OMBRE ROSSE

di annamaria pompili.

Quando Fellini incontrò per la prima volta John Ford, non poté trattenersi dal dimostrargli tutta la sua ammirazione per un suo film. Quando Ford gli chiese quale film, Fellini rispose: "Red shadows". Ford lo guardò con sguardo interrogativo e ammise di non aver mai girato un film con un tale nome…

Ford aveva ragione. Nel 1939 dopo una lunga pausa, il grande regista tornò al western con un film che segnò la storia di questo genere: "Stagecoach". Che gli italiani non siano molto ferrati nelle traduzioni cinematografiche non è una leggenda purtroppo. Ma se una frase mal messa pronunciata da un attore la si fa passare, magari con un attimo di incomprensione, il titolo dovrebbe perlopiù attenersi fedelmente all’originale, in quanto potrebbe risultare espressione dell’autore, in questo caso del regista.

"Ombre rosse" da una parte (no, non sono quelle perseguitano il nostro premier), "La diligenza" dall’altra. Punti di vista. Il titolo italiano si concentra su una opposizione, quella che vede indiani contro cowboy, il titolo americano va più a fondo. Se si vuole restare su una posizione critica vale il giudizio nel ’68 bollò tutti i film western come espressione della cultura imperialista americana. Ma bisogna leggere oltre.

C’è una diligenza, che è un microcosmo, fatto di personaggi ognuno con una propria caratterizzazione. E questa diligenza non avanza solo davanti al bellissimo scenario della Monument Valley, ma avanza nella Storia. Dove l’uomo è sempre minacciato. Avanza nonostante sia l’uomo l’essere inadeguato.

C’è dentro la diligenza un’ambigua divisione del bene e del male.

Tutto il film si muove al suo interno, coi piani degli indiani che compaiono come veloci fotogrammi per non far dimenticare la minaccia. Ma non sono indiani veri. L’unico indiano caratterizzato è la moglie di un brutto uomo che ospita i nostri viandanti. Silenziosa e indignata, sottomessa a un uomo bianco che le ha portato via tutto tranne l’orgoglio della sua identità. Prenderà una decisione che porterà il brutto uomo a esclamare una delle battute più belle del film americano di quegli anni.

Gli altri sono manichini. Ma solo nel senso figurale, perché tutte le scene sono girate da stuntmen, persino quella in cui uno di essi capitombola tra i cavalli della diligenza. Cadute spettacolari.

A Ford venne chiesto perché i suoi indiani non tirassero le frecce direttamente ai cavalli più che agli uomini sulla carrozza. Ford sorridendo rispose che in tal caso il film sarebbe durato pochissimo.

Non concordo con il giudizio del ’68. Il Western fu un genere innocuo. E i grandi cattivi non erano mai gli indiani, ma i farabutti con la pistola che giungevano a sconvolgere le città finché gli sceriffi non li acciuffavano. La politica americana non ha espressioni, se non negli atti che compie. Crudeli e inaccettabili. Guardo all’America con amorevole sguardo, perché ci ha dato grandi cose e grandi uomini, e la sua decadenza non può che rattristarmi. Ma revisionare la sua giovane Storia alla luce di quello che è oggi è sbagliato.

"Ombre rosse" , - chiamiamolo così -, è un film da vedere. Perché non ha niente a che fare con i brutti film di oggi che da quella stessa terra provengono. Perché rappresenta quella America che ci piace.

Annamaria Pompili