FALLUJA -
QUELLO CHE I MEDIA NON RACCONTANO quello che i media non raccontano.....
Inferno Falluja Dahr Jamail* 17 febbraio
2005 Queste sono le storie che continueranno a
emergere dalle macerie di Falluja per anni. Anzi, per
generazioni. «Sono entrato nella città con
un convoglio sanitario e umanitario britannico alla fine
di dicembre, e sono rimasto fino alla fine di gennaio, ma
ero già stato a Falluja per lavorare con la gente e
vedere quali fossero i loro bisogni, perciò ero lì
dall'inizio di dicembre». Quando gli chiedo di spiegare
cosa ha visto quando è entrato a Falluja a dicembre, mi
risponde che era come se la città fosse stata colpita da
uno tsunami. «Falluja è circondata da campi profughi
dove le persone vivono in tende e vecchie automobili»,
spiega. «Mi sono tornati in mente i campi profughi
palestinesi. Ho visto bambini tossire per il freddo, e
non ci sono medicine. Quasi tutti hanno lasciato le loro
case senza niente, senza soldi. Come possono vivere
dipendendo solo dagli aiuti umanitari?». In un campo
profughi nell'area nord di Falluja c'erano 1200 studenti
che vivevano in sette tende. «Una storia riguarda una
ragazza di sedici anni», racconta, riferendosi a una
delle testimonianze che ha filmato recentemente. «Lei è
rimasta per tre giorni in casa con i corpi dei suoi
familiari che erano stati uccisi. Quando i soldati sono
arrivati, si trovava in casa con suo padre, sua madre, il
fratello di 12 anni e due sorelle. Ha visto i soldati
entrare e sparare a sua madre e a suo padre direttamente,
senza dire niente». La ragazza è riuscita a nascondersi
dietro il frigorifero con il fratello e ha assistito a
questi crimini di guerra. «Loro hanno percosso le due
sorelle della ragazza, poi hanno sparato loro in testa»,
dice. «Dopo questo fatto suo fratello, in preda a uno
scatto d'ira, è corso verso i soldati urlandogli
qualcosa, così quelli hanno ucciso anche lui». «Dopo
che i soldati se ne sono andati lei è rimasta nascosta.
È rimasta con le sue sorelle perché sanguinavano, erano
ancora vive. Aveva troppa paura di chiedere aiuto perché
temeva che i soldati tornassero e uccidessero anche lei.
È rimasta lì tre giorni, senza acqua né cibo. Alla
fine uno dei cecchini americani l'ha vista e l'ha portata
all'ospedale», aggiunge prima di ricordami ancora una
volta che tutta la testimonianza della ragazza è
documentata su pellicola. Mi racconta brevemente un'altra
storia che ha documentato, di una madre che era in casa
durante l'assedio. «Il quinto giorno d'assedio la casa
è stata bombardata e il tetto è caduto sul figlio
tranciandogli le gambe» dice usando le mani per mimare
la scena. «Per ore la donna non è potuta uscire perché
avevano annunciato che avrebbero sparato a chiunque fosse
andato in strada. Perciò non ha potuto fare altro che
fasciargli le gambe e guardarlo morire davanti ai suoi
occhi». Fa una pausa per tirare il fiato, poi continua.
«Uno dei miei colleghi, il dottor Saleh Alsawi, ha
parlato di loro con grande rabbia. Si trovava
all'ospedale principale quando loro hanno fatto
irruzione, all'inizio dell'assedio. Sono entrati nella
sala del teatro dove stavano lavorando su un paziente...
lui era lì perché è un anestesista. Sono entrati con
gli scarponi addosso, hanno malmenato i dottori e li
hanno portati via, lasciando il paziente a morire sul
tavolo operatorio». Questa storia è già stata riferita
dai media arabi. Il medico mi parla del bombardamento
della clinica Hay Nazal durante la prima settimana di
assedio. «Questa conteneva tutti gli aiuti stranieri e
le apparecchiature sanitarie di cui disponevamo. Tutti i
comandanti Usa lo sapevano, perché glielo avevamo detto
in modo che non la bombardassero. Ma nella prima
settimana d'assedio l'anno bombardata due volte». Poi
aggiunge: «Naturalmente hanno preso di mira tutte le
nostre ambulanze e i dottori. Lo sanno tutti». Il dottore mi dice che lui e
alcuni altri medici stanno cercando di citare in giudizio
l'esercito americano per il seguente episodio, per il
quale egli ha la testimonianza su nastro. È una storia
che mi è stata raccontata da molti profughi anche a
Baghdad... alla fine dello scorso novembre mentre
l'assedio era ancora in corso. «Durante la seconda
settimana di assedio sono entrati e hanno annunciato che
tutte le famiglie dovevano lasciare le loro case e
recarsi all'incrocio della strada portando una bandiera
bianca. Gli hanno dato 72 ore per andarsene e poi
sarebbero stati considerati nemici» spiega. «Abbiamo
documentato questa storia con un video: una famiglia di
12 persone, tra cui un parente e il suo figlio più
grande di 7 anni. Avendo ricevuto queste istruzioni, sono
andati via con tutto il cibo e i soldi che potevano
riuscire a portare, e le bandiere bianche. Quando sono
arrivati al punto di raccolta dove le famiglie si stavano
affollando, hanno sentito qualcuno gridare `ora!' in
inglese, e dappertutto sono cominciati a piovere colpi di
arma da fuoco». Il giovane che ha raccontato
questo episodio, ha visto i cecchini sparare a suo padre
e a sua madre: sua madre alla testa e suo padre al cuore.
Sono state colpite anche le sue due zie, poi suo fratello
è stato colpito al collo. L'uomo ha detto che quando si
è alzato dal terreno per chiedere aiuto, gli hanno
sparato a un fianco. «Dopo alcune ore ha alzato il
braccio per chiedere aiuto e gli hanno sparato al
braccio» continua il dottore, «dopo un po' ha alzato la
mano e gli hanno sparato alla mano». Un ragazzino di sei
anni si è sollevato sopra i corpi dei suoi genitori;
piangeva, e hanno sparato anche a lui. «Sparavano a
chiunque si alzasse» aggiunge il dottore, che mi ha
detto di avere fotografie dei morti e delle ferite da
arma da fuoco dei sopravvissuti. «Dopo che è sceso il
buio, l'uomo che ha parlato con me con suo figlio, sua
cognata e sua sorella è riuscito a strisciare via. Hanno
raggiunto un edificio e ci sono rimasti otto giorni.
Avevano un bicchiere d'acqua e l'anno dato al bambino.
Hanno messo olio da cucina sulle ferite che naturalmente
si erano infettate, e per mangiare hanno trovato delle
radici e dei datteri». Qui il dottore si ferma. Si
guarda intorno, mentre fuori passano le macchine sulle
strade bagnate... l'acqua sibila sotto le gomme. Ha
lasciato Falluja alla fine di gennaio, perciò gli chiedo
com'era la situazione quando se n'è andato,
recentemente. «Forse è tornato il 25% delle persone, ma
non ci sono ancora medici. Ora l'odio a Falluja contro
ogni americano è incredibile, e non li si può
biasimare. L'umiliazione ai check-point non fa che
rendere la gente ancora più furiosa» mi spiega. «Sono
stato lì, e ho visto che chiunque volti la testa viene
minacciato e malmenato dai soldati americani e
iracheni... un uomo lo ha fatto, e quando il soldato
iracheno ha tentato di umiliarlo, l'uomo ha preso il
fucile di un soldato che si trovava lì vicino e ha
ucciso due soldati iracheni. Poi naturalmente gli hanno
sparato». Il dottore mi dice che l'esercito americano
che sta girando dei film di propaganda sulla situazione.
«Il 2 gennaio al check-point nella zona nord di Falluja
davano 200 dollari a famiglia per tornare in città in
modo che potessero filmarli, quando in realtà in quel
momento nessuno stava tornando» dice. Questo mi ricorda
della storia che mi ha raccontato un mio collega su
quello che ha visto a gennaio. In quel periodo la troupe
della Cnn è stata scortata dai militari a filmare i
netturbini che erano stati assunti come figuranti, e i
soldati che davano le caramelle ai bambini. «Tu devi
capire - conclude il dottore - dopo tutto questo odio è
diventato difficile per gli iracheni, me compreso,
distinguere tra il governo americano e il popolo
americano». * da il manifesto del 16 febbraio 2005 --------------------------------------------------
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