NON-VIOLENZA: IL “BIFFI-PENSIERO”(GIA’ 13 ANNI FA!)-RISPONDE PADRE ANGELO CAVAGNA

Bologna, mercoledì 12 marzo 2003 -

Biffi: pacifismo e non-violenza. Nonostante il richiamo del card. Biffi (“la Repubblica” del 6 marzo 03) al silenzio e ad evitare le “esternazioni superflue”, “il multiloquio” e i “discorsi inutili” (alla faccia dell’evangelica parresia!), nonostante queste esortazioni, leggo, trascrivo con lo scanner e (vedi qui di seguito) invio agli amici “l’esternazione” che l’episcopo Biffi pronunciò e poi scrisse su “SETTIMANA” del 13 maggio 1990 (tredici anni fa, ma estremamente attuale!) relativamente alla Nonviolenza.

Un presbitero molto impegnato circa la cristiana nonviolenza quale l’amico padre Angelo Cavagna, afferma (vedi qui di seguito) che “certe affermazioni fanno gridare al falso storico”. Forse anche fan gridare (aggiungo io) allo scandalo come personalissima e strampalata esegesi evangelica.

Non mi sento assolutamente di dare il mio “ossequio dell’intelletto” all’episcopo (come vorrebbe il canone 752 del Codice di diritto Canonico): aspetto quindi la “giusta pena” (canone 1371). Mi sento invece concorde e vicinissimo al presbitero e amico Angelo Cavagna.

Dove sbaglio? Shalom-salaam a tutti, ma proprio a tutti!                                                    Domenico Manaresi

Mitt. Domenico Manaresi - via Gubellini, 6 - 40141 Bologna - tel&fax 051-6233923 – e-mail: bon4084@iperbole.bologna.it

 

BOLOGNA: COSÌ IL CARDINALE BIFFI HA PARLATO A UN CONVEGNO Dl STUDI

RESISTERE È UN OBBLIGO

Nel discorso della montagna Gesù, proponendo le norme di comportamento per l'uomo "nuovo" che vive secondo il suo messaggio, dice tra l'altro: "Io vi dico di non opporvi ai malvagio"; frase che in italiano si potrebbe anche rendere legittimamente così: "Io vi dico di non far resistenza alla malvagità". Dopo di che questo convegno potrebbe subito essere evangelicamente contestato, dal momento che i due termini "fede" (cioè visione cristiana delle cose) e "resistenza" (cioè attiva non rassegnazione all'ingiustizia) alla luce di questa espressione sembrerebbero incompatibili.

Va detto però che l’esegesi comune e, più ancora, la stessa costante azione della chiesa cattolica nella sua lunga storia convengono nel persuaderci che le regole del Discorso della montagna (circa l'altra guancia e circa il mantello e la tunica) sono evidentemente destinate a spegnere nel cuore dei singoli ogni sentimento di vendetta e di rivalsa verso il cattivo che lede i diritti altrui e a proporre l'ideale ascetico personale della mitezza e della rinuncia; ma non si offrono affatto conte fonti ispiratrici del comportamento sociale del cristiano.

È come la questione del pane. Quando si tratta della sua fame, Gesù risponde con l'astinenza: "Non di solo pane vive l'uomo"; ma quando si tratta della fame degli altri, risponde con l'intervento fattivo e moltiplica i pani. Perché, notava già Berdjaev, la questione del pane dei miei fratelli è per me una questione spirituale. Analogamente, per il proposito ascetico io sopporterò, se ne sarò capace, l'ingiustizia perpetrata verso di me come individuo, ma non sono autorizzato a considerare un valore evangelico la mia rassegnazione all'ingiustizia inflitta agli altri e soprattutto alla collettività.

Sant'Ambrogio, di fronte all'imperatore che voleva derubare la comunità cattolica di una basilica, dice: "Se mi avesse chiesto ciò che mi appartiene - cioè un mio podere, il mio denaro, ogni altra cosa di mia proprietà - io non mi sarei opposto..., ma ciò che è di Dio non è soggetto all'autorità imperiale". E ancora: "Se mi si chiedesse qualcosa di mio, o un fondo o una casa o dell'oro o dell'argento, sono pronto a offrire ciò che mi appartiene, ma non posso sottrarre nulla al tempio di Dio né consegnare ciò che ho ricevuto per custodirlo, non per darlo agli altri. Inoltre, io penso anche alla salvezza dell'imperatore: perché né a me converebbe consegnare né a lui ricevere; ascolti infatti la parola di un libero vescovo: se vuole che si provveda al suo bene desista dall'offendere Cristo”.

Quest'anno ricorre il sedicesimo centenario di un avvenimento fondamentale per la storia dei diritti civili e dei rapporti tra potere e coscienza cristiana: è un bell'esempio di "resistenza" di fronte alla prevaricazione di chi detiene la forza. Dopo la rappresaglia di Tessalonica, dove la ragione di stato aveva voluto il suo abituale orribile contributo di vittime senza colpa, Ambrogio esige e ottiene che l'imperatore Teodosio pubblicamente si penta, tra lo stupore e l'ammirazione di tutta la romanità che per la prima volta vedeva limitato il potere assoluto di Cesare in nome di un ideale superiore di giustizia e di umanità.

Così si è sempre pensato nella chiesa. Ma alla fine del secolo scorso un grande scrittore come Tolstoj si stacca nettamente da questo atteggiamento comune. Inseguendo una forma nuova e naturalistica di cristianesimo, egli identifica tutto il Vangelo con il Discorso della montagna nella dottrina della nonresistenza al male (si veda soprattutto "Il regno di Dio è in voi", 1891-1893). Per il tolstojsmo neppure la società, e tanto meno il singolo cristiano, ha devono affrontare solo con la sopportazione e le buone parole, ma non è lecito opporre una positiva resistenza alla loro malvagità.

È l'ideologia di un nobile spirito, che però, nonostante le apparenze, si è del tutto allontanato dall'autentica proposta rinnovatrice di Cristo. Per fortuna questo pensiero ha avuto scarsa influenza sulla cristianità italiana della prima metà di questo secolo. Ringraziando il cielo, i protagonisti della nostra "resistenza" non avevano letto Tolstoj: perciò è possibile un incontro rievocato come quello di questi giorni.

Io ho però l'impressione che in questi ultimi decenni un certo tolstojsmo inconsapevole stia guadagnando terreno specialmente in certi ambiente ideologizzati del cattolicesimo contemporaneo e presso certi maestri spirituali più volonterosi che illuminati, col rischio di promuovere una generale smobilitazione dei credenti di fronte alle forze sempre attive del male. Sotto questo profilo, i vostri lavori, richiamando esempi concreti di fede efficacemente "resistente", potranno assumere: una valenza anche pastorale di rilevante attualità.Noi ricordiamo con commozione tutto il sangue versato nella nostra terra dai nostri fratelli di fede per la causa della giustizia e dell'uomo, da quello di don Giovanni Minzoni a quello di Giuseppe Fanin. E siamo ben consapevoli che la resistenza cristiana non si è conclusa con il 1945: è sempre in atto e va sempre ravvivata.Come dicevo nella ricorrenza del 40° della liberazione, "noi onoriamo coloro che con grandi sacrifici hanno saputo resistere alla prepotenza e alla violenza, in vista di un avvenire migliore e più degno. Ma più che altro vogliamo raccoglierne la lezione sostanziale ed eterna: non si finisce mai di resistere alle forze malvagie. I reduci, si sa, sono sempre più numerosi dei combattenti. Ma nelle battaglie per la civiltà dell'amore e per la piena vita dello spirito c'è soprattutto bisogno di impegno per il tempo presente..."."Noi chiediamo dunque il dono di una maggior fermezza d'animo e di una migliore chiarezza di idee: se è nostra indubitabile regola di comportamento il rispetto delle persone, la comprensione degli stati d'animo altrui e il desiderio di vivere in buona armonia con tutti, è nostro proposito altrettanto fermo di non far mai pace con l'errore, con la menzogna, con la cultura di disperazione e di morte, che in ogni epoca tentano di soggiogare e avvilire l'uomo, immagine viva di Dio"».

Giacomo card. Biffi

RISPONDE PADRE ANGELO CAVAGNA - Nonviolenti: più volenterosi che illuminati?

Il 20-21 aprile (1990 ndr)si è tenuto a Bologna un convegno di studi sul tema: "Chiesa e società nel quotidiano e nell'emergenza in Emilia Romagna dal primo al secondo dopoguerra". I lavori sono stati aperti dal card. Biffi (ecco il testo integrale).

E evidente l'importanza della presa di posizione teologica e pastorale del card. Biffi. L’affermazione "che le regole del discorso della montagna non si offrono affatto come fonti ispiratrici del comportamento sociale del cristiano” é di quelle che non possono passare inosservate. Così pure l’equiparazione della nonviolenza evangelica alla "rassegnazione passiva”e inerte di fronte all'ingiustizia inflitta agli altri e soprattutto alla collettività" è affermazione da far gridare al falso storico. Nessun vero pacifista predica la passività; ma, sull'esempio di Cristo, espone la propria vita alle minacce di morte denunciando pubblicamente oppressioni e ingiustizie e reclamando ordinamenti umani.

Dimensione sociale della nonviolenza evangelica e impegno attivo per costruire la giustizia e la pace sono elementi costanti, anche se con non poche contraddizioni, dell'insegnamento della chiesa lungo i secoli. Clemente Alessandrino, Origene, Tertulliano, Cipriano, Arnobio, Lattanzio, Ippolito Ramano ecc.contestavano nella chiesa dei primi secoli ogni istituzione o consuetudine sociale omicida: aborto, esposizione dei bambini, esercito, giochi gladiatori, pena di morte; e lo facevano con una difesa della vita davvero lineare e credibile. Il terz'ordine di S.Francesco d'Assisi aveva, nel medioevo, una regola tassativa. "Non accettino e non portino seco armi micidiali contro alcuno".

Il concilio Vaticano II elogiando i non violenti, non si limita alla persona singola e non si riferisce alla rassegnazione..passiva, ma li considera in un contesto di pace-guerra e li indica come coloro che, "rinunciando alla violenza nella rivendicazione dei loro diritti, ricorrono a quei mezzi di difesa che sono, del resto, alla portata anche dei più deboli" (GS n.78/1592).

Giovanni Paolo II ha rivolto ai giuristi cattolici le seguenti parole: "Come deve essere valutato nel quadro del diritto in genere, e di quello canonico in particolare, il nobilissimo principio della non violenza? ... Nel sistema del pensiero cristiano il principio della nonviolenza non ha soltanto portata negativa (non opporre violenza a violenza), bensì anche portata positiva...: Non ti lasciar vincere dal male, ma vinci il male con il bene (Rom 12,21)».

Il card. G Lercaro. all'indomani del concilio Vaticano Il, scriveva: "L'esistenza di un vero e proprio sistema di guerra ...è uno dei prodotti più aberranti del sistema culturale col quale il cristianesimo ha avuto più intimi e diretti contatti... Si affronta la violenza spargendo il sangue altrui. E viceversa ... solo la fede dei mansueti e dei pacifici, e il loro proprio sangue di martiri che, fondendosi col martirio di Cristo, riordina..., rigenera..., conferisce loro il potere, non il miserabile potere dei signori di questo mondo, ma l'unico vero potere, quello dei figli di Dio" (da "Il cristianesimo e il dialogo fra le culture" EDB).

Anche il card. Ratzinger ha scritto: "La resistenza passiva apre una strada più conforme ai principi morali e non meno promettente di successo" (in "Libertà cristiana e liberazione" n. 79). Il documento dei vescovi americani, "La sfida della pace", dice fra l'altro: “Noi crediamo che lo sforzo per sviluppare metodi non violenti per respingere le aggressioni e per risolvere i conflitti risponde meglio alla chiamata di Gesù all'amore e alla giustizia... Ci deve essere uno studio e uno sforzo serio e continuo per lo sviluppo dei metodi organizzati che servono, sia a livello di individui sia a livello di nazioni, a difendere contro aggressioni ingiuste, senza far uso della violenza".

Noti sarà inutile ricordare questo giudizio di don Luigi Sturzo: "Il rifiuto del servizio militare è un dovere obiettivo per ogni cristiano che voglia essere fedele a Cristo e consapevole della criminale assurdità della guerra" (dalla "Dichiarazione sulla impossibilità di una guerra gusta" del 1928); e quest'altro del grande teologo moralista Bernard Haering: "Nella conversione all'amore creativo e non violento verso il nemico, e, precisamente, in ultima istanza, con una accurata educazione e preparazione alla difesa nonviolenta, io vedo l'ultima possibilità, una possibilità straordinariamente grandiosa, per una convivenza nuova e degna dell'uomo" (da "Difesa non-violenta: utopia o alternativa necessaria?", in "Rivista di teologia morale" 1984/3, pp.329-358).

Non sembra che queste testimonianze, e molte altre che si potrebbero ancora citare, possano entrare nella qualifica, data dal card. Biffi. di “maestri spirituali più volonterosi che illuminati”.

Padre Angelo Cavagna

Da: “SETTIMANA” del 13 maggio 1990

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Ricevo dagli amici della Assoc. Comunità Papa Giovanni XXIII e volentieri invio a tutti gli amici.

Domenico Manaresi

Comunicato Stampa

 

ORIGINE DELLA BANDIERA DELLA PACE

In tanti ci chiedono il significato della bandiera della pace: cittadini, insegnanti, parroci.

Riteniamo opportuno, viste anche le polemiche e le strumentalizzazioni di questi giorni a Rimini e in Italia, diffondere il significato originale di questo simbolo. Don Tonino Bello amava definire la pace come la "convivialità delle differenze, mettere tutto in comunione sul tavolo della stessa umanità". "La pace è mangiare il proprio pane a tavola insieme come i fratelli". Era solito associare le differenze del genere umano (colore, razza, religione) ai colori dell'arcobaleno della bandiera della pace.

Il primo ad utilizzare i colori dell'arcobaleno (che hanno la caratteristica fisica di restituire la luce bianca se fatti roteare velocemente) come simbolo di fratellanza tra i popoli è stato il filosofo e pacifista Bertrand Russel, animatore del "Comitato dei 100" che riuniva personalità della cultura mobilitate negli anni `50 contro la minaccia nucleare. I colori dell'iride furono simbolo di pace e di speranza dopo la tempesta della seconda guerra mondiale.

La prima presenza documentata in Italia della bandiera con i colori dell'arcobaleno risale alla "Marcia perla pace e la fratellanza fra i popoli" che si tenne da Perugia ad Assisi il 24 settembre del 1961, organizzata da Aldo Capitini, il filosofo fondatore del Movimento Nonviolento (di quella Marcia esiste anche un bel filmato d'epoca, con commento di Gianni Rodari) Capitini importò quella bandiera dall'Inghilterra dove l'aveva utilizzata, come simbolo di pace, il filosofo Bertrand Russel.

Nel racconto del diluvio universale. Dio pone l'arcobaleno come sigillo della sua alleanza con gli uomini e con la natura, promettendo che non ci sarà mai più un altro diluvio universale. L'arcobaleno diventa così il simbolo della pace tra terra e cielo e, per estensione, tra tutti gli uomini. Crediamo sia con questo spirito che vadano interpretate le migliaia di bandiere che in tutta Italia colorano le nostre città e manifestano la comune voglia di pace.

Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII

Servizio Obiezione e Pace

Via della Grotta Rossa, 6 - Rimini

Tel. 0541-753619

e-mail: odcpace@apg23.org

 

Per ulteriori approfondimenti:

Movimento Nonviolento

via Spagna 8 - 37123 Verona (tel. 045-8009803)

www.nonviolenti.org

e-mail: azionenonviolenta@sis.it

 

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