LETTERA APERTA AL PROF. Achille Ardigo'

Bologna, domenica 23 marzo 2003

Caro prof. Ardigò,

                   permetta che Le esprima la mia totale condivisione per quanto da Lei espresso circa la latitanza e la trascuratezza del card. Biffi nei riguardi dei problemi di un “trenta-quaranta per cento” di fedeli, come riportato ieri nel bell’articolo di Luciano Nigro dal titolo “Ardigò: Biffi non ci dimentichi”.

Leggo oggi su “AVVENIRE-BOLOGNA7” un breve “COMMENTO” che (senza mai ipocritamente nominare Lei in modo esplicito) a Lei ovviamente si riferisce. Lo trascrivo qui di seguito. Sono parole di condanna che a mio avviso (ed è il pensiero di un laico non certo teologo!) sono alquanto opinabili, sia sul piano prettamente teologico sia da un punto di vista giuridico-canonico.

Il riferimento e l’ossequio al proprio vescovo come elemento discriminante circa l’appartenenza alla chiesa, se è concetto indubitabile per quanto riguarda la dogmatica, molto più incerto è invece per quanto concerne la pastorale. Altrimenti che significato avrebbe affermare la liceità del “proprio pensiero” come recita il Canone 212 del “Codex Iuris Canonici” promulgato da Papa Wojtyla il 25 gennaio 1983 (non mille anni fa!): “...I fedeli hanno diritto di manifestare ai Pastori della Chiesa le proprie necessità, soprattutto spirituali, e i propri desideri....essi hanno il diritto, e anzi talvolta anche il dovere (...ius est, immo et aliquando officium...), di manifestare ai sacri Pastori il loro pensiero su ciò che riguarda il bene della Chiesa; e di renderlo noto agli altri fedeli...”.  Eppoi, altro fatto essenziale, il riferimento e l’ossequio al proprio vescovo non viene in subordine al riferimento ed all’ossequio per il magistero del Papa?

Dove sbaglio, caro prof. Ardigò? Sarebbe molto bello se Lei - con la Sua ben nota grande cultura e notevolissima capacità dialettica - potesse pubblicamente esprimere il Suo pensiero al riguardo, senza naturalmente aspettarsi elogi dalla Curia.

Le seguenti Sue parole infatti (circa le quali il mio PLAUSO è totale ed entusiasta) erano riportate ieri su Repubblica: «Questa guerra preventiva sta sconvolgendo tutto, la forza di un discorso come quello del papa non consente più linee di mediazione tra diavolo e acqua santa. E se una parte dei cattolici segue Bossi, faccia pure ma questa non è la strada del cattolico coerente».  E ancora «Dov'è finito il cardinale Biffi della stupenda omelia per don Giuseppe Dossetti?», «La nostra speranza è che nell'ultimo tratto del suo grande ufficio il Cardinale trovi il modo di recuperare quel momento».

È allora cosa certa che chi come lei (con la solita coraggiosa e non servile “parresia” usata nel non tacere, anzi nel dire “pane al pane e vino al vino”) non teme fare affermazioni di questo tipo, non potrà non ricevere strali e, più o meno, “affettuose bacchettate” dalla Curia Bolognese: analogamente a quanto ho scritto ieri a don Giovanni Nicolini, abbiamo comunque tutti la certezza che anche Lei, caro Professore, ha la SOLIDARIETÀ (a cominciare naturalmente da quella del sottoscritto) della maggior parte di quel “popolo di Dio” che è poi la vera Chiesa.

Molti cordiali saluti.             Shalom-salaam-pace!

Domenico Manaresi, assieme alla pazientissima moglie Luciana.

Da “AVVENIRE-BOLOGNA SETTE” di domenica 23 marzo 2003

IL COMMENTO-Intellettuali e presunte trascuratezze.

Il Vescovo non può essere prigioniero delle nostre propensioni ideologiche


Credo la Chiesa una, santa, cattolica, apostolica. Non c'è un'altra Chiesa, e dunque non c'è una possibile diversa concezione della Chiesa. Una Chiesa che ha nel Vescovo l'estremo terminale di quella lunga e ininterrotta catena che è la successione apostolica, al cui altro capo troviamo gli apostoli. Per i fedeli il Vescovo è perciò il riferimento imprescindibile e la comunione con lui è la garanzia di autenticità dell'appartenenza ecclesiale. E il Vescovo va amato nella sua concreta umanità, come quella degli apostoli mistero di forza e di debolezza. Così il suo magistero non può essere fatto prigioniero dei nostri desideri e delle nostre propensioni ideologiche, ma va accolto qual è, ricco di verità e anche di quelle sottolineature della verità che il suo personale carisma gli suggerisce.

Ci chiediamo perciò con inquieta preoccupazione che concezione della Chiesa sia quella di chi accusa - come ha fatto ieri un noto intellettuale cattolico - il cardinal Biffi di avere trascurato in questi anni una parte cospicua dei cattolici bolognesi; non ci resta malinconicamente che osservare che, in tutta evidenza, sono costoro che con disappunto non lo trovano in sintonia con le loro idee.

La domanda - e il conseguente esame di coscienza al quale richiama ciascuno di noi - dovrebbe invece essere se sono io in sintonia con il mio Vescovo, che tale è per un mandato che risale allo stesso Signore Gesù

Questo ci ha insegnato per duemila anni la dottrina cristiana e questo ci insegna il cardinal Biffi

Il cristiano sa che la preghiera silenziosa, che è voce dell'intenzione del cuore, è la sola che possa dare qualche luce di speranza ai momenti drammatici della storia. In questi giorni, in cui non si sono mai viste tante persone di varia credenza o di varia incredulità così ansiose della preghiera dei cattolici al punto da arrivare a dettarne l'ora e la modalità, o misurarne i presunti ritardi, non barattiamo anche noi la verità della preghiera con un servizio civile, o, peggio, con l'applauso della piazza. Questa rincorre logiche diverse, magari rispettabili, ma certamente parziali e mondane.