DA – IL RESTO DEL CARLINO

 

L'Avvocato che ha segnato la storia di Italia

ROMA, 24 GENNAIO 2003 - Ha incarnato per più di mezzo secolo l'immagine dell'industria italiana. Ma, con il suo profilo deciso, l'erre francese caratteristica di famiglia, e quel lieve claudicare a seguito di uno spaventoso incidente automobilistico nel '52, Giovanni Agnelli - per tutti Gianni o l«'avvocato», per distinguerlo dal nonno fondatore della Fiat - è stato per oltre cinquant'anni l'immagine dell'intero Paese, una sorta di modello cui ricondurre tutti i sogni e le passioni italiane, non ultima quella sportiva (Juventus e Ferrari).

E, per oltre cinquant'anni, dalla plancia di comando della Fiat, è stato anche il principale 'ambasciatorè del made in Italy, seguendo una 'politica esterà che spesso ha anticipato quella istituzionale, come quando 'apri« all'Urss con la fabbrica di auto a Togliattigrad, o quando nel '76 permise l'ingresso di capitali libici nel gruppo torinese. Attento osservatore della politica nazionale e internazionale (non solo per gli sviluppi economici, ma anche per gli aspetti sociali), come il nonno era stato nominato senatore a vita. Una carica che sempre ha puntualmente onorato dai banchi di Palazzo Madama, così come non si è mai sottratto, con toni misurati, ai commenti politici.

Habituee discreto dei luoghi cult della mondanità internazionale, ha impersonato anche mezzo secolo di eleganza italiana, negli austeri saloni di corso Marconi a Torino così come sul molo di Capri. Ma, per la sua attività in Fiat, che ha costituito l'impegno di una vita, Gianni Agnelli è stato e resta - per usare le parole del New York Times - soprattutto »sinonimo del business italiano«. Quella dell»avvocatò, infatti, non è stata una semplice storia di eredità familiare, ma una vera e propria 'carrierà vocazionale, che gli aveva fatto conquistare un ruolo 'carismaticò al di là del peso rilevante delle aziende di famiglia nel sistema economico nazionale.

Nato a Torino nel 1921, orfano di padre a 15 anni, Gianni Agnelli trascorre una giovinezza sotto l'ombra della figura imponente del nonno. Frequenta la scuola di cavalleria di Pinerolo (a testimonianza del radicamento sabaudo-piemontese della famiglia, e da lui stesso confermato nel '99, quando, in occasione del centenario della Fiat, disse che Torino doveva restare la «capitale industriale» italiana), partecipa alla seconda guerra mondiale in Russia e in Tunisia e ottiene una decorazione. Alla Fiat entra alla fine del periodo bellico come vicepresidente, quando l'azienda è guidata con pugno di ferro da Vittorio Valletta, che procede alla «normalizzazione» e avvia la produzione di quei modelli di auto popolare che imporranno la casa torinese come vera protagonista della motorizzazione di massa in Italia.


Di questi anni, in cui sul piano aziendale compare in secondo piano, si ricordano in particolare eventi privati, come il matrimonio nel 1953 con Marella Caracciolo, e sportivi, come il connubio con la Juventus (di cui Agnelli è stato presidente dal 1948 al 1953). Di eventi privati si tornerà a parlare in anni recenti, quando Gianni Agnelli soffrirà due gravi lutti: prima la scomparsa di Giovanni Alberto, Giovannino, il nipote - figlio del fratello Umberto - scelto per la successione alla Fiat, e poi quella di Edoardo, l'unico figlio maschio, morto nel novembre del 2000. Finita l'epoca Valletta, Gianni prende la guida della Fiat: nel 1963 diventa amministratore delegato e nel 1966 presidente. È in questo periodo, in cui il gruppo sta rapidamente uscendo dalla dimensione nazionale per assumerne una mondiale, che Agnelli riesce a imporsi come leader di spicco: tanto nei momenti difficili come quello della grande crisi petrolifera e 'l'eclissè dell'automobile quanto negli anni bui del terrorismo.

È proprio in quegli anni che la Fiat adotta uno slogan significativo: «la volontà di continuare», e che Agnelli applica accentuando il suo ruolo nel mondo imprenditoriale. Dal 1974 al 1976 viene chiamato alla presidenza della Confindustria per rilanciare l'organizzazione, ridare fiato all'impresa privata e riaprire il dialogo con i sindacati. Chiusa la parentesi confindustriale, l'avvocato torna a dedicare tutta la sua attività alla Fiat, dalla quale partono dopo qualche tempo quei segnali che daranno il via ad un cambiamento radicale dell'atmosfera, con la ripresa della capacità di governo delle fabbriche e il recupero di legittimazione sociale del ruolo dell'imprenditore e del profitto industriale.


L'immagine di efficienza della Fiat, e quella personale di 'manager' di Gianni Agnelli - che non si stanca di difendere il capitalismo familiare - marciano di pari passo, in un continuo crescendo. La disponibilità al nuovo e l'abilità a muoversi al passo con i tempi sono le caratteristiche del binomio Agnelli-Fiat: il gruppo torinese è all'avanguardia nelle scelte cruciali, come le nuove tecnologie basate sull'elettronica, i robot, l'innovazione; nella ricerca di partnership internazionali (culminata nel 2000 con l'allenza strategica con General Motors), nella diversificazione dei campi di attività confermando l'importanza dell'auto. Diversificazione che, appena un anno fa, ha avuto il suo acme quando, alleatosi con Edf e creando Italenergia, ha scalato Montedison ed è entrato da protagonista nel business dellþenergia.
Il cuore di Gianni, però, è sempre stato per l'auto, anche di recente, con la Fiat coinvolta nella più grave crisi della sua storia. Così benchè malato, e talvolta assente per i controlli medici negli Stati Uniti, l'Avvocato è sceso più volte in campo per difendere il titolo e i vertici Fiat, ribadendo la bontà e l'efficacia dei diversi piani di ristrutturazione del gruppo. E a lui si sono rivolti gli appelli dei lavoratori degli stabilimenti Fiat che, mentre al Lingotto si succedevano i vari amministratori delegati, in lui riconoscevano il principale interlocutore, perchè lui - è stato sottolineato ancora oggi - era uno che «credeva nell' auto». E se l'auto ultimamente l'ha fatto soffrire, l'auto, quella rossa di Maranello, gli ha dato anche le ultime soddisfazioni. L'Avvocato è scomparso dopo che la Ferrari, con Schumacher, ha sbancato negli ultimi due anni la Formula Uno. E con la Juventus, la 'vecchia signorà del calcio italiano che, dopo quattro anni, è tornata lo scorso anno a fregiarsi dello scudetto tricolore

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L’AVVOCATO E LA CONFINDUSTRIA

 

ROMA, 24 GENNAIO 2003 - La più breve presidenza di Confindustria ma anche una delle più significative. I due anni, 1974-1976, di Giovanni Agnelli a Viale dell'Astronomia segnarono una svolta nel rapporto tra la politica e l'associazione degli industriali. Per gli industriali finì - come disse lo stesso Avvocato - «il tempo delle deleghe». In una stagione di crisi economica profonda, di inflazione galoppante, di incertezze e di instabilità dei governi, gli industriali decisero di compiere le proprie scelte direttamente, senza l'intervento della mediazione politica. Nacque così la proposta dell«'Alleanza dei produttori» e, poi, l'accordo del gennaio 1975 sul punto unico di contingenza. A dimostrazione che - in particolare in assenza di una efficace politica economica - le parti sociali potessero intervenire, in autonomia, sulle materie di propria competenza.


Oltre vent'anni dopo, nel 1997, Agnelli, ricordando il «galantuomo» di Luciano Lama, spiegò così il senso di quell'accordo: « Lama ed io (e per la verità molti altri) vedemmo nel meccanismo dell'indicizzazione salariale soprattutto uno strumento per disinnescare la conflittualità permanente, che stava allora toccando le punte più elevate». L'intesa puntava ad aprire una nuova fase nelle relazioni industriali, una stagione di pacificazione negli stabilimenti dopo il tumultuoso e lunghissimo autunno caldo. Nessuno allora poteva prevedere che la dinamica dell'inflazione, per effetto della crisi petrolifera, non si sarebbe arrestata e che l'intesa avrebbe finito per propagare l'aumento dei prezzi. E pochi criticarono allora l'accordo. Sul versante retributivo le conseguenze furono decisamente negative: l'appiattimento verso il basso dei livelli retributivi. Per ogni punto di aumento del costo della vita, infatti, aumentavano automaticamente le retribuzioni al livello più alto dei valori di contingenza allora vigenti. Le retribuzioni più basse erano praticamente coperte al 100% dell'inflazione.


L'accordo prevedeva anche la copertura della cassa integrazione per un periodo più lungo (12 o 18 mesi contro i tre previsti in precedenza) e un'indennità di disoccupazione pari all'80% del salario anzichè del 66% Pur tuttavia l'intesa cambiò il clima delle relazioni sindacali. Riportò il dialogo, pose fine alla conflittualità esasperata cominciata con il biennio rosso '68-'69. Una stagione che Agnelli visse in primo piano, presidente da pochi anni (dal '66) della più grande industria del paese. Il conflitto esplose e trovò nei giovani operai meridionali e scarsamente professionalizzati di Mirafiori e Rivalta un terreno fertile di diffusione. Furono anni difficili. «Purtroppo - ricordò lo stesso Avvocato - è stato un periodo tremendo: era come combattere con un braccio legato dietro la schiena. La domanda di automobili cresceva ma la produzione era bloccata». Una esperienza che pesò certamente nella definizione della filosofia che portò all'accordo con Lama. Alla fine del primo biennio Agnelli lasciò la presidenza della Confindustria e designò come successore Guido Carli, dal 1960 al 1976 Governatore della Banca d'Italia, il primo e unico presidente non imprenditore. In due anni la Confindustria era riuscita ad affermare il valore dell'impresa in un contesto ideologico a lei ostile. Ma proprio questa era stata la missione di Gianni Agnelli.

 

 

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ROMITI

«L'auto per lui era la vita. La Fiat senza auto per lui era una cosa impossibile anche da pensare». Così il presidente della Rcs, Cesare Romiti, ex Ad e presidente di Fiat, ha ricordato l'avvocato Gianni Agnelli, morto stamattina. «So del suo tormento in questi ultimi anni di crisi dell'azienda - ha detto Romiti intervistato dal Gr1 - e credo che abbia sofferto quello che non avrebbe dovuto soffrire. Mi auguro - ha proseguito - che coloro i quali oggi hanno la responsabilità di Fiat se ne ricordino sempre

MONTEZEMOLO

MARANELLO (MODENA), 24 GENNAIO 2003 - «La scomparsa di Giovanni Agnelli lascia un vuoto incolmabile nella mia vita». È il commento del presidente della Ferrari, Luca Cordero di Montezemolo, alla morte dell' Avvocato. «Da oltre 35 anni - ha detto Montezemolo - la sua amicizia e il suo affetto sono stati per me un punto di riferimento insostituibile. Non dimenticando mai quanto mi sia stato vicino nei momenti più difficili, con grande riconoscenza dedico a lui i successi della Ferrari ben conoscendo la parte fondamentale che ha avuto»