MAGGIO
2001
Depositate le motivazioni della
sentenza di secondo grado
"Salvatore Ferraro invece lo aiutò a eludere le
indagini"
Marta
Russo: "Scattone
sparò consapevolmente"
L'ex ricercatore:
"Una sentenza ingiusta
la mia innocenza sarà riconosciuta"
ROMA - Giovanni Scattone sparò
consapevolmente. Non con l'intenzione di uccidere ma
prevedendo che la pistola avrebbe esploso un proiettile.
Per questo motivo la Corte d'Assise d'Appello di Roma lo
ha giudicato colpevole di omicidio colposo aggravato per
la morte di Marta Russo. Salvatore Ferraro invece aiutò
Scattone a eludere gli investigatori e si adoperò per
depistare le indagini dopo il ferimento della ragazza, il
9 maggio 1997, in un vialetto dell'università La
Sapienza di Roma.
Queste le motivazioni della sentenza del processo di
secondo grado che ha visto condannare Scattone a otto e
Ferraro a sette anni di carcere, depositate oggi in
tribunale e basate principalmente sulle dichiarazioni di
Gabriella Alletto e sulla perizia sulla particella
quaternaria trovata nella borsa di Salvatore Ferraro.
"Una persona che, come Scattone, conosce il
funzionamento delle armi, avendo prestato il servizio
militare nell'arma dei Carabinieri - scrivono i giudici -
si posiziona alla finestra con il braccio teso fino a
portare la canna dell'arma al limite esterno del
davanzale e, in tale posizione, preme il grilletto, non
lo fa certamente per sentire il clic del percussore:
agisce per sparare". L'ipotesi formulata dalla corte
di primo grado secondo cui Scattone poteva non sapere che
l'arma fosse carica è dunque, secondo la Corte d'Assise
d'appello, priva di qualunque fondamento logico.
Ma l'imputato non può essere considerato colpevole di
omicidio premeditato perché mettendosi le mani nei
capelli dopo aver colpito Marta Russo ha dimostrato che
fu colto di sorpresa.
Secondo Giovanni Scattone, le motivazioni della sentenza
d'appello sono ingiuste e non aggiungono nulla di più a
quella di primo grado che addirittura lo giudicò con
più clemenza. "La ricostruzione dei fatti proposta
dalla sentenza non risponde minimamente alla realtà - ha
detto l'ex ricercatore - nessun elemento indica che lo
sparo che uccise Marta Russo sia avvenuto nella sala
assistenti". Secondo Scattone l'unico indizio su cui
si basa la condanna sono le dichiarazioni di Gabriella
Alletto "totalmente smentite da intercettazioni
telefoniche e ambientali inequivocabili, fra cui il
famoso video che i giudici hanno inspiegabilmente deciso
di non prendere in considerazione".
Critiche alla sentenza di primo grado - nelle pagine
delle motivazioni - anche per quanto riguarda la
posizione dell'ex usciere Francesco Liparota che i
giudici d'appello hanno condannato a quattro anni per
favoreggiamento personale, ribaltando la decisione della
Corte d'Assise che, invece, lo aveva assolto perché
"non punibile" (era stato costretto a mentire
in seguito alle minacce rivoltegli da Ferraro). "La
generica, vaga, indeterminata minaccia di
"ritorsioni" non vale sicuramente - scrive il
presidente Plotino - a giustificare il suo silenzio su un
fatto così grave".
(4 maggio 2001)
Ucciso il presidente del
Partito Popolare dell'Aragona
Il primo attentato da un mese e mezzo a questa parte
Ritorna
l'Eta
Omicidio a Saragozza
MADRID - Torna l'Eta, a una settimana dalle
elezioni generali basche. Il presidente del Partito
Popolare dell'Aragona, Manuel Gimenez Abad, è stato
assassinato questo pomeriggio in una strada del centro di
Saragozza. Il commando, formato da due terroristi, gli ha
sparato alcuni colpi di pistola da un'auto, fuggendo poi
rapidamente. I killer, poco dopo, hanno fatto saltare in
aria l'automobile impiegata nell'attentato. Secondo un
testimone oculare, uno dei due attentatori era un giovane
sui 25 anni con i capelli lunghi e un berrettino. Vicino
al cadavere del dirigente del Pp sono stati trovati
diversi bossoli di proiettili calibro 9 parabellum.
Il tentativo di rianimare il politico si è subito
dimostrato vano, nonostante i medici siano accorsi sul
posto pochi minuti dopo l'agguato. L'attentato è
avvenuto intorno alle sei e mezza del pomeriggio, quando
Gimenez Abad si dirigeva verso lo stadio della Romareda,
dove avrebbe dovuto assistere alla partita di calcio tra
il Saragozza e il Numancia (della serie A spagnola)
insieme al sindaco della capitale aragonese.
Gimenez Abad, 53 anni, sposato, due figli, avvocato di
professione, era senatore ed era stato nominato alla
presidenza del Pp aragonese nel gennaio scorso. Per molti
anni aveva svolto la sua carriera professionale
nell'amministrazione pubblica. Dal 1977 all'81 era stato
segretario generale tecnico del Ministero della
Presidenza, poi era passato a occupare un incarico
dirigenziale nella Presidenza del governo aragonese. Due
anni fa era entrato come deputato nel Parlamento di
Saragozza e dal marzo dello scorso anno era diventato
senatore in rappresentanza della Comunità Aragonese.
Quello di oggi pomeriggio è il primo attentato dell'Eta
dopo circa un mese e mezzo di tregua non dichiarata:
l'ultima vittima dei terroristi era stato un altro
dirigente politico, Froilan Elespe, vice-sindaco
socialista del paesino di Lasarte, nella provincia basca
di Guipuzcoa (San Sebastian). L'impressione di parecchi
osservatori, nelle ultime settimane, era che i terroristi
rinunciassero momentaneamente a colpire per evitare di
danneggiare in maniera eccessiva il partito
indipendentista di Euskal Herritarrok, dato già in forte
calo in vista delle prossime elezioni per il rinnovo del
Parlamento basco previste per domenica prossima. Tutti i
sondaggi pubblicati oggi sui principali quotidiani
spagnoli concordano nell'attribuire a popolari e
socialisti un numero di seggi che dovrebbe consentire a
una coalizione dei partiti "costituzionalisti"
quantomeno di sfiorare la maggioranza assoluta dei seggi.
Il Pnv, il partito nazionalista moderato dell'attuale
"lehendakari" (il presidente della regione)
Juan José Ibarretxe è dato anch'esso in crescita, ma
per restare al governo (che occupa da più di vent'anni)
dovrebbe puntare tutto su un'alleanza con gli stessi
socialisti - decisivi in ogni caso - dopo aver annunciato
che non ripeterà l'esperienza di una coalizione con gli
estremisti di Euskal Herritarrok: questo partito, vicino
ai terroristi dell'Eta, potrebbe vedere addirittura
dimezzati i seggi ottenuti due anni fa (passando da 14 a
7).
E forse sono proprio queste ultime cattive notizie sul
fronte elettorale che possono aver indotto i terroristi a
tornare all'azione. Questa almeno è la tesi del filosofo
Fernando Savater: "Ormai convinti dei cattivi
risultati che otterrano con le loro scelte, hanno deciso
di tornare al terrore, ovvero all'unico linguaggio che
conoscono". Secondo Savater - che da mesi è
impegnato nella mobilitazione sociale contro l'Eta alla
guida dell'organizzazione "Basta Ya" - questo
attentato "dimostra fino a che punto la democrazia
sta tentando di seguire il suo corso e il terrore tenta
di destabilizzare tutti i processi democratici di
qualunque tipo, perché sanno che non saranno favorevoli
a loro".
(6 maggio 2001)
La decisione del ministero
della Giustizia Usa: i federali
hanno sottratto dei documenti alla difesa durante il
processo
McVeigh,
esecuzione
rinviata di 30 giorni
E' l'autore della
strage di Oklahoma City (168 morti)
WASHINGTON - Il ministro della giustizia Usa
John Ashcroft rimanderà di 30 giorni l'esecuzione di
Timothy McVeigh, lo stragista di Oklahoma City che causò
la morte di 168 persone. La notizia è arrivata da fonti
del ministero statunitense. Motivo: l'Fbi, durante il
processo, ha sottratto per errore dei documenti alla
difesa. Lo ha riferito all'Ap una fonte che ha chiesto di
mantenere l'anonimato.
L'Fbi ha informato i giudici, a pochi giorni
dall'esecuzione di McVeigh, fissata per mercoledì 16
maggio, di avere sottratto alla difesa del terrorista
elementi di prova durante il processo, spiegando che
l'errore è stato scoperto mentre l'ufficio federale
stava archiviando dei documenti. L'avvocato di McVeigh
deve ora decidere come utilizzare le rivelazioni a
vantaggio del suo cliente, che, però, dal canto suo e
nonostante gli appelli per fermare il boia giunti persino
dal Papa, non ha mai detto di volere chiedere un rinvio
dell'esecuzione.
"Timothy sembra felice ed è pronto a morire"
aveva detto il padre del terrorista quando era giunta la
lettera di Giovanni Paolo II a George Bush. McVeigh, 33
anni, fece saltare in aria un palazzo intero a Oklahoma
City uccidendo 169 persone, tra cui 19 bambini, e non ha
mai mostrato rimpianto per la strage né ha mai voluto
chiedere perdono ai parenti delle vittime. Per lui si era
parlato addirittura di un'esecuzione in diretta web ma
poi l'amministrazione penitenziaria si era opposta.
Le reazioni dei parenti delle vittime alla notizia che
McVeigh potrebbe scampare al boia sono state durissime.
"Se quell'uomo se la cava, vi assicuro, qualche
testa qui cadrà" ha detto Kathleen Treanor, sorella
di uno dei piccoli morti nell'attentato. "Sono certa
che la gente di Oklahoma city e soprattutto i
sopravvissuti alla strage compiuta da McVeigh non lo
sopporteranno - ha detto Patti Hall che rimase ferita
nell'esplosione mentre lavorava nel suo ufficio alla
Federal Employees Credit Union - Sono sconvolta, è
un'ingiustizia". Patti Hall ribadisce di essere
sempre stata contraria all'esecuzione di McVeigh:
"Io sono contraria alla pena di morte, ma non così
non per un errore e a pochi giorni dall'esecuzione".
(11
maggio 2001)
ELEZIONI 2001
SILVIO Berlusconi ha vinto le elezioni,
consegnando alla destra la maggioranza della Camera e del
Senato, e dopo aver ottenuto nei prossimi giorni
l'incarico dal Capo dello Stato - come vuole la regola di
un sistema maggioritario, sia pure imperfetto come il
nostro - governerà il Paese da presidente del Consiglio.
Diciamo subito che si tratta di una vittoria piena e
legittima, avvenuta dopo una campagna aspra ma pienamente
regolare, e conquistata in una giornata (e una nottata)
elettorale dominata da un caos tecnico nei seggi che è
stato scandaloso, ma che tuttavia non ha tolto nulla alla
chiarezza e alla regolarità del responso. E' un vero e
proprio "cambio", qualcosa di più di un'
alternanza tra destra e sinistra alla guida di una grande
democrazia occidentale, com'è avvenuto e avviene in
tutt'Europa. Viene sconfitta una classe dirigente che
nell'insieme governa il Paese dal 1995, che ha risanato
l'economia e che soprattutto ha portato l'Italia
nell'Euro, lavorando in stretto rapporto con quel
riformismo europeo (la socialdemocrazia tedesca, il
socialismo francese, il laburismo inglese) che sembrava
fino ad oggi la cultura politica continentale più adatta
per coniugare rigore e sviluppo, crescita ed equità.
Torna al potere per la seconda volta la destra
berlusconiana, che nel '94 tenne la guida del Paese per
sette mesi appena. Berlusconi, che ha costruito se stesso
nella mitologia del comando e nella leggenda
dell'invulnerabilità, ha in realtà il merito di aver
attraversato il deserto dell'opposizione per cinque anni.
E l'ha saputo fare irrobustendo giorno dopo giorno il suo
partito (dalla plastica all'acciaio e rafforzando intanto
la presa totale sulla sua coalizione, fino a presentarsi
ai suoi elettori come leader unico e indiscusso. Per lui,
per la sua cultura e per la disperazione politica
imprigionata nella lunga opposizione, la data di oggi non
è soltanto quella della conquista di una maggioranza di
governo, come avviene normalmente nelle alternanze
occidentali: è la data della presa del potere,
l'anno-zero, l'avvio di un'epoca
"rivoluzionaria". Ecco perché siamo davanti a
un "cambio", e non ad un semplice passaggio di
consegne tra una sinistra uscente e una destra
subentrante. Il "cambio", o almeno il
cambiamento, è con ogni evidenza ciò che volevano gli
italiani.
Più che nei suoi programmi, nei progetti o nelle
proposte di governo, Berlusconi rappresenta
antropologicamente, biograficamente, addirittura
biologicamente un'altra Italia, che vuole impetuosamente
"fare", ma chiede di fare da sé, escludendo
insieme lo Stato e il senso dello Stato, pur di pagare
meno tasse e soprattutto pur di non avere più regole.
Ecco, se cercassimo una definizione di fondo del fenomeno
venuto alla luce con il voto, dovremmo parlare di un
Paese "sregolato", tumultuosamente vitale ma
privo di un baricentro civico, senza più una comune
identità civile, pronto a lasciarsi comandare pur di non
farsi carico di responsabilità collettive, impegni
condivisi, parametri comuni.
Un Paese di individui che chiedono di crescere,
certamente, ma ognuno per sé e secondo i suoi comodi,
delegando al primo tra tutti - ma uguale tra i tanti - di
pensare allo Stato, mettendolo in riga: e dunque
modernizzandolo, snellendolo, sveltendolo, ma perché poi
una volta fatto snello, moderno e più svelto, possa
farsi da parte, e non intralciare il cammino di chi ha da
fare. Questo spirito dei tempi, mezzo imprenditoriale
(negli istinti), mezzo privatistico (nella cultura) non
so bene se sia stato da Berlusconi interpretato a
perfezione, oppure suscitato e coltivato con cura. Fatto
sta che il leader della destra ne è oggi l'interprete e
il padrone, il domatore e l'impresario.
Lo ha rappresentato per cinque anni, lo ha trasformato in
blocco sociale, lo ha cavalcato dall'opposizione e
finalmente con il voto lo ha definitivamente tramutato in
forza d'urto elettorale, che ieri ha trovato
rappresentanza e da oggi chiede soddisfazione. Un Paese
impaziente e insofferente: soltanto il populismo, un
moderno populismo telematico e titanico, poteva eccitarlo
e domarlo insieme, almeno fino al giorno della vittoria
elettorale. Tanto da far dire a Marcello Dell'Utri,
supremo sacerdote del berlusconismo, questa frase quasi
iniziatica: "Si avverte nell'aria l'idea che siamo
tutti alla vigilia di qualcosa di grande".
Berlusconi è riuscito in tutto ciò, ed è il suo
secondo miracolo, dopo la creazione in pochi mesi del
partito che vinse le elezioni nel '94.
Ma ha fatto di più, perché ha tradotto in politica
queste spinte di per sé estranee alla politica, se non
genericamente "anti", e ha dato loro un
contenitore apertamente di destra, inedito in un Paese
che non conosceva né una vera destra né dei veri
conservatori, perché era governato da quella specie
particolare di moderati che erano i democristiani. Oggi
la destra è prima di tutto una forza, poi una forza di
governo, e addirittura un'identità per una buona parte
degli italiani. Tutto questo grazie a Berlusconi, che ha
scongelato il post-fascismo di Fini, ha digerito e
regolato il separatismo di Bossi, ha subordinato a sè
l'eredità democristiana di Casini e Buttiglione. Tutti
questi tronconi politici, insieme, non facevano una
destra. Il Cavaliere ha aggiunto il berlusconismo, che è
una moderna ideologia, l'organizzazione di Forza Italia,
la forza "scatenata", senza più catene, di un
ceto sociale lasciato libero di crescere comunque e
correre dovunque. E' sulla base di questa piattaforma
"rivoluzionaria" che Berlusconi ha chiesto un
voto, ma soprattutto un plebiscito agli italiani.
Ha avuto il voto, che gli basta per governare - e in
democrazia potremmo fermarci qui, perché è ciò che
conta. C'è un vincitore alle elezioni, ed è un
vincitore chiaro e netto, con tutto lo spazio elettorale
per governare. Ma il moderno populista non ha avuto il
plebiscito che cercava. Anzi. Se guardiamo da vicino il
voto per il Senato, ci accorgiamo che la Casa delle
libertà ha conquistato ieri circa due milioni di voti in
meno di quanti ne raccolsero il Polo e la Lega nel 1996
(che allora correvano separati), mentre l'Ulivo più
Rifondazione comunista (che cinque anni fa erano
collegati) hanno totalizzato oggi seicentomila voti in
più del '96: e ciò che più conta, mezzo milione di
voti più della destra berlusconiana. Se ne deduce che se
l'Ulivo e Rifondazione fossero stati uniti contro la
destra, avrebbero raccolto al Senato il 43,7 per cento
dei voti, contro il 42,5 della Casa delle libertà.
La responsabilità politica di Bertinotti, che con
l'inseguimento folle, egoista e inutile dei suoi due
senatori ha regalato il Senato e dunque la presidenza del
Consiglio a Berlusconi, è di tutta evidenza. Dev'essere
per questo che il leader di Rifondazione ieri si è
presentato nel suo salotto abituale e preferito,
"Porta a Porta", in uno stato di evidente
sovreccitazione, anche motoria, e ha attaccato
"Repubblica" in anticipo, accusandola - proprio
lui - di "stalinismo". Spente le telecamere, e
in attesa di una nuova comparsata da Vespa, il leader
può calmarsi, visto che è riuscito ad avverare il suo
triplice sogno: Berlusconi al potere incarnando il
fantasma della destra, Bertinotti in piazza con le
bandiere rosse perdenti ma alte, e il riformismo - il
vero nemico di Fausto - sconfitto e battuto, con la
sinistra di governo all'opposizione.
E tuttavia, persino Bertinotti dovrà riflettere sul
voto, insieme con tutta la sinistra e addirittura col
Cavaliere. C'è mezzo Paese (nel voto per il Senato è la
netta maggioranza, se a Ulivo e Rifondazione si somma il
3,4 di Di Pietro) che non accetta di consegnarsi a
Berlusconi. Per la sciagurata incapacità politica dei
suoi rappresentanti, questo mezzo Paese o poco più non
ha saputo raccogliere le sue differenze in uno
schieramento plurale, capace di opporsi con successo al
Cavaliere. Ma da qui bisognerà per forza di cose
ripartire. Salvo che nella sinistra non prevalga
l'istinto fratricida e il cupio dissolvi che l'ha
governata e posseduta con successo per cinque anni,
vanificando nell'opinione pubblica i buoni risultati
ottenuti dai governi Prodi, D'Alema, Amato.
La resa dei conti dopo la sconfitta è un lusso dei
poveri, di cui faremmo volentieri a meno, se disponessimo
per una volta di una classe dirigente all'altezza. Anche
perché il voto, paradossalmente, lascia più di uno
spazio per un centrosinistra capace di svolgere il suo
ruolo. La vittoria del Cavaliere, infatti, non ha
distrutto la leadership nascente dell'Ulivo, come poteva
accadere: tutt'altro. Rutelli ha preso in mano una
coalizione a pezzi, e insieme con Fassino ha retto per
tutta la campagna elettorale, dimostrando tenuta,
struttura e capacità politica, non soltanto telegenìa,
come dicevano i suoi critici. Il forte risultato della
Margherita, con quel 14,5 per cento del tutto inatteso
anche dai sondaggisti, rafforza la leadership di Rutelli
e la proietta su tutta la coalizione e sulla prossima
legislatura.
Io penso che la creazione di una solida "seconda
gamba" dell'Ulivo sia un risultato positivo, perché
la sinistra da sola non può vincere. Nello stesso tempo,
senza la sinistra il centro non vince. Credo anche che la
sinistra debba ricostruire se stessa, perché i Ds hanno
ottenuto un risultato molto deludente con il loro 16,6
per cento, frutto di un logoramento costante
dell'elettorato ex comunista, ma anche della
straordinaria e spettacolare mancanza di una leadership
visibile in questa campagna elettorale, con Veltroni
impegnato nella battaglia per il Campidoglio, D'Alema
rinchiuso a Gallipoli nella lotta per difendere il suo
seggio, Fassino impegnato a giocare tutte le sue carte
per l'Ulivo (non per il partito) a sostegno leale di
Rutelli.
Oggi la ricostruzione di un'identità di sinistra
riformista e occidentale è aperta, e per qualche aspetto
drammatica: proprio Fassino può essere il leader da cui
ripartire, insieme con Amato, D'Alema e Veltroni. Ma
questa prospettiva non è conflittuale con la buona
salute e la crescita della Margherita, né con la
leadership di Rutelli, conquistata sul campo. Tutto il
resto appartiene alla categoria dell'autolesionismo, che
gli elettori di sinistra credo non vogliano più
tollerare, dopo l'abuso di questi anni. In più, la
vittoria della destra nasconde problemi evidenti. A
sorpresa, il Cavaliere si è giovato dell'accordo con la
Lega non perché ha sommato i suoi voti con quelli di
Bossi, facendo il pieno, ma perché ha divorato
letteralmente l'elettorato leghista. Bossi era
consapevole del pericolo, fin dal 1994: ogni volta che si
avvicina troppo a Berlusconi, il Cavaliere gli si
sovrappone elettoralmente, fino a vampirizzarlo.
E con Bossi, Berlusconi si è mangiato direttamente
l'elettorato di Casini e Buttiglione e l'intero loro
partito (o forse erano due), e un bel pezzo di An, il suo
alleato storico: proprio quel pezzo che serviva a Fini
per sorpassare i Ds e diventare come sperava il secondo
partito. Invece è stato superato anche dalla Margherita,
ed è finito al quarto posto tra i partiti italiani.
Tutta questa dinamica politicamente poco virtuosa (salvo
che per il Cavaliere) è per ora avviluppata dalla
vittoria. Ma questi ex leader sono giovani, e vorranno
pur pensare al loro futuro. O si sottomettono
definitivamente, fondendosi in Forza Italia, oppure
dovranno in qualche modo rendersi visibili: l'alternativa
è governare da servitori, sotto padrone, con un uomo
solo al comando.
L'analisi del voto finisce qui, dal Cavaliere, dov'era
cominciata: com'è giusto con chi ha vinto. Ripetiamo,
una vittoria legittima. E aggiungiamo, serenamente: una
vittoria che non ci piace, perché non pensiamo che quel
modello di Paese, di leadership e di destra sia utile
all'Italia di oggi. Racconteremo con scrupolo di cronisti
l'avvento di quest'era berlusconiana, breve o lunga che
sia, com'è nostro dovere, e come vuole il nostro
mestiere, in democrazia: con serenità e con severità
-perché le domande e i problemi che abbiamo sollevato in
campagna elettorale sussistono tutti -sapendo che un
giornale è solo un giornale, ma talvolta può
rappresentare un pezzo di opinione, di cultura e di
Paese. Qualcosa di importante, al di là di chi comanda
in quel momento. Un'Italia di minoranza, a cui noi
teniamo.
(15
maggio 2001)
I risultati
definitivi delle elezioni politiche mostrano
la forza della Cdl sia a Montecitorio che a Palazzo
Madama Camere, Polo batte Ulivo
545 parlamentari a 367
ROMA - Un Parlamento saldamente nelle mani
della Casa delle libertà: i risultati definitivi delle
elezioni politiche, giunti solo questa mattina,
confermano le tendenze emerse nel corso del lunghissimo
spoglio. Subito qualche cifra, per mostrare la forza del
centrodestra in entrambi i rami: alla Camera i deputati
del Polo (più Lega) sono 368, contro i 242 dell'Ulivo;
mentre a Palazzo Madama i senatori sono 177 contro 125.
In generale, dunque, la pattuglia di parlamentari guidati
da Silvio Berlusconi conta 545 "soldati",
contro i 367 di Francesco Rutelli.
Camera. Come è noto, a Montecitorio tre quarti dei
deputati sono eletti col sistema maggioritario, e il
rimanente quarto col proporzionale. Nel maggioritario la
Casa delle libertà ottiene 282 deputati: 102 in più del
centrosinistra, a cui però vanno aggiunti gli 8 seggi
conquistati in Trentino Alto Adige dall'alleanza tra
l'Ulivo e la Svp. Sul fronte proporzionale, Forza Italia,
primo partito italiano, fa la parte del leone, con 62;
nettamente distanziata, all'interno della coalizione, An
(24). Distanze molto più ridotte nell'altro
schieramento, dove i Ds, coi loro 31 deputati, sono
tallonati dalla Margherita (27). Completano il quadro gli
11 seggi ottenuti (sempre al proporzionale) da
Rifondazione comunista. Nella voce indicata da Viminale
come "altri" (candidati non riconducibili ai
partiti nazionali), troviamo altri due deputati. Ma il
dato vero è il seguente: alla Camera Cdl batte Ulivo 368
a 242; alle politiche del '96, il rapporto (allora in
favore del centrosinistra) era di 284 a 246 (esclusi i 35
onorevoli di Rifondazione).
Senato. Più semplice il calcolo dei risultati al Senato,
dove non c'è quota proporzionale. Qui il centrodestra
ottiene 177 seggi, 52 in più degli avversari del
centrosinistra (fermi a 125), a cui vanno aggiunti i 2 di
Ulivo-Svp. Le forze alternative ai due poli devono
accontentarsi delle briciole: 3 senatori a Rifondazione,
2 a Democrazia europea, 2 alla Svp (da sola), 1 a una
lista autonomista, 1 a un candidato individuale.
(15
maggio 2001)
Non raggiungono
il quorum: Di Pietro, D'Antoni, i Verdi e lo Sdi
anche i Radicali fuori dal Parlamento, non accadeva dal
'76 La sconfitta dei piccoli
solo Rifondazione si salva
ROMA - Nelle elezioni del trionfo del
centrodestra, il centrosinistra non è l'unico sconfitto:
a fargli compagnia ci sono tutti "i piccoli"
partiti (eccetto Rifondazione) schiacciati dalla nuova
logica del maggioritario, che mantiene saldo il suo
elettorato. La vittima più illustre dello sbarramento
del 4 per cento è la Lega di Umberto Bossi (al 3,9), ma
ci restano impigliati anche Antonio Di Pietro con la sua
Italia dei Valori (pure al 3,9), la coppia Sergio
D'Antoni-Giulio Andreotti con Democrazia Europea (2,4),
Marco Pannella e Emma Bonino con i Radicali (2,3) e il
Girasole (al 2,2), ultimo nato dell'unione tra i Verdi e
lo Sdi di Boselli.
Un pugno di leader che ha sofferto una notte e un giorno.
Ha visto i sondaggi trasformarsi in proiezioni e poi in
dati reali. E' rimasto in silenzio, poi si è arrampicato
sugli specchi della dialettica politica. Alla fine
davanti ai quei dannati numeri che non cambiavano mai -
se non al ribasso - si è dovuto arrendere: l'Italia li
ha bocciati. La logica del maggioritario non rende
oltremodo rischioso correre da soli.
Per i radicali è la prima volta dal 1976 che restano
fuori dal Parlamento. La Lista Bonino ha tentato
l'impresa disperata di raggiungere il 3,5 per cento in
Lombardia per far scattare almeno l'elezione di un
senatore.
L'obiettivo non è stato però raggiunto. Alla
Camera sono rimasti senza seggio, perchè non
ri-candidati, alcuni esponenti storici del movimento
radicale, anche se ormai si erano
"naturalizzati" in Forza Italia.
Gli esempi più eclatanti sono quelli di Peppino
Calderisi e di Marco Taradash. Francesca Scopelliti,
eletta nel '96 sotto lo scudo" del Polo ma iscritta
e militante nel Pr è stata invece ieri notte battuta a
Mantova. Pietro Milio, unico rappresentante in Parlamento
eletto nel '96 nelle liste Bonino non è stato
riconfermato nella sua Sicilia.
Sconfitta imprevista anche per D'Antoni e Giulio
Andreotti, con il senatore a vita che ammette con
onestà: "Non mi aspettavo questo risultato".
Accettono la sconfitta anche i fondatori del Girasole, i
Verdi, che pensano di sciogliersi, e lo Sdi, che ha già
avviato un'autocritica serrata. Tacciono gli uomini di Di
Pietro, che pensano ai ricorsi contro "una presunta
irregolarità delle votazioni" per strappare il
fatidico pass.
(14 maggio 2001)
A "Porta a
porta" l'intervista del leader del centrodestra
"Stop alla riforma della scuola e vigile di
quartiere" Berlusconi: "Subito i ministri
poi via alle priorità" Un messaggio
all'opposizione: "Collaboriamo"
Sarà riformato anche l'intero sistema degli appalti
ROMA - La prima
dichiarazione agli italiani è un
testo scritto, letto davanti alle televisioni. La prima
intervista, Silvio Berlusconi, la concede a Bruno Vespa,
a quella che il leader della Casa delle Libertà chiama
"la vera agorà della politica". Seduto in uno
studio diverso da quello usato per la campagna
elettorale: niente più maxi slogan dietro le spalle, ma
scrivania di ciliegio e oggetti di antiquariato ad
arredare l'ambiente. E' soddisfatto Berlusconi per il
successo elettorale, "una vittoria ampiamente
prevista", tanto che il leader del Polo ad un certo
punto della notte se n'è andato a letto:
"Immaginavo un margine così largo".
Il pezzo forte dell'intervista è l'elencazione del primo
ordine del giorno, del primo giorno di lavoro del secondo
governo Berlusconi. I punti elencati sono quelli già
previsti dal programma elettorale, ma certo non era
previsto che entrassero tutti assieme nell'agenda delle
prime 24 ore.
Il primo provvedimento riguarda la tassa di successione,
che Berlusconi vuole assolutamente cancellare. Poi la
scure del Poli si abbatterà sulla riforma della scuola,
messa a punto da Berlinguer e De Mauro: "Una riforma
che va bloccata immediatamente per poi avere il tempo di
prepararne un'altra migliore. Soprattutto una riforma che
incontri il favore degli alunni, delle loro famiglie e
dei docenti".
Poi ci sarà una "riforma sostanziale di tutto il
sistema degli appalti, per rimettere in moto la macchina
dei lavori pubblici, immobile da anni".
Ultimo punto all'ordine del giorno nel primo giorno di
lavoro per Berlusconi e i suoi ministri sarà
l'istituzione "del poliziotto, del carabiniere e del
vigile di quartiere". "Un provvedimento - dice
Berlusconi - fondamentale per la sicurezza nelle nostre
città. Una delle esigenze più sentite dai nostri
elettori".
Sempre a Porta a Porta l'anticipazione sulla possibile
lista dei ministri: "Mi piacerebbe poter annunciare
la squadra di governo subito dopo essere uscito dallo
studio del capo dello Stato per l'incarico, dopo averne
discusso con il presidente della Repubblica".
Sul risultato degli alleati non proprio entusiasmante,
Berlusconi spiega: "Penso che gli alleati saranno
assolutamente soddisfatti, poichè dispongono di gruppi
parlamentari ampiamente superiori ai voti ottenuti, il
che consentirà loro di essere importanti nel lavoro
parlamentare".
Parole anche per l'opposizione: "La Casa delle
Libertà è assolutamente aperta al dialogo, tocca
all'opposizione fare il suo mestiere e farci sentire
addosso il suo controllo. Ma spero che questo rimanga nei
limiti di un'opposizione responsabile, come abbiamo fatto
noi, che siamo stati presenti tutte le volte che
bisognava approvare una legge positiva per il paese o si
trattava di una situazione che riguardava la presenza
italiana nel panorama internazionale".
(14
maggio 2001)
Il leader
dell'Ulivo: "Non c'è stato il plebiscito per
Berlusconi"
e sul futuro: "Sono a disposizione della
coalizione" Rutelli ammette la sconfitta
"Ora opposizione intransigente" "La
vittoria del Polo è legittima
Adesso si impone una riforma elettorale"
ROMA - "La Casa delle Libertà ha
acquisito una maggioranza alla Camera e al Senato, do
atto di questa vittoria legittima". Parte da qui
Francesco Rutelli per commentare la sconfitta sua e del
centrosinistra. Parte dall'unica concessione, quella
dovuta, agli avversari ai quali poi promette subito
"un'opposizione incisiva e intransigente".
Il leader dell'Ulivo, accolto al suo arrivo all'hotel
Excelsior da un caloroso applauso, è parso sereno. Dopo
aver ammesso la sconfitta riparte all'attacco della Casa
delle Libertà: "Uno schieramento di cui non abbiamo
alcuna fiducia, perché sappiamo che purtroppo per il
Paese, non sarà in grado di mantenere le promesse
elettorali. Noi li combatteremo e il nostro primo impegno
sarà per risolvere immediatamente il conflitto
d'interessi che pesa su Silvio Berlusconi".
La sconfitta però non è una disfatta, perché "la
destra ha fallito il plebiscito su Berlusconi, sono
assestati sulle stesse posizioni del '96". E poi
ancora: "A guardare i dati si vede che loro non sono
la maggioranza nel Paese, tanto più che la lora forza
parlamentare si poggia l'alleanza tra il Polo e la Lega,
che appare molto instabile. Noi abbiamo piazzato una
grande rimonta ma ci siamo fermati a pochi passi, quelli
decisivi".
Rutelli - indicato da Parisi come futuro capo
dell'opposizione - guarda al futuro: "Da queste
elezioni perdute scaturiranno elementi di forza che ci
consentiranno di superare le cause che hanno impedito al
centrosinistra di far apprezzare i risultati ottenuti dai
governi Prodi, D'Alema e Amato. L'Ulivo ha ritrovato
identità, orgoglio e capacità di mobilitazione. Al
Senato il nostro consenso è stato più alto di quello
del '96, e alla Camera si è avuto un miglioramento di
oltre 1,5 milioni di voti nei rapporti di forza tra i due
Poli".
Domani Rutelli sarà al vertice dell'Ulivo, dove si
getteranno le basi per il futuro: "Io e Fassino
siamo a disposizione della coalizione. Certo le nostre
analisi dovranno partire da quello che è accaduto ieri.
Il primo pensiero va a Rifondazione, che al Senato ha
portato un doppio danno: a noi e a se stessa. Abbiamo
lavorato per correre assieme, non ci siamo riusciti, ma
non ci rassegnamo. Il successo della Margherita - che non
è in competizione con i Ds - mi fa felice, ma non mi
consola della sconfitta".
Nell'agenda dell'Ulivo ci sarà anche una riforma
elettorale, o almeno così dice Rutelli: "Penso che
sia necessaria una sostanziale modifica di quella
attuale".
(14 maggio 2001)
Antonio Suraci
abita in provincia di Reggio Calabria:
"Tante persone anziane si sono sentite male"
L'ultimo votante in Italia
"Sette ore in fila"
REGGIO CALABRIA - Il signor maglia nera del
voto si chiama Antonio Suraci. Abita a Terreti, una
frazione di Reggio Calabria e per poter votare non ha
esitato a passare sette ore in fila davanti al seggio.
Suraci, che ha 51 anni ed è candidato alle comunali a
Reggio nelle liste dello Sdi, si è aggiudicato la palma
dell'ultimo votante in Italia: "Sono entrato alle 5
della mattina, dopo sette ore di fila" dice.
"Erano le 4,07" ribattono dall'ufficio
elettorale del comune di Reggio. Dettagli che non
cambiamo di una virgola l'odissea elettorale.
Suraci racconta così la sua esperienza: "Quella di
votare per ultimo - ha spiegato Suraci - è stata una mia
scelta. In fila con me c'erano molte persone anziane alle
quali ho ritenuto giusto dare la precedenza. Molte
persone che, durante la lunga attesa per votare, si sono
sentite male e alle quali, malgrado si fossero messe in
coda dopo di me, ho dato la possibilità di votare
prima".
Terreti è una piccola frazione montana in provincia di
Reggio Calabria con una sola sezione elettorale per poco
meno di 700 elettori, per la maggioranza anziani. E
proprio l'età elevata e la complessità del voto, sono
state le cause dei ritardi nello svolgimento delle
operazioni elettorali. "Ma a provocare più di ogni
altra cosa il caos è stata certamente la decisione di
ridurre da due ad una le sezioni elettorali - continua
Suraci - Sono sicuro, infatti, che se si fosse potuto
votare in due sezioni, i problemi sarebbero stati di gran
lunga inferiori". Suraci sostiene che la richiesta
fatta più volte al Comune nel corso della giornata di
aumentare le cabine, in modo da consentire a più persone
di votare contemporaneamente, non è stata presa in
considerazione.
La "maglia nera" del voto descrive così la sua
nottata di passione. "Corridoi stretti e locali
angusti dove la gente è rimasta ammassata per ore prima
di potere esprimere il proprio voto. Sono stati molti
coloro che, vinti dalla stanchezza, hanno preferito
uscire dalla fila e tornare a casa". Qualcuno ha
desistito ed è tornato a casa. "Quasi trecento
persone" continua Suraci.
A complicare la situazione ha contribuito poi la
complessità del voto. "Molti elettori - spiega
Suraci- di fronte a cinque schede sono stati presi dal
panico. E così, alcune persone hanno impiegato parecchio
tempo prima di uscire dalla cabina. La triste verità è
che siamo stati tutti vittime di una situazione
allucinante".
(14 maggio 2001)
I
risultati del secondo turno delle comunali. Rimini
e Belluno al centrosinistra, Rovigo e Benevento al Polo
Rivincita dell'Ulivo
nelle tre grandi città A Roma, Napoli e Torino vincono
Veltroni, Russo Iervolino e Chiamparino
ROMA - Il centrosinistra si prende una
rivincita sui risultati del voto politico e riesce a
eleggere i tre suoi candidati alla guida delle grandi
città: è il dato che emerge dal turno elettorale di
ieri. Una vittoria nel segno di Walter Veltroni a Roma,
di Rosa Russo Iervolino e Napoli, di Sergio Chiamparino a
Torino; ma anche una conferma per le amministrazioni
precedenti, visto che tutte e tre le metropoli sono
reduci da due governi consecutivi del centrosinistra.
Negli altri quattro capoluoghi di provincia in cui si è
votato, situazione di parità: l'Ulivo vince a Belluno e
Rimini, la Casa delle libertà a Rovigo e (di
strettissima misura) a Benevento
Ecco i risultati città per città. A Roma lo scrutinio
si è concluso a tarda notte.
Roma: il diessino Walter Veltroni è al 52,2%, sul
forzista Antonio Tajani (47,8). Il candidato del
centrosinistra festeggia a piazza Santi Apostoli.
Napoli: Acquisiti i risultati definitivi la candidata
dell'Ulivo Rosa Russo Iervolino è al 52,9%, il rivale
Antonio Martusciello si ferma al 47,1%.
Torino: Sergio Chiamparino, candidato del centrosinistra,
alla fine dello spoglio termina la sua corsa alla
poltrona di sindaco col 52,8% dei voti. Sconfiggendo
Roberto Rosso del centrodestra.
Negli altri comuni capoluoghi di provincia, a Benevento
vittoria per un pugno di voti (intorno ai duecento) per
il polista Sandro D'Alessandro, col 50,1%, su Pasquale
Grimaldi al 49,9. A Belluno, Ermanno De Col del
centrosinistra è sindaco col 51,87; sconfitto Luigi
Panzan. A Rimini, Alberto Ravaioli dell'Ulivo prevale col
52,5% su su Gianluca Spigolon della Casa delle libertà.
Esito opposto a Rovigo, dove Paolo Avezzù (candidato di
Polo più Lega) ottiene il 54% sul rivale Fausto
Merchiori.
In tutto, i comuni chiamati alle urne per il ballottaggio
sono settantasette, inclusi i sette capoluoghi di
provincia.
(28
maggio 2001)
I risultati definitivi delle
elezioni politiche mostrano
la forza della Cdl sia a Montecitorio che a Palazzo
Madama
Camere,
Polo batte Ulivo
545 parlamentari a 367
ROMA - Un Parlamento saldamente nelle mani
della Casa delle libertà: i risultati definitivi delle
elezioni politiche, giunti solo questa mattina,
confermano le tendenze emerse nel corso del lunghissimo
spoglio. Subito qualche cifra, per mostrare la forza del
centrodestra in entrambi i rami: alla Camera i deputati
del Polo (più Lega) sono 368, contro i 242 dell'Ulivo;
mentre a Palazzo Madama i senatori sono 177 contro 125.
In generale, dunque, la pattuglia di parlamentari guidati
da Silvio Berlusconi conta 545 "soldati",
contro i 367 di Francesco Rutelli.
Camera. Come è noto, a Montecitorio tre quarti dei
deputati sono eletti col sistema maggioritario, e il
rimanente quarto col proporzionale. Nel maggioritario la
Casa delle libertà ottiene 282 deputati: 102 in più del
centrosinistra, a cui però vanno aggiunti gli 8 seggi
conquistati in Trentino Alto Adige dall'alleanza tra
l'Ulivo e la Svp. Sul fronte proporzionale, Forza Italia,
primo partito italiano, fa la parte del leone, con 62;
nettamente distanziata, all'interno della coalizione, An
(24). Distanze molto più ridotte nell'altro
schieramento, dove i Ds, coi loro 31 deputati, sono
tallonati dalla Margherita (27). Completano il quadro gli
11 seggi ottenuti (sempre al proporzionale) da
Rifondazione comunista. Nella voce indicata da Viminale
come "altri" (candidati non riconducibili ai
partiti nazionali), troviamo altri due deputati. Ma il
dato vero è il seguente: alla Camera Cdl batte Ulivo 368
a 242; alle politiche del '96, il rapporto (allora in
favore del centrosinistra) era di 284 a 246 (esclusi i 35
onorevoli di Rifondazione).
Senato. Più semplice il calcolo dei risultati al Senato,
dove non c'è quota proporzionale. Qui il centrodestra
ottiene 177 seggi, 52 in più degli avversari del
centrosinistra (fermi a 125), a cui vanno aggiunti i 2 di
Ulivo-Svp. Le forze alternative ai due poli devono
accontentarsi delle briciole: 3 senatori a Rifondazione,
2 a Democrazia europea, 2 alla Svp (da sola), 1 a una
lista autonomista, 1 a un candidato individuale.
(15 maggio 2001)
La società francese diventa
così il primo azionista
del gruppo di Piazzetta Bossi, seguita da Mediobanca
Edf
domani annuncia
il 20% in Montedison
E il Tesoro
ribadisce la sua contrarietà all'operazione
MILANO - Le indiscrezioni sembrano confermate
e Eletricitè de France (Edf) comunicherà domani di aver
raggiunto circa il 20% del capitale di Montedison. La
notizia giunge da autorevoli fonti finanziarie ed Edf
diventa così il primo azionista del gruppo di Piazzetta
Bossi, seguito da Mediobanca al 15%. E la prima risposta
che viene dal governo è quella di un forte malcontento.
Il Tesoro, spiegano fonti del ministero guidato da
Vincenzo Visco, "ribadisce la propria contrarietà:
l'avevamo detto quando erano al 4% e se salissero ancora
la nostra contrarietà sarebbe ulteriormente
confermata".
Acqua sul fuoco invece dal versante francese. "Anche
se la partecipazione di Edf raggiungesse il 20%,
resterebbe una partecipazione finanziaria, come ha detto
il ministro Laurent Fabius al suo collega italiano,
Vincenzo Visco, nei giorni scorsi" ha dichiarato una
portavoce dello stesso Fabius commentando, senza
confermarle, le anticipazioni di stasera.
Sempre secondo la portavoce "non c'è motivo di
porsi il problema" se Edf sale nel capitale di
Montedison. "Ci sono molte società italiane che
fanno la stessa cosa con altre società italiane,
spagnole, tedesche. Per il momento - ha aggiunto -
occorre aspettare per vedere innanzitutto quanto Edf ha
comprato in Montedison. In secondo luogo occorre
stabilire quale è il motivo per cui Edf non potrebbe
prendere una partecipazione in Montedison o fare
un'alleanza. Terzo: Edf è una società che rispetta
pienamente i limiti dell'apertura del mercato in Francia,
i quali corrispondono alle direttive di Bruxelles".
La Electricité de France (Edf), insieme ad alcuni
alleati, ha oggi ufficializzato di avere in portafoglio
il 6 per cento di Montedison. La prima indiscrezione
<http://www.repubblica.it/online/economia/montedison/alleati/alleati.html>
dell'aumento nella partecipazione azionaria era trapelata
ieri sera negli ambienti finanziari milanesi.
(22
maggio 2001)
E' il capo del clan di Marano,
alle porte di Napoli, noto
anche per i suoi stretti rapporti con la mafia siciliana
Arrestato
Nuvoletta
boss della camorra
Sessant'anni,
latitante, era ricercato dal 1995
E' stato condannato all'ergastolo per il delitto Siani
NAPOLI - Catturato uno degli storici capi
della camorra, ai primi posti dell'elenco dei ricercati
più pericolosi: è Angelo Nuvoletta, 60 anni. A
mettergli le manette è stata la Direzione investigativa
antimafia di Napoli, che è riuscita a scovarlo a Marano,
comune alle porte di Napoli: cioè proprio nella
località in cui Nuvoletta è sempre vissuto, e di cui è
stato per anni boss incontrastato. Il boss ha anche
cercato di fuggire, aiutato dalle due persone che erano
con lui; ma il tentativo è fallito.
Nuvoletta era latitante da sei anni, cioè dal 1995. E'
stato rintracciato nella zona di Poggio Vallesana, a
Marano, roccaforte di quello che è considerato uno dei
più potenti clan del napoletano. Di recente, con la
pronuncia della Cassazione, è diventata definitiva la
sua condanna all'ergastolo per l'omicidio di Giancarlo
Siani, fatto uccidere la sera del 23 settembre 1985 sotto
la sua abitazione napoletana di Piazza Leonardo. Il 27
marzo scorso, sempre a Marano, era stato arrestato anche
Gaetano Iacolare, condannato come esecutore del delitto
Siani.
Ma torniamo alla "carriera" del boss arrestato
oggi. Angelo Nuvoletta è considerato l'ultimo dei grandi
padrini della camorra ancora in libertà. Inserito
nell'elenco dei 30 latitanti di massima pericolosità,
appartiene ad una "famiglia" potentissima,
alleata con Cosa Nostra. In passato il clan dei Nuvoletta
era governato da tutti e tre i fratelli: Lorenzo, Ciro ed
Angelo. Il primo, morto nel '94 dopo una grave malattia
che lo aveva colpito mentre era detenuto, era considerato
il capo; Ciro - ucciso in un agguato nell'ambito della
guerra tra i clan Nuvoletta-Gionta e
Bardellino-Alfieri-Galasso-Verde - era il più
sanguinario del gruppo; Angelo era invece la
"mente", responsabile della gestione economica
del gruppo. E proprio aad Angelo era toccato di tenere
gli stretti contatti con Cosa Nostra e, in particolare,
con la cosca dei corleonesi, con cui, già dagli anni
settanta, i Nuvoletta avevano stretto un patto di
reciproca collaborazione.
A carico di Nuvoletta ci sono numerose imputazioni:
dall'omicidio al traffico di stupefacenti,
all'estorsione, al possesso di armi ed esplosivo,
all'intimidazione, al controllo degli appalti pubblici.
(17
maggio 2001)
Al regista romano la Palma
d'oro
primo italiano dopo 23 anni
Trionfo
di Moretti
al Festival di Cannes
A "La
pianiste" il Gran premio della giuria
Isabelle Huppert miglior attrice
CANNES - Dopo 23 anni un trionfo italiano
sulla croisette di Cannes. E' stato Nanni Moretti con il
suo "La stanza del figlio" a vincere la Palma
d'oro del 54esimo Festival del cinema di Cannes
esattamente 23 anni dopo "L'albero degli
zoccoli" di Ermanno Olmi.
Ed è un Moretti emozionato, quasi senza fiato ("non
avevo preso i tranquillanti" ha detto dopo) quello
che sale sul palco a ricevere la Palma d'oro da Antonio
Banderas e Melanie Griffith sotto lo sguardo della
madrina della serata Charlotte Rampling. Quando si
ritrova il microfono per il discorsetto di ordinanza
pronuncia solo un lungo elenco di persone che ringrazia
per questa vittoria che, in gran parte, era già stata
decretata dal pubblico che aveva visto il film.
L'annuncio del premio, da parte di una radiosa Liv
Ullmann, che si è battuta evidentemente per lui in una
giuria divisa, è stato salutato da un applauso
liberatorio. Poi l'applauso si è trasformato in un
battimano cadenzato mentre Moretti alzava e mostrava la
Palma ricevuta.
"Ci sono stati conflitti, bisognava mettere
d'accordo tutti però non per il film di Nanni che ha
avuto un'eco fortissima dal pubblico che lo aveva accolto
in maniera decisamente forte e poi Nanni da tempo è
incoronato in Francia", ha detto Mimmo Calopresti
che faceva parte della giuria del Festival.
Il regista ha aggiunto che "il dibattito è sempre
stato aperto e onesto" e che i clamori politici
italiani di questi giorni "non hanno avuto alcun
peso". Calopresti ha parlato del suo lavoro di
giurato. "E' stato molto intenso - ha detto - Liv
Ullman ci ha fatto lavorare molto, ma è stato un lavoro
equilibrato".
A parte il successo del regista romano, a far la parte
del leone è stato un controverso film francese, "La
pianiste" che oltre al Gran premio della giuria ha
portato a casa anche quelli per la miglior attrice conla
splendida Isabelle Huppert e per il miglior attore con il
giovane Benoit Magimel.
Il premio per la miglior regia è andato, ex aequo, a due
grandi del cinema indipendente americano: Joel Coen per
"The man who wasn't there" e a David Lynch per
"Mullholand drive", mentre fra le sceneggiature
è stata premiata quella di "No man's island"
del bosniaco Danis Tanovic. Infine, la Camera d'oro
(migliore opera prima) è stata attribuita a Zacharias
Kunuk per "Atanarjuat the fast runner"
(Canada).
(20
maggio 2001)
L'artista si è spento a 81
anni, per problemi respiratori
Una carriera di grande successo, all'insegna dell'ironia
Addio
Carosone, maestro
della musica italiana
Tanti i brani
celebri del cantante partenopeo: da "Torero"
a "Tu vuò fa l'americano". Manu Chao tra i
suoi fan
ROMA - Capita spesso di poter ricostruire più
facilmente le vicende di un epoca attraverso i fotogrammi
di un film o il ritornello di un brano musicale. Renato
Carosone - il grande cantante napoletano morto oggi a
Roma a 81 anni, nella sua casa sulla via Flaminia, per
problemi respiratori di cui soffriva da tempo - ha
raccontato, con il sorriso sulle labbra, la voglia di
nuovo dell'Italia del dopoguerra, quella che emergeva
dalle macerie, e che si costruiva il suo piccolo mito
della "nuova frontiera".
E così una delle sue canzoni, "Tu vuò fa
l'americano" è destinata a rimanere il simbolo
della parabola artistica di Renato Carosone. Un
personaggio atipico che però ha costantemente conservato
una profonda consapevolezza dei propri mezzi e del valore
della cultura. L'artista partenopeo è stato inoltre uno
dei primi autentici umoristi della musica popolare
italiana, ma anche un anticipatore di quella commistione
di generi che è poi diventata uno degli elementi
fondamentali della musica contemporanea. Tanto che, tra
gli artisti del mondo che lo hanno riconosciuto come
maestro, vanno citati il francese Manu Chao e lo spagnolo
Carotone (che si rifà a lui perfino nel nome).
Ma a parlare del segno lasciato sulla musica e sul
costume ci sono soprattutto i suoi brani.
"Maruzzella", "Pigliate 'na
pastiglia", "O' sarracino", "Caravan
Petrol" sono i titoli attraverso cui è passato il
grande successo di Carosone, e che restano alcuni degli
esempi più riusciti di incontro tra Napoli, l'America e
la commedia.
Renato Carosone nasce nella Napoli dei vicoli popolari il
3 gennaio del 1920, e comincia la carriera a 17 anni.
Diplomatosi in pianoforte al Conservatorio, va in Africa
al seguito di una compagnia di varietà, restando in
Somalia fino al 1946 e diventando un idolo del circuito
dei night locali. La marcia verso il successo si apre
quando forma, nel '49, il trio con Van Wood, e Gegé Di
Giacomo, il vulcanico batterista che lo accompagnerà
negli anni del grande successo.
Il periodo d'oro comincia poco dopo, nel '55, grazie
all'incontro con il paroliere Nisa, nome d'arte di Nicola
Salerno. Nasce così quel gruppo e quel repertorio che
hanno fatto di Carosone uno dei protagonisti della musica
italiana. Un successo testimoniato dalla traduzione in 12
lingue di "Torero", che entra addirittura nelle
classifiche americane.
Quelli del gruppo guidato dall'autore di "O'
sarracino" non sono semplici concerti, sono veri e
propri spettacoli, in bilico tra musica e teatro. Ma al
culmine del successo, avendo fiutato il cambiamento
musicale in atto, il 6 settembre del 1960, durante uno
spettacolo televisivo, annuncia il suo ritiro. Per 15
anni rimane lontano dalle scene, continuando a studiare
il pianoforte e coltivando la sua nuova passione, la
pittura. Nel '75 il suo grande ritorno alla
"Bussola" di Viareggio, con un'orchestra di 20
elementi. Da allora continua la sua attività,
partecipando più volte a trasmissioni televisive, con
l'aria di un grande saggio che non ama troppo la musica
che gli cresce attorno, ma che non vuole rimanere
prigioniero della nostalgia. E sempre all'insegna di una
grande dignità artistica.
(20
maggio 2001)
Sei i fermati dai carabinieri:
avrebbero violentato
128 adolescenti e preparavano attentati
Pedofilia,
arresti a Roma
nei guai medici e imprenditori
C'è il presunto
ideologo del "Fronte di liberazione pedofilo"
Un bidello metteva a disposizione i locali di una scuola
ROMA - Ci sono medici,imprenditori, stimati
professionisti, un ex poliziotto e un carabiniere in
congedo tra le persone arrestate nell'indagine sulla
pedofilia che ha portato all'arresto di sei persone con
l'accusa di aver violentato complessivamente 128 bambini,
tutti maschi, di cui 37 sono già stati identificati. Si
tratta di ragazzini tra i 9 e i 14, nella stragrande
maggioranza dei casi con alle spalle situazioni familiari
di estremo disagio. Bimbi che i genitori obbligavano a
prostituirsi per poche lire.
L'operazione de carabinieri del comando provinciale di
Roma, ha preso le mosse dalla denuncia di una madre. I
suoi due figli di 11 e 14 anni erano costretti sul
marcipiede dal padre. La donna allora si è rivolta ai
Carabinieri, l'indagine è scattata e l'uomo è finto in
manette.
Al vertice dell'organizzazione c'era R.M., romano di 38
anni, ex dipendente della Polizia di Stato e attualmente
impiegato presso il Provveditorato agli studi di Roma.
L'uomo, proprio grazie alla sua posizione, aveva libero
accesso a tutti i dati del ministero della Pubblica
Istruzione e forniva agli altri pedofili le liste dei
bambini più avvicinabili. Quelli che negli scambi tra
loro i pedofili definivano "selvaggina fresca".
L'indagine ha riguardato anche insospettabili che hanno
ricevuto informazioni di garanzia e hanno avuto le
abitazioni e gli uffici perquisiti dai carabinieri. Tra
gli arrestati c'è anche S.F., 59 anni, un bidello della
scuola elementare Don Rinaldi sulla via Tuscolana, che
avrebbe messo a disposizione dell'organizzazione i locali
della scuola, di cui aveva le chiavi, per filmare, in
diretta, le violenze sessuali ai ragazzi. Tra gli
arrestati anche un ex carabiniere, B.G. di 34 anni,
attualmente "buttafuori" di un locale notturno
nel quartiere Aurelio di Roma, il quale procacciava
bambini da violentare soprattutto ai frequentatori della
discoteca. In manette, infine, A.L.A. che nel gruppo
aveva solo funzioni di procacciare ragazzini da passare
agli altri pedofili.
Le indagini, coordinate dal pm Maria Monteleone della
procura di Roma e nelle quali sono stati impegnati, per
nove mesi, 23 investigatori del nucleo operativo di via
In Selci, hanno portato alla scoperta di circa 89 mila
foto, 128 videofilmati 5000 files informatici
crittografati. Inoltre 34 utenze cellulari sono state
controllate e sono state riscontrate oltre 2000
telefonate tra gli indagati.
Tra gli arrestati anche un romano di 37 anni che, secondo
gli inquirenti, sarebbe l'ideologo del sedicente
"Fronte di liberazione pedofilo". E' stato
inoltre sequestrato materiale ideologico che si riferisce
all'attività del "Fronte di liberazione
pedofilo" e alla "Brigata pretoriana". Ma,
questa volta, a quanto pare, i pedofili si erano
organizzati anche "politicamente" fino al punto
di progettare e forse organizzare attentati contro
magistrati, carabinieri e sacerdoti che si occupano di
minori.
(21
maggio 2001)
Almeno 300 feriti e 30 morti. I
dispersi più di 50
ma la polizia esclude che si tratti di un'attentato
Disastro
a Gerusalemme
crolla sala per matrimoni
La causa più
probabile: un cedimento strutturale
L'edificio aveva solo 12 anni: dubbi sui materiali
GERUSALEMME Dai brindisi festosi delle nozze
al terrore delle macerie. Un edificio di cinque piani nel
quale si trovava un salone per i matrimoni che ospitava
650 persone è crollato ieri sera a Gerusalemme: per ora
si contano circa 300 feriti, di cui una ventina gravi, e
almeno 30 morti. Ma sono ancora molte le persone rimaste
sotto i detriti, secondo le ultima informazioni almeno
50. La polizia propende per il momento per la tesi della
sciagura e tende ad escludere un attentato terroristico.
Secondo le prime indagini la tragedia sarebbe dovuta a un
cedimento strutturale. Il palazzo non era vecchio essendo
stato costruito una dozzina d'anni fa.
Le strutture sanitarie di Israele hanno dichiarato lo
stato di emergenza. Centinaia di feriti hanno riempito le
corsie degli ospedali di Gerusalemme.
Il disastro - probabilmente uno dei più gravi nella
storia di Israele - si è verificato nel Palazzo
Versailles, una sala di matrimoni nella zona industriale
di Talpiot. Si stava celebrando il matriomonio di due
giovani, Assaf e Keren
Dror. La sposa è all'ospedale, ha diverse fratture e, in
lacrime, ha chiesto scusa per essere stata la causa
involontaria della tragedia. Lo sposo è ferito
lievemente. Il crollo è avvenuto mentre gli amici
stavano sollevandolo sulle spalle per portarlo in
trionfo.
"Eravamo seduti a un tavolo - ha detto una giovane
donna emersa dalle macerie - quando improvvisamente la
sala si è spostata, come in un terremoto. I tavoli si
sono accavallati gli uni sugli altri, il pavimento si è
aperto e siamo stati risucchiati verso il basso".
"Non c'è stata alcuna esplosione", ha
aggiunto.
Alice Dror, la madre dello sposo (il padre e un fratello
del govane risultano dispersi), ha lanciato pesanti
accuse a chi avrebbe dovuto garantire che l'edifico
poteva essere adibito a sala per matrimoni. Il
proprietario della sala, Meir Balilti è stato
interrogato a lungo e poi fermato. Anche l'ingegnere
progettista è stato sentito dalla polizia.
Il quadro che emerge dall'inchiesta è complesso.
Il palazzo non era stato progettato per
ospitare uffici e solo in un secondo tempo era stato
ristrutturato per ospitare ricevimenti.
I pavimenti erano stati costruiti con un materiale -
chiamato in ebraico Falkan - che da anni è considerato
inaffidabile dalla associazione degli ingegneri
israeliani. Di recente erano comparse gravi infiltrazioni
di acqua che avevano allarmato i gestori della sala
situata al secondo dei tre piani del palazzo. Secondo una
testimonianza, il pavimento del terzo piano aveva
fortemente tremato anche la settimana passata, durante un
altro matrimonio. Ma i gestori della sala non se ne erano
preoccupati.
Il palazzo è crollato in pochi minuti, seppellendo
tutti. Chi ha avuto la fortuna di trovarsi nella parte
superiore, ha preso a scavare con le nude mani per
estrarre i congiunti dalla macerie. Fra i primi a
prestare aiuti è accorso Yehuda Meshi-Zahav, un ebreo
ortodosso che dirige un'unità di soccorso. "Ho
visto spesso le vittime di attentati - ha detto
Meshi-Zahav - ma un disastro di queste dimensioni è
anche per me senza precedenti". Secondo i
soccoritori, sotto le macerie potrebbero esserci numerosi
cadaveri.
Il capo dei servizi di informazione della polizia
israeliana, David Tzuri, ha detto che i soccorritori
lavorano a mano, con enorme prudenza. "Non possono
utilizzare attrezzi, la situazione è assai delicata,
perchè l'edificio può crollare del tutto in qualsiasi
momento", ha precisato. La televisione ha mostrato
immagini di grossi blocchi di cemento armato sollevati a
mano, per liberare le vittime del crollo.
"Non abbiamo nessuna idea del numero delle persone
ancora sepolte", ha aggiunto Tzuri. Alcune persone,
tuttora sotto le macerie, hanno usato i loro telefoni
cellulari per far sapere che erano vive. Secondo il
ministro della Sanità Nissim Dahan le persone ancora
sepolte sotto le macerie sono diverse decine, mentre il
secondo canale della televisione ha parlato di almeno un
centinaio.
(25
maggio 2001)
A New York il matrimonio
dell'arcivescovo esorcista
officiato dal reverendo Moon della Chiesa
dell'unificazione
Milingo
si è sposato
"Se Dio vorrà, sarò padre"
Nessun commento
dal Vaticano
L'Avvenire: "Ma dove stai andando Emmanuel?"
NEW YORK - L'ha fatto davvero. Non lo hanno
fermato né i richiami del Vaticano, né quelli dei suoi
devoti, né le preghiere del Papa: monsignor Emmanuel
Milingo si è sposato con una cerimonia collettiva
officiata dal reverendo Moon, il fondatore Chiesa
dell'unificazione. In poco più di mezz'ora, prendendo in
moglie all'Hotel Hilton di New York Maria Sung, 46 anni,
il settantenne arcivescovo dello Zambia famoso per la sua
opera di esorcista e guaritore, ha sancito l'ultima e
definitiva spaccatura con la Chiesa.
Non solo. Milingo ha anche annunciato di avere in
programma di diventare padre. "Se Dio vorrà - ha
detto raggiante dopo la cerimonia - potrei anche
diventare padre: ad Abramo è toccato quando aveva 100
anni". Non succederà subito, comunque. La religione
del reverendo Moon prevede che i neosposi rispettino 40
giorni di castità.
Milingo, in smoking con il farfallino bianco e garofano
rosso all'occhiello. La sposa, piccola e grassottella,
vestita di bianco, con il velo bianco sorretto da una
coroncina d'argento. Unica fra le presenti, Maria aveva
anche lo strascico.
Al momento dello scambio dell'anello e poi, alla fine
della cerimonia, applausi di centinaia di persone. Gran
cerimnoier, il fondatore della setta in persona, il
reverendo coreano Sun Myiung Moon. I due sposi andranno a
vivere in Africa, dove Milingo continuerà la sua opera
di guaritore.
Da ieri, quando è arrivata la notizia del matrimonio di
Milingo, la Santa Sede ha tenuto un atteggiamento
prudente, lasciando comunque capire che quel passo
avrebbe posto fine ai rapporti tra il vescovo e il
Vaticano. Se non è certo che ci sarà la scomunica,
sicuramente Milingo sarà sospeso "a divinis" e
non potrà più celebrare messa.
"La Santa sede non mi ha mai capito, la Chiesa non
capisce i mistici. Mi hanno ridicolizzato e fatto passare
per uno stregone", ha detto appena uscito dalla
cerimonia.
Milingo ha tenuto un lungo discorso per ricordare la
storia dei suoi difficili rapporti con il Vaticano.
"Ero troppo popolare - ha detto - temevano che
stessi cercando di diventare il Messia dell'Africa. Mi
hanno accusato di culto della personalità. Mi hanno
fatto venire a Roma dall'Africa, dicendo che il Papa mi
voleva: non l'ho mai visto, se non da lontano".
"Ma nessuno, mai - ha quasi gridato Milingo - si è
ufficialmente interessato alla fonte di ciò che mi era
capitato, alla mia capacità di guarire. Mai. Sono sempre
stato boicottato e giudicato a distanza, senza
ascoltarmi".
Milingo ha detto di non essere "contro la chiesa
cattolica": "Amo la mia Chiesa, ma Dio è con
me. Quello che Dio vuole sia realizzato, deve essere
fatto".
Giovanni Paolo II oggi non ha fatto in alcun modo
riferimento alla decisione di Milingo. "Cosa volete
che dica il Santo Padre? Lui non può che pregare per
Milingo", ha osservato con i giornalisti uno stretto
collaboratore del Papa.
Wojtyla è stato informato delle intenzioni di Milingo
mercoledì scorso. Non c'è stato dunque - come spiegava
ieri il portavoce della Santa sede Joaquin Navarro Valls
- nessun contatto diretto tra le massime autorità
vaticane e Milingo, nonostante i tentativi, andati finora
a vuoto, di rintracciarlo e di avere chiarimenti.
Ieri l'ex arcivescovo di Lusaka ha emesso un comunicato
autografo: "A 71 anni, dopo una vita spesa al
servizio della Chiesa e dei miei voti sacerdotali, il
Signore mi ha chiamato a fare un passo che cambierà la
mia vita e farà di me un mezzo della sua grazia e della
sua benedizione per l'Africa e il mondo".
"Mi aspetto - ha proseguito Milingo - che questo
passo altererà le mie relazioni con la Chiesa cattolica
romana: come prete il matrimonio è la cosa più lontana
dalla mia mente, ma è solo attraverso un comando di
Gesù e il consiglio del reverendo e della signora Moon
che faccio questo inaspettato e coraggioso passo, dopo
aver combattuto a lungo nel mio cuore". Milingo ha
anche spiegato di aver "deciso da solo" e di
non "voler ripudiare la fede cattolica".
Anche il quotidiano dei vescovi "Avvenire" è
intervenuto con un articolo in prima pagina in cui si
chiede: "Ma dove stai andando, Emmanuel
Milingo?". E conclude: "Forse stai ascoltando
il tuo cuore cattivo, forse è là dove vai che ti
aspetta il Maligno".
(27
maggio 2001)
Il tunnel era chiuso da questa
notte dopo
che un camion diretto in Italia aveva preso fuoco
Riaperto
dopo nove ore
il traforo del Frejus
I sistemi di
sicurezza hanno evitato la tragedia
Nessun ferito, l'autista è riuscito a mettersi in salvo
TORINO - Ci sono volute nove ore per riaprire
il tunnel del Frejus dopo che nella notte un camion aveva
preso fuoco al suo interno. Adesso il transito è stato
ripristinato. L'incidente è avvenuto poco prima delle 4.
Il camion viaggiava dalla Francia diretto verso l'Italia.
Si trovava al secondo chilometro dopo l'imbocco del
traforo, in tutto lungo 13 chilometri, quando si è
incendiato. Oltre alla paura, fortunatamente, pochi danni
e nessun ferito. Anche l'autista dell'autoarticolato è
riuscito a mettersi in salvo.
L'incendio è avvenuto probabilmente a causa di un
surriscaldamento dei freni o per un guasto all'impianto
elettrico. L'autista, illeso ma sotto choc, è riuscito
soltanto a dire che a bruciare è stata la motrice e che
improvvisamente si è accorto che la cabina bruciava.
Le fiamme e il fumo hanno attivato immediatamente i
sistemi di allarme della galleria, potenziati dopo
l'incidente avvenuto la primavera scorsa nel traforo del
Monte Bianco, che coinvolse 20 camion e undici automobili
causando la morte di 39 persone. Polizia e squadre di
pronto intervento sono intervenute subito bloccando gli
ingressi. Nessun problema per i veicoli all'interno del
tunnel che sono stati fatti uscire. Come riferisce la
Sitaf, la società che gestisce il traffico del Frejus,
non ci sono state scene di panico, né particolari
problemi.
Il traffico è stato dirottato per tutta la mattinata sul
valico del Monginevro, raggiungibile con l'autostrada
A32, Torino-Bardonecchia.
Il tunnel del Frejus, che ha festeggiato il mese scorso i
venti anni di attività, dopo l'incendio al Monte Bianco
era rimasto l'unico passaggio per il traffico tra Italia
e Francia. La riapertura del traforo del Monte Bianco,
ancora in fase di ristrutturazione, è prevista per il
prossimo anno.
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