al vertice dell'organizzazione c'era R.M., romano di 38 anni, ex dipendente della Polizia di Stato e attualmente impiegato presso il Provveditorato agli studi di Roma. L'uomo, proprio grazie alla sua posizione, aveva libero accesso a tutti i dati del ministero della Pubblica Istruzione e forniva agli altri pedofili le liste dei bambini più avvicinabili. Quelli che negli scambi tra loro i pedofili definivano "selvaggina fresca".

L'indagine ha riguardato anche insospettabili che hanno ricevuto informazioni di garanzia e hanno avuto le abitazioni e gli uffici perquisiti dai carabinieri. Tra gli arrestati c'è anche S.F., 59 anni, un bidello della scuola elementare Don Rinaldi sulla via Tuscolana, che avrebbe messo a disposizione dell'organizzazione i locali della scuola, di cui aveva le chiavi, per filmare, in diretta, le violenze sessuali ai ragazzi. Tra gli arrestati anche un ex carabiniere, B.G. di 34 anni, attualmente "buttafuori" di un locale notturno nel quartiere Aurelio di Roma, il quale procacciava bambini da violentare soprattutto ai frequentatori della discoteca. In manette, infine, A.L.A. che nel gruppo aveva solo funzioni di procacciare ragazzini da passare agli altri pedofili.

Le indagini, coordinate dal pm Maria Monteleone della procura di Roma e nelle quali sono stati impegnati, per nove mesi, 23 investigatori del nucleo operativo di via In Selci, hanno portato alla scoperta di circa 89 mila foto, 128 videofilmati 5000 files informatici crittografati. Inoltre 34 utenze cellulari sono state controllate e sono state riscontrate oltre 2000 telefonate tra gli indagati.

Tra gli arrestati anche un romano di 37 anni che, secondo gli inquirenti, sarebbe l'ideologo del sedicente "Fronte di liberazione pedofilo". E' stato inoltre sequestrato materiale ideologico che si riferisce all'attività del "Fronte di liberazione pedofilo" e alla "Brigata pretoriana". Ma, questa volta, a quanto pare, i pedofili si erano organizzati anche "politicamente" fino al punto di progettare e forse organizzare attentati contro magistrati, carabinieri e sacerdoti che si occupano di minori.

(21 maggio 2001)

Almeno 300 feriti e 30 morti. I dispersi più di 50
ma la polizia esclude che si tratti di un'attentato


Disastro a Gerusalemme
crolla sala per matrimoni

La causa più probabile: un cedimento strutturale
L'edificio aveva solo 12 anni: dubbi sui materiali

GERUSALEMME Dai brindisi festosi delle nozze al terrore delle macerie. Un edificio di cinque piani nel quale si trovava un salone per i matrimoni che ospitava 650 persone è crollato ieri sera a Gerusalemme: per ora si contano circa 300 feriti, di cui una ventina gravi, e almeno 30 morti. Ma sono ancora molte le persone rimaste sotto i detriti, secondo le ultima informazioni almeno 50. La polizia propende per il momento per la tesi della sciagura e tende ad escludere un attentato terroristico. Secondo le prime indagini la tragedia sarebbe dovuta a un cedimento strutturale. Il palazzo non era vecchio essendo stato costruito una dozzina d'anni fa.

Le strutture sanitarie di Israele hanno dichiarato lo stato di emergenza. Centinaia di feriti hanno riempito le corsie degli ospedali di Gerusalemme.

Il disastro - probabilmente uno dei più gravi nella storia di Israele - si è verificato nel Palazzo Versailles, una sala di matrimoni nella zona industriale di Talpiot. Si stava celebrando il matriomonio di due giovani, Assaf e Keren
Dror. La sposa è all'ospedale, ha diverse fratture e, in lacrime, ha chiesto scusa per essere stata la causa involontaria della tragedia. Lo sposo è ferito lievemente. Il crollo è avvenuto mentre gli amici stavano sollevandolo sulle spalle per portarlo in trionfo.

"Eravamo seduti a un tavolo - ha detto una giovane donna emersa dalle macerie - quando improvvisamente la sala si è spostata, come in un terremoto. I tavoli si sono accavallati gli uni sugli altri, il pavimento si è aperto e siamo stati risucchiati verso il basso". "Non c'è stata alcuna esplosione", ha aggiunto.

Alice Dror, la madre dello sposo (il padre e un fratello del govane risultano dispersi), ha lanciato pesanti accuse a chi avrebbe dovuto garantire che l'edifico poteva essere adibito a sala per matrimoni. Il proprietario della sala, Meir Balilti è stato interrogato a lungo e poi fermato. Anche l'ingegnere progettista è stato sentito dalla polizia.

Il quadro che emerge dall'inchiesta è complesso.

Il palazzo non era stato progettato per ospitare uffici e solo in un secondo tempo era stato ristrutturato per ospitare ricevimenti.
I pavimenti erano stati costruiti con un materiale - chiamato in ebraico Falkan - che da anni è considerato inaffidabile dalla associazione degli ingegneri israeliani. Di recente erano comparse gravi infiltrazioni di acqua che avevano allarmato i gestori della sala situata al secondo dei tre piani del palazzo. Secondo una testimonianza, il pavimento del terzo piano aveva fortemente tremato anche la settimana passata, durante un altro matrimonio. Ma i gestori della sala non se ne erano preoccupati.

Il palazzo è crollato in pochi minuti, seppellendo tutti. Chi ha avuto la fortuna di trovarsi nella parte superiore, ha preso a scavare con le nude mani per estrarre i congiunti dalla macerie. Fra i primi a prestare aiuti è accorso Yehuda Meshi-Zahav, un ebreo ortodosso che dirige un'unità di soccorso. "Ho visto spesso le vittime di attentati - ha detto Meshi-Zahav - ma un disastro di queste dimensioni è anche per me senza precedenti". Secondo i soccoritori, sotto le macerie potrebbero esserci numerosi cadaveri.

Il capo dei servizi di informazione della polizia israeliana, David Tzuri, ha detto che i soccorritori lavorano a mano, con enorme prudenza. "Non possono utilizzare attrezzi, la situazione è assai delicata, perchè l'edificio può crollare del tutto in qualsiasi momento", ha precisato. La televisione ha mostrato immagini di grossi blocchi di cemento armato sollevati a mano, per liberare le vittime del crollo.

"Non abbiamo nessuna idea del numero delle persone ancora sepolte", ha aggiunto Tzuri. Alcune persone, tuttora sotto le macerie, hanno usato i loro telefoni cellulari per far sapere che erano vive. Secondo il ministro della Sanità Nissim Dahan le persone ancora sepolte sotto le macerie sono diverse decine, mentre il secondo canale della televisione ha parlato di almeno un centinaio.

(25 maggio 2001)

A New York il matrimonio dell'arcivescovo esorcista
officiato dal reverendo Moon della Chiesa dell'unificazione


Milingo si è sposato
"Se Dio vorrà, sarò padre"

Nessun commento dal Vaticano
L'Avvenire: "Ma dove stai andando Emmanuel?"

NEW YORK - L'ha fatto davvero. Non lo hanno fermato né i richiami del Vaticano, né quelli dei suoi devoti, né le preghiere del Papa: monsignor Emmanuel Milingo si è sposato con una cerimonia collettiva officiata dal reverendo Moon, il fondatore Chiesa dell'unificazione. In poco più di mezz'ora, prendendo in moglie all'Hotel Hilton di New York Maria Sung, 46 anni, il settantenne arcivescovo dello Zambia famoso per la sua opera di esorcista e guaritore, ha sancito l'ultima e definitiva spaccatura con la Chiesa.

Non solo. Milingo ha anche annunciato di avere in programma di diventare padre. "Se Dio vorrà - ha detto raggiante dopo la cerimonia - potrei anche diventare padre: ad Abramo è toccato quando aveva 100 anni". Non succederà subito, comunque. La religione del reverendo Moon prevede che i neosposi rispettino 40 giorni di castità.

Milingo, in smoking con il farfallino bianco e garofano rosso all'occhiello. La sposa, piccola e grassottella, vestita di bianco, con il velo bianco sorretto da una coroncina d'argento. Unica fra le presenti, Maria aveva anche lo strascico.

Al momento dello scambio dell'anello e poi, alla fine della cerimonia, applausi di centinaia di persone. Gran cerimnoier, il fondatore della setta in persona, il reverendo coreano Sun Myiung Moon. I due sposi andranno a vivere in Africa, dove Milingo continuerà la sua opera di guaritore.

Da ieri, quando è arrivata la notizia del matrimonio di Milingo, la Santa Sede ha tenuto un atteggiamento prudente, lasciando comunque capire che quel passo avrebbe posto fine ai rapporti tra il vescovo e il Vaticano. Se non è certo che ci sarà la scomunica, sicuramente Milingo sarà sospeso "a divinis" e non potrà più celebrare messa.

"La Santa sede non mi ha mai capito, la Chiesa non capisce i mistici. Mi hanno ridicolizzato e fatto passare per uno stregone", ha detto appena uscito dalla cerimonia.

Milingo ha tenuto un lungo discorso per ricordare la storia dei suoi difficili rapporti con il Vaticano. "Ero troppo popolare - ha detto - temevano che stessi cercando di diventare il Messia dell'Africa. Mi hanno accusato di culto della personalità. Mi hanno fatto venire a Roma dall'Africa, dicendo che il Papa mi voleva: non l'ho mai visto, se non da lontano".



"Ma nessuno, mai - ha quasi gridato Milingo - si è ufficialmente interessato alla fonte di ciò che mi era capitato, alla mia capacità di guarire. Mai. Sono sempre stato boicottato e giudicato a distanza, senza ascoltarmi".

Milingo ha detto di non essere "contro la chiesa cattolica": "Amo la mia Chiesa, ma Dio è con me. Quello che Dio vuole sia realizzato, deve essere fatto".

Giovanni Paolo II oggi non ha fatto in alcun modo riferimento alla decisione di Milingo. "Cosa volete che dica il Santo Padre? Lui non può che pregare per Milingo", ha osservato con i giornalisti uno stretto collaboratore del Papa.

Wojtyla è stato informato delle intenzioni di Milingo mercoledì scorso. Non c'è stato dunque - come spiegava ieri il portavoce della Santa sede Joaquin Navarro Valls - nessun contatto diretto tra le massime autorità vaticane e Milingo, nonostante i tentativi, andati finora a vuoto, di rintracciarlo e di avere chiarimenti.

Ieri l'ex arcivescovo di Lusaka ha emesso un comunicato autografo: "A 71 anni, dopo una vita spesa al servizio della Chiesa e dei miei voti sacerdotali, il Signore mi ha chiamato a fare un passo che cambierà la mia vita e farà di me un mezzo della sua grazia e della sua benedizione per l'Africa e il mondo".

"Mi aspetto - ha proseguito Milingo - che questo passo altererà le mie relazioni con la Chiesa cattolica romana: come prete il matrimonio è la cosa più lontana dalla mia mente, ma è solo attraverso un comando di Gesù e il consiglio del reverendo e della signora Moon che faccio questo inaspettato e coraggioso passo, dopo aver combattuto a lungo nel mio cuore". Milingo ha anche spiegato di aver "deciso da solo" e di non "voler ripudiare la fede cattolica".

Anche il quotidiano dei vescovi "Avvenire" è intervenuto con un articolo in prima pagina in cui si chiede: "Ma dove stai andando, Emmanuel Milingo?". E conclude: "Forse stai ascoltando il tuo cuore cattivo, forse è là dove vai che ti aspetta il Maligno".

(27 maggio 2001)

Il tunnel era chiuso da questa notte dopo
che un camion diretto in Italia aveva preso fuoco


Riaperto dopo nove ore
il traforo del Frejus

I sistemi di sicurezza hanno evitato la tragedia
Nessun ferito, l'autista è riuscito a mettersi in salvo

TORINO - Ci sono volute nove ore per riaprire il tunnel del Frejus dopo che nella notte un camion aveva preso fuoco al suo interno. Adesso il transito è stato ripristinato. L'incidente è avvenuto poco prima delle 4. Il camion viaggiava dalla Francia diretto verso l'Italia. Si trovava al secondo chilometro dopo l'imbocco del traforo, in tutto lungo 13 chilometri, quando si è incendiato. Oltre alla paura, fortunatamente, pochi danni e nessun ferito. Anche l'autista dell'autoarticolato è riuscito a mettersi in salvo.

L'incendio è avvenuto probabilmente a causa di un surriscaldamento dei freni o per un guasto all'impianto elettrico. L'autista, illeso ma sotto choc, è riuscito soltanto a dire che a bruciare è stata la motrice e che improvvisamente si è accorto che la cabina bruciava.

Le fiamme e il fumo hanno attivato immediatamente i sistemi di allarme della galleria, potenziati dopo l'incidente avvenuto la primavera scorsa nel traforo del Monte Bianco, che coinvolse 20 camion e undici automobili causando la morte di 39 persone. Polizia e squadre di pronto intervento sono intervenute subito bloccando gli ingressi. Nessun problema per i veicoli all'interno del tunnel che sono stati fatti uscire. Come riferisce la Sitaf, la società che gestisce il traffico del Frejus, non ci sono state scene di panico, né particolari problemi.

Il traffico è stato dirottato per tutta la mattinata sul valico del Monginevro, raggiungibile con l'autostrada A32, Torino-Bardonecchia.

Il tunnel del Frejus, che ha festeggiato il mese scorso i venti anni di attività, dopo l'incendio al Monte Bianco era rimasto l'unico passaggio per il traffico tra Italia e Francia. La riapertura del traforo del Monte Bianco, ancora in fase di ristrutturazione, è prevista per il prossimo anno.