MARZO
2001
Condannato il boss Vito
Palazzolo, ordinò l'assassinio
del militante di Democrazia proletaria che si batteva
contro la mafia
Trent'anni
al mandante
dell'omicidio Impastato
Il fratello
Giovanni: "Finalmente,
PALERMO - Trent'anni di galera
a Vito Palazzolo. E' lui uno dei mandanti (l'altro è suo
cugino, il boss Gaetano Badalamenti), dell'omicidio del
militante di Democrazia Proletaria Giuseppe Impastato,
assassinato a Cinisi, 20 chilometri da Palermo, nella
notte tra l'8 e il 9 maggio del 1978. Palazzolo, che ha
83 anni, ha saputo della sentenza in carcere.
Dopo dodici ore di camera di consiglio nell'aula bunker
del carcere di Pagliarelli, la Corte di assise di
Palermo, presieduta da Angelo Monteleone, ha deciso di
rigettare la richiesta di ergastolo avanzata dalla
Procura. Palazzolo, sul cui capo pendevano le accuse di
un pentito (Salvatore Palazzolo, suo omonimo) aveva
chiesto il rito abbreviato e per questo è stato
giudicato separatamente da Badalamenti, più volte
collegato in videoconferenza dal carcere del New Jersey
dov'è rinchiuso.
Secondo il collaboratore di giustizia, Peppino Impastato
(la cui vicenda è stata recentemente raccontata nel film
"I cento passi" di Marco Tullio Giordana),
venne ucciso per decisione dei vertici della famiglia
mafiosa di Cinisi, in cui Vito Palazzolo svolgeva il
ruolo di "vice" Badalamenti.
Benchè figlio di Luigi Impastato, un uomo legato alla
cosca del paese, Peppino si batteva contro Cosa Nostra e
ne denunciava i traffici dai microfoni della radio libera
da lui fondata con il fratello e un gruppo di amici. I
boss, stanchi di vedere la loro autorità messa in
ridicolo e il loro prestigio minacciato, ordinarono la
morte di Impastato, che fu sequestrato, picchiato e poi
lasciato tramortito sui binari ferroviari con addosso una
bomba che esplose e lo dilaniò. Una messinscena per
depistare le indagini e farlo passare per un terrorista.
Una finzione che aveva convito gli inquirenti che fosse
stato lo stesso Impastato a preparare l'ordigno per
commettere un attentato e che fosse rimasto ucciso da
un'esplosione accidentale mentre collocava la bomba sotto
un traliccio presso i binari. Poi venne fuori il
coinvolgimento della mafia e la verità venne
ristabilita.
Il primo commento arriva da Giovanni Impastato, fratello
di Peppino: "Finalmente giustizia è fatta. Sono
emozionato: oggi, oltre alla verità storica, è emersa
anche quella giudiziaria".
(5
marzo 2001)
Le fiamme nella notte, molte
ferite gravemente
le porte erano chiuse per evitare che uscissero
Nigeria,
a fuoco dormitorio
muoiono trenta ragazze
ABUJA - Trenta ragazze morte
bruciate nel sonno, molte altre ferite, parecchie gravi.
Sono le studentesse del collegio femminile di una scuola
di Gindiri, in Nigeria. Le fiamme si sono sviluppate
all'improvviso nella notte per cause ancora da accertare
ed è stato un massacro.
Le ragazze infatti erano in trappola. Le porte del
dormitorio erano state sbarrate, chiuse a chiave, per
impedire loro di raggiungere i ragazzi, i loro amici,
ospiti nel vicino istituto maschile.
Il bilancio è ancora provvisorio ma testimoni oculari
giurano che sono almeno trenta le vittime, ma molte
sopravvissute presentano ustioni talmente gravi e la
triste conta sembra destinata ad aumentare ancora.
I familiari sono stati convocati per il riconoscimento,
ma alcuni cadaveri sono calcinati in modo così orrendo
che finora non è stato possibile identificarli.
Gindiri è una comunità fondata qualche decennio fa
nell'interno del Paese africano da missionari occidentali
allo scopo di creare un polo per l'istruzione; le sue
scuole sono rinomate, ma famose per l'estrema rigidità
della disciplina.
(8
marzo 2001)
Il leader del Polo ribadisce il
no alla data del 6 maggio
per le elezioni e si dice convinto della vittoria
Berlusconi:
"Sono il migliore
sulla scena europea e mondiale"
ROMA - Certo di essere in forte
vantaggio nei sondaggi, fermo nel respingere il 6 maggio
come data delle elezioni, sicuro della sua statura di
leader politico, tanto da definirsi il migliore
"sulla scena europea e mondiale". E' un
Berlusconi fortemente ottimista quello che stamattina si
è concesso un breve incontro con i giornalisti per
ribadire che le critiche che arrivano dall'estero non
scalfiscono minimamente i suoi progetti e le sue
intenzioni.
Si comincia proprio dagli attacchi degli ultimi giorni
arrivati dalle pagine del "Financial Times" e
del "Pais", dalle file del governo belga, e dal
vertice della stessa Commissione. Silvio Berlusconi si
dice "assolutamente tranquillo" e afferma che
le polemiche sono "provocate dall'attività italiana
di chi cerca di sfruttare l'amicizia con questo o quel
politico per avere argomenti da brandire in campagna
elettorale". Quelle polemiche, spiega, non hanno
nessuna ragione di essere, visto che si rivolgono contro
"un uomo di fronte al quale nessuno, sulla scena
europea e mondiale, visto che ho anche coordinato un
G7-G8, può pretendere di confrontarsi per storia
personale e capacità".
"Non c'è personalità politica che possa
confrontarsi con me - insiste il Cavaliere - Sarò
tacciato di ambizione, mi spiace anche essere io a dire
queste cose, ma nessuno dei protagonisti della politica
ha la stessa storia. Anche chi guida un partito -
esemplifica - non è stato lui a fondarlo, non ha la
storia personale che ho io. Sempre e comunque sono io in
vantaggio. Quando incontro un ministro, un primo
ministro, un capo dello Stato sono loro che devono
cercare di essere più bravi di me".
Quanto al futuro immediato, il leader della Casa delle
libertà ripete il suo no alla data del 6 maggio per le
elezioni e afferma che la sua coalizione sarà in grado
di guadagnare la maggioranza anche al Senato con un
"ottimo margine" anche se non quanto alla
Camera. E subito dopo le elezioni è pronto ad assumere
la guida del Paese forte anche dell'esperienza passata:
"Da presidente del Consiglio, alla guida di un
governo di coalizione con An e Lega - dice Berlusconi -
non ho mai avuto difficoltà di sorta".
(7
marzo 2001)
Dopo aver incontrato Mancino e
Violante
il capo dello Stato ha firmato il decreto di scioglimento
Il
presidente Ciampi
scioglie le Camere
Domani il governo
deciderà la data delle elezioni
ROMA - In anticipo sulle
previsioni il presidente della Repubblica Carlo Azeglio
Ciampi ha sciolto le Camere chiudendo quindi la XIII
legislatura. Il capo dello Stato nel pomeriggio ha visto
due volte il presidente del Consiglio Giuliano Amato ed
ha incontrato al Quirnale i presidenti di Camera e Senato
Luciano Violante e Nicola Mancino. Dopo le consultazioni,
"ai sensi dell'articolo 88 della Costituzione",
così recita il comunicato della presidenza della
Repubblica, Ciampi ha firmato il decreto di scioglimento
(controfirmato da Amato) e, tramite il segretario
generale del Quirinale, lo ha consegnato ai presidenti
delle due Camere.
Data delle elezioni. Sciolto il Parlamento, sarà il
consiglio dei Ministri a deliberare sulla data delle
prossime elezioni: non potrà essere prima dei 45 giorni
dalla data della pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del
relativo Dpr, con il quale verrà anche fissato il giorno
della prima convocazione del nuovo Parlamento.
L'alternativa è ristretta al 6 e al 13 maggio a seconda
che prevalgano le pressioni di Rutelli e dell'Ulivo a
favore della prima soluzione o quelle di Berlusconi e
della Cdl che preferiscono la seconda sulla quale
sostengono di aver ottenuto un via libera di massima dal
Quirinale e, nei giorni scorsi, anche dal governo.
Deposito dei simboli. Le forze politiche dovranno
depositare i simboli che intendono presentare sulle
schede elettorali fra il 43simo e il 45simo giorno
precedente la data del voto: dal 22 al 24 marzo se si
voterà il 6 maggio, dal 29 al 31 marzo se si voterà il
13 maggio. L'ordine di collocazione dei simboli sulle
schede elettorali sarà successivamente sorteggiato
dall'ufficio elettorale centrale.
Deposito delle candidature. Le candidature al Parlamento
nei collegi maggioritari e nelle liste proporzionali
vanno depositate entro 30 giorni dalla data del voto:
venerdì 6 aprile se si vota il 6 maggio, venerdì 13
aprile se si vota il 13 maggio. A causa dello
scioglimento anticipato delle Camere, infatti, è ridotto
di 15 giorni il termine altrimenti fissato dalla legge in
45 giorni prima del voto. Per lo stesso motivo, sono
ridotte della metà le firme necessarie per presentare le
candidature, variabili a seconda delle dimensioni dei
collegi: da 500 sottoscrizioni per quelli più piccoli a
1750 per quelli più grandi.
Campagna elettorale e par condicio. Fermo restando il
divieto di spot elettorali valido tutto l'anno, con
l'inizio della campagna elettorale trenta giorni prima
del voto (6 o 13 aprile a seconda se le elezioni saranno
il 6 o il 13 maggio) si applicano le disposizioni sulla
par condicio nell'informazione politica, entrata in
vigore prima delle scorse elezioni regionali, che
riguardano gli spazi autogestiti, i contenitori
elettorali, la presenza dei politici nelle trasmissioni.
Entro il 6 o il 13 aprile le emittenti televisive
nazionali dovranno far conoscere le loro disponibilità
di spazi e quelle private i costi di accesso.
(8
marzo 2001)
Reggio Calabria, il
parlamentare di Forza Italia giudicato
colpevole di concorso esterno. Il legale: "Fatto
aberrante"
Mafia,
Matacena (Fi)
condannato a 5 anni
Il deputato
accusato di far parte di un comitato d'affari
colluso con le cosche cittadine. Ergastolo per 27 boss
REGGIO CALABRIA - Il
parlamentare di Forza Italia Amedeo Gennaro Matacena è
stato condannato dalla corte d'assise di Reggio Calabria
a cinque anni e quattro mesi di reclusione, per concorso
esterno in associazione mafiosa. L'imputato ha avuto
anche l'interdizione perpetua dai pubblici uffici e la
libertà vigilata per un anno a conclusione della pena,
oltre che a 400 milioni di risarcimento per i danni
provocati all'immagine della città.
La sentenza di oggi giunge a conclusione del processo a
carico di 120 persone accusate, a vario titolo, di
omicidio, associazione di stampo mafioso, estorsione,
traffico di armi e stupefacenti "Olimpia 3". Un
troncone scaturito dal filone originario Olimpia 1, già
approdato in Corte d'appello dopo la sentenza di primo
grado.
Matacena ha 38 anni. Originario di Catania risiede da
tempo in Calabria. La sua carriera politica è iniziata
nel Pli, poi è approdato a Forza Italia dove è
diventato coordinatore regionale del partito. Alle
politiche del 1996 era stato eletto deputato (al secondo
mandato) nel collegio Reggio Calabria-Villa San Giovanni
con il 48,6 per cento. Nel Parlamento appena sciolto
aveva fatto parte della commissione difesa.
Olimpia 3 si è concluso dopo 149 udienze e 15 giorni di
camera di consiglio. L'operazione Olimpia prese avvio nel
1994, con le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia
Filippo Barreca e Giacomo Lauro, approfondite dalla Dda
che ha coordinato le indagini della Dia, a cui si sono
aggiunte nel tempo le testimonianze degli altri pentiti:
Rocco Buda, Domenico Festa, Antonio Gullì, Paolo Iero,
Giuseppe Lombardo (autore materiale dell'omicidio
Ligato), Giovanni Ranieri, tutti appartenenti allo
schieramento Condello-Imerti-Serraino-Rosmini,
contrapposti, nella guerra di mafia degli anni '80 che
provocò circa 650 omicidi, al cartello cosiddetto
"destefaniano" (De Stefano, Libri, Tegano,
Latella).
In Olimpia 3 sono state condannate all'ergastolo 27
persone: presunti boss come Bruno Azzarà; Giuseppe
Barresi; Pasquale Condello, di 51 anni, "il boss dei
boss" della zona, e il cugino omonimo di 38 anni;
Francesco Doldo; Antonino Ficara; Paolo Iannò; Giovanni
Imerti, fratello di Antonino, quest'ultimo condannato a
30 anni; Giuseppe Mittica; Umberto Munaò; Antonino
Nicolò; Demetrio Nicolò; Sebastiano Nocera; Carmelo
Palermo; Bruno Polimeni; Tommaso Romeo; Antonio Rosmini;
Bruno Rosmini; Demetrio Sesto Rosmini; Diego Rosmini, di
46 anni e lo zio omonimo di 74 anni; Salvatore Saraceno;
Domenico Serraino (56 anni); Domenico Serraino (39 anni);
Paolo Serraino; Aldo Tripodi; Giovanni Tripodi; Andrea
Vazzana.
"Questo processo - ha affermato il sostituto
procuratore distrettuale Giuseppe Verzera - ha
significato un imponente sforzo giudiziario che ha
consentito di accertare quanto accaduto in quei bui anni
di guerra di mafia che hanno davvero mortificato la
città di Reggio Calabria". Diversa, ovviamente, la
reazione di Matacena, espressa per bocca dell'avvocato
Alfredo Biondi: "Le sentenze ingiuste non si
discutono, ma si appellano", ha commentato,
definendo "aberrante" la decisione dei giudici.
(13
marzo 2001)
LA SCENA
TELEVISIVA DI LUTTAZZI E TRAVAGLIO
ROMA - Ecco i principali
passaggi dell'intervista di Daniele Luttazzi a Marco
Travaglio a Satyricon, su Rai 2, sul libro Il colore dei
soldi, che racconta tanti misteri legati alle ricchezze e
al passato di Silvio Berlusconi.
GLI INIZI MISTERIOSI E LA BANCA RASINI
LUTTAZZI:
Nel suo libro si
parla di tesi, di teoremi?
TRAVAGLIO: Si parla di fatti e di documenti, che
andrebbero spiegati. C'è un dirigente della Banca
d'Italia, Giuffrida, che, su incarico della Procura di
Palermo, studia i finanziamenti arrivati negli anni
Settanta e Ottanta alle 32-34 holding di Berlusconi
L: Cosa sono le holding?
T: Contenitori di denaro. Questo funzionario ha cercato
di capire da dove venissero quei soldi: 115 miliardi in
contanti dell'epoca (che sarebbero 500 di oggi), che
arrivano in 7 anni in contanti. Non so come arrivino,
forse con dei valigioni o dei tir... Alla fine Giufrida
si arrende e scrive: provenienza sconosciuta. Solo
Berlusconi potrebbe spiegare. Magari c'è qualche
benefattore segreto che inviava periodicamente questi
soldi...
L: Ma non c'è un modo per seguire i movimenti passo
passo?
T: No, Il sistema francovaluta faceva in modo che il
soggetto fosse inindivduabile. Poi ci sono delle amenità
come il fatto che alcune di queste società siano state
registrate fra i i negozi di parrucchiere e estetista. E
Infatti non si trovavano. Poi le banche dicono: "Ci
siamo sbagliati...".
L: Di che banche si trattava?
T: Una era la Banca Rasini, dove lavorava il padre di
Berlusconi.
L: Che cosa faceva il padre di Berlusconi nella Banca
Rasini?
T: E' entrato come impiegato, mi pare che abbia concluso
come direttore. La Banca Rasini è indicata dai giudici
di Palermo come una di quelle impegnate nel riciclaggio
dei soldi della mafia.
L: Poi c'è la questione delle società chiamate monouso.
Usate una volta e poi fatte sparire. Come funzionano?
T: Sono società che fanno una operazione e poi tornano
all'origine. E' una delle cose più incomprensibili.
Neppure una persona di alto livello come Giuffrida riesce
a spiegarlo. Solo Berlusconi può farlo. Può darsi che
tutto ciò sia lecito. L'importante è spiegarlo.
CRAXI ALLE RIUNIONI DI FORZA ITALIA
L: Nel libro si parla di due fasi. La prima dagli anni
Settanta al 1983, in cui piovono miliardi non si sa
perché. Poi inizia la fase craxiana. A proposito, viene
fuori che Bettino Craxi a partecipato alla fondazione di
Forza Italia, giusto?
T: Sì, c'è un ex democristiano di nome Maurizo Cartotto
che racconta che nel '92 Marcello Dell'Utri lo ha
convocato e gli ha detto che Berlusconi stava pensando di
mettere su un partito...
L: Chi è Marcello Dell'Utri?
T: E' il braccio destro di Berlusconi, palermitano, che
quando Berlusconi ha bisogno di uno stalliere, nel 1974,
prende un boss mafioso, Vittorio Mangano, condannato per
associazione mafiosa e per traffico di droga, e glielo
mette in villa per un anno e mezzo. Ma chiudiamo la
parentesi. Cartotto racconta che nel '92 Dell'Utri lo
ingaggia Cartotto in Publitalia e gli dice di non dire
niente a nessuno perché neppure Confalonieri doveva
saperne nulla. Perché Confalonieri dice una cosa
semplicissima: "Non possiamo entrare in politica con
le tv". Oggi sarebbe tacciato di stalinismo.
Comunque si tengono diverse riunioni ad Arcore. E a un
paio di queste partecipa anche Bettino Craxi, poco tempo
prima di volare ad Hammamet. Cartotto racconta poi anche
il movente della della nascita di Forza Italia,
illustrato chiaramente dallo stesso Berlusconi durante
una convention di quadri Fininvest: "I nostri amici
cioè Craxi e compagnia contano sempre meno. I nostri
nemici contano sempre di più. Quindi dobbiamo difenderci
da soli". Ma c'è un'altra cosa assolutamente
straordinaria.
L: Qual è?
T: Che nel 9293 Berlusconi si aggirava per le sue aziende
dicendo che se non fosse entrato in politica sarebbe
stato accusato di essere mafioso. Temeva che gli fossero
rivolte accusa di contiguità alla mafia. Diceva:
"Faranno di tutto, tireranno fuori tutte le
carte". Poi, nel '94, in un momento in cui i
sondaggi andavano meno bene, disse che la colpa era di
Dell'Utri e delle voci su una sua vicinanza alla mafia.
Ma Dell'Utri replicava: "Silvio mi dovrebbe
ringraziare. Se dovessi aprire in bocca io...".
Molto interessante è anche la requisitoria del pm Luca
Tescaroli al processo per la strage di capaci, dove stati
condannati tutti i boss di Cosa Nostra da Riina in giù.
Tescaroli fa un accenno a indagine in corso a
Caltanissetta sui mandanti a volto coperto e che
avrebbero suggerito se non altro la tempistica. E nella
sua requisitoria il Pubblico ministero ha ricordato le
parole di alcuni collaboratori di giustizia che dicono
che Rina e gli altri, prima della strage avrebbero
incontrato alcuni personaggi importanti: Berlusconi e
Dell'Utri.
L: Ma sono accuse che non sono state dimostrate...
T: Fanno parte di una requisitoria, sono state
pronunciate in un'aula di tribunale. E' un documento
pubblico, che penso meriterebbe un certo interesse.
Invece niente. E' il periodo dell'attenzione della mafia
al patrimonio artistico italiano e dell'attentato a
Maurizio Costanzo che era contrario all'ingresso di
Berlusconi in politica.
LA LEGGE TREMONTI
L: Un capitolo molto interessante è quello sulla legge
Tremonti, l'esponente di Forza Italia che pochi giorni
fra ha dato del gangster a Visco, e Mediaset. Che cosa è
successo?
T: In soldoni, la legge Tremonti offre sgravi alle
aziende che reinvestono gli utili. E' successo che
Mediaset ha comprato dei film e ha chiesto al governo se
poteva benefciare o no degli sgravi per 243 miliardi. Non
so se ne avesse diritto oppure no. C'è chi sostiene di
no, in quanto i film non sono assimilabili a un
investimento materiale. Ma non è questo il punto. Il
punto è che a beneficiare della legge è colui che l'ha
fatta, che con una mano fa la legge e con l'altra ne gode
i benefici. E' lo stesso Berlusconi che si domanda
"posso"? Si risponde di sì e ci guadagna 250
mliardi.
L: Ma Berlusconi, quando gli rimproverano il conflitto di
interessi, dice che ogni volta che si parlerà di cose
che lo riguardano si alzerà e se ne andrà dal Consiglio
dei ministri.
T: Allora il suo dovrebbe essere un governo vacante, in
esilio.
L: Ho provato a elencare le cose di cui si occupa:
televisioni, assicurazioni...
T: Negozi di parruchieri...
L'INTERVISTA A BORSELLINO
L: E poi nel libro c'è la trascrizione di un'intervista
filmata a Paolo Borsellino.
T: Un'intervista agghiacciante a Borsellino. Roberto
Morrione, direttore di Rainews24 l'ha proposta a tutti,
ma non trova nessuno a cui interessi.
L: Che cosa dice di così agghiacciante?
T: Dice che la procura di Palermo sta indagando su
Berlusconi, Dell'Utri e Mangano. E poi dice che c'è
un'intercettazione telefonica in cui Mangano, nel 1981,
contratta con Dell'Utri a proposito di un cavallo. E dice
anche che nel Maxiprcesso si è appreso che Mangano,
quando parla di cavalli si riferisce a partite di droga.
Borsellino, che ha senso dell'umorismo, dice :
"Nella telefonata si parla di cavalli consegnati in
un hotel. Se io dovessi consegnare dei cavalli li
consegnerei all'ippodromo o al maneggio". Che cosa
si direbbe di Borsellino, se fosse vivo oggi? Che è una
toga rossa, che è arrivata la cavalleria comunista? Ma
Borsellino votava per il Movimento sociale. Se facesse
oggi questa intervista sarebbe deferito come minimo al
Csm. Comunque la cassetta c'è ed è in questo paese non
si trova un programma che la mandi in onda se non di
notte. Acquisita agli atti della Procura Caltanissetta
che si occupa delle stragi. Sarebbe molto interessante
sapere di che si occupava la procura di Palermo poco
prima che i suoi due maggiori esponenti saltassero per
aria.
L: Grazie. Con questo libro dimostri di esere un uomo
libero, e non è facile trovare uomini liberi in
quest'Italia di merda.
(16
marzo 2001)
Violente cariche delle forze
dell'ordine in pieno centro
Occupata e in seguito sgomberata piazza Municipio
Napoli,
guerriglia al corteo
anti globalizzazione
I manifestanti
cercavano di raggiungere piazza Plebiscito
Duecento feriti. Due arresti, 21 denunciati
NAPOLI - Doveva essere la festa
del popolo di Seattle, ma l'illusione di una tranquilla
passeggiata per il centro di Napoli è durata solo un
paio d'ore. Poi hanno preso il sopravvento i violenti e
la manifestazione si è trasformata in una mattinata di
paura, sassaiole, cassonetti bruciati, cariche,
lacrimogeni, molotov e feriti, tanti feriti: quasi
duecento fra poliziotti, carabinieri e manifestanti, 2
arresti e 21 denunciati.
La mattinata è iniziata presto. A Palazzo Reale si
aspetta l'arrivo del ministro dell'interno Enzo Bianco, a
qualche chilometro squatter, centri sociali, Rifondazione
comunista, anarchici, gruppi italiani e stranieri
cominciano a srotolare i loro striscioni, ad alzare i
fazzoletti sul volto, a tirare fuori l'armamentario
solito fatto anche di caschi e bastoni con un solo
obiettivo: superare la "zona rossa" e arrivare
in piazza Plebiscito.
Il corteo parte ma l'aria fra i 20 mila manifestanti è
tesa. Non si sentono slogan, ogni gruppetto marcia per
conto proprio, nessuno riesce a controllare la
situazione. La polizia sta defilata, e a metà del
"rettifilo" di corso Umberto un gruppo di 150
anarchici dà il via agli scontri, a freddo e senza un
motivo. Tirano fuori i sanpietrini che hanno divelto da
terra e si accaniscono contro le vetrine blindate di una
banca che viene distrutta.
La celere guarda da lontano.
Poi il gruppo si sposta e continua con le violenze, se la
prende con un'altra banca poi, ancora a freddo, contro un
plotone di poliziotti. Un'assalto in piena regola al
quale le forze dell'ordine, fedeli agli ordini di
mantenere la calma, non hanno risposto.
Intanto la testa del corteo è in piazza Municipio. E
poco dopo arrivano gli anarchici con le loro bandiere
nere e rosse di copertura delle mazze di piccone, quelli
che negli anni Settanta si chiamavano gli Stalin. E ci
arrivano sulla scia di una sede dell'Adecco completamente
distrutta e già carichi dagli scontri precedenti. Illusi
dalla tranquillità di polizia e carabinieri pensano di
poter forzare per arrivare fino in piazza Plebiscito. Ma
compiono un errore terribile. Dietro una gigantesca
pannocchia di mais di gomma, e protetti da scudi, partono
all'assalto all'altezza di via Verdi. Attaccano con
pietre e bastoni ma questa volte polizia e carabinieri
reagiscono: Parte una prima carica di alleggerimento. In
piazza è il panico ma un nutrito gruppo di contestatori
risponde alla carica e così, con i giovani accerchiati
nella piazza che diventa la loro fossa dei leoni,
cominciano una serie di cariche (alla fine saranno 11)
con i contestatori a lanciare molotov, sanpietrini in
risposta alle manganellate e ai lacrimogeni della
polizia.
La piazza diventa un inferno e ci vorranno almeno tre
quarti d'ora di battaglia per sgomberare e allontanare i
giovani. Poi le forze dell'ordine prendono il sopravvento
e se la prendono anche con quei manifestanti che con gli
scontri non c'entravano nulla, manganellando a
ripetizione chiunque trovassero sulla loro strada, anche
quelli a braccia alzate. Alla fine tornano alle loro
postazioni portandosi dietro come trofei gli striscioni
sequestrati ed esultando verso i colleghi delle seconde
linee che rispondono a colpi di manganello sulle
transenne in un clamore innaturale e sorprendente ma
esplicativo dello stato d'animo di poliziotti e
carabinieri.
Tutt'intorno alla zona è un carosello di ambulanze, i
ragazzi tornano in corteo verso la facoltà di
architettura a leccarsi le ferite, c'è ancora qualche
scaramuccia ma il peggio è passato: per il popolo di
Seattle la battaglia è persa, a piazza del Plebiscito
non sono arrivati.
(17
marzo 2001)
Rotta da ieri la
lastra di marmo che copriva il loculo
Il sarcofago forse trasportato con un furgoncino
Trafugata
la salma
di Enrico Cuccia
I magistrati
stanno vagliando tutte le ipotesi
le più accreditate: estorsione o satanismo
MEINA (Novara) - La salma di
Enrico Cuccia è stata trafugata dal cimitero di Meina,
sul lago Maggiore, dove il presidente onorario di
Mediobanca era stato sepolto il 24 giugno scorso. Il
trafugamento è stato scoperto stamane. Ma già ieri i
custodi della villa della famiglia Cuccia avevano notato,
portando i fiori sulla tomba, una rottura sulla lastra di
marmo che copriva il loculo. Il figlio di Cuccia con la
moglie è immediatamente corso al cimitero e avendo
intuito che si trattava di qualcosa di preoccupante ha
avvisato i carabinieri della vicina Arona. Una volta
rimossa la lastra, è stata accertata la scomparsa della
salma.
"Ieri mattina sono andata al cimitero per bagnare i
fiori e dare una pulita - ha raccontato Ida Bentivegna,
la donna che dà una mano alla famiglia Cuccia tenendo in
ordine la casa e badando alla tomba - lo faccio una volta
alla settimana, di solito al venerdì, così quando
parenti di Cuccia arrivano a Meina trovano tutto a posto.
Ieri ho visto dei calcinacci e la lastra di marmo con una
grossa crepa, ma ho pensato a una normale rottura.
Questa mattina però, quando
Pietro Cuccia e la moglie, Paola, sono arrivati alla
villa ho raccontato che cosa avevo visto e lui è subito
andato al cimitero".
La tomba si trova nella parte posteriore del cimitero di
Meina. Vi si accede da un cancelletto. Non c'è il nome
Cuccia: su una lastra è scritto Enrico, sull'altra Idea.
Le porte del cimitero si aprono automaticamente alle 7.30
e si chiudono alle 17.30. Potrebbero aver portato via il
sarcofago con un furgoncino o un carro funebre.
Il trafugamento della salma potrebbe far pensare a una
possibile richiesta di denaro anche se, confermano dalla
Prefettura di Novara, nessuna segnalazione è ancora
arrivata e tanto meno, nei mesi scorsi, la famiglia aveva
ricevuto segnali che potessero far pensare a quanto
accaduto. Ma tra le possibilità che gli inquirenti
stanno vagliando c'è anche quella del satanismo. E
proprio nei cimiteri della zona, negli ultimi anni, sono
stati segnalati alcuni episodi di profanazioni di
cimiteri. Nel '96 era stato devastato il camposanto di
Invorio e, alla fine di ottobre dell'anno dopo, tre
giovani furono sorpresi nel cimitero di Paruzzaro (pochi
chilometri da Meina) mentre cercavano di trafugare la
salma di un amico morto tempo prima in un incidente.
I tre avevano avuto contatti
con la setta dei "Bambini di Satana".
Non si sbilancia, intanto, il magistrato incaricato delle
indagini, il sostituto procuratore di Verbania Fabrizio
Argentieri: "Non abbiamo elementi per suffragare
un'ipotesi piuttosto che un'altra, e quindi non ne
escludiamo nessuna. Le due più probabili sono
l'estorsione eil satanismo; propendo di più per la
prima, ma si tratta soltanto di un'impressione finora non
supportata da niente".
Il banchiere era scomparso il 23 giugno scorso, a 93
anni. La salma era stata tumulata il giorno dopo con un
funerale-blitz celebrato alle prime luci dell'alba, nel
tentativo di evitare l'assalto di stampa e curiosi, nella
cappella di una casa di riposo per anziani e disabili
psichici proprio sotto la villa dei Cuccia a Meina. Alla
Messa solo i parenti più stretti e alcuni amici del
grande vecchio di Mediobanca.
(17
marzo 2001)
Amministrative in Francia: ai
socialisti anche Lione
Sconfitti i ministri Lang e Guigou. Bene la Aubry
Parigi,
vittoria a Delanoe
ma la destra si fa avanti
PARIGI - La sinistra francese
conquista Parigi. C'è' stata incertezza fino all'ultimo,
ma alla fine lo spoglio delle schede ha dato la vittoria
al candidato socialista Bertrand Delanoe. Il suo è stato
un successo storico: la capitale francese è da sempre
considerata un feudo dei partiti del centrodestra.
Stavolta però è andata diversamente. L'uomo della
sinistra ha battuto il suo principale rivale Philippe
Seguin conquistando 91 seggi su 163. "Oggi i
parigini e le parigine hanno deciso liberamente
l'alternanza nella capitale", sono state le prime
parole del nuovo sindaco della città. "È stata una
vittoria dell'audacia e della ragione".
Vittoria della sinistra anche a Lione, terza città più
popolosa della Francia. Anche qui fino all'ultimo c'è
stato un serratissimo testa a testa. La maggioranza nel
consiglio municipale è di 37 seggi, e le liste di
sinistra capeggiate dal socialista Gerard Collomb si sono
affermate su quelle guidate dal chirurgo "mago"
del trapianto della mano, Jean-Michel Dubernard, e da
Charles Millon.
I socialisti possono così consolarsi di una tornata
elettorale amministrativa che non gli è stata
favorevole. L'attesa "onda rosa" non c'è
stata: i candidati della sinistra sono stati battuti in
molte città importanti. E fra gli sconfitti ci sono
molti ministri come quello della cultura Jack Lang (a
Blois) e quello del Lavoro, Elisabeth Guigou, ad
Avignone.
Martine Aubry, figlia di Jacques Delors ed ex-ministro
del Lavoro, invece, si è imposta nella corsa al
municipio di Lilla. La sua lista di sinistra, nella quale
sono confluiti i Verdi per il secondo turno, ha vinto
nettamente le elezioni.
I dati della amministrative erano attesi come un primo
test in vista delle presidenziali del 2001. Ma nessuna
delle parti può dire davvero di aver vinto. La Francia
resta ancora molto divisa. E se da un lato premia i
successi politici del premier Lionel Jospin, dall'altro
consegna importanti successi agli uomini del presidente
della Repubblica Jacques Chirac. Il duello fra i due, che
continuano la loro difficile coabitazione ai vertici
dello Stato, è quindi destinato a continuare.
(18
marzo 2001)
Tra i suoi personaggi più noti
Tom e Jerry, l'orso Yoghi,
gli Antenati e Braccobaldo. Nel '37 l'incontro con
Barbera
E'
morto William Hanna
mitica matita dei cartoon
LOS ANGELES - Era una leggenda
a Hollywood. I personaggi da lui creati, da Tom e Jerry
agli Antenati, dall'orso Yoghi a Braccobaldo, hanno fatto
il giro del mondo dominando l'industria cinematografica
dei cartoon per più di mezzo secolo. William Hanna,
mitico maestro dell'animazione e cofondatore degli studi
Hanna e Barbera, è morto all'età di 90 anni nella sua
casa di North Hollywood. La causa del decesso al momento
è ancora sconosciuta.
Nato a Melrose, Nuovo Messico, il 14 luglio 1910, Hanna,
ingegnere di formazione passato attraverso il
giornalismo, cominciò a dedicarsi ai cartoni animati
negli "studios" Harman-Ising a Hollywood. Nel
1937 entrò alla Mgm, e vi conobbe colui che sarebbe
diventato l'inseparabile compagno di lavoro di una
carriera di grande successo durata oltre 60 anni.
Nel 1940, Hanna e Barbera produssero "Gallopin'
Gals", ma il successo arrivò con la creazione di
Tom e Jerry, il gatto e il topolino nemici-amici,
perennemente in lotta. Nel 1957, dopo la chiusura della
divisione cartoon di Mgm, fondarono la Hanna e Barbera,
marchio di qualità con il quale hanno realizzato oltre
3.000 "short stories". I loro disegni animati -
dalla grafica semplificata e essenziale, in un certo
senso rivoluzionaria, funzionale al mezzo televisivo e
all'enorme produzione - hanno avuto enorme successo in
tutto il mondo.
Le storie degli Antenati, dei Pronipoti, dell'orso Yoghi
e Bubu nel parco di Yellowstone, di Braccobaldo, hanno
divertito milioni di spettatori, non solo bambini, in
tutto il mondo.
Nel 1996 il marchio Hanna e
Barbera, con relativi studios, è stato rilevato dalla
Warner Bros. Nel 1976, Hanna e Barbera, più giovane di
un anno, furono premiati con una stella sulla "Walk
of Fame", la famosa passeggiata hollywoodiana delle
celebrità.
Nonostante l'età William Hanna - che lascia la moglie
Violet, due figli e sette nipoti - ha lavorato
praticamente fino all'ultimo. Era anche un appassionato
boy scout, impegnato nell'organizzazione per tutta la
vita.
(23
marzo 2001)
Terremoto diplomatico dopo lo
strappo Usa su Kyoto
La nuova amministrazione cancella gli impegni di Clinton
Clima,
sul gas serra
l'Europa contro Bush
Il no al
protocollo sugli effetti della rarefazione dell'ozono
determinato dai big del petrolio finanziatori dei
repubblicani
WASHINGTON - Quello che non
fecero i missili, ha fatto il petrolio: lo strappo con
l'Europa. Quello che l'Urss non era riuscita a fare in 50
anni, l'America di Bush si è inflitta da sola e in un
solo giorno. Non sono state le bandiere rosse, ma le
bandiere verdi ad aprire tra l'America e l'Europa un
fossato politico e un dissenso storico quale il vecchio
Cremlino neppure avrebbe osato sognare. Quando George W.
Bush, il presidente, ha annunciato che Washington avrebbe
stracciato il patto per la riduzione dei gas nocivi
firmato a Kyoto nel 1997, non ha lasciato dubbi
sull'arroganza unilaterale e isolazionista della sua
decisione.
Ma rimane il dubbio che, prima di tutto, siano venuti
invece gli interessi dei petrolieri amici e finanziatori
di bush. neppure negli anni del confronto nucleare con
Mosca, delle guerre in Corea e nel Vietnam, degli
euromissili, del riarmo reaganiano, l'Europa era stata
così unanimente e pubblicamente sconvolta da una
decisione americana tanto brusca e tanto inspiegabile,
nel modo prima ancora che nella sostanza. Tutti, dal
presidente della Ue Prodi al cancelliere tedesco
Schroeder che era a Washington proprio mentre Bush lo
accoglieva con il voltafaccia sul trattato di Kyoto,
hanno espresso variazioni sul tema dello sbalordimento e
della preoccupazione per l'abbandono di un accordo
internazionale imperfetto, ma che aveva almeno posto per
la prima volta in termini globali il problema globale
dell'inquinamento atmosferico. E se gli effetti pratici
di quel trattato erano assai limitati, importantissimo
era stato il fatto che la regina dell'inquinamento,
quell'America che ospita il 4% della popolazione mondiale
ma produce il 25% dei gas nocivi, avesse accettato il
principio della corresponsabilità nel problema e,
dunque, nella soluzione. Tutto questo è stato spazzato
via dal gesto di un presidente che dal primo giorno della
sua bizzarra ascesa al trono tenta di dimostrarsi non
soltanto un legittimo capo di Stato, ma un duro che
marcia sul sentiero delle proprie convinzioni senza
curarsi dei guasti e dei dissensi, purché la direzione
sia opposta a quella di Bill Clinton.
Tutto quello che Bush ha fatto finora è infatti il
contrario esatto di quanto fecero Clinton e Gore. Ha
irritato la Cina, prediletta da Clinton, ha riaperto una
mini guerra fredda con Mosca, ha bombardato senza nuove
ragioni credibili l'Iraq, ha cancellato gli ultimi
provvedimenti clintoniani sull'assicurazione sanitaria e
il lavoro e ora ha infuriato i leader e le nazioni
alleate rinnegando quel trattato di Kyoto che Gore aveva
firmato. È una rivisitazione ossessiva del lavoro fatto
da Clinton e Gore, che sarebbe più comprensibile se
l'elettorato gliene avesse dato mandato. E non avesse
invece dato quei 500 mila voti di maggioranza nazionale a
Gore, inghiottiti dal buco nero della Florida. Un Bush in
versione taliban, intento a demolire le icone lasciate
dal predecessore.
Ma se ci sono elementi da psicoanalisi, in questa
rivisatazione, ce ne sono altri che rispondono a logiche
meno personali. Il sentiero che ha portato Bush al
tradimento del trattato di Kyoto è un sentiero
lastricato di dollari neri, neri come quel petrolio che
fece ricco e importante il padre e che ha lubrificato la
macchina elettorale del figlio. Bush il giovane è uno
oilman, come si dice nel suo Texas, un uomo del petrolio,
che ebbe come sua prima attività un'azienda di
esplorazione ed estrazione che lui battezzò con la
traduzione in spagnolo del proprio cognome,
"Arbusto". Quando l'"Arbusto"
appassì, fu salvato da un'altra società petrolifera
texana con un singolare nome, la Spectrum 7, che a sua
volta fallì sotto il suo tocco e fu comperata a prezzo
di favore da una terza oil company, la Harken, che
addirittura premiò il figlio dell'ex presidente, pur
fallito due volte, con una poltrona nel consiglio
d'amministrazione e una consulenza annuale da 300 milioni
di lire.
E l'industria del petrolio, quella che non aveva mai
digerito il trattato di Kyoto e le limitazioni al consumo
e alle emissioni, si è presentata fedele
all'appuntamento con la campagna elettorale. I colleghi
oilmen hanno puntato su di lui un assegno complessivo da
70 miliardi di lire, contro appena 6 per Gore, una
sproporzione eloquente e senza precedenti. Quando il loro
cavallo ha tagliato zoppicando il traguardo della Casa
Bianca, la scommessa ha pagato lautamente con
l'annullamento unilaterale di quell'accordo che
imbrigliava gli uomini del greggio.
Chi crede al disinteresse dei finanziatori elettorali,
non ha che fare un pieno di benzina. Ma se nessuno aveva
dubbi che Bush fosse dalla parte dei petrolieri, come lo
è il suo vice Dick Cheney ex presidente della più
grande società mondiale di esplorazione ed estrazione,
la Halliburton, ben pochi, anche nella sua stessa
ammninistrazione, si aspettavano tanta brutalità. Non se
lo aspettavano al Dipartimento di Stato, dove oggi
piovono le dichiarazioni di protesta da tutto il mondo.
Non se lo aspettava il Senato, che aveva votato, per 90
voti a 10, contro il trattato di Kyoto facendo il
classico giochetto dei senatori che bloccano trattati
internazionali americani per demagogia, sapendo che
comunque il presidente li rispetterà.
Ma soprattutto non se lo aspettava la signora Christine
Whitman, la responsabile dell'ambiente nel governo, che
era appena tornata da Trieste e da un faticoso, quanto
finto, compromesso con gli europei sull'effetto serra. La
signora aveva strappato al presidente la promessa di
[ab]andarci piano[bb] con l'abbandono del trattato, per
dare tempo agli alleati dell'America di adattarsi
all'idea che a Washington il "verde" non era
più di moda e di salvare la faccia. Nessuno, non gli
europei né la Whitman, aveva fatto i conti con la foga
nevrotica che Bush sta applicando a questi suoi primi 100
giorni per dimostrarsi forte e per catturare i favori di
un'opinione pubblica ancora ferma al 58% nell'indice di
popolarità, poco sopra il 53% di gennaio. Il presidente
sta inseguendo i malumori di una nazione che si scopre
improvvisamente, dopo un decennio di grasso, a corto di
elettricità in California, dove continuano i black out e
le tariffe stanno per aumentare del 50%, con scarsità di
gas naturale e di centrali elettriche, dipendente più
che mai dal petrolio dell'Opec e scossa da una sbandata
economica generale sul ciglio della recessione. [ab]Non
mi importa niente da dove venga il petrolio, se dal
Messico o dal Canada, purché ci arrivi[bb] dice Bush e a
chi gli chiede se abbia compreso la profondità della
collera europea risponde indispettito: [ab]Ma sì,
discuteremo, purché gli altri sappiano bene noi dove
stiamo[bb]. Sta, ora lo sappiamo, dalla parte di
un'"America First", di un America prima e sopra
tutto che si sente sempre meno legata da responsabilità
e accordi internazionali, sempre meno disposta a cedere
pezzettini di sovranità e avviata su rotte divergenti
dai convogli di altre nazioni. È il vecchio ritornello
della destra anti internazionalista e provinciale
dell'America profonda, quella che vede nell'Onu un
complotto anti americano e che Bush non ha la forza
politica per moderare. Rimane la speranza, sempre più
sottile, che l'estremismo di questi primi 100 giorni sia
soltanto la malattia infantile del Bushismo.
(31
marzo 2001)
La Procura ha aperto oggi un
fascicolo contro ignoti
Gli investigatori: potrebbe averlo ucciso un farmaco
Firenze,
morte di Pacciani
l'ipotesi è omicidio
FIRENZE - Pietro Pacciani
potrebbe essere stato ucciso. La Procura di Firenze ha
aperto oggi un fascicolo contro ignoti per la morte
dell'agricoltore accusato degli omicidi del
"mostro" di Firenze e morto nel 1998 in attesa
del secondo processo d'appello. Testimonianza chiave
sarebbe quella di Carmelo Lavorino, uno degli
investigatori del pool difensivo di Pacciani, convinto,
oggi come due anni fa, che l'uomo fosse stato
"portato verso la morte giorno dopo giorno, goccia
dopo goccia".
Lavorino è stato ascoltato oggi dal capo della squadra
mobile di Firenze, Michele Giuttari, come persona
informata sui fatti. E ha aggiunto nella sua
testimonianza che potrebbe essere stata una sostanza,
forse un farmaco, assunta nel tempo da Pacciani a
provocarne la morte. Ad avallarne l'ipotesi il fatto che
il cadavere, trovato nella casa di Mercatale il 22
febbraio 1998, sul pavimento, in posizione prona, avesse
le macchie ipostatiche (quelle che si formano sulla parte
del cadavere rivolto verso terra) sulla schiena e non
solo sull'addome.
Tra gli accertamenti disposti recentemente dal sostituto
procuratore Paolo Canessa ci sono, tra l'altro, quelli
tossicologici e farmacologici sui reperti fatti prelevare
dal cadavere di Pacciani che aveva 73 anni e non godeva
di buona salute. Pochi mesi prima del decesso,
nell'ottobre del 1997, era stato ricoverato in ospedale
per un malore.
(29
marzo 2001)
L'ex leader jugoslavo è
asserragliato nella sua villa
All'esterno è giunto il ministro egli Interni serbo
Milosevic,
imminente
il blitz per la cattura
BELGRADO - Il ministro
dell'Interno della Serbia, Dusan Mikajlovic, è arrivato
in via Uzicka e si è incamminato verso al residenza di
Slobodan Milosevic, circondata da numerosi mezzi delle
forze dell'ordine. C'è un clima di forte attesa per ciò
che potrebbe succedere: circa un'ora fa la polizia ha
fatto sloggiare tutti i manifestanti che da stamattina si
trovavano dovanti alla casa dell'ex presidente.
Tutto questo accade dopo il via libera dato dal
presidente Vojislav Kostunica a proseguire l'azione per
l'arresto di Milosevic, purché si eviti un bagno di
sangue.
E anche il ministro della
Giustizia serbo Vladan Batic ha espresso parole di elogio
per la posizione assunta da Kostunica, che esprime
"il desiderio di affermare lo stato di
diritto".
Dal fronte della fazione pro-Milosevic, aveva rotto il
silenzio solo Gorica Gajevic, ex numer due del partito
socialista, secondo il quale l'ex capo dello Stato
"è pronto ad accettare il mandato della Corte di
giustizia di Belgrado, a patto che vengano rispettate
tutte le garanzie e procedure legali". Questi gli
ultimi sviluppi, in una giornata cominciata dopo una
lunga notte di tensioni e di incertezze: prima la polizia
aveva portato l'ex presidente a Palazzo di Giustizia, poi
però c'era stato il trasferimento, di nuovo, a casa.
Ed è stato questo il momento
più drammatico, con scontri, all'esterno della
residenza, tra le polizia e i fedelissimi dell'ex
presidente. Ci sarebbero stati anche un morto e due
feriti: la vittima sarebbe un civile, uno dei feriti un
poliziotto, un altro un operatore tv.
(31
marzo 2001)
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