Sotto il cielo di Mosca di - stefano La sera mi bruciano sempre gli occhi ma non per il sonno. E' l'aria di questa città. Siedo come sempre davanti al computer nel vano tentativo di scrivere qualcosa. La mia è una scommessa, una rivincita sui presunti scrittori di oggi, il momento in cui concretizzate i miei pensieri, anche se fin troppo potati dalla paura di scrivere le solite banalità. Sulla tavola della mia piccola stanza rivestita in legno, piatti sporchi, posate, e due bottiglie colorate. Una di vodka e una di Martini. Il secchiaio, come ogni giorno, è pieno di stoviglie ed il bagno, uno dei tanti in comune senza lampadina, ha un aspetto orribile. Ma le parole escono lente, dure quasi legnose dalle mie dita e non so mai come cominciare. Così mi giro verso la finestra aperta e osservo la città di Mosca che comincia freneticamente ad illuminarsi. Da lontano quei palazzi di 15 20 piani sembrano degli enormi alberi di natale, e il tramonto, di un rosso fuoco unico, perché il cielo di Mosca è unico, mi ricorda il tramonto che mi aveva accolto al mio arrivo. Da qualche finestra più in alto del mio undicesimo piano provengono voci stridule che vanamente cercano di intonare una canzone. La vodka spegnerà anche loro, così come ha spento le menti di tanti esseri geniali. Ivan la chiama "il surrogato del male", intendendo per "male" tutto ciò che è inspiegabile, affascinante, futuro. Più in basso, lungo il sentiero che costeggia lo stagno si notano i soliti cumuli di macerie, residui forse di qualche crollo, o di restauri mai iniziati. Ogni curva nasconde un insidia; filo spinato, carcasse di automobili bruciate e cumuli di ferro. É questa la mafia di Mosca, o almeno la più pericolosa per uno studente come me. É per questo che ci scoraggiano dal passeggiare la sera. Le urla ora sono completamente coperte dalla musica di un registratore mentre di tanto in tanto qualche ragazza sporge la testa con curiosità per rompere la monotonia della propria solitudine. E' tutto così confuso, così distante da me, quasi incomprensibile. Sento un forte rumore provenire dal piano di sopra. Un rumore di mobili trascinati senza rispetto. Ma non mi curo di qualcosa che non vedo. Poi come al solito all'inaspettato, secco infrangersi di vetri fa seguito un frigorifero che plasticamente precipita dalla finestra. Comincia così la sarabanda serale di oggetti che si infrangono a terra. Tanto che differenza fa, tutto il campo circostante è un vecchio cimitero di rifiuti e solo le risate ininterrotte mi scuotono per un attimo. Ad un tratto anche la solita ragazza tenta una smorfia e lancia con un urlo stentato un piatto nella strada. Cosa non fa fare la solitudine. A questo punto anch'io prendo la mira, ma con un piattino. Questo sembra alzarsi in volo catturato dal vento. E mentre lo vedo scendere, roteando, e con dolcezza frantumarsi, penso: "è stato un gran bel volo", un po' come la Russia di oggi, "un gran bel volo". Ma a me non viene da ridere. |