MARZO 2001

Condannato il boss Vito Palazzolo, ordinò l'assassinio
del militante di Democrazia proletaria che si batteva contro la mafia


Trent'anni al mandante
dell'omicidio Impastato

Il fratello Giovanni: "Finalmente,

PALERMO - Trent'anni di galera a Vito Palazzolo. E' lui uno dei mandanti (l'altro è suo cugino, il boss Gaetano Badalamenti), dell'omicidio del militante di Democrazia Proletaria Giuseppe Impastato, assassinato a Cinisi, 20 chilometri da Palermo, nella notte tra l'8 e il 9 maggio del 1978. Palazzolo, che ha 83 anni, ha saputo della sentenza in carcere.

Dopo dodici ore di camera di consiglio nell'aula bunker del carcere di Pagliarelli, la Corte di assise di Palermo, presieduta da Angelo Monteleone, ha deciso di rigettare la richiesta di ergastolo avanzata dalla Procura. Palazzolo, sul cui capo pendevano le accuse di un pentito (Salvatore Palazzolo, suo omonimo) aveva chiesto il rito abbreviato e per questo è stato giudicato separatamente da Badalamenti, più volte collegato in videoconferenza dal carcere del New Jersey dov'è rinchiuso.

Secondo il collaboratore di giustizia, Peppino Impastato (la cui vicenda è stata recentemente raccontata nel film "I cento passi" di Marco Tullio Giordana), venne ucciso per decisione dei vertici della famiglia mafiosa di Cinisi, in cui Vito Palazzolo svolgeva il ruolo di "vice" Badalamenti.

Benchè figlio di Luigi Impastato, un uomo legato alla cosca del paese, Peppino si batteva contro Cosa Nostra e ne denunciava i traffici dai microfoni della radio libera da lui fondata con il fratello e un gruppo di amici. I boss, stanchi di vedere la loro autorità messa in ridicolo e il loro prestigio minacciato, ordinarono la morte di Impastato, che fu sequestrato, picchiato e poi lasciato tramortito sui binari ferroviari con addosso una bomba che esplose e lo dilaniò. Una messinscena per depistare le indagini e farlo passare per un terrorista.

Una finzione che aveva convito gli inquirenti che fosse stato lo stesso Impastato a preparare l'ordigno per commettere un attentato e che fosse rimasto ucciso da un'esplosione accidentale mentre collocava la bomba sotto un traliccio presso i binari. Poi venne fuori il coinvolgimento della mafia e la verità venne ristabilita.

Il primo commento arriva da Giovanni Impastato, fratello di Peppino: "Finalmente giustizia è fatta. Sono emozionato: oggi, oltre alla verità storica, è emersa anche quella giudiziaria".

(5 marzo 2001)


Le fiamme nella notte, molte ferite gravemente
le porte erano chiuse per evitare che uscissero


Nigeria, a fuoco dormitorio
muoiono trenta ragazze


ABUJA - Trenta ragazze morte bruciate nel sonno, molte altre ferite, parecchie gravi. Sono le studentesse del collegio femminile di una scuola di Gindiri, in Nigeria. Le fiamme si sono sviluppate all'improvviso nella notte per cause ancora da accertare ed è stato un massacro.

Le ragazze infatti erano in trappola. Le porte del dormitorio erano state sbarrate, chiuse a chiave, per impedire loro di raggiungere i ragazzi, i loro amici, ospiti nel vicino istituto maschile.

Il bilancio è ancora provvisorio ma testimoni oculari giurano che sono almeno trenta le vittime, ma molte sopravvissute presentano ustioni talmente gravi e la triste conta sembra destinata ad aumentare ancora.

I familiari sono stati convocati per il riconoscimento, ma alcuni cadaveri sono calcinati in modo così orrendo che finora non è stato possibile identificarli.

Gindiri è una comunità fondata qualche decennio fa nell'interno del Paese africano da missionari occidentali allo scopo di creare un polo per l'istruzione; le sue scuole sono rinomate, ma famose per l'estrema rigidità della disciplina.

(8 marzo 2001)


Il leader del Polo ribadisce il no alla data del 6 maggio
per le elezioni e si dice convinto della vittoria


Berlusconi: "Sono il migliore
sulla scena europea e mondiale"


ROMA - Certo di essere in forte vantaggio nei sondaggi, fermo nel respingere il 6 maggio come data delle elezioni, sicuro della sua statura di leader politico, tanto da definirsi il migliore "sulla scena europea e mondiale". E' un Berlusconi fortemente ottimista quello che stamattina si è concesso un breve incontro con i giornalisti per ribadire che le critiche che arrivano dall'estero non scalfiscono minimamente i suoi progetti e le sue intenzioni.

Si comincia proprio dagli attacchi degli ultimi giorni arrivati dalle pagine del "Financial Times" e del "Pais", dalle file del governo belga, e dal vertice della stessa Commissione. Silvio Berlusconi si dice "assolutamente tranquillo" e afferma che le polemiche sono "provocate dall'attività italiana di chi cerca di sfruttare l'amicizia con questo o quel politico per avere argomenti da brandire in campagna elettorale". Quelle polemiche, spiega, non hanno nessuna ragione di essere, visto che si rivolgono contro "un uomo di fronte al quale nessuno, sulla scena europea e mondiale, visto che ho anche coordinato un G7-G8, può pretendere di confrontarsi per storia personale e capacità".

"Non c'è personalità politica che possa confrontarsi con me - insiste il Cavaliere - Sarò tacciato di ambizione, mi spiace anche essere io a dire queste cose, ma nessuno dei protagonisti della politica ha la stessa storia. Anche chi guida un partito - esemplifica - non è stato lui a fondarlo, non ha la storia personale che ho io. Sempre e comunque sono io in vantaggio. Quando incontro un ministro, un primo ministro, un capo dello Stato sono loro che devono cercare di essere più bravi di me".

Quanto al futuro immediato, il leader della Casa delle libertà ripete il suo no alla data del 6 maggio per le elezioni e afferma che la sua coalizione sarà in grado di guadagnare la maggioranza anche al Senato con un "ottimo margine" anche se non quanto alla Camera. E subito dopo le elezioni è pronto ad assumere la guida del Paese forte anche dell'esperienza passata: "Da presidente del Consiglio, alla guida di un governo di coalizione con An e Lega - dice Berlusconi - non ho mai avuto difficoltà di sorta".

(7 marzo 2001)

Dopo aver incontrato Mancino e Violante
il capo dello Stato ha firmato il decreto di scioglimento


Il presidente Ciampi
scioglie le Camere

Domani il governo deciderà la data delle elezioni

ROMA - In anticipo sulle previsioni il presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi ha sciolto le Camere chiudendo quindi la XIII legislatura. Il capo dello Stato nel pomeriggio ha visto due volte il presidente del Consiglio Giuliano Amato ed ha incontrato al Quirnale i presidenti di Camera e Senato Luciano Violante e Nicola Mancino. Dopo le consultazioni, "ai sensi dell'articolo 88 della Costituzione", così recita il comunicato della presidenza della Repubblica, Ciampi ha firmato il decreto di scioglimento (controfirmato da Amato) e, tramite il segretario generale del Quirinale, lo ha consegnato ai presidenti delle due Camere.

Data delle elezioni. Sciolto il Parlamento, sarà il consiglio dei Ministri a deliberare sulla data delle prossime elezioni: non potrà essere prima dei 45 giorni dalla data della pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del relativo Dpr, con il quale verrà anche fissato il giorno della prima convocazione del nuovo Parlamento. L'alternativa è ristretta al 6 e al 13 maggio a seconda che prevalgano le pressioni di Rutelli e dell'Ulivo a favore della prima soluzione o quelle di Berlusconi e della Cdl che preferiscono la seconda sulla quale sostengono di aver ottenuto un via libera di massima dal Quirinale e, nei giorni scorsi, anche dal governo.

Deposito dei simboli. Le forze politiche dovranno depositare i simboli che intendono presentare sulle schede elettorali fra il 43simo e il 45simo giorno precedente la data del voto: dal 22 al 24 marzo se si voterà il 6 maggio, dal 29 al 31 marzo se si voterà il 13 maggio. L'ordine di collocazione dei simboli sulle schede elettorali sarà successivamente sorteggiato dall'ufficio elettorale centrale.

Deposito delle candidature. Le candidature al Parlamento nei collegi maggioritari e nelle liste proporzionali vanno depositate entro 30 giorni dalla data del voto: venerdì 6 aprile se si vota il 6 maggio, venerdì 13 aprile se si vota il 13 maggio. A causa dello scioglimento anticipato delle Camere, infatti, è ridotto di 15 giorni il termine altrimenti fissato dalla legge in 45 giorni prima del voto. Per lo stesso motivo, sono ridotte della metà le firme necessarie per presentare le candidature, variabili a seconda delle dimensioni dei collegi: da 500 sottoscrizioni per quelli più piccoli a 1750 per quelli più grandi.

Campagna elettorale e par condicio. Fermo restando il divieto di spot elettorali valido tutto l'anno, con l'inizio della campagna elettorale trenta giorni prima del voto (6 o 13 aprile a seconda se le elezioni saranno il 6 o il 13 maggio) si applicano le disposizioni sulla par condicio nell'informazione politica, entrata in vigore prima delle scorse elezioni regionali, che riguardano gli spazi autogestiti, i contenitori elettorali, la presenza dei politici nelle trasmissioni. Entro il 6 o il 13 aprile le emittenti televisive nazionali dovranno far conoscere le loro disponibilità di spazi e quelle private i costi di accesso.

(8 marzo 2001)

Reggio Calabria, il parlamentare di Forza Italia giudicato
colpevole di concorso esterno. Il legale: "Fatto aberrante"


Mafia, Matacena (Fi)
condannato a 5 anni

Il deputato accusato di far parte di un comitato d'affari
colluso con le cosche cittadine. Ergastolo per 27 boss

REGGIO CALABRIA - Il parlamentare di Forza Italia Amedeo Gennaro Matacena è stato condannato dalla corte d'assise di Reggio Calabria a cinque anni e quattro mesi di reclusione, per concorso esterno in associazione mafiosa. L'imputato ha avuto anche l'interdizione perpetua dai pubblici uffici e la libertà vigilata per un anno a conclusione della pena, oltre che a 400 milioni di risarcimento per i danni provocati all'immagine della città.

La sentenza di oggi giunge a conclusione del processo a carico di 120 persone accusate, a vario titolo, di omicidio, associazione di stampo mafioso, estorsione, traffico di armi e stupefacenti "Olimpia 3". Un troncone scaturito dal filone originario Olimpia 1, già approdato in Corte d'appello dopo la sentenza di primo grado.

Matacena ha 38 anni. Originario di Catania risiede da tempo in Calabria. La sua carriera politica è iniziata nel Pli, poi è approdato a Forza Italia dove è diventato coordinatore regionale del partito. Alle politiche del 1996 era stato eletto deputato (al secondo mandato) nel collegio Reggio Calabria-Villa San Giovanni con il 48,6 per cento. Nel Parlamento appena sciolto aveva fatto parte della commissione difesa.

Olimpia 3 si è concluso dopo 149 udienze e 15 giorni di camera di consiglio. L'operazione Olimpia prese avvio nel 1994, con le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia Filippo Barreca e Giacomo Lauro, approfondite dalla Dda che ha coordinato le indagini della Dia, a cui si sono aggiunte nel tempo le testimonianze degli altri pentiti: Rocco Buda, Domenico Festa, Antonio Gullì, Paolo Iero, Giuseppe Lombardo (autore materiale dell'omicidio Ligato), Giovanni Ranieri, tutti appartenenti allo schieramento Condello-Imerti-Serraino-Rosmini, contrapposti, nella guerra di mafia degli anni '80 che provocò circa 650 omicidi, al cartello cosiddetto "destefaniano" (De Stefano, Libri, Tegano, Latella).

In Olimpia 3 sono state condannate all'ergastolo 27 persone: presunti boss come Bruno Azzarà; Giuseppe Barresi; Pasquale Condello, di 51 anni, "il boss dei boss" della zona, e il cugino omonimo di 38 anni; Francesco Doldo; Antonino Ficara; Paolo Iannò; Giovanni Imerti, fratello di Antonino, quest'ultimo condannato a 30 anni; Giuseppe Mittica; Umberto Munaò; Antonino Nicolò; Demetrio Nicolò; Sebastiano Nocera; Carmelo Palermo; Bruno Polimeni; Tommaso Romeo; Antonio Rosmini; Bruno Rosmini; Demetrio Sesto Rosmini; Diego Rosmini, di 46 anni e lo zio omonimo di 74 anni; Salvatore Saraceno; Domenico Serraino (56 anni); Domenico Serraino (39 anni); Paolo Serraino; Aldo Tripodi; Giovanni Tripodi; Andrea Vazzana.

"Questo processo - ha affermato il sostituto procuratore distrettuale Giuseppe Verzera - ha significato un imponente sforzo giudiziario che ha consentito di accertare quanto accaduto in quei bui anni di guerra di mafia che hanno davvero mortificato la città di Reggio Calabria". Diversa, ovviamente, la reazione di Matacena, espressa per bocca dell'avvocato Alfredo Biondi: "Le sentenze ingiuste non si discutono, ma si appellano", ha commentato, definendo "aberrante" la decisione dei giudici.

(13 marzo 2001)

LA SCENA TELEVISIVA DI LUTTAZZI E TRAVAGLIO

ROMA - Ecco i principali passaggi dell'intervista di Daniele Luttazzi a Marco Travaglio a Satyricon, su Rai 2, sul libro Il colore dei soldi, che racconta tanti misteri legati alle ricchezze e al passato di Silvio Berlusconi.

GLI INIZI MISTERIOSI E LA BANCA RASINI

LUTTAZZI: Nel suo libro si parla di tesi, di teoremi?
TRAVAGLIO: Si parla di fatti e di documenti, che andrebbero spiegati. C'è un dirigente della Banca d'Italia, Giuffrida, che, su incarico della Procura di Palermo, studia i finanziamenti arrivati negli anni Settanta e Ottanta alle 32-34 holding di Berlusconi

L: Cosa sono le holding?
T: Contenitori di denaro. Questo funzionario ha cercato di capire da dove venissero quei soldi: 115 miliardi in contanti dell'epoca (che sarebbero 500 di oggi), che arrivano in 7 anni in contanti. Non so come arrivino, forse con dei valigioni o dei tir... Alla fine Giufrida si arrende e scrive: provenienza sconosciuta. Solo Berlusconi potrebbe spiegare. Magari c'è qualche benefattore segreto che inviava periodicamente questi soldi...

L: Ma non c'è un modo per seguire i movimenti passo passo?
T: No, Il sistema francovaluta faceva in modo che il soggetto fosse inindivduabile. Poi ci sono delle amenità come il fatto che alcune di queste società siano state registrate fra i i negozi di parrucchiere e estetista. E Infatti non si trovavano. Poi le banche dicono: "Ci siamo sbagliati...".

L: Di che banche si trattava?
T: Una era la Banca Rasini, dove lavorava il padre di Berlusconi.

L: Che cosa faceva il padre di Berlusconi nella Banca Rasini?
T: E' entrato come impiegato, mi pare che abbia concluso come direttore. La Banca Rasini è indicata dai giudici di Palermo come una di quelle impegnate nel riciclaggio dei soldi della mafia.

L: Poi c'è la questione delle società chiamate monouso. Usate una volta e poi fatte sparire. Come funzionano?
T: Sono società che fanno una operazione e poi tornano all'origine. E' una delle cose più incomprensibili. Neppure una persona di alto livello come Giuffrida riesce a spiegarlo. Solo Berlusconi può farlo. Può darsi che tutto ciò sia lecito. L'importante è spiegarlo.

CRAXI ALLE RIUNIONI DI FORZA ITALIA
L: Nel libro si parla di due fasi. La prima dagli anni Settanta al 1983, in cui piovono miliardi non si sa perché. Poi inizia la fase craxiana. A proposito, viene fuori che Bettino Craxi a partecipato alla fondazione di Forza Italia, giusto?
T: Sì, c'è un ex democristiano di nome Maurizo Cartotto che racconta che nel '92 Marcello Dell'Utri lo ha convocato e gli ha detto che Berlusconi stava pensando di mettere su un partito...

L: Chi è Marcello Dell'Utri?
T: E' il braccio destro di Berlusconi, palermitano, che quando Berlusconi ha bisogno di uno stalliere, nel 1974, prende un boss mafioso, Vittorio Mangano, condannato per associazione mafiosa e per traffico di droga, e glielo mette in villa per un anno e mezzo. Ma chiudiamo la parentesi. Cartotto racconta che nel '92 Dell'Utri lo ingaggia Cartotto in Publitalia e gli dice di non dire niente a nessuno perché neppure Confalonieri doveva saperne nulla. Perché Confalonieri dice una cosa semplicissima: "Non possiamo entrare in politica con le tv". Oggi sarebbe tacciato di stalinismo. Comunque si tengono diverse riunioni ad Arcore. E a un paio di queste partecipa anche Bettino Craxi, poco tempo prima di volare ad Hammamet. Cartotto racconta poi anche il movente della della nascita di Forza Italia, illustrato chiaramente dallo stesso Berlusconi durante una convention di quadri Fininvest: "I nostri amici cioè Craxi e compagnia contano sempre meno. I nostri nemici contano sempre di più. Quindi dobbiamo difenderci da soli". Ma c'è un'altra cosa assolutamente straordinaria.

L: Qual è?
T: Che nel 9293 Berlusconi si aggirava per le sue aziende dicendo che se non fosse entrato in politica sarebbe stato accusato di essere mafioso. Temeva che gli fossero rivolte accusa di contiguità alla mafia. Diceva: "Faranno di tutto, tireranno fuori tutte le carte". Poi, nel '94, in un momento in cui i sondaggi andavano meno bene, disse che la colpa era di Dell'Utri e delle voci su una sua vicinanza alla mafia. Ma Dell'Utri replicava: "Silvio mi dovrebbe ringraziare. Se dovessi aprire in bocca io...". Molto interessante è anche la requisitoria del pm Luca Tescaroli al processo per la strage di capaci, dove stati condannati tutti i boss di Cosa Nostra da Riina in giù. Tescaroli fa un accenno a indagine in corso a Caltanissetta sui mandanti a volto coperto e che avrebbero suggerito se non altro la tempistica. E nella sua requisitoria il Pubblico ministero ha ricordato le parole di alcuni collaboratori di giustizia che dicono che Rina e gli altri, prima della strage avrebbero incontrato alcuni personaggi importanti: Berlusconi e Dell'Utri.

L: Ma sono accuse che non sono state dimostrate...
T: Fanno parte di una requisitoria, sono state pronunciate in un'aula di tribunale. E' un documento pubblico, che penso meriterebbe un certo interesse. Invece niente. E' il periodo dell'attenzione della mafia al patrimonio artistico italiano e dell'attentato a Maurizio Costanzo che era contrario all'ingresso di Berlusconi in politica.

LA LEGGE TREMONTI
L: Un capitolo molto interessante è quello sulla legge Tremonti, l'esponente di Forza Italia che pochi giorni fra ha dato del gangster a Visco, e Mediaset. Che cosa è successo?
T: In soldoni, la legge Tremonti offre sgravi alle aziende che reinvestono gli utili. E' successo che Mediaset ha comprato dei film e ha chiesto al governo se poteva benefciare o no degli sgravi per 243 miliardi. Non so se ne avesse diritto oppure no. C'è chi sostiene di no, in quanto i film non sono assimilabili a un investimento materiale. Ma non è questo il punto. Il punto è che a beneficiare della legge è colui che l'ha fatta, che con una mano fa la legge e con l'altra ne gode i benefici. E' lo stesso Berlusconi che si domanda "posso"? Si risponde di sì e ci guadagna 250 mliardi.

L: Ma Berlusconi, quando gli rimproverano il conflitto di interessi, dice che ogni volta che si parlerà di cose che lo riguardano si alzerà e se ne andrà dal Consiglio dei ministri.
T: Allora il suo dovrebbe essere un governo vacante, in esilio.

L: Ho provato a elencare le cose di cui si occupa: televisioni, assicurazioni...
T: Negozi di parruchieri...

L'INTERVISTA A BORSELLINO
L: E poi nel libro c'è la trascrizione di un'intervista filmata a Paolo Borsellino.
T: Un'intervista agghiacciante a Borsellino. Roberto Morrione, direttore di Rainews24 l'ha proposta a tutti, ma non trova nessuno a cui interessi.

L: Che cosa dice di così agghiacciante?
T: Dice che la procura di Palermo sta indagando su Berlusconi, Dell'Utri e Mangano. E poi dice che c'è un'intercettazione telefonica in cui Mangano, nel 1981, contratta con Dell'Utri a proposito di un cavallo. E dice anche che nel Maxiprcesso si è appreso che Mangano, quando parla di cavalli si riferisce a partite di droga. Borsellino, che ha senso dell'umorismo, dice : "Nella telefonata si parla di cavalli consegnati in un hotel. Se io dovessi consegnare dei cavalli li consegnerei all'ippodromo o al maneggio". Che cosa si direbbe di Borsellino, se fosse vivo oggi? Che è una toga rossa, che è arrivata la cavalleria comunista? Ma Borsellino votava per il Movimento sociale. Se facesse oggi questa intervista sarebbe deferito come minimo al Csm. Comunque la cassetta c'è ed è in questo paese non si trova un programma che la mandi in onda se non di notte. Acquisita agli atti della Procura Caltanissetta che si occupa delle stragi. Sarebbe molto interessante sapere di che si occupava la procura di Palermo poco prima che i suoi due maggiori esponenti saltassero per aria.

L: Grazie. Con questo libro dimostri di esere un uomo libero, e non è facile trovare uomini liberi in quest'Italia di merda.

(16 marzo 2001)

Violente cariche delle forze dell'ordine in pieno centro
Occupata e in seguito sgomberata piazza Municipio


Napoli, guerriglia al corteo
anti globalizzazione

I manifestanti cercavano di raggiungere piazza Plebiscito
Duecento feriti. Due arresti, 21 denunciati

NAPOLI - Doveva essere la festa del popolo di Seattle, ma l'illusione di una tranquilla passeggiata per il centro di Napoli è durata solo un paio d'ore. Poi hanno preso il sopravvento i violenti e la manifestazione si è trasformata in una mattinata di paura, sassaiole, cassonetti bruciati, cariche, lacrimogeni, molotov e feriti, tanti feriti: quasi duecento fra poliziotti, carabinieri e manifestanti, 2 arresti e 21 denunciati.

La mattinata è iniziata presto. A Palazzo Reale si aspetta l'arrivo del ministro dell'interno Enzo Bianco, a qualche chilometro squatter, centri sociali, Rifondazione comunista, anarchici, gruppi italiani e stranieri cominciano a srotolare i loro striscioni, ad alzare i fazzoletti sul volto, a tirare fuori l'armamentario solito fatto anche di caschi e bastoni con un solo obiettivo: superare la "zona rossa" e arrivare in piazza Plebiscito.

Il corteo parte ma l'aria fra i 20 mila manifestanti è tesa. Non si sentono slogan, ogni gruppetto marcia per conto proprio, nessuno riesce a controllare la situazione. La polizia sta defilata, e a metà del "rettifilo" di corso Umberto un gruppo di 150 anarchici dà il via agli scontri, a freddo e senza un motivo. Tirano fuori i sanpietrini che hanno divelto da terra e si accaniscono contro le vetrine blindate di una banca che viene distrutta.

La celere guarda da lontano. Poi il gruppo si sposta e continua con le violenze, se la prende con un'altra banca poi, ancora a freddo, contro un plotone di poliziotti. Un'assalto in piena regola al quale le forze dell'ordine, fedeli agli ordini di mantenere la calma, non hanno risposto.

Intanto la testa del corteo è in piazza Municipio. E poco dopo arrivano gli anarchici con le loro bandiere nere e rosse di copertura delle mazze di piccone, quelli che negli anni Settanta si chiamavano gli Stalin. E ci arrivano sulla scia di una sede dell'Adecco completamente distrutta e già carichi dagli scontri precedenti. Illusi dalla tranquillità di polizia e carabinieri pensano di poter forzare per arrivare fino in piazza Plebiscito. Ma compiono un errore terribile. Dietro una gigantesca pannocchia di mais di gomma, e protetti da scudi, partono all'assalto all'altezza di via Verdi. Attaccano con pietre e bastoni ma questa volte polizia e carabinieri reagiscono: Parte una prima carica di alleggerimento. In piazza è il panico ma un nutrito gruppo di contestatori risponde alla carica e così, con i giovani accerchiati nella piazza che diventa la loro fossa dei leoni, cominciano una serie di cariche (alla fine saranno 11) con i contestatori a lanciare molotov, sanpietrini in risposta alle manganellate e ai lacrimogeni della polizia.



La piazza diventa un inferno e ci vorranno almeno tre quarti d'ora di battaglia per sgomberare e allontanare i giovani. Poi le forze dell'ordine prendono il sopravvento e se la prendono anche con quei manifestanti che con gli scontri non c'entravano nulla, manganellando a ripetizione chiunque trovassero sulla loro strada, anche quelli a braccia alzate. Alla fine tornano alle loro postazioni portandosi dietro come trofei gli striscioni sequestrati ed esultando verso i colleghi delle seconde linee che rispondono a colpi di manganello sulle transenne in un clamore innaturale e sorprendente ma esplicativo dello stato d'animo di poliziotti e carabinieri.

Tutt'intorno alla zona è un carosello di ambulanze, i ragazzi tornano in corteo verso la facoltà di architettura a leccarsi le ferite, c'è ancora qualche scaramuccia ma il peggio è passato: per il popolo di Seattle la battaglia è persa, a piazza del Plebiscito non sono arrivati.

(17 marzo 2001)


Rotta da ieri la lastra di marmo che copriva il loculo
Il sarcofago forse trasportato con un furgoncino


Trafugata la salma
di Enrico Cuccia

I magistrati stanno vagliando tutte le ipotesi
le più accreditate: estorsione o satanismo

MEINA (Novara) - La salma di Enrico Cuccia è stata trafugata dal cimitero di Meina, sul lago Maggiore, dove il presidente onorario di Mediobanca era stato sepolto il 24 giugno scorso. Il trafugamento è stato scoperto stamane. Ma già ieri i custodi della villa della famiglia Cuccia avevano notato, portando i fiori sulla tomba, una rottura sulla lastra di marmo che copriva il loculo. Il figlio di Cuccia con la moglie è immediatamente corso al cimitero e avendo intuito che si trattava di qualcosa di preoccupante ha avvisato i carabinieri della vicina Arona. Una volta rimossa la lastra, è stata accertata la scomparsa della salma.

"Ieri mattina sono andata al cimitero per bagnare i fiori e dare una pulita - ha raccontato Ida Bentivegna, la donna che dà una mano alla famiglia Cuccia tenendo in ordine la casa e badando alla tomba - lo faccio una volta alla settimana, di solito al venerdì, così quando parenti di Cuccia arrivano a Meina trovano tutto a posto. Ieri ho visto dei calcinacci e la lastra di marmo con una grossa crepa, ma ho pensato a una normale rottura.

Questa mattina però, quando Pietro Cuccia e la moglie, Paola, sono arrivati alla villa ho raccontato che cosa avevo visto e lui è subito andato al cimitero".

La tomba si trova nella parte posteriore del cimitero di Meina. Vi si accede da un cancelletto. Non c'è il nome Cuccia: su una lastra è scritto Enrico, sull'altra Idea. Le porte del cimitero si aprono automaticamente alle 7.30 e si chiudono alle 17.30. Potrebbero aver portato via il sarcofago con un furgoncino o un carro funebre.

Il trafugamento della salma potrebbe far pensare a una possibile richiesta di denaro anche se, confermano dalla Prefettura di Novara, nessuna segnalazione è ancora arrivata e tanto meno, nei mesi scorsi, la famiglia aveva ricevuto segnali che potessero far pensare a quanto accaduto. Ma tra le possibilità che gli inquirenti stanno vagliando c'è anche quella del satanismo. E proprio nei cimiteri della zona, negli ultimi anni, sono stati segnalati alcuni episodi di profanazioni di cimiteri. Nel '96 era stato devastato il camposanto di Invorio e, alla fine di ottobre dell'anno dopo, tre giovani furono sorpresi nel cimitero di Paruzzaro (pochi chilometri da Meina) mentre cercavano di trafugare la salma di un amico morto tempo prima in un incidente.

I tre avevano avuto contatti con la setta dei "Bambini di Satana".

Non si sbilancia, intanto, il magistrato incaricato delle indagini, il sostituto procuratore di Verbania Fabrizio Argentieri: "Non abbiamo elementi per suffragare un'ipotesi piuttosto che un'altra, e quindi non ne escludiamo nessuna. Le due più probabili sono l'estorsione eil satanismo; propendo di più per la prima, ma si tratta soltanto di un'impressione finora non supportata da niente".

Il banchiere era scomparso il 23 giugno scorso, a 93 anni. La salma era stata tumulata il giorno dopo con un funerale-blitz celebrato alle prime luci dell'alba, nel tentativo di evitare l'assalto di stampa e curiosi, nella cappella di una casa di riposo per anziani e disabili psichici proprio sotto la villa dei Cuccia a Meina. Alla Messa solo i parenti più stretti e alcuni amici del grande vecchio di Mediobanca.

(17 marzo 2001)

Amministrative in Francia: ai socialisti anche Lione
Sconfitti i ministri Lang e Guigou. Bene la Aubry


Parigi, vittoria a Delanoe
ma la destra si fa avanti


PARIGI - La sinistra francese conquista Parigi. C'è' stata incertezza fino all'ultimo, ma alla fine lo spoglio delle schede ha dato la vittoria al candidato socialista Bertrand Delanoe. Il suo è stato un successo storico: la capitale francese è da sempre considerata un feudo dei partiti del centrodestra. Stavolta però è andata diversamente. L'uomo della sinistra ha battuto il suo principale rivale Philippe Seguin conquistando 91 seggi su 163. "Oggi i parigini e le parigine hanno deciso liberamente l'alternanza nella capitale", sono state le prime parole del nuovo sindaco della città. "È stata una vittoria dell'audacia e della ragione".

Vittoria della sinistra anche a Lione, terza città più popolosa della Francia. Anche qui fino all'ultimo c'è stato un serratissimo testa a testa. La maggioranza nel consiglio municipale è di 37 seggi, e le liste di sinistra capeggiate dal socialista Gerard Collomb si sono affermate su quelle guidate dal chirurgo "mago" del trapianto della mano, Jean-Michel Dubernard, e da Charles Millon.

I socialisti possono così consolarsi di una tornata elettorale amministrativa che non gli è stata favorevole. L'attesa "onda rosa" non c'è stata: i candidati della sinistra sono stati battuti in molte città importanti. E fra gli sconfitti ci sono molti ministri come quello della cultura Jack Lang (a Blois) e quello del Lavoro, Elisabeth Guigou, ad Avignone.

Martine Aubry, figlia di Jacques Delors ed ex-ministro del Lavoro, invece, si è imposta nella corsa al municipio di Lilla. La sua lista di sinistra, nella quale sono confluiti i Verdi per il secondo turno, ha vinto nettamente le elezioni.

I dati della amministrative erano attesi come un primo test in vista delle presidenziali del 2001. Ma nessuna delle parti può dire davvero di aver vinto. La Francia resta ancora molto divisa. E se da un lato premia i successi politici del premier Lionel Jospin, dall'altro consegna importanti successi agli uomini del presidente della Repubblica Jacques Chirac. Il duello fra i due, che continuano la loro difficile coabitazione ai vertici dello Stato, è quindi destinato a continuare.

(18 marzo 2001)

Tra i suoi personaggi più noti Tom e Jerry, l'orso Yoghi,
gli Antenati e Braccobaldo. Nel '37 l'incontro con Barbera


E' morto William Hanna
mitica matita dei cartoon

LOS ANGELES - Era una leggenda a Hollywood. I personaggi da lui creati, da Tom e Jerry agli Antenati, dall'orso Yoghi a Braccobaldo, hanno fatto il giro del mondo dominando l'industria cinematografica dei cartoon per più di mezzo secolo. William Hanna, mitico maestro dell'animazione e cofondatore degli studi Hanna e Barbera, è morto all'età di 90 anni nella sua casa di North Hollywood. La causa del decesso al momento è ancora sconosciuta.

Nato a Melrose, Nuovo Messico, il 14 luglio 1910, Hanna, ingegnere di formazione passato attraverso il giornalismo, cominciò a dedicarsi ai cartoni animati negli "studios" Harman-Ising a Hollywood. Nel 1937 entrò alla Mgm, e vi conobbe colui che sarebbe diventato l'inseparabile compagno di lavoro di una carriera di grande successo durata oltre 60 anni.


Nel 1940, Hanna e Barbera produssero "Gallopin' Gals", ma il successo arrivò con la creazione di Tom e Jerry, il gatto e il topolino nemici-amici, perennemente in lotta. Nel 1957, dopo la chiusura della divisione cartoon di Mgm, fondarono la Hanna e Barbera, marchio di qualità con il quale hanno realizzato oltre 3.000 "short stories". I loro disegni animati - dalla grafica semplificata e essenziale, in un certo senso rivoluzionaria, funzionale al mezzo televisivo e all'enorme produzione - hanno avuto enorme successo in tutto il mondo.

Le storie degli Antenati, dei Pronipoti, dell'orso Yoghi e Bubu nel parco di Yellowstone, di Braccobaldo, hanno divertito milioni di spettatori, non solo bambini, in tutto il mondo.

Nel 1996 il marchio Hanna e Barbera, con relativi studios, è stato rilevato dalla Warner Bros. Nel 1976, Hanna e Barbera, più giovane di un anno, furono premiati con una stella sulla "Walk of Fame", la famosa passeggiata hollywoodiana delle celebrità.

Nonostante l'età William Hanna - che lascia la moglie Violet, due figli e sette nipoti - ha lavorato praticamente fino all'ultimo. Era anche un appassionato boy scout, impegnato nell'organizzazione per tutta la vita.

(23 marzo 2001)

Terremoto diplomatico dopo lo strappo Usa su Kyoto
La nuova amministrazione cancella gli impegni di Clinton


Clima, sul gas serra
l'Europa contro Bush

Il no al protocollo sugli effetti della rarefazione dell'ozono
determinato dai big del petrolio finanziatori dei repubblicani


WASHINGTON - Quello che non fecero i missili, ha fatto il petrolio: lo strappo con l'Europa. Quello che l'Urss non era riuscita a fare in 50 anni, l'America di Bush si è inflitta da sola e in un solo giorno. Non sono state le bandiere rosse, ma le bandiere verdi ad aprire tra l'America e l'Europa un fossato politico e un dissenso storico quale il vecchio Cremlino neppure avrebbe osato sognare. Quando George W. Bush, il presidente, ha annunciato che Washington avrebbe stracciato il patto per la riduzione dei gas nocivi firmato a Kyoto nel 1997, non ha lasciato dubbi sull'arroganza unilaterale e isolazionista della sua decisione.

Ma rimane il dubbio che, prima di tutto, siano venuti invece gli interessi dei petrolieri amici e finanziatori di bush. neppure negli anni del confronto nucleare con Mosca, delle guerre in Corea e nel Vietnam, degli euromissili, del riarmo reaganiano, l'Europa era stata così unanimente e pubblicamente sconvolta da una decisione americana tanto brusca e tanto inspiegabile, nel modo prima ancora che nella sostanza. Tutti, dal presidente della Ue Prodi al cancelliere tedesco Schroeder che era a Washington proprio mentre Bush lo accoglieva con il voltafaccia sul trattato di Kyoto, hanno espresso variazioni sul tema dello sbalordimento e della preoccupazione per l'abbandono di un accordo internazionale imperfetto, ma che aveva almeno posto per la prima volta in termini globali il problema globale dell'inquinamento atmosferico. E se gli effetti pratici di quel trattato erano assai limitati, importantissimo era stato il fatto che la regina dell'inquinamento, quell'America che ospita il 4% della popolazione mondiale ma produce il 25% dei gas nocivi, avesse accettato il principio della corresponsabilità nel problema e, dunque, nella soluzione. Tutto questo è stato spazzato via dal gesto di un presidente che dal primo giorno della sua bizzarra ascesa al trono tenta di dimostrarsi non soltanto un legittimo capo di Stato, ma un duro che marcia sul sentiero delle proprie convinzioni senza curarsi dei guasti e dei dissensi, purché la direzione sia opposta a quella di Bill Clinton.

Tutto quello che Bush ha fatto finora è infatti il contrario esatto di quanto fecero Clinton e Gore. Ha irritato la Cina, prediletta da Clinton, ha riaperto una mini guerra fredda con Mosca, ha bombardato senza nuove ragioni credibili l'Iraq, ha cancellato gli ultimi provvedimenti clintoniani sull'assicurazione sanitaria e il lavoro e ora ha infuriato i leader e le nazioni alleate rinnegando quel trattato di Kyoto che Gore aveva firmato. È una rivisitazione ossessiva del lavoro fatto da Clinton e Gore, che sarebbe più comprensibile se l'elettorato gliene avesse dato mandato. E non avesse invece dato quei 500 mila voti di maggioranza nazionale a Gore, inghiottiti dal buco nero della Florida. Un Bush in versione taliban, intento a demolire le icone lasciate dal predecessore.

Ma se ci sono elementi da psicoanalisi, in questa rivisatazione, ce ne sono altri che rispondono a logiche meno personali. Il sentiero che ha portato Bush al tradimento del trattato di Kyoto è un sentiero lastricato di dollari neri, neri come quel petrolio che fece ricco e importante il padre e che ha lubrificato la macchina elettorale del figlio. Bush il giovane è uno oilman, come si dice nel suo Texas, un uomo del petrolio, che ebbe come sua prima attività un'azienda di esplorazione ed estrazione che lui battezzò con la traduzione in spagnolo del proprio cognome, "Arbusto". Quando l'"Arbusto" appassì, fu salvato da un'altra società petrolifera texana con un singolare nome, la Spectrum 7, che a sua volta fallì sotto il suo tocco e fu comperata a prezzo di favore da una terza oil company, la Harken, che addirittura premiò il figlio dell'ex presidente, pur fallito due volte, con una poltrona nel consiglio d'amministrazione e una consulenza annuale da 300 milioni di lire.

E l'industria del petrolio, quella che non aveva mai digerito il trattato di Kyoto e le limitazioni al consumo e alle emissioni, si è presentata fedele all'appuntamento con la campagna elettorale. I colleghi oilmen hanno puntato su di lui un assegno complessivo da 70 miliardi di lire, contro appena 6 per Gore, una sproporzione eloquente e senza precedenti. Quando il loro cavallo ha tagliato zoppicando il traguardo della Casa Bianca, la scommessa ha pagato lautamente con l'annullamento unilaterale di quell'accordo che imbrigliava gli uomini del greggio.

Chi crede al disinteresse dei finanziatori elettorali, non ha che fare un pieno di benzina. Ma se nessuno aveva dubbi che Bush fosse dalla parte dei petrolieri, come lo è il suo vice Dick Cheney ex presidente della più grande società mondiale di esplorazione ed estrazione, la Halliburton, ben pochi, anche nella sua stessa ammninistrazione, si aspettavano tanta brutalità. Non se lo aspettavano al Dipartimento di Stato, dove oggi piovono le dichiarazioni di protesta da tutto il mondo. Non se lo aspettava il Senato, che aveva votato, per 90 voti a 10, contro il trattato di Kyoto facendo il classico giochetto dei senatori che bloccano trattati internazionali americani per demagogia, sapendo che comunque il presidente li rispetterà.

Ma soprattutto non se lo aspettava la signora Christine Whitman, la responsabile dell'ambiente nel governo, che era appena tornata da Trieste e da un faticoso, quanto finto, compromesso con gli europei sull'effetto serra. La signora aveva strappato al presidente la promessa di [ab]andarci piano[bb] con l'abbandono del trattato, per dare tempo agli alleati dell'America di adattarsi all'idea che a Washington il "verde" non era più di moda e di salvare la faccia. Nessuno, non gli europei né la Whitman, aveva fatto i conti con la foga nevrotica che Bush sta applicando a questi suoi primi 100 giorni per dimostrarsi forte e per catturare i favori di un'opinione pubblica ancora ferma al 58% nell'indice di popolarità, poco sopra il 53% di gennaio. Il presidente sta inseguendo i malumori di una nazione che si scopre improvvisamente, dopo un decennio di grasso, a corto di elettricità in California, dove continuano i black out e le tariffe stanno per aumentare del 50%, con scarsità di gas naturale e di centrali elettriche, dipendente più che mai dal petrolio dell'Opec e scossa da una sbandata economica generale sul ciglio della recessione. [ab]Non mi importa niente da dove venga il petrolio, se dal Messico o dal Canada, purché ci arrivi[bb] dice Bush e a chi gli chiede se abbia compreso la profondità della collera europea risponde indispettito: [ab]Ma sì, discuteremo, purché gli altri sappiano bene noi dove stiamo[bb]. Sta, ora lo sappiamo, dalla parte di un'"America First", di un America prima e sopra tutto che si sente sempre meno legata da responsabilità e accordi internazionali, sempre meno disposta a cedere pezzettini di sovranità e avviata su rotte divergenti dai convogli di altre nazioni. È il vecchio ritornello della destra anti internazionalista e provinciale dell'America profonda, quella che vede nell'Onu un complotto anti americano e che Bush non ha la forza politica per moderare. Rimane la speranza, sempre più sottile, che l'estremismo di questi primi 100 giorni sia soltanto la malattia infantile del Bushismo.

(31 marzo 2001)

La Procura ha aperto oggi un fascicolo contro ignoti
Gli investigatori: potrebbe averlo ucciso un farmaco


Firenze, morte di Pacciani
l'ipotesi è omicidio


FIRENZE - Pietro Pacciani potrebbe essere stato ucciso. La Procura di Firenze ha aperto oggi un fascicolo contro ignoti per la morte dell'agricoltore accusato degli omicidi del "mostro" di Firenze e morto nel 1998 in attesa del secondo processo d'appello. Testimonianza chiave sarebbe quella di Carmelo Lavorino, uno degli investigatori del pool difensivo di Pacciani, convinto, oggi come due anni fa, che l'uomo fosse stato "portato verso la morte giorno dopo giorno, goccia dopo goccia".

Lavorino è stato ascoltato oggi dal capo della squadra mobile di Firenze, Michele Giuttari, come persona informata sui fatti. E ha aggiunto nella sua testimonianza che potrebbe essere stata una sostanza, forse un farmaco, assunta nel tempo da Pacciani a provocarne la morte. Ad avallarne l'ipotesi il fatto che il cadavere, trovato nella casa di Mercatale il 22 febbraio 1998, sul pavimento, in posizione prona, avesse le macchie ipostatiche (quelle che si formano sulla parte del cadavere rivolto verso terra) sulla schiena e non solo sull'addome.

Tra gli accertamenti disposti recentemente dal sostituto procuratore Paolo Canessa ci sono, tra l'altro, quelli tossicologici e farmacologici sui reperti fatti prelevare dal cadavere di Pacciani che aveva 73 anni e non godeva di buona salute. Pochi mesi prima del decesso, nell'ottobre del 1997, era stato ricoverato in ospedale per un malore.

(29 marzo 2001)

L'ex leader jugoslavo è asserragliato nella sua villa
All'esterno è giunto il ministro egli Interni serbo


Milosevic, imminente
il blitz per la cattura

BELGRADO - Il ministro dell'Interno della Serbia, Dusan Mikajlovic, è arrivato in via Uzicka e si è incamminato verso al residenza di Slobodan Milosevic, circondata da numerosi mezzi delle forze dell'ordine. C'è un clima di forte attesa per ciò che potrebbe succedere: circa un'ora fa la polizia ha fatto sloggiare tutti i manifestanti che da stamattina si trovavano dovanti alla casa dell'ex presidente.

Tutto questo accade dopo il via libera dato dal presidente Vojislav Kostunica a proseguire l'azione per l'arresto di Milosevic, purché si eviti un bagno di sangue.

E anche il ministro della Giustizia serbo Vladan Batic ha espresso parole di elogio per la posizione assunta da Kostunica, che esprime "il desiderio di affermare lo stato di diritto".

Dal fronte della fazione pro-Milosevic, aveva rotto il silenzio solo Gorica Gajevic, ex numer due del partito socialista, secondo il quale l'ex capo dello Stato "è pronto ad accettare il mandato della Corte di giustizia di Belgrado, a patto che vengano rispettate tutte le garanzie e procedure legali". Questi gli ultimi sviluppi, in una giornata cominciata dopo una lunga notte di tensioni e di incertezze: prima la polizia aveva portato l'ex presidente a Palazzo di Giustizia, poi però c'era stato il trasferimento, di nuovo, a casa.

Ed è stato questo il momento più drammatico, con scontri, all'esterno della residenza, tra le polizia e i fedelissimi dell'ex presidente. Ci sarebbero stati anche un morto e due feriti: la vittima sarebbe un civile, uno dei feriti un poliziotto, un altro un operatore tv.

(31 marzo 2001)