L’oppressione delle donne e il pensiero delle differenze

di wanda piccinonno

Le fuorvianti semplificazioni della teoria della differenza evidenziano che anche l’universo femminile è attraversato da perniciosi equivoci , tant’è che addirittura Condoleezza Rice viene percepita come simbolo di un riscatto . Partendo da queste premesse vorrei privilegiare quelle voci femminili che hanno avviato una feconda riflessione critica sul "genere" e sul "divenire – donna della politica " . Ovviamente, per abbozzare delle analisi , occorre problematizzare l’argomento non prescindendo dal postmoderno " Discours sur l’inegàlitè " . Ciò rimanda alle perverse dinamiche del globalismo e ai fenomeni dell’omogeneizzazione e della differenziazione . Ma , considerato il carattere multidimensionale del contesto , va aggiunto che si registra l’accrescersi del controllo dei corpi e dei territori , forme inedite di segregazione istituzionale e di socializzazione coatta delle differenze antropologiche , le limitazioni della libertà personale , la privatizzazione dei saperi e l’ineguaglianza , intesa come elemento strutturale .

L’assetto sistemico decisamente oppressivo spinge , dunque , a prendere in esame la categoria dell’uguaglianza in un’ottica critica e decostruttiva . Da qui la necessità di porre il seguente interrogativo : uguaglianza o differenza ? Il quesito non è vano , vuoi perché la connotazione del termine "uguaglianza " ha sempre manifestato una valenza riduttiva , vuoi perché si rileva la normalizzazione delle differenze , vuoi perché un persistente ideologismo inficia di fatto le relazioni sociali differenti .

D’altronde , ciò non può destare stupore , perché i temi dell’uguaglianza , della libertà e della fraternità , sono stati costantemente egemonizzati dalla "Legge del Padre ". Ciò si evince sia dal fatto che nelle diverse epoche sono emersi i tratti della misoginia , della emarginazione e della regolamentazione , sia dal fatto che tutte le discipline sono caratterizzate dalla non-neutralità del linguaggio .

Preso atto che il rapporto sapere-potere è attraversato da palesi segni fallocentrici , è quasi d’obbligo un breve cenno all’origine del pensiero femminista . Quest’ultimo nasce durante il periodo della Rivoluzione francese . In questa fase le donne rivendicano parità di condizioni fra uomini e donne , soprattutto sul piano dei diritti civili . Successivamente le istanze paritarie vengono ampliate e approfondite nel corso dell’Ottocento , infatti , esse investono anche i diritti al lavoro e al voto . L’opera che documenta questo periodo storico è " La servitù delle donne " di John Stuart Mill . Va precisato che la presa di posizione di Mill discende non solo dall’influenza della moglie , impegnatissima nella lotta per i diritti civili delle donne , ma risponde anche alla sua idea di libertà , descritta nel saggio On liberty . Pur non essendo esaustivo l’impianto concettuale di Mill , bisogna riconoscere che risulta sempre attuale la sua perspicace affermazione , ossia che " la soggezione delle donne all’uomo è un ostacolo per il progresso dell’umanità " . Ciò detto, giova rievocare la Rivoluzione francese per evidenziare che in tutte le epoche si è imposto il potere esclusivo dei maschi e , connesso a questo , il dominio sulle donne . A tal proposito un esempio particolarmente incisivo è rappresentato da Olympe de Gouge , la celebre autrice della " Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina "( 14 settembre 1791 ) . Paradossalmente "Madama Ghigliottina " , in nome della libertà e dell’uguaglianza , decapitò Olympe , una donna che con indomito coraggio difese il "sogno di una società di liberi e di eguali " . Il dramma esistenziale e storico di Olympe viene magistralmente descritto nel significativo ed illuminante romanzo di Maria Rosa Cutrunelli " La donna che visse un sogno ". Il suddetto romanzo merita una speciale attenzione per via delle profonde riflessioni sull’identità sessuale e sulle perverse dinamiche del fallocentrismo .

Ciò conferma che le problematiche inerenti i poteri di dominazione non possono ignorare un dato imprescindibile , ovvero l’oppressione della donna .

Ma , sempre per suffragare l’onnipotenza del discorso fallocentrico , è lecito fare esplicito riferimento " all’ultima voce libera dell’antichità ", cioè Ipazìa . Questa splendida donna "era l’erede della scuola alessandrina , ossia la più importante comunità scientifica dell’antichità " . Basti pensare che in questo prezioso laboratorio di ricerca operarono Archimede , Ipparco , Euclide , Tolomeo : in altre parole tutte le teste pensanti che hanno generato i fondamenti del sapere scientifico . In questo contesto , come osservano Adriano Pitta e Antonio Colavito , Ipazìa , filosofa neoplatonica , musicologa , medico , scienziata , fisica, madre della scienza sperimentale ( studiò e realizzò l’astrolabio , l’idroscopio , l’aerometro) , insegnò è divulgò il sapere scientifico . Ipazìa , malgrado il suo alto spessore umano e culturale , nel 415 d C , fu trucidata con particolare crudeltà ed efferatezza , per via " del patto di sangue stipulato tra la Chiesa cattolica e l’impero romano agonizzante ". L’atroce e truculenta morte di Ipazìa conferma che non solo la libertà di pensiero è stata sempre penalizzata , ma spinge anche a rilevare che le donne sono state costantemente stigmatizzate dalla non-neutralità del linguaggio.

Vero è che questa grande disubbidiente ha lasciato un’impronta tanto indelebile nella storia della libertà che , oggi , l’UNESCO , perseguendo l’obiettivo di incrementare e valorizzare la ricerca scientifica al femminile , ha denominato un progetto internazionale "Ipazìa" .

A questo punto conviene porre un quesito : è attendibile l’impianto paradigmatico che vede nel capitalismo il momento genetico dell’oppressione della donna ? In realtà questa chiave di lettura si rivela opinabile e riduttiva , perché di fatto l’oppressione dell’uomo sulla donna è il risultato di millenni di dominazione fallocentrica , sicché è lecito sostenere che " il capitalismo ha solo ereditato il sistema simbolico del potere maschile " .

Pertanto , al di là di un rozzo materialismo , si evince che il sorgere della proprietà privata ha definito i rapporti di potere fra uomini e , al tempo stesso , ha riproposto , sia pure in guise diverse , " i nodi originari della patologia possessiva dell’uomo " ( C. Lonzi ) .

Inoltre , per cercare di comprendere il nesso tra l’oppressione dell’uomo sulla donna e l’oppressione dell’uomo sull’uomo , occorre decostruire criticamente la divisione tra struttura e sovrastruttura . Ciò significa prendere coscienza che gli eserciti , le multinazionali , gli Stati ecc , non sono solo emanazioni del capitale , ma sono anche fenomeni strettamente collegati ad un processo più antico , cioè quello che ha avuto il suo inizio nello sfruttamento dell’uomo sulla donna .

Onde evitare fraintedimenti , va detto che le filosofie richiamantisi al pensiero marxiano hanno dato un notevole contributo alle istanze paritarie delle donne . In tal senso un esempio rilevante viene offerto dall’opera di Engels del 1884 " L’origine della famiglia , della proprietà e dello stato ". In questo contesto Engels affronta il problema spinoso della condizione materiale delle donne dall’origine della storia al capitalismo . L’indagine engelsiana è indubbiamente efficace , ma richiede anche alcune osservazioni . Notoriamente il passaggio dal diritto di discendenza matrilineare a quello patrilineare viene considerato da Engels come una improvvisa perdita di potere da parte delle donne , come una sorta di rivoluzione . Se analizziamo più accuratamente il tipo di potere attribuito alle donne scopriamo , invece , degli elementi che mettono in discussione questo assunto . In altri termini, nel lavoro engelsiano manca la dimensione magico-fantasmatica che caratterizza l’esistenza dell’uomo primitivo . In effetti ,il passaggio dal matriarcato al patriarcato , non è un cambiamento qualitativo , non è il risultato di una rivoluzione violenta , ma un ulteriore passo dell’uomo per conquistare il dominio del mondo , contro la donna . E’ bene precisare , però , che ai tempi di Engels non esistevano molti studi antropologici , e soprattutto non esistevano le doviziose e puntuali analisi odierne sulla condizione femminile . Oggi è possibile introdurre i tasselli mancanti per rilevare quali significati l’uomo primitivo attribuì alla maternità , e di conseguenza alla donna . Di più : va aggiunto che nell’impianto engelsiano si manifestano troppe equazioni semplici , sia perchè l’avvento del socialismo viene percepito come formula risolutiva per la realizzazione della parità integrale dei diritti delle donne , sia perché la tematica relativa ai sessi viene ridotta ad un conflitto di classe .

In realtà , il discorso è molto complesso , infatti , non si tratta solo di affrontare il problema dell’’uguaglianza dei diritti , ma si tratta di passare da una logica fallocentrica ad una cultura delle differenze .

Inoltre , è conveniente ricordare che il socialismo reale , lungi dal realizzare il superamento di ruoli e di stereotipi consolidati , ha conservato le forme più tradizionali del predominio maschile .

Ne consegue che , se le rivendicazioni delle donne si appiattiscono , o vengono sussunte, dal sistema simbolico fallocentrico , allora inevitabilmente si riproducono gerarchie sociali, regimi di dominazione , guerre .

Non senza ragione Virginia Woolf , sia pure implicitamente , esortava le donne a promuovere una radicale trasvalutazione di valori , per passare da un riduttivo senso dell’uguaglianza ad un pensiero più ampio e variegato .

Bisogna , dunque, rigettare ogni visione che ritiene " neutra " la nozione di genere umano , perché così facendo si legittima l’omologazione del sesso femminile a quello maschile . Di più : parlare astrattamente di " universalità di diritti " significa ignorare lo stato di svantaggio del sesso femminile . A questo proposito Adriana Cavarero ha osservato che gli interventi legislativi inerenti le " pari opportunità " migliorano le condizioni personali di chi è "diverso ", ma allo stesso tempo operano " la rimozione drastica della differenza sessuale femminile ". Da qui l’esigenza di rilevare che tutti gli interventi formali assumono la sessualità come sesso maschile , perpetuando così il consueto criterio dell’omologazione .

In verità , la differenza dovrebbe essere intesa vuoi come valore e come spinta propulsiva per confrontarsi positivamente con tutte le posizioni teoriche , vuoi come processo per attivare il riconoscimento di tutte le culture, vuoi come dispositivo politico di liberazione . Inoltre , si dovrebbe percepire la logica dell’alterità come principio alternativo della dialettica marxista , come negazione di tutti gli schemi concettuali intrappolati entro meccanismi ideologici e come lotta radicale contro tutte le connotazioni politiche maschiliste e oppressive .

A ragion veduta M. Foucault evidenzia che intorno alla sessualità sono venuti articolandosi e rinforzandosi reciprocamente i due poteri , quello delle discipline del corpo e quello del governo della popolazione . Per Foucault , quindi , il sesso è oggetto di scontro politico perché " da un lato esso partecipa delle discipline del corpo : addestramento , intensificazione e distribuzione delle forze , adattamento ed economia delle energie . Dall’altro , partecipa della regolazione delle popolazioni , attraverso tutti gli effetti globali che induce….Ci si serve di esso come matrice delle discipline e come principio di regolazione ". E non è tutto,infatti , Foucault afferma che negli ultimi secoli il Potere , sotto l’apparenza di interdire il sesso , lo avrebbe in realtà incoraggiato ed esasperato , per meglio " gestirne " forme e modalità .

A questo punto , per scongiurare il pericolo che l’inizio di un’altra storia sia condizionato da una teleologia preesistente giova rivisitare la lezione deleuziana . G. Deleuze, in "Differenza e ripetizione ", pone la differenza come momento vitale che rompe con la " ripetizione" , perché essa è di fatto uno " scarto fra un’esperienza e la sua ripetizione".

La differenza , dunque , assolve non solo una funzione demistificatoria nei confronti della filosofia dell’identico , ma diventa anche momento di rottura nei confronti della generalità del concetto e dell’universale . Da qui l’espulsione della dialettica hegeliana , che attraverso il dominio del negativo , esorcizza e neutralizza le differenze .

La differenza diviene così per Deleuze forma di movimento della macchina desiderante dell’individuo , che si costituisce attraverso l’elaborazione sociale del desiderio .

Ma per rimarcare ancora l’opposizione a tutta la tradizione razionalista , il filosofo scrive : " Tra Lucrezio , Hume , Spinoza , Nietzsche c’è , per me , un legame segreto, costituito dalla critica del negativo, la cultura della gioia , l’odio per l’interiorità , l’esteriorità delle forze e delle relazioni , la critica del potere ….Detestavo sopra ogni cosa l’hegelismo e la dialettica ". Di più : Guattari e Deleuze si scagliano contro " lo schiacciamento delle macchine desideranti " , infatti , ambedue sostengono : " Quello che la psicanalisi chiama risoluzione o dissoluzione di Edipo , in modo del tutto ridicolo , è appunto l’operazione del debito infinito, l’analisi interminabile , il contagio di Edipo , la sua trasmissione dal padre ai figli . E’ incredibile quali sciocchezze si sia riusciti a dire in nome di Edipo ".

Ciò detto , va aggiunto che il divenire-donna della politica non può prescindere dalla radicalità dell’approccio deleuziano , perché esso non dipana orizzonti illusori , ma offre le coordinate adeguate per operare una dirompente rottura epistemologica . Ne consegue che bisogna avvalersi di " linee di fuga attive e rivoluzionarie " contro tutti i poteri di dominazione . Il che implica anche la necessità di un’analisi critica-decostruttiva .

Per perseguire questi ambiziosi obiettivi occorre rimarcare che il linguaggio non è neutro, tant’è che tutta la tradizione filosofica occidentale denota una connotazione decisamente fallocentrica . Sicché , per negare il mondo della sopraffazione legalizzata , per demistificare una opinabile retorica dell’uguaglianza , per rompere i significati istituzionalizzati , per rigettare perentoriamente la logica spartitoria dei partiti , per impedire la socializzazione coatta delle differenze antropologiche , bisogna costruire un linguaggio altro, portatore di una cultura autenticamente alternativa .

Pertanto , se il problema del potere ingloba un coacervo di elementi , è altresì vero che non si può rimuovere un dato inconfutabile , ossia che tutte le complesse dinamiche dei poteri sono state attraversate dalla logica maschilista .

Ciò conferma che il sesso non è politicamente neutro , tant’è che il potere culturale-istituzionale degli uomini e delle " donne con le palle" , non solo perpetua il dominio sulle donne , ma incentiva anche una devastante logica bellica , che peraltro è intrinsecamente incorporata al discorso fallocentrico .

A tal proposito Luce Irigaray parla di " fal- logo-centrismo ", ovvero dell’atteggiamento dell’uomo che pone , al centro di tutto se stesso, il proprio fallo , il proprio discorso.

Assodata la non-neutralità del linguaggio , Irigaray sollecita la costruzione di un linguaggio che sia portatore di valori alternativi , non falsamente neutri ma decisamente femminili. Partendo da questi presupposti , l’autrice riscontra nella tradizione occidentale un impianto paradigmatico marcatamente fallocentrico . Da qui un’indagine puntuale su Platone e sul celebre mito della caverna .

Irigaray sostiene che il filosofo ha generato un’immagine di donna come assenza , vuoto, passività , che "specularmente " costituisce l’inversione dell’immagine dell’uomo , cioè presenza, pieno , attività . In quest’ottica la caverna rappresenta l’equivalente dell’utero materno ; è , in altri termini , lo " speculum che si contrappone allo " specchio" esterno (il sole , il Bene). La caverna diviene così il simbolo della donna , l’esterno della caverna, invece, denota il simbolo dell’uomo .

Ciò non è da sottovalutare , perché l’ordine simbolico platonico ha sedimentato , sia pure in guise diverse , il discorso fallocentrico , e così facendo ha messo alla berlina la parola delle donne . Privata della parola , la donna , però, è riuscita ad inventare un altro linguaggio : quello gestuale , quello del desiderio e del corpo ; in altre parole , la sensualità sovversiva delle donne ha generato un linguaggio trasgressivo che rompe le modalità dell’asse misogino e , al tempo stesso , incrementa il conatus dionisiaco della liberazione.

A questo punto , soprattutto considerando che il postfordismo ha messo al lavoro il linguaggio , è opportuno fare esplicito riferimento a Wittgenstein . Quest’ultimo nelle "Ricerche filosofiche " focalizza l’attenzione sul " linguaggio comune, quotidiano".

Questo linguaggio comune , sostiene il filosofo , non può essere ricondotto a una struttura formale unitaria , ma si caratterizza per una molteplicità di pratiche linguistiche , che sono intrinsecamente legate alla vita e alle attività dell’uomo .

A questo proposito Wittgenstein , in un celebre passo , afferma che " le parole sono come strumenti che si trovano in una cassetta di utensili : c’è un martello , una tenaglia ,una sega, un cacciavite , un metro….. Quanto differenti sono le funzioni di questi oggetti , tanto differenti sono le funzioni delle parole ".

Ciò vuol dire che le parole sono strumenti il cui significato varia col variare delle regole vigenti in un linguaggio e delle funzioni che i termini debbono assolvere . In altre parole , ogni " gioco linguistico " è connesso a peculiari regole d’uso , sicché il significato di nomi e proposizioni dipende dal contesto e dalle finalità di ciascun gioco .

In tal senso , dunque , i linguaggi della filosofia e delle scienze perdono ogni connotazione ontologica , proprio perché dipendono dalle regole d’uso , dalle norme , dai modelli di razionalità del pensiero occidentale .

Risulta evidente che un discorso radicalmente alternativo impone una decodificazione pertinente , sia per evitare perniciose semplificazioni , sia per rigettare fuorvianti generalizzazioni .

Si pongono , quindi , alcuni quesiti : che fare per liberare le voci prigioniere delle donne?Come attivare il divenire-donna della politica ? Come costruire relazioni e rapporti sociali altri rispetto a quelli dominanti ? Come scongiurare il pericolo di cadere nelle trappole di un narcisismo che si chiude a qualunque crescita politica collettiva ? Come ridimensionare le "robinsonate " ricorrenti di alcune "femministe "istituzionalizzate ? Purtroppo , molti sono i nodi irrisolti , basti pensare alle manifestazioni di compiacimento per l’ascesa al potere di donne come Condoleezza Rice . Ma , per comprendere appieno l’opinabilità di alcune chiavi di lettura , giova puntualizzare che non si può provare soddisfazione " ogni volta che una donna emerge in territori tradizionalmente maschili e strappa il monopolio del potere monosessuato", perché così facendo si mistifica la feconda e dirompente filosofia della differenza .

In effetti , il divenire-donna della politica implica sia la rimozione radicale di ogni logica di potere , sia il rifiuto di modelli culturali fallocentrici , sia una nuova prospettiva del rapporto individuo - comunità .

Il che rimanda a un’analisi del postfordismo , al fenomeno della flessibilità , al dislocamento e deterritorializzazione della produzione , allo smantellamento dello stato sociale , allo sfruttamento del lavoro immateriale . Cio significa che il divenire-donna della politica non può prescindere da una decodificazione pertinente dello status quo .

Per comprendere i complessi meccanismi odierni , va detto che il postfordismo, mettendo al lavoro le capacità cognitive , le qualità relazionali , le attività di cura , sembra assumere una connotazione sessuata che valorizza la differenza femminile .

Da qui la cosiddetta femminilizzazione del lavoro che , al di là degli elementi positivi , contiene evidenti contraddizioni per via delle perverse dinamiche di sussunzione del lavoro mentale al processo di produzione del capitale .

Ma , per evitare conclusioni lineari e riduttive , è bene ricorrere a Christian Marazzi che scrive : " Nella sfera del lavoro domestico si ha a che fare con un tipo particolare di lavoro che sta diventando centrale all’interno del regime postfordista ….. Il lavoro vivo domestico riproduce dunque nella sfera privata un contesto relazionale pubblico . Per ciò stesso si tratta di lavoro vivo sempre più comunicativo di simboli , di segni , di immagini e rappresentazioni di questo contesto socio-culturale " ( Il posto dei calzini ).

Indubbiamente l’impianto paradigmatico del postfordismo assume connotazioni pubbliche , favorisce le capacità comunicative e relazionali delle donne , e così facendo incentiva la trasformazione del quotidiano . Pur riconoscendo che l’assetto odierno offre condizioni di possibilità positive , conviene , però , rifuggire dalle eccessive enfatizzazioni , anche perché la realtà fattuale non spinge all’ottimismo .

A ragion veduta Iaia Vantaggiato pone il seguente interrogativo : la così detta femminilizzazione del lavoro procede dall’esperienza di donne reali o costituisce una comoda astrazione del capitale ? In verità la tanto propagandata femminilizzazione del lavoro presenta caratteri ambivalenti , vuoi perché il selvaggio mercato del lavoro è attraversato dallo sfruttamento , dalla precarietà , dalla flessibilità e dal virtuosismo servile, vuoi perché la società reticolare richiede donne e uomini modulari , ossia creature dotate di qualità mutevoli , scambiabili . Inoltre , va aggiunto che i legami non-rigidi , flessibili , vanno contestualizzati nella postmoderna società del controllo . Quest’ultima , dunque , non è più costretta a ricorrere ai parametri della tirannia coercitiva , perché si avvalle di dinamiche contraddittorie e versatili per assorbire e riciclare tutte le relazioni sociali .

In realtà , l’azienda postfordista sussume emozioni , linguaggi , saperi , sicché sia le capacità linguistiche e cognitive , sia i processi di cooperazione e dell’elaborazione personale , sono pesantemente esposti a forme inedite di espropriazione e di asservimento . Pertanto , se il postfordismo trasforma l’apprendimento in lavoro vivo , è altresì vero che i momenti relazionali sono incorporati alla logica di mercato e alle nuove forme di controllo . Ne consegue che il divenire-donna del lavoro , pur inglobando significative potenzialità di liberazione , non sfugge ai dispositivi di assoggettamento . Il fatto inquietante è che i meccanismi di asservimento non sono chiari e distinti , proprio perché le limitazioni coercitive sono camuffate da una deregolamentazione fluttuante che non ha più bisogno di imporre una serie fissa di norme . In un contesto siffatto risulta quindi opinabile parlare di " gabbie d’acciaio " per definire la condizione post-industriale . " Ma dovremmo chiederci se al posto dell’acciaio a tenere insieme la gabbia contemporanea non sia qualcosa di infinitamente più sottile ed efficace " ( Alessandro Dal Lago).

Pertanto , per non coltivare confortanti e velleitarie illusioni , occorre tener presente che l’impresa postfordista , addestrando alla variabilità e alla precarietà , rende di fatto subalterna anche la vitale potentia loquendi delle donne . Considerando , dunque , la variegata proliferazione di "giochi linguistici " , e non sottovalutando le perverse e raffinate dinamiche dei processi di sussunzione , bisognerebbe ridimensionare l’idea di un presunto trionfo della cultura femminile della differenza .

Nella consapevolezza che le alternative semplicistiche producono perniciose illusioni , e nella convinzione che l’identità collettiva non può essere percepita come dato, è lecito quindi avvalersi di un dubbio costruttivo. Da qui la necessità di porre alcuni interrogativi : qual è il ruolo delle donne nella gerarchia lavorativa ? Il fenomeno della femminilizzazione del lavoro apre prospettive di autentica rottura con il potere costituito ? Il lavoro delle donne , oggi , rappresenta effettivamente un momento dirompente di emancipazione e di liberazione ? Il divenire-donna del lavoro rende visibile la differenza , o sussume le capacità relazionali delle donne ?L’esclusivismo delle concezioni classiche della lotta di classe non inficia il mutuo riconoscimento di tutte le differenze ? L’assordante , abbagliante e narcotizzante prepotenza della politica-spettacolo non investe anche l’universo femminile ? Innanzitutto , per non cadere nelle trappole di una vuota ed evanescente retorica della liberazione , conviene prendere coscienza che molte donne non disdegnano modelli fallocentrici , tant’è che non mancano atteggiamenti mutuati dalla logica maschile . Inoltre, va aggiunto che le donne militanti nei partiti non solo continuano a valersi di categorie concettuali ambigue e viziate da un persistente ideologismo , ma subiscono anche il " fascino " di un leader androcentrico . Di più: giova evidenziare che esistono soggettività femminili , apparentemente non-normalizzate , che , però, sul piano della prassi adottano linguaggi preconfezionati dai leader "carismatici" della sinistra . Basti ricordare che autorevoli femministe si sono schierate a favore della guerra "umanitaria " dei Balcani .

Ciò detto , cercando di sciogliere i nodi dell’intricato problema del divenire-donna del lavoro, vanno fatte alcune considerazioni .

Preso atto che il lavoro è di fatto una necessità , occorre sottolineare che il divenire-donna della politica dovrebbe emanciparsi dal lavoro salariato , dal culto dell’etica del lavoro , dalla logica della centralità dell’impresa . In altri termini , la coscienza eccedente femminile dovrebbe assumere un’attitudine di opposizione al potere , a tutte le astrazioni androcentriche, alla logica assiomatica del capitale e a tutte le forme di differenzialismo escludente .

Ma qual è il significato di coscienza eccedente ? Per rendere intelligibile il concetto è bene fare riferimento a Rudolf Bahro . Quest’ultimo , negli anni 70 , sviluppò il suddetto concetto, evidenziando che la pianificazione statale reprime tutte le energie eccedenti , controllando i processi di formazione e di trasmissione dei saperi . Oggi , ovviamente , per via di un contesto radicalmente metamorfosato , la cosiddetta coscienza eccedente va decodificata in un’ottica altra . Difatti , siamo passati dalla pianificazione della formazione alla privatizzazione dei saperi . Pur constatando che il potere , sia pure in guise diverse , continua ad esercitare una funzione repressiva , bisogna notare che il postfordismo , mettendo al lavoro la creatività, la curiosità , i desideri , genera una coscienza eccedente che valica la prassi dell’asservimento. Ribadendo , dunque , che il nuovo modello produttivo "valorizza" soprattutto la potentia loquendi delle donne , si dovrebbe fronteggiare la situazione esistente, opponendo una esemplare resistenza a tutti i poteri di dominazione . Ma c’è di più : la coscienza eccedente femminile dovrebbe introiettare la ricerca di senso . La coscienza , infatti , non può essere concepita come semplice riflesso della situazione sociale , ma deve essere intesa come "controllo critico della propria esperienza , come comportamento intersoggettivo , come coscienza incarnata in un corpo e nel mondo , come perenne dialettica tra senso e non-senso" ( Merleau-Ponty) .

Ciò detto , pur considerando le condizioni di possibilità alternative , e pur riconoscendo "il carattere prevalentemente metonimico "della pratica femminile , non si può negare che la cosiddetta femminilizzazione del lavoro rischia di essere rovesciata nel negativo dell’esclusione e dell’assoggettamento . Da qui l’esigenza di sottolineare che la produzione di linguaggi , l’introduzione del lavoro immateriale ,l’intensificazione dell’uso dei saperi e degli affetti , la valorizzazione della cooperazione e della cura , sono tutti elementi intrinsecamente legati al nuovo paradigma produttivo . Ciò è suffragato dal fatto che la rete dei poteri globali non solo privatizza e precarizza i servizi , ma demanda anche la gestione ad associazioni caratterizzate dal lavoro femminile .

In realtà , le strategie di cooptazione e di frammentazione mettono in luce che le "catene mondiali dell’affetto " , sono pesantemente esposte al "governo della individualizzazione "e ai meccanismi di un lavoro coatto e servile .

Rilevando , dunque , le dinamiche perverse e i tratti vampireschi del globalismo , è lecito porre un quesito : come attivare una resistenza significativa e feconda ? Indubbiamente , un processo di autentica liberazione non si può inscrivere " in un quadro giuridico-economico di parità dei sessi " . Non senza ragione C. Marazzi scrive : " Nessun giurista , nessun economista potrà mai definire sufficientemente , se non a posteriori , l’unità di misura con la quale quantificare in modo equo la parità tra uomo e donna . A parità di diritti o di tempo di lavoro , storia e sensibilità diverse ricreano gerarchie e sfruttamenti che si credevano superati nella forma giuridica ".

Ciò significa che l’enfatizzazione del formalismo giuridico e " della differenza di genere – non riducibile a lavoro differente ", comporta il rischio di un totale assoggettamento al biopotere . Sicché , se il femminile rifugge tendenzialmente da ogni astrattizzazione e da ogni formulazione giuridica , è altresì vero che il carattere sovversivo del discorso femminile è pesantemente condizionato dai modelli pratico-epistemici del capitalismo .

Di più : pur considerando sempre le condizioni di possibilità alternative , ma ridimensionando anche il culto di un presunto assalto al cielo , è bene mettere a fuoco il lato cattivo della realtà fattuale .

Ciò rimanda alle violazioni perpetrate dalle guerre globali sul corpo delle donne, al sistema sicuritario , alla stigmatizzazione del "diverso ", alla "tolleranza zero ".

Va precisato che queste inquietanti problematiche inficiano il difficile percorso di liberazione delle donne . Da qui la necessità di evidenziare che la violenza odierna è strutturale . Ciò è suffragato dal fatto che il sistema sicuritario " capitalizza le inquietudini più diverse" per consolidare le politiche imperiali di controllo punitivo .

A questo punto si pone un interrogativo : qual è la posizione delle donne nei confronti della violenza e della violazione della legalità ? Notoriamente il pensiero femminile ripudia tutte le forme di violenza . Pur condividendo appieno questo rifiuto , ritengo , però , che sia necessaria una riflessione critica sull’argomento .

Il che spinge ad analizzare il rapporto intercorrente tra violenza , diritto e giustizia . Lucidamente a questo proposito Walter Benjamin collega la violenza e la sua rappresentazione , ovvero il diritto , precisando che esiste una differenza tra "violenza mitica" e "violenza divina ": la prima è violenza sanguinosa , è violenza amministrata ; la seconda , invece , esprime la vita stessa in modo non mediato, fuori della legge , nella norma del vivente .

Poste le cose in questi termini , ne deriva che sarebbe opportuno operare un distinguo tra "violenza fondatrice e conservatrice del diritto " e "violenza rivoluzionaria ".

Onde evitare funesti fraintendimenti , occorre notare che vanno rimosse , tout court, alcune nefaste categorie concettuali , come quelle relative alla logica della presa del potere , o quelle inerenti l’insurrezione armata . Negando , però , i parametri di una sorta di moralismo ascetico , va aggiunto che la "norma del vivente " non può tollerare le angherie e i soprusi della violenza fondatrice del diritto , sicché tutte le azioni disubbidienti e fuorilegge che intendono turbare l’ordinamento , si rivelano più che legittime .

E’ evidente che non si vuole incoraggiare la violenza , anche perché le dure lezioni della storia insegnano che l’eliminazione del "nemico " non implica la costruzione di un mondo altro . Pertanto , rilevando che la parola "rivoluzione " è stata stuprata e tradita , va detto che una radicale trasvalutazione di valori non può prescindere dalle ataviche pre-giudicate per eccellenza, ossia le donne . Vero è che l’impresa presenta non pochi impedimenti , perché le modalità del pre-giudicare sono intrinsecamente incorporate alla cultura occidentale .

Ma , per non indulgere al catastrofismo e per non annichilire la speranza rivoluzionaria , sarrebbe proficuo valorizzare e rendere feconda la coscienza eccedente del postfordismo .

Da qui la necessità di pensare l’umanità come una realtà transindividuale , che implica la molteplicità di relazioni , le transizioni , i passaggi . In quest’ottica , transindividuale è soprattutto la reciprocità che si instaura tra l’individuo e il collettivo in un movimento di insurrezione liberatrice . Per non rivisitare la nota leggenda di Sisifo , bisogna , però, problematizzare il rapporto coscienza-individuo . A questo proposito Gilbert Simondon , parlando di comunicazione delle coscienze , sottolinea che "né la comunità di azione , né l’identità di contenuti di coscienza bastano a stabilire la comunicazione intersoggettiva ". Occorre , invece , aggiunge Simondon , ricorrere alla "comunicazione delle subcoscienze", perché essa consente di instaurare rapporti anche con individui molto dissimili . "La coscienza andrebbe concepita , dunque , come un regime misto di causalità e di efficienza, che correla l’individuo a sé medesimo e al mondo. L’affettività e l’emotività sono la principale forma trasduttiva della vita psichica , il tramite tra la coscienza trasparente e il subconscio…..il nesso tra la relazione dell’individuo con se stesso e la relazione dell’individuo con il mondo" . Ne consegue che per promuovere un’autentica comunicazione tra le coscienze , occorre una comunicazione tra le " condizioni delle coscienze" . Concisamente , per Simondon " la natura è realtà del possibile , con le fattezze di quell’apeiron da cui Anassimandro fa scaturire ogni forma individuata . La natura non è il contrario dell’Uomo , ma la prima fase dell’essere , là dove la seconda è l’opposizione tra l’individuo e l’ambiente " . E’ evidente che la rottura teorico-pratica operata da Simondon si rivela quanto mai proficua , anche perché l’autore citato ha causticamente osservato che " la sessualità è introduzione al collettivo , è impulso e incitamento in direzione del collettivo ".

Ciò detto , scendendo bruscamente dalle stelle alle stalle , bisogna scongiurare il pericolo che la filosofia della differenza sia percepita come un processo acritico di pacificazione . In altre parole , si dovrebbero rigettare perentoriamente le opinabili chiavi di lettura che vedono in Condoleezza Rice solo un’avversaria . Di più : risulta sconcertante che si provi compiacimento per il fatto che la guerrafondaia " magnolia d’acciaio " sia diventata la donna più potente del mondo .

In realtà , per non cadere negli essenzialismi , per evitare funeste semplificazioni e ipostatizzazioni , si dovrebbe operare un netto distinguo tra macchine di potere e macchine di desiderio . Ciò vuol dire che le donne dovrebbero diventare animali politici disubbidienti contro tutte le gerarchie dell’oppressione . Non senza ragione Elsa Morante affermava che "se in nome della rivoluzione si riafferma il potere , significa che la rivoluzione era falsa , o è già tradita ".

Personalmente penso che si dovrebbe costruire un’identità-processo fuori dai meccanismi della rappresentanza , fuori dalle dinamiche del Partito-Padre , fuori dalle norme mutuate acriticamente dal mondo maschile , fuori dalla dialettica del capitale .

Si impone , dunque, l’esigenza di attivare pratiche di esodo e di sottrazione , per promuovere e diffondere un’autentica cultura della differenza , non trascurando di concepire ex novo il plurilinguismo , inteso come traduzione delle culture . Questo significativo orizzonte progettuale implica che si debbano ripensare le relazioni " dell’alterità nomade ".

A tal proposito Rosi Braidotti sostiene che " bisogna partire dalla micro-politica delle relazioni di potere . E’ qui che il vantaggio della nomadologia filosofica diviene evidente : la teoria del " divenire minoritari " ( diventare donna , animale , eccetera ) propone un ordine non dialettico degli atteggiamenti , i movimenti e la nuova erranza dei nuovi soggetti – di quelli cioè che vengono dopo la crisi del soggetto eurocentrico e fallocentrico . Non c’è , dunque, il centro del divenire – il panottico è vuoto – tutto si gioca sui margini . Ma i paradossi permangono ".

D’altra parte , le antinomie sconcertanti e le palesi contraddizioni sono strettamente legate alla geografia del potere odierno , tant’ è che quest’ultima presenta una duplice dinamica , ossia l’universalizzazione del particolarismo e la particolarizzazione dell’universalismo .

Di più : occorre tener presente che , se il capitalismo nomade produce molteplici differenze, è altresì vero che esse sono incorporate alla logica di mercato . In realtà , l’inaudita pervasività dei poteri globali comporta una proliferazione di gerarchie , la recrudescenza di arcaismi disciplinari e la diffusione di sistemi di controllo .

Pertanto , pur non sottovalutando l’importanza della cosiddetta femminilizzazione del lavoro e della produzione di differenze , bisogna sempre considerare che questi processi non sfuggono alle perverse dinamiche del globalismo .

Inoltre , la società dello spettacolo non solo incentiva la fabbricazione di desideri , ma genera anche il culto narcisistico della celebrità . Ovviamente questi elementi investono anche l’immaginario femminile , basti pensare agli atteggiamenti divistici di alcune donne militanti.

Ma , per demolire il mito delle "donne con le palle" e per promuovere una seria riflessione critica sul " divenire donna della politica , è lecito ricordare Margaret Thatcher , fulgido esempio di un’eclatante devastazione culturale e politica . E’ utile tener presente a questo proposito che la suddetta lady di ferro affermò : " Non esiste una cosa come la società ".

Ne consegue che , al di là delle incisive e lucide teorie del pensiero della differenza , il "divenire donna della politica " dovrebbe negare sia la logica del potere, sia i marchi identitari imposti dalla storia , per inventare una bio-politica a-venire . La deludente realtà fattuale mostra , invece , che molte donne sono le paladine dell’organizzazione capitalistica , tant’è che si adattano alle regole e alle gerarchie dettate dall’assetto sistemico .

Assodato che l’alternativa non può essere ridotta solo all’anticapitalismo , bisogna , però, prendere atto che il postfordismo riformula l’articolazione dei meccanismi dello sfruttamento della forza-lavoro .

Che fare , dunque , per rimuovere il mimetismo opportunista ? Come rigettare l’ordine postmoderno della Lex Mercatoria ? Come neutralizzare l’arbitrio poliziesco ?Come contrastare la paranoia della guerra infinita ? Come impedire la deportazione verso l’ignoto ? Come annientare la ripetizione dell’oppressione patriarcale ? Come evitare che la filosofia della differenza diventi solo un confortante pensiero debole ? Come rifiutare il linguaggio del controllo per rendere operanti i linguaggi-corpo della differenza ? Senza pretendere di trasmettere formule risolutive , bisogna sottolineare che il "divenire-donna della politica" esige un impianto teorico-pratico autenticamente rivoluzionario. Ciò rimanda ad una diagnosi storica del concetto stesso di "rivoluzione ".

Una critica decostruttiva e controfattuale mostra , infatti , che essa è stata fortemente condizionata da alcune categorie , come classe , proletario , partito ecc , sicché per schivare la fuorviante reiterazione di vecchi paradigmi , è bene domandarsi in quale orizzonte si pensa "il divenire soggetto rivoluzionario ".

Partendo dall’assunto femminista di circa trent’anni fa , sintetizzato dallo slogan "il personale è politico", si dovrebbe negare vigorosamente il rapporto strumentale che i partitti instaurano con le donne e , al tempo stesso , si dovrebbe avviare un processo anticonvenzionale e creativo per valorizzare le relazioni di differenziazione , non trascurando, però , l’identità .

" In questo senso , parlare del divenire-donna della politica significa spingere a divenire minoritari , a esodare , vale a dire a creare . Il divenire donna della politica non è la risposta al potere maschile , così come il divenire-minoritario non è l’elogio delle minoranze . Donna e minoritario si dicono del divenire perché impediscono la coagulazione di stati….di filiazioni vincolanti " ( Judith Revel ) .

Le lucide argomentazioni di J. Revel colgono nel segno , ma spingono anche a fare alcune considerazioni sulla presenza del possibile .

Pur concordando sul fatto che il divenire donna della politica non può essere la risposta al potere maschile , sarebbe opportuno ricordare che anche durante le rivolte telluriche del 68 alle donne veniva negata una significativa visibilità . Basti pensare che le sessantottine sono state definite le vestali del ciclostile .

Inoltre , anche oggi , all’interno dei movimenti , trapelano forme striscianti di maschilismo, e purtroppo ciò è suffragato da esperienze personali assai deludenti .

Ciò detto , conviene focalizzare l’attenzione sulla differenza di razza o di etnia e sulla differenza di genere-sesso . Rilevando che attualmente dilagano variegate forme di razzismo, e non trascurando il carattere multidimensionale del globalismo , giova menzionare le osservazioni di Aminata Traorè , ex ministro della Cultura del Mali .

Aminata scrive : " Come donna negra , condannata proprio per questo a battermi su molteplici fronti , mi sono spesso chiesta perché la comunità internazionale si è sempre infervorata per la difesa dell’uguaglianza dei sessi , mentre sull’uguaglianza delle razze ha sempre taciuto . Innumerevoli sono infatti i progetti e le iniziative di liberazione delle donne , troppo rari , se non addirittura inesistenti quelli destinati a soffocare il razzismo , inferno uno e di tutti i non bianchi ".

Le accorate considerazioni di A. Traorè confermano che nel mondo globalizzato convivono variegate forme di razzismo . Vero è che politicanti , anime belle , istituzioni , condannano unanimemente il razzismo , il maschilismo ecc .

Ciò non può stupire perchè , oggi , si registra una subdola commistione tra retorica dell’esclusione e retorica della liberazione ,sicché conviene fermare l’attenzione sullo spinoso argomento . Verena Stolke , denunciando la rinascita del demone razzista , sostiene che il razzismo odierno , lungi dall’essere una sopravvivenza anacronistica dei remoti tempi dello schiavismo , dell’espansione coloniale europea e di un ordinamento ascrittivo della società , esso è parte costitutiva del capitalismo liberale .

Il discorso meriterebbe un approfondimento , ma , al di là delle diverse griglie interpretative , il dato emergente è che occorre anche decostruire criticamente la "tolleranza repressiva ", per prendere coscienza che il razzismo e il maschilismo si ripresentano , sia pure in guise diverse.

Inoltre , il divenire donna della politica deve fare i conti con la società dei simulacri . Il che non è da sottovalutare , perché "la simulazione minaccia la differenza tra vero e falso , tra reale e immaginario " ( J. Baudrillard ).

Le argomentazioni fin qui condotte non intendono caldeggiare un epidermico sociologismo , ma perseguono l’obiettivo di evidenziare le perverse dinamiche delle nuove forme di valorizzazione del capitale . Insomma , è mia convinzione che l’odierno codice semiotico del capitale , la commistione tra sapere e mercato linguistico , la programmazione della creatività ,il linguaggio del marketing , la smaterializzazione delle pratiche di controllo , concorrono a generare una falsa coscienza e , al tempo stesso , ad alimentare un eccessivo ottimismo .

Rimuovendo una sorta di escatologia del peggio , è bene , però , notare che l’impianto teorico della filosofia della differenza può sortire effetti dirompenti . Difatti , esso pone come precondizione la negazione del pensiero gerarchico e della cartografia del potere .

Da qui la necessità di incrementare una pratica relazionale che inglobi anche le complesse problematiche delle donne non europee .

Non senza ragione Rosi Braidotti sostiene che occorre rispettare le differenze strutturali tra i diversi posizionamenti , perché la nuova soggettività riposa su dei processi di ibridazione , nomadismi diffusi –stati dinamici di diffusione e di incontro .

Ma , esercitando sempre un dubbio critico e costruttivo , bisogna aggiungere che l’ambiziosa fondazione di un mondo altro è pregna di pesanti impedimenti , sia perché la rete dei poteri attraversa tutto il mondo globalizzato , sia perché le presunte seguaci del pensiero della differenza sono fortemente condizionate dalla presenza dei leader-carismatici dei partiti, sia perché i meccanismi di asservimento planetario inficiano di fatto i processi di trasformazione .

Poste le cose in questi termini , ne deriva che si dovrebbero rigettare alcune fuorvianti chiavi di lettura, per prendere atto che solo una coscienziosa pratica disubbidiente può sortire esiti positivi .

Molte donne , al contrario , lungi dall’operare un netto distinguo tra pratiche politiche istituzionali- di potere e pratiche politiche di contropotere , non solo subiscono gli effetti ipnotici della politica ufficiale , ma approdano anche ad una sorta di filosofia dell’indifferenza . Il che ovviamente denaturalizza la sessualità trasgressiva e opacizza l’intensità emotiva del corpo-coscienza .

Il divenire donna della politica , il divenire minoritario , richiedono , invece ,spregiudicate fughe in avanti , pratiche di disubbidienza , il sovvertimento di tutte le ortodossie , l’attivazione di elementi conflittuali di politicizzazione della vita quotidiana e , al tempo stesso , l’assunzione di uno stile mentale autenticamente alternativo .

Rilevando , però , che non mancano i creatori di utopie , ovvero coloro che ingenuamente prevedono un presunto assalto al cielo, conviene precisare che la disubbidienza va intesa come pratica quotidiana , come ostinata cultura della dissidenza , come espressione creativa dei linguaggi-corpo ,come rifiuto della regola costrittiva , come uso pubblico della ragione : in breve , come " pensiero del di fuori " .

In altri termini , la grande capacità relazionale delle donne dovrebbe promuovere dal basso sia l’etica della differenza sessuale , sia una logica variegata dell’esodo e della defezione .

Ciò significa che non si può eludere un problema di fondo , ovvero il rapporto conflittuale tra potere e contropotere .

Se , dunque , la diffusione del femminismo ha prodotto effetti efficaci relativi al matrimonio , alla norma eterosessuale ,all’ autorità religiosa e paterna , è altresì vero che , oggi , il divenire donna della politica impone la necessità di cercare " linee di fuga attive , rivoluzionarie , linee di decodificazione assoluta " . Pertanto , pur constatando che l’iter della liberazione è decisamente impervio ed insidioso , occorre avvalersi di un approccio controfattuale per operare una radicale rottura contro tutti i meccanismi di potere , contro ogni forma di acritica esemplificazione ideologica e contro un impianto concettuale che ipotizza una società regolata e organizzata in forme asessuate .

Intanto , mentre le promesse di un mondo altro non riescono a diventare premesse costruttive ed incisive , vorrei concludere ricordando una donna che si è spenta recentemente . Mi riferisco alla "silenziosa " morte di Felicia Bartolotta Impastato , ossia la madre del militante Dp Giuseppe Impastato , saltato sul tritolo mafioso nel maggio del 78 .

Questa piccola-grande donna , che non ha mai smesso di lottare per ottenere giustizia , rappresenta , a mio avviso , un valido esempio per rafforzare il diritto di resistenza contro le politiche di Palazzo e contro tutti i poteri di dominazione .