1 NOVEMBRE 2001


George W. Bush annuncia che le operazioni andranno avanti anche durante il Ramadan e dà il via libera all'istituzione di tribunali speciali per processare i cittadini stranieri sospettati di terrorismo. L'alleanza del Nord conquista Mazar-i-Sharif e Jalalabad. Sette giornalisti muoiono in due diversi episodi mentre seguivano la guerra: fra loro l'inviata del Corriere della Sera Maria Grazia Cutuli. L'Italia annuncia che parteciperà alle operazioni militari. Ecco gli altri eventi di questo mese.

Le ragazze di Magro vincono i mondiali di Nimes
Bronzo agli Usa che superano la Germania


Fioretto d'oro per l'Italia
le azzurre battono la Russia

Per la nostra nazionale è la quarta medaglia

NIMES (Francia) - Le ragazze del fioretto sono campionesse del mondo. Hanno battuto in finale la Russia per 45-30. Bronzo agli Stati Uniti che hanno superato la Germania 45-43. Gioia, commozione e felicità al momento della premiazione. Le azzurre, cantando l'inno di Mameli, hanno chiamato sul podio anche Margherita Granbassi, infortunatasi ai legamenti prima del torneo.

Margherita è arrivata sul palco della premiazione con le stampelle e ha pianto di gioia insieme alle compagne. E' questa l'immagine della squadra femminile di fioretto, che ha regalato la quarta medaglia d'oro all'Italia.

E' stata Frida Scarpa, al momento della consegna dell'oro, a far salire sul palco anche la sfortunata atleta che avrebbe dovuto essere lì al suo posto. A quel punto, la quarta azzurra ha messo al collo la medaglia dividendola proprio con la Granbassi. "Un'immagine fantastica", ha commentato il tecnico azzurro, Andrea Magro. Che ha aggiunto: "E' una cosa meravigliosa e la dedichiamo a Matteo Zennaro (anche lui infortunato
ndr) e a Margherita Granbassi".

La ricetta del successo azzurro fa leva, come accade ormai negli ultimi anni, sull'estro della veterana Trillini e della fuoriclasse Valentina Vezzali, oro individuale (fioretto) nella rassegna francese e olimpionica a Sydney.

Questi i punteggi ottenuti dal trio Vezzali, Trillini e Bianchedi: Trillini-Youcheva 5-1; Vezzali-Bojko 6-7; Bianchedi-Hakimova 14-12; Trillini-Bojko 20-14; Bianchedi-Youcheva 23-17; Vezzali-Hakimova 30-22; Bianchedi-Bojko 32-25; Trillini-Hakimova 40-29; Vezzali- Youcheva 45-30.

(1 novembre 2001)

Violente proteste nell'aula bunker di Mestre alla lettura
della sentenza che scagiona i vertici Montedison


Processo per il Petrolchimico
tutti assolti i 28 imputati

Presenti parenti delle 157 vittime e i centri sociali
Bettin in lacrime. Casarini: "Non c'è giustizia"

MESTRE (Venezia) - Sono tutti assolti i 28 imputati nel maxi-processo per il Petrolchimico di Porto Marghera. Dopo dieci giorni di camera di consiglio nell'aula bunker di Mestre è stata letta questo pomeriggio la sentenza: tutti assolti, a vario titolo, ma tutti assolti gli imputati, accusati di strage, omicidio e lesioni plurime per aver causato 157 morti per tumore tra gli operai del Petrolchimico, e disastro colposo per aver inquinato con gli scarichi aria, suolo, sottosuolo e acque lagunari.

Sconcertata la reazione dei presenti nel corso della lettura. Nei cinque minuti che sono serviti al presidente del tribunale, Ivano Nelson Salvarani, per leggere le decisioni dei giudici, nell'aula bunker si è scatenato il finimondo: familiari e dipendenti del Petrolchimico hanno iniziato a urlare "vergogna, vergogna"; il prosindaco di Venezia, Gianfranco Bettin, è scoppiato in lacrime; i giovani dei centri sociali, capeggiati da Luca Casarini, si sono uniti alla protesta spintonando e additando giudici e imputati al grido di "assassini". Casarini ha urlato: "Oggi è stata scritta una pagina infame di una giustizia che non c'è".

In aula hanno pianto commossi anche i difensori degli imputati. Per tutti ha parlato l'avvocato Pierfranco Pasini. "Il problema del processo - ha detto - non era stabilire di cosa questi operai siano morti, ma di capire se gli imputati sono responsabili. Il tribunale ha detto che non lo sono, e lo ha fatto con grande coraggio".

Gli imputati del processo,
iniziato il 13 marzo 1998 erano accusati di strage, omicidio e lesioni plurime, tutte a titolo colposo - per aver causato morti da tumore (157 le vittime) e malattie (103) tra gli operai addetti alle lavorazioni di Cvm e Pvc - e disastro colposo, per aver inquinato con gli scarichi aria, suolo, sottosuolo e acque lagunari, avvelenando anche pesci e molluschi.

Nel lungo elenco figurano nomi eccellenti: dagli ex presidenti Montedison Eugenio Cefis e Giuseppe Medici, agli ex amministratori delegati di Montedison Alberto Grandi e Giorgio Porta, quest'ultimo chiamato in causa anche come presidente Enichem ed Enimont, fino all'ex presidente di Enichem ed Enimont Lorenzo Necci.

"La sentenza si commenta da sola, non voglio aggiungere altro e non commento", ha dichiarato il pm Felice Casson, che nel corso del processo aveva chiesto 185 anni di carcere per i 28 imputati. Casson è uscito rapidamente dal Tribunale ed è stato accolto in strada dagli applausi dei manifestanti.

Ma la tensione fuori e dentro l'aula era così forte che e le reazioni così dure che il presidente del tribunale Ivano Nelson Salvarani ha spiegato ai cronisti per sommi capi le motivazioni delle assoluzioni che saranno depositate tra 90 giorni. "Il processo - ha detto - ha consentito di accertare che tutte le malattie causate dal Cvm sono riconducibili alle molto elevate esposizioni risalenti agli anni '50 e '60 e dei primi anni '70, quando se ne ignorava la tossicità che fu evidenziata dalla comunità scientifica solo nel 1973".

Pur specificando che "non si spiegano le sentenze appena emesse", Salvarani, vista l'attenzione su questa vicenda, ha sottolineato: "Solo una parte delle malattie possono dirsi causate dall'esposizione a cvm".

"Successivamente al 1973 - ha proseguito Salvarani - per prima Montedison e poi Enichem realizzarono tempestivamente gli interventi sugli impianti necessari a ridurre l'esposizione dei lavoratori a livelli compatibili con quelle norme di protezione che il legislatore solo allora emanò".

Per quanto riguarda il capo d'accusa relativo ai reati ambientali, Salvarani ha sottolineato che "il processo ha consentito di accertare che lo stato di inquinamento dei canali industriali, pur sussistente, è tuttavia risalente a epoche in cui non esistevano norme di protezione ambientale".

Intanto arrivano le reazioni anche dal mondo politico. Inferociti Verdi e Rifondazione. Pecoraro Scanio parla di "sentenza choc", Grazia Francescato di "licenza di uccidere", l'ex ministro dell'Ambiente Edo Ronchi si dice "scandalizzato", Fausto Bertinotti annuncia che "ingiustizia è fatta".

Fuori dal coro il veneziano Gianni De Michelis: "Pensare di risolvere il grande tema dell'equilibrio tra progresso, economia e salute ricorrendo a strumenti giuridici e addirittura penali è profondamente sbagliato".

(2 novembre 2001)

La tossicità delle sostanze fu accertata solo nel 1973 e
non esistevano in quegli anni norme di protezione ambientale


Ecco i motivi
delle assoluzioni

MESTRE (Venezia) - Quella del Petrolchimico è una sentenza destinata a far discutere. In attesa di leggere le motivazioni, ecco in sintesi i motivi delle assoluzioni anticipate dallo stesso tribunale.

Innanzitutto, secondo il collegio, le due sostanze Cvm (clorulo di vinile) e Pvc (polivinile di cloruro) provocano solo alcune limitate forme di tumore (angiosarcoma epatico ed altre forme di epatopatia) e la loro tossicità fu accertata solo nel 1973: quindi per le morti e le malattie anteriori a quel periodo il fatto non costituisce reato, mentre per quelle successive gli imputati sono stati assolti per non aver commesso il fatto in quanto Montedison ed Enichem si adeguarono tempestivamente alle nuove norme. Tanto che, ha riferito il presidente del tribunale Ivano Nelson Salvarani, nessun lavoratore assunto a Porto Marghera dopo il 1967 ha riportato malattie legate al Cvm.

Cade quindi l'ipotesi d'accusa secondo cui le aziende, pur essendo a conoscenza degli effetti nocivi di Cvm e Pvc, non fecero nulla per salvaguardare la salute degli operai.

Quanto al secondo capo di imputazione, dal disastro ecologico all'avvelenamento dell'ittiofauna e delle falde acquifere, il tribunale riconosce l'esistenza dell'inquinamento dei canali industriali ma, sulla base di parametri Oms, ritiene che non costituisca un pericolo reale per la salute pubblica e comunque ne attribuisce l'origine a un periodo in cui non esistevano norme di protezione ambientale, emanate solo tra la metà degli anni Settanta e primi anni Ottanta.

(2 novembre 2001)

Intesa segreta raggiunta solo pochi giorni prima
della sentenza che ha assolto tutti gli imputati


Accordo Stato-Montedison
525 miliardi per Marghera


VENEZIA - In gran segreto pochi giorni prima della sentenza, che ha assolto i vertici della chimica italiana, da una parte la presidenza del Consiglio dei ministri e il ministero dell'Ambiente, parti civili al processo sul petrolchimico, dall'altra la Montedison hanno firmato un accordo il quale prevede che l'ex colosso chimico sborsi complessivamente 525 miliardi per risanare almeno alcune zone inquinate di Marghera. Pochi giorni fa, quindi, la Montedison cercava di correre ai ripari in previsione di una dura condanna, almeno da un punto di vista risarcitorio, condanna che poi non è arrivata.

Si tratta di un accordo transativo per lavori di bonifica integrale di nove siti dell'area chimica di Marghera, che è stato chiuso a Roma, e arriva dopo l'altro megarisarcimento, oltre 60 miliardi, pagato all'inizio del processo da Montedison ed Enichem alle famiglie degli operai morti. "Abbiamo portato a casa - ha spiegato ieri l'avvocato dello Stato di Venezia Giampaolo Schiesaro, che durante il processo aveva quantificato in 71.500 miliardi i danni ambientali provocati dalle due aziende - il risarcimento massimo possibile per quanto riguarda la posizione di Montedison. È un risultato straordinario e con Montedison abbiamo chiuso ogni pretesa".

È dunque evidente che, almeno con questa società, l'avvocato dello Stato per conto del ministero dell'Ambiente non dovrebbe presentare appello alla sentenza assolutoria, sollevando sicuramente più di una polemica. L'avvocato Schiesaro ha spiegato poi che i termini dell'accordo prevedono che Montedison si accolli le spese per il risanamento ambientale integrale dei nove siti, tra canali e aree terrestri, che l'accordo sulla chimica dava in carico al magistrato alle acque. "In più - ha aggiunto il legale - ci sarà un versamento di 25 miliardi a titolo di risarcimento per ogni profilo di danno ipotizzabile qualsiasi fosse stato poi l'esito del processo".

Il prosindaco di Mestre Gianfranco Bettin, invece, ha annunciato che il Comune di Venezia ricorrerà sicuramente in appello, mentre per la settimana prossima sarà convocata una riunione per valutare alcune iniziative di mobilitazione. "Troviamo nuova forza - ha sottolineato Bettin - dalla rabbia legata agli esiti del processo e l'idea è quella di convocare nei prossimi mesi una sorta di tribunale Russell internazionale per fare un controprocesso al petrolchimico. Dal dibattito di questi anni - si dice convinto Bettin - sono già uscite delle responsabilità morali e storiche e mi sembra che anche nell'anticipo della motivazione data dal collegio giudicante dopo la lettura della sentenza sia sottintesa questa valutazione. Sul piano generale si potrebbe dire che c'è la colpa storica, c'è la vittima, ma non ci sono responsabilità".

Intanto, l'associazione Gabriele Bortolozzo, intitolata all'operaio di Porto Marghera che ha denunciato per primo le morti per cancro dovute al cloruro di vinile monomero nell'area industriale veneziana, ha reso note le linee d'azione future. "Oltre al ricorso contro la sentenza - ha spiegato l'ingegner Franco Rigosi, uno dei componenti dell'associazione - stiamo accelerando i tempi per fare un libro sul processo, con gli articoli di giornale degli ultimi tre anni, nei quali si nota bene la profonda differenziazione della sentenza rispetto all'andamento del processo".

L'associazione sta inoltre riversando in un sito Internet in via di completamento sia il materiale storico e documentale dell'associazione, sia i documenti più importanti del processo. "Vogliamo inoltre incrementare la battaglia che stiamo facendo contro il rischio Marghera" ha terminato l'esponente dell'associazione.

(4 novembre 2001)

I 18 stati che hanno fatto causa al colosso di Seattle
hanno tempo fino a martedì prossimo per valutare l'intesa


Microsoft, accordo con governo
"Restrizioni per cinque anni"

Il gigante di Bill Gates dovrà fornire ai concorrenti
informazioni per creare prodotti compatibili con Windows

WASHINGTON - Accordo fatto tra la Microsoft e il dipartimento di Giustizia americano. L'intesa prevede restrizioni della durata di cinque anni per il colosso informatico di Bill Gates. Il giudice incaricato del caso, Collen Kollar-Kotelley, dopo aver ricevuto gli avvocati della Microsoft, del dipartimento di Giustizia e dei 18 stati, ha aggiornato la seduta a martedì prossimo. Per quella data i 18 stati dovranno dire se sono d'accordo o meno a sottoscrivere l'accordo. "Penso sia importante - ha detto il giudice - che si sia arrivati ad un'intesa con il maggior numero di parti possibile".

"L'accordo è giusto e ragionevole e, cosa ancora più importante, è negli interessi dei consumatori e dell'economia". Cosi il numero uno di Microsoft, Bill Gates, ha commentato in una nota l'accordo raggiunto con il Ministero di Giustizia e approvato dal Tribunale federale. "Se da una parte questo accordo - ha aggiunto Gates in una nota - impone regole molto dure e restrizioni sulle nostre attività, dall'altra riteniamo che la risoluzione di questo caso sia la cosa giusta da fare per i nostri clienti, per l'intera industria tecnologica e per l'economia".

L'intesa raggiunta oggi arriva dopo tre anni di contenzioso tra la giustizia americana e il colosso di Gates, accusato di pratiche monopolistiche. Il piano impone delle restrizioni che dureranno cinque anni (e il termine verrà allungato di altri due se la Microsoft commetterà delle violazioni) e che impongono regole su come Microsoft potrà condurre i suoi affari con i produttori di pc e con i concorrenti nell'industria del software. L'accordo infatti renderà più facile ai produttori indipendenti di software creare prodotti perfettamente compatibili con Windows. Inoltre la Microsoft non potrà siglare accordi esclusivi e dovrà commercializzare in maniera uniforme il suo sistema operativo Windows ai produttori di computer. "E' nei nostri interessi favorire un'industria del software la più competitiva possibile - ha detto l'Attorney General John Ashcroft - Questo accordo storico porterà sollievo ai mercati e assicurerà ai consumatori la possibilità di poter scegliere tra una maggiore varietà di offerte quanto a computer".

Secondo quanto riferito dallo stesso dipartimento di Giustizia, l'accordo ricalca la sentenza originale del giudice Thomas Penfield Jackson ma tiene conto delle innovazioni introdotte dal lancio di Windows Xp e dagli altri sviluppi dell'industria del computer. "Gli obiettivi del governo erano di bloccare certe condotte illegali di Microsoft e riportare la competitività nel mercato del software - ha detto Charles James, che guida la divisione antitrust del dipartimento di Giustizia - e credo che questo accordo ci permetta di considerare raggiunti questi obiettivi".

(2 novembre 2001)

Milano, chiesta la visita fiscale per Stefania Ariosto
che avrebbe dovuto testimoniare stamattina


Imi-Sir: Previti
ricusa i giudici

"Questo processo è un'esecuzione di piazza"

MILANO - "Il processo in corso è un'esecuzione in piazza, dove la legge è calpestata". E' frontale l'attacco che Cesae Previti sferra ai giudici di Milano impegnati nel processo Imi-sir che vede coinvolto il senatore forzista. In una lettera inviata al Collegio della quarta sezione penale del tribunale di Milano,Previti revoca il mandato ai suoi legali e ricusa gli stessi giudici del processo Imi-Sir.

Previti motiva la ricusazione e la revoca in una lettera consegnata dai suoi difensori al presidente del collegio Paolo Carsì. Previti individua il cuore della sua decisione nella decisione di mercoledì scorso del tribunale di proseguire il processo nonostante una sentenza della Corte Costituzionale abbia annullato tre ordinanze del Gup Alessandro Rossato. "Si tratta di un "abominio compiuto" scrive il senatore forzista. Un atto talmente grave che, a giudizio di Previti, si può dire che "nel corso di questo processo sia stata "calpestata la legge" poiché il tribunale "ha rifiutato di applicare la sentenza della Corte Costituzionale". Accuse che Previti rinforza con la convinzione che "il processo in corso sia "lo strumento di una esecuzione di piazza" compiuta attraverso un "massacro della legalità ".

Dopo la revoca dei difensori, ha voluto riaffermare la sua innocenza. Il Tribunale ha quindi nominato un difensore d'ufficio e ha aggiornato l'udienza alla tarda mattinata. Lo slittamento servirà anche a verificare le condizioni di salute di Stefania Ariosto che avrebbe dovuto comparire, come testimone, all'udienza di stamattina. L'Ariosto però ha fatto sapere di avere problemi di salute che ne impedirebbero la sua presenza in aula. I giudici allora hanno deciso di effettuare una "visita fiscale" per verificare le reali condizioni di salute di Stefania Ariosto.

(23 novembre 2001)

Il filosofo aveva ripudiato il marxismo negli anni Settanta
eletto due volte alla Camera si considerava un indipendente


E' morto Lucio Colletti
voce "contro" di Forza Italia

Ha avuto un malore mentre nuotava
durante una vacanza in Toscana

VENTURINA (Livorno) - Un malore in acqua, mentre stava nuotando, forse per una congestione. E' morto così, oggi pomeriggio Lucio Colletti, filosofo e deputato di Forza Italia. Aveva 77 anni, era in vacanza con la moglie e alcuni amici. Erano le 11,30 quando Colletti si è tuffato in acqua alle Terme di Calidario a Venturina (Livorno) dopo aver fatto colazione e ha iniziato a nuotare sott'acqua. La moglie non si è preoccupata perché per il marito quella era un'abitudine. E' stato un bagnino che, non vedendolo risalire per troppo tempo, si è impaurito. Si è subito gettato in acqua e lo ha tirato fuori.

Alcuni medici presenti nelle terme, resisi conto della gravità delle condizioni del filosofo, hanno subito iniziato l'operazione di rianimazione. Poco dopo i soccorritori della Crose Rossa, hanno continuato per quasi un'ora, ma non c'è stato niente da fare.

Lucio Colletti era docente universitario di filosofia teoretica. Eletto con il sistema proporzionale nella circoscrizione VIII (Veneto 2) nella lista di Forza Italia nel maggio scorso. Già deputato nella XIII legislatura, era componente della IV commissione permanente Difesa dal 21 giugno scorso.

Ma Colletti era e si è sempre sentito soprattutto uno studioso. Fin da quando era entrato in politica (lui a lungo pensatore marxista convertitosi a Forza Italia) ha sempre mostrato di essere uno spirito indipendente.

Tagliente, quasi sempre fuori dal coro e dalle opinioni del partito, Colletti aveva alle spalle una carriera accademica che ebbe l'imprimatur di Galvano Della Volpe. Ma dalla formazione marxista - titoli di alcuni suoi saggi più famosi sono "Il marxismo e Hegel" e "Ideologia e società" - Colletti è stato il protagonista di una clamorosa rottura nel 1974, quando il filosofo pubblicò dalla casa editrice Laterza l'"Intervista politico-filosofica": in quel libro ammetteva senza mezzi termini la sconfitta dell'ideologia comunista e teorizzava la necessità di guardare ormai al modello liberale. L'"Intervista" divenne immediatamente un caso editoriale, con traduzioni in numerose lingue straniere.

Comunista fin da giovane, nel 1956 (a parte una parentesi nel '43 nel Partito d'azione), dopo i fatti di Ungheria, Lucio Colletti fu tra i 101 firmatari della famosa lettera degli intellettuali comunisti dissidenti con la linea del partito relativamente alla repressione sovietica nel Paese socialista.

Alla metà degli anni '60, all'Università di Roma, dette vita insieme a un gruppo di giovani ricercatori alla rivista "La Sinistra". Tuttavia in seguito alle polemiche suscitate dalla sua "Intervista" nel 1977 Colletti fu costretto a lasciare l'Università romana sotto le minacce di morte provenienti da ambienti estremistici, che lo accusavano di essere diventato un "revisionista al servizio dei padroni": per alcuni anni si recò in Svizzera, insegnando filosofia all'Università di Ginevra.

Affascinato dal "nuovo corso" del Partito socialista impresso da Bettino Craxi alla fine degli anni Settanta, Colletti cominciò a essere uno dei più assidui collaboratori della rivista "Mondo operaio" partecipando insieme a numerosi intellettuali alla elaborazione della politica riformista socialista dell'epoca.

Nel 1994 salutò con soddisfazione la nascita di Forza Italia e l'impegno diretto in politica di Silvio Berlusconi, diventandone in breve tempo amico ed anche "consulente". Nel 1996 accettò, lui che aveva sempre rifiutato di candidarsi alle elezioni politiche, un seggio alla Camera, sottolineando tuttavia di considerarsi a tutti gli effetti un indipendente all'interno del movimento di Berlusconi.

E per tutta la legislatura è rimasto coerente a questo impegno, diventando spesso un pungolo per il movimento azzurro non lesinando mai critiche. Nella scorsa primavera, proprio a causa di questo suo atteggiamento critico, Colletti rischiò di rimanere escluso dalla competizione elettorale, ma all'ultimo il suo nome fu ripescato e fu di nuovo eletto a Montecitorio.

(3 novembre 2001)

Un rapporto dell'Fmi fotografa così l'economia
del nostro Paese e i contraccolpi del conflitto


Effetto guerra in Italia
La crescita ferma all'1,4%

Si confermano previsioni e indiscrezioni

WASHINGTON - Nel freddo linguaggio dei numeri l'attacco terroristico all'America si traduce in una contrazione della crescita economica di mezzo punto percentuale. "decimale più, decimale meno". Un dato che per l'Italia significa che la crescita dell'economia nel 2002 sarà dell'1,4%, secondo un rapporto dell'Fmi discusso oggi dal Board dell'istituzione monetaria internazionale. Una cifra che sarebbe stata migliore se non pesasse così tanto l'impatto degli attacchi terroristici dell'11 settembre.

Il rapporto sull'economia dell'Italia era stato, in un primo tempo, stilato dopo una visita a Roma, tra la fine di luglio e i primi di agosto, di una missione del Fondo monetario internazionale. Poi, dopo gli attacchi terroristici dell'11 Settembre, ai primi d'ottobre una seconda missione ha raccolto dati e valutazioni aggiornati. E le cifre sono cambiate in peggio.

I cosiddetti rapporti 'ex articolo IV' dell'Fmi sono stilati e discussi ogni anno. Il Fondo renderà pubblico, a giorni, il documento sull'Italia mentre oggi, ha diffuso quello sulla Francia discusso il 26 ottobre. Gli esperti dell'Fmi considerano che l'11 Settembre avrà, sull'economia dei Paesi europei, un impatto pari, in genere, a una contrazione della crescita prevista intorno a mezzo punto nel 2002, con piccole variazioni legate alle situazioni specifiche di ogni paese.

(6 novembre 2001)

Il candidato sindaco per i repubblicani eredita da Giuliani
la guida della città: il rivale Green ammette la sconfitta


Bloomberg sul "trono" di New York
dopo un serrato testa a testa

Secondo gli ultimi dati non ancora ufficiali
avrebbe vinto per poco più di 30 mila voti

NEW YORK - Mark Green ha gettato la spugna: è del repubblicano Bloomberg il "trono" di Rudolph Giuliani. Il candidato democratico alla poltrona di sindaco di New York ha concesso la vittoria all'avversario questa mattina all'alba prima ancora di sondaggi tv e scrutini. E nonostante dallo spoglio risultasse un serrato testa a testa tra i due. Alla guida della Grande Mela dunque, per i prossimi quattro anni, ci sarà ancora un repubblicano.

Bloomberg, al suo debutto come candidato, l'ha spuntata - secondo gli ultimi dati non ancora ufficiali - per poco più di 30 mila voti su Green, politico navigato e dal '94 Difensore pubblico della città.

Il ricchissimo Bloomberg, appoggiato dal sindaco uscente e per due volte in carica Giuliani, era l'uomo da battere: il candidato degli spot tv, quello cui Green voleva dimostrare che "non si compra l'onore di essere primo cittadino". Green ha fatto la corsa in testa nei sondaggi, in una città più democratica che repubblicana. Bloomberg ha recuperato quando si sono fatti sentire il fattore soldi (ha investito cento miliardi di tasca sua per la campagna elettorale) e l'appoggio di Giuliani che dopo l'undici settembre ha guadagnato i favori anche di chi non amava la sua politica.

"Abbiamo dato tutto, davvero lo abbiamo fatto, ma non è stato abbastanza", ha dichiarato lo sconfitto ai suoi sostenitori prima di fare la telefonata di rito per congratularsi con il vincitore.

Green era considerato favoritissimo fino a pochi giorni dalle elezioni.

"La buona notizia - ha detto Bloomberg nel suo discorso d'investitura - è che abbiamo vinto. Ma abbiamo bisogno di essere uniti per fare questa città migliore: non è questione d'essere democratici o repubblicani, ma di essere cittadini di New York". "Abbiamo sofferto una tragedia terribile l'11 Settembre, ma non lasceremo che i terroristi ci battano: ne usciremo vincitori. New York è viva, è forte e lavora".

E davvero non sarà semplice il suo compito di risollevare la città dopo gli attentati terroristici dell'11 settembre. Sebbene i newyorchesi abbiano ripreso la vita di sempre e non si siano mostrati per nulla remissivi, il bilancio della Grande Mela parte in pesante passivo.

In altre elezioni che si sono tenute sempre ieri, i democratici hanno strappato ai repubblicani i governatori del New Jersey e della Virginia, il sindaco di Cincinnati è stato confermato, per quelli di Miami e di Houston ci vorrà il ballottaggio.

(7 novembre 2001)

Cgil, Cisl e Uil scelgono la linea dura:
"Il governo deve ritirare la delega"


Lavoro, licenziamenti facili
I sindacati: "Sciopero generale"

Iniziative dal 5 al 7 dicembre
E il 14 tocca al pubblico impiego

ROMA - L'ottimismo del governo espresso in mattinata dal vicepremier Gianfranco Fini e dal ministro al Welfare Roberto Maroni dura lo spazio di una riunione. Il tempo necessario ai sindacati di vedersi e decidere la risposta alla rigidità dell'esecutivo sull'articolo 18 dello Statuto dei lavorati, quello sui licenziamenti facili. La risposta è quella immaginata sin da ieri: sciopero generale di tutti i lavoratori dipendenti. Sciopero spalmato lungo tre giorni, da 5 al 7 dicembre, con assemblee di base e incontri con i parlamentari. Niente manifestazione in piazza, dunque ma pur sempre una risposta dura, come spiega pure Pezzotta della Cisl: "La nostra non è una linea morbida, anzi".

Eppure, Maroni, al mattino, sembrava convinto che tutto andasse per il meglio: "Non ci sarà sciopero su un fatto marginale", aveva detto. E come lui Fini: "Non c'è uno scontro sociale, non si è trattato di una grande rottura".

Non la pensano così i sindacati. Angeletti della Uil ribadisce le parole pronunciate ieri dopo l'incontro fallito con Berlusconi: "Questa è una rottura politica". Sergio Cofferati della Cgil va nella stessa direzione: "Il nostro obiettivo è quello di costringere il governo a ritirare le norme sull'articolo 18 e l'arbitrato. Serviva una risposta immediata alle risposte negative che ci ha dato il governo non solo sui licenziamenti facili, ma anche sulla mancanza di risorse aggiuntive per il rinnovo dei contratti del pubblico impiego".

E infatti per i lavoratori del pubblico impiego c'è una tabella specifica di protesta. Contro la decisione del governo di non inserire in Finanziaria le risorse necessarie per il rinnovo dei contratti ci saranno otto ore di sciopero generale fissate per il 14 dicembre.

"E' solo l'inizio", aggiunge Cofferati, che poi attacca il governo: "Vedremo in seguito come calibrare gli atti e i passi successivi, anche in relazione all'atteggiamento dell'esecutivo e all'iter parlamentare dei provvedimenti in questione. Appare evidente un rapporto stretto di interessi convergenti tra governo e Confindustria. E' chiaro che le soluzioni individuate dall'esecutivo sono quelle che Confindustria ha ripetutamente chiesto e che in questo caso il governo avalla. Per questo noi le vogliamo contrastare".

Ed è lo stesso concetto espresso da Angeletti, anche lui duro con Berlusconi: "Solo un rapporto stretto con Confindustria può giustificare questo atteggiamento. Un atteggiamento per noi inaccettabile".

(27 novembre 2001)

L'intesa tra i 167 Paesi riuniti alla Conferenza Onu sul clima
è stata possibile grazie all'appoggio di Giappone e Russia


Marrakesh, accordo fatto
sul protocollo di Kyoto

Entro il 2012 i 39 paesi industriali dovranno ridurre del 5%
le emissioni di gas responsabili dell'effetto serra

MARRAKESH - Dopo una notte di trattative, è stato finalmente raggiunto l'accordo sul documento di attuazione del protocollo di Kyoto per la riduzione delle emissioni di gas responsabili del surriscaldamento della pianeta. L'intesa tra i 167 paesi presenti alla conferenza dell'Onu sul clima a Marrakech è giunta dopo che la Ue hanno accolto alcune richieste di Russia, Giappone, Australia e Canada.

I ministri dell'Ambiente e i rappresentanti dei 167 Paesi presenti a Marrakesh hanno adottato in via definitiva le regole per l'applicazione del protocollo di Kyoto che impone a 39 Paesi industriali una riduzione entro il 2012 del 5,2 per cento delle emissioni di anidride carbonica e di altri cinque gas giudicati responsabili dell'"effetto serra". Ora, per entrare in vigore, il protocollo dovrà essere ratificato da almeno 55 dei Paesi responsabili del 55 per cento delle emissioni di anidride carbonica rilevate nel 1990.

Una mano fondamentale al raggiungimento dell'accordo è stata data da Giappone e Russia, due Paesi decisivi dopo la rinuncia degli Stati Uniti - cui va imputata la responsabilità maggiore per le emissioni dei cosiddetti "gas serra" - lo scorso marzo: allora Washington aveva annunciato che non avrebbe ratificato il protocollo ritenendolo troppo restrittivo e ingiusto, perché non fissa limiti vincolanti alle emissioni di gas nocivi dei Paesi in via di sviluppo.

Nella giornata conclusiva delle Conferenza promossa dalle Nazioni Unite, Russia e Giappone, finora incerte sulle scelte da fare, hanno infine appoggiato la ratifica del protocollo siglato in Giappone, accettando un documento di compromesso presentanto dalla presidenza marocchina della Conferenza.

"Questo accordo apre la stada alla ratifica di tutti i Paesi, compresa la Federazione russa", ha detto Alexander Bedritsky, capo delle delegazione di Mosca. Sulla stessa linea il primo ministro giapponese, Junichiro Koizumi: "Confido di potere convocare già lunedì prossimo una riunione al quartier generale per la Prevenzione effetto serra e valutare se andare avanti verso la conclusione il protocollo di Kyoto". "E' una giornata straordinaria, ma ci sono voluti quattro anni di trattativa", ha detto il sottosegretario britannico per l'Ambiente, Michael Meacher.

Oliveier Deleuze, capo della delegazione dell'Ue e mininistro belga per l'Energia, ha detto di potere ritenere "salvo il protocollo" e che "il processo avviato sia ormai irreversibile". E ha aggiunto: "Credo che tutti i Paesi lo ratifichino, a eccezione degli Stati Uniti. Quelli che non lo faranno, sarà per motivi politici". "Un altro passo nella giusta direzione: quello della tutela dell'ambiente globale": così il ministro dell'ambiente Altero Matteoli.

(10 novembre 2001)


L'intervento del nuovo segretario dei Ds, che chiede
la conferma di D'Alema alla presidenza


Fassino: "E' finita
la traversata nel deserto"

"Non dobbiamo avere paura dei cambiamenti
e anche il sindacato deve cambiare pelle"

PESARO - "Dico ad Amato, siamo pronti". Lo scandisce tra gli applausi Piero Fassino quello che più che un appello è una via obbligata. Con Amato verso il partito del socialismo europeo, quello auspicato, tratteggiato, temuto da alcuni. Nei suoi cento minuti di discorso Fassino lo dice chiaro: "serve un cambiamento", perché l'unica sinistra che vince è quella riformista ed è inutile guardare al passato perché "il passato è finito" e il presente è "costruire il futuro". Per questo alla minoranza saranno riconosciuti spazi e regole certe, ma il confronto politico "non deve tradursi in un appannamento delle scelte politiche o in incertezza della decisione". Un partito che ha da stasera Fassino segretario, e che avrà Massimo D'Alema alla presidenza. Un partito che batte le mani a tempo scandendo "L'Internazionale" e cantando "Fratelli d'Italia".

Lancia dal palco quella che, per usare le sue parole, dovrò segnare l'inizio della Bad Godesberg in salsa Ds. L'aveva annunciata come l'unica via possibile, il neosegretario. Da tempo, da quando i primi risultati dei congressi di sezione lo avevano proiettato verso la poltrona della segreteria. Lo aveva fatto scrivere nello slogan del congresso: serve "il coraggio di cambiare". Il partito oggi, il mondo chissà. Parte dell'11 settembre Fassino e non poteva essere altrimenti. La guerra ha profondamente segnato il congresso. Ha spaccato la sinistra tra contrari e favorevoli all'intervento armato. Quel sì all'intervento che Fassino difende: "Siamo ad un tornante decisivo per il futuro dell'umanità dice il segretario In Afghanistan si è fatta una guerra non per occupare una nazione, ma per liberarla da un regime complice del terrorismo". Al movimento no global e al rapporto da tenere con un movimento che ancora pochi giorni fa ha portato in corteo migliaia di persone sotto le insegne pacifiste, Fassino manda un messaggio di dialogo: "Non si tratta di aprire negoziati ma di confrontarsi, rispettando le proprie autonomie". Niente aperture in bianco dunque, proprio mentre Vittorio Agnoletto annuncia un suo intervento in un centro sociale di Pesaro.

Poi il segretario volge lo sguardo in casa propria. Ricorda la nettezza del voto che lo ha portato alla segreteria, ma rende omaggio a Berlinguer e Morando, suoi antagonisti ampiamente distanziati. Volge lo sguardo al passato e alle sconfitte subite dal partito. Le collega "alla mancanza di politica riformista che ha bloccato la sinistra, incapace di organizzare le domande della società italiana". Boccia continuismo e ripiegamenti. E allora bisogna mutare, senza avere paura delle mutazioni: "Troppo spesso ci siamo protetti dai cambiamenti invece di dirigerli". E questa, scandisce Fassino, deve essere la via da seguire.

E' con questa sinistra e con questo partito che ha, tra chi lo vota, molti che non vengono dal Pci e che ribalta la proporzione tra chi lo dirige, che Fassino chiede di fare i conti. Lo fa indicando la strada, il partito "nuovo", che non può non pensarsi dentro l'Ulivo, "casa comune dei riformisti". Poi tocca al sindacato. Se possibile, l'attenzione della sala cresce ancora. Fassino stamattina era in piazza con i metalmeccanici. E dire sindacato, nel catino di Pesaro, significa fare il nome di Sergio Cofferati, ricordare i suoi scontri con D'Alema, il suo appoggio alla mozione Berlinguer, la schermaglia per la scaletta degli interventi al congresso. Sbaglia chi si aspetta un attacco frontale. Fassino lo dice chiaro: "Serve più sindacato, non meno". Ma quello che il segretario Ds auspisca è un sindacato "moderno", "unito", che vada oltre "la sfera contrattuale", che non si limiti a rappresentare "le figure classiche della fabbrica fordista". A Cofferati la replica, domenica mattina. A Fassino il compito, ora, di bocciare la proposta di Confindustria e governo per modificare l'articolo 18 dello statuto dei lavoratori. "Una proposta che significa una secca precarizzazione dei rapporti di lavoro", scandisce il neosegretario.

La relazione di Fassino volge al termine. Le 39 pagine che il segretario ha meticolosamente limato e riscritto restano sul tavolo. Tra i fogli il più citato è Tony Blair. Ed ancora il padre del "new deal" Franklin Delano Roosvelt, e Thomas Mann. Resta il tempo per riassumere e scolpire quello che sarà il partito di Fassino. Il neosegretario, poco prima di concludere il suo intervento tra gli applausi della platea e qualche lacrima, non tradisce le aspettative: chiede che sulla poltrona della presidente sieda Massimo D'Alema. Lo dice alla fine, quasi ad evitare che un invito a guardare avanti venga viziato da polemiche del passato.

(16 novembre 2001)

Sono 230 mila secondo la Fiom-Cgil le tute blu in corteo
a Roma. Anche Agnoletto e i no global in piazza


"Contro la guerra
e per il contratto"


ROMA - "Per il contratto e per la democrazia": è uno degli striscioni dietro i quali stanno sfilando migliaia di metalmeccanici (230 mila secondo gli organizzatori della Fiom-Cgil) provenienti da varie regioni d'Italia che sono partiti da tre diversi punti di raccolta, diretti a piazza San Giovanni. Nelle prime file il leader della Cgil, Sergio Cofferati e Bruno Trentin, i parlamentari Piero Fassino, Massimo D'Alema e Giovanni Berlinguer e Alfiero Grandis dei Ds, Marco Rizzo di Rifondazione Comunista. Per l'Arci è presente Tom Benettollo, mentre Vittorio Agnoletto e Luca Casarini rappresentano i no global.

La Fiom è pronta a portare fino in fondo la battaglia a sostegno del referendum sull'accordo separato per il rinnovo del contratto dei metalmeccanici e per riaprire la trattativa. Lo ha affermato il segretario generale della Fiom, Claudio Sabbatini, in apertura della manifestazione delle 'tute blu' a Roma. "Oggi siamo due volte in piazza - ha detto Sabbatini - per il rinnovo del contratto e per la difesa dei diritti dei lavoratori colpiti ieri dal provvedimento del governo. La delega sul lavoro e sui licenziamenti è uno degli attacchi più gravi ai diritti dei lavoratori. E' un attacco - ha concluso Sabbatini - anche al diritto di sciopero".

I metalmeccanici sono giunti a Roma a bordo di 25 treni speciali e 2000 pullman. In questo corteo sono confluite le rappresentanze della Fiom dell'Italia centrale, ma anche del nord-est e di tre regioni meridionali, Calabria, Puglia e Basilicata. I tre cortei sono composti, a tratti silenziosi, e il tema del contratto ha comunque lasciato spazio anche a molti cartelli e striscioni che chiedono la pace. Pensionati con le bandiere della Fiom sono stati affiancati da molti giovani dei centri sociali, soprattutto dell'Emilia Romagna.

Poco spazio è stato lasciato alla coreografia, anche se non sono mancati dei momenti in cui il tema del contratto è stato affrontato con umorismo: un gruppo di manifestanti si è mascherato da "Banda Bassotti" con tanto di mascherine e magliette bordeaux. Un manifestante a torso nudo sul corpo ha scritto: "Contratto per vestirsi" e sulle spalle ha scritto: "Siamo in mutande".

I politici più bersagliati sono il presidente del Consiglio Berlusconi e il ministro Maroni. Contro Berlusconi è stato spesso intonata la famosa canzone di Renato Carosone: "Tu vò fa l'americano, ma sei nato in Italy". I manifestanti cantano spesso anche "Siete voi, siete voi, la rovina dell'Italia siete voi", mutuata dal motivetto dei tifosi romanisti per la conquista dello scudetto.

Pochi anche i cartelli, ma tutti sullo stesso tema: "Contro la guerra e per il contratto"; "Contro il neoliberismo e per la libertà dei popoli"; "Per la pace, no al terrorismo, un nuovo mondo è possibile". Gli altri striscioni e bandiere sono tutti della Fiom-Cgil e indicano da dove provengono i metalmeccanici che compongono il corteo.

(16 novembre 2001)

Oggi tutte e tre le istituzioni internazionali
forniscono dati poco incoraggianti


Fmi, Ocse e Ue rivedono
le stime sul Pil italiano

Nel 2001 la crescita non supererà l,8%
Il nostro governo l'aveva calcolata al 2%

ROMA - L'Ocse, il Fondo monetario internazionale, la Commissione europea: oggi tutti e tre gli autorevoli organismi internazionali hanno fornito dati sulla crescita italiana più pessimisti di quelli del nostro governo. Il quale, nel programma di stabilità inviato a Bruxelles, ha indicato una crescita del prodotto interno lordo pari al 2 per cento per l'anno in corso, e del 2,3 nel 2002.

Cifre differenti da quelle che provengono dalle tre istituzioni internazionali. Cominciamo dalla Commissione: le Previsioni economiche autunnali, che saranno rese note ufficialmente domani, il capitolo che riguarda il nostro Paese - secondo le anticipazioni circolate oggi - indicano un Pil all'1,8 per cento nel 2001, e dell'1,3 nel 2002.

Ancora minori margini di crescita economica, nelle previsioni elaborate da Fmi ed Ocse, e identiche riguardo all'Italia. Il Fondo monetario internazionale, nel Rapporto diffuso oggi a Washington, e l'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, nell'Outlook diffuso oggi, hanno assegnato al nostro Paese un più 1,8 per cento per il 2001, e un 1,2 per il 2002. "Lo scenario della crescita nel medio periodo - hanno scritto gli esperti Fmi, che sollecitano provvedimenti entro la prossima primavera - dipenderà in maniera cruciale dal ritmo delle riforme strutturali".

Ma il rapporto Ocse è pessimista anche su altri fronti: nel documento si dice infatti che bisognerà aspettare la fine del 2002 per tornare a parlare di ripresa nell'economia mondiale. "Gli eventi dell'11 settembre - si legge nel rapporto - hanno inflitto un forte choc all'economia mondiale". Così, per la prima volta in venti anni, il Pil dell'area monitorata - le trenta economie più sviluppate - registrerà una contrazione dello 0,3 per cento nella seconda metà del 2001 per chiudere l'anno in crescita dell'1 per cento.


(20 novembre 2001)

L'ex Beatle ha perso la battaglia con il cancro
La morte è arrivata ieri: con lui moglie e figlio


Muore a Los Angeles
George Harrison

Comunicato della famiglia:
"Ha lasciato il mondo come ha vissuto"

NEW YORK - George Harrison è morto. L'ex Beatle aveva 58 anni e da tempo era malato di cancro. Nelle ultime settimane era ricoverato in una clinica di New York per sottoporsi a una terapia sperimentale: aveva scelto di farsi registrare con il nome della moglie per non subire le pressioni dei media. La morte è avvenuta ieri alle 13.30 (22,30 in Italia). Harrison non era più in ospedale, ma a casa di un amico a Los Angeles: con lui c'erano la moglie Olivia e il figlio Dhani di 24 anni.

In un comunicato diffuso 12 ore dopo la morte, la famiglia ha ricordato Harrison. "Ha lasciato questo mondo come aveva vissuto -dice la nota - pensando a Dio, senza paura della morte, in pace e circondato dalla famiglia e dai suoi amici. Spesso diceva: 'Tutto può aspettare ma la ricerca di Dio no. E neppure l'amore reciproco". Un funrale privato è già stato celebrato in California.

Harrison aveva ammesso di essere malato di cancro nel 1998: "Questo ti fa venire in mente che nella vita ti può succedere di tutto", aveva detto. All'inizio il cancro aveva preso gola e polomoni: poi si era esteso anche al cervello. Negli ultimi tempi le sue condizioni si erano aggravate: a maggio era stato operato, a luglio aveva passato un lungo periodo in una clinica svizzera. La settimana scorsa, i suoi ex compagni, Ringo Starr e Paul Mc Cartney erano andati a trovarlo nella clinica newyorchese: ne erano usciti sconvolti. Il segno che la fine era vicina.

George Harrison era considerato il solitario dei Beatles: quando il gruppo si sciolse, nel 1970, aveva solo 27 anni. Da allora proseguì la carriera solista, affiancandola a quella di produttore. Era tornato a lavorare con gli ex compagni lo scorso anno, per "1", la compilation che raccoglie i numeri uno dei Beatles.

Da tempo aveva scelto di vivere isolato, in campagna o su un'isola. Ma questo non era bastato ad allontanare da lui la curiosità e le morbosità: nel dicembre 1999 fu accoltellato per dieci volte da un folle entrato nella sua villa vicino Oxford. Fu la moglie Olivia a salvargli la vita, rompendo una lampada sulla testa dell'aggressore.

(30 novembre 2001)