La Repubblica del 19/02/03          Nagdi Allam

COSA CHIEDEREI AL MONDO SE IO FOSSI IRACHENO

SE FOSSI iracheno sarei scioccato dall'insensibilità del mondo per la tragedia del mio popolo vittima di un genocidio perpetrato dal tiranno Saddam: Hussein. Mi domanderei perché mai i nobili principi etici che- vi hanno giustamente indotto a intervenire per difendere i bosniaci, i kosovari e i kuwaitiani, non dovrebbero valere anche per noi iracheni. Vi ricorderei che abbiamo già pagato il pesante tributo di un milione di morti, un 'ininterrotta scia di sangue che ha accompagnato l'ascesa e l'affermazione di Saddam al potere. E che continuiamo a subire, anche in queste ore  una violenta operazione di pulizia etnica volta a cacciare i curdi dalle aree di Mossul e di Kirkuk, con una logica chiaramente razzista e con modalità degne dei nazisti. Ecco perché mi sentirei profondamente deluso dalla vostra incapacità di distinguere tra le ragioni di un popolo represso e massacrato e le responsabilità di un feroce dittatore che si è macchiato di crimini contro l'umanità. Per- ciò mi sentirei sgomento assi- stendo alle infuocate polemiche sulla pace e la guerra che non tengono conto della nostra atroce  realtà e della nostra legittima aspirazione a liberarci di questo despota. Vi direi che è assoluta- mente sbagliato e profondamente ingiusto nei nostri confronti ridurre il contenzioso a un braccio di ferro tra Bush e Saddam, consentendo così al Macellaio di Bagdad di incassare il sostegno di tutti coloro che a vario titolo condividono I'antiamericanismo.

Se fossi iraniano vi implorerei di rendere giustizia e di non offendere la memoria del milione di morti che abbiamo avuto in otto anni di una guerra scatenata dalla follia egemonica di Saddam. Vi ricorderei che contro di noi ha sperimentato per la prima voltale armi chimiche. Facendo fare un'atroce fine a centinaia dl,i migliaia di soldati nel giro di poche ore. 'Non volevate crederci perché la vostra priorità era di contenere la rivoluzione islamica. Allora vi abbiamo inviato i feriti con i segni indelebili dell’ iprite e dei gas nervini nei vostri ospedali. Siete rimasti imbarazzati, ma avete preferito continuare a  tacere. Aggiungerei che ha fatto tabula rasa delle nostre città di  frontiera, ha bombardato in modo disumano i centri abitatI, provocando, oltre alle vittime, danni per centinaia di miliardi di dollari. Vi sottolinerei che, nonostante tutti  gli impegni presi e le promesse fatte sin dal 1988, a tutt'oggi Saddam ostacola di fatto  la firma di un trattato di pace. Ecco perché vi pregherei di non fidarvi di un uomo che ha fatto carta straccia degli accordi internazionali. Non vorremmo continuare a pagare sulla nostra pelle le conseguenze della vostra tacita connivenza con questo despota. Ora più che mai vi supplicherei di non schierarvi dalla parte di Saddam, di non favorire in alcun modo la sopravvivenza del suo regime tirannico e espansionista.

SE FOSSI kuwaitiano vi chiederei incredulo come sia possibile che soltanto dieci anni dopo l'occupazione del mio piccolo paese, siete disposti a dare credito a un dittatore che, al pari di Hitler con l' Austria, fagocitò il Kuwait trasformandolo nella diciannovesima proVincia irachena. Vi metterei sotto gli occhi le reiterate dichiarazioni di Saddam e dei suoi lacchè, anche di pochi giorni fa, in cui continuano a minacciarci e a farsi beffe della nostra indipendenza e sovranità. Vi inviterei a toccare con mano le ferite tutt' ora aperte di quell'atroce esperienza: centinaia di prigionieri spariti nel nulla, le conseguenze delle distruzione dello scempio ambientale provocato da Saddam con le sue bombe e l'incendio di migliaia di pozzi petroliferi. Vi confesserei che noi viviamo con l'incubo che possa un giorno ripetersi l'occupazione del Kuwait e la repressione del nostro popolo. Ecco perché vi implorerei di non rendervi, anche involontariamente, complici delle mire diaboliche e disumane di Saddam.

SE FOSSI arabo ammetterei che Saddam è la più grande disgrazia di nome e di fatto, per il mondo arabo. Perché da quando assunse i pieni poteri nel 1979, ha trascinato l'intera regione in due guerre disastrose contro l'lran, e il Kuwait, che hanno dilapidato la nostra unica ricchezza petrolifera costringendoci ad acquistare un ingente arsenale bellico, così come ci hanno portato a spalancare le nostre porte agli eserciti stranieri. Grazie a Saddam si sono arricchiti i produttori di armi, a cominciare da quelli americani. Per colpa di Saddam gli Stati Uniti hanno consolidato la loro presenza militare nella regione petrolifera più importante della terra e più vitale per gli interessi dell'Occidente. Riconoscerei che  tutto ciò non è casuale dal momento che Saddam è stato un prezioso agente della Cia e che è grazie alla Ci che il Partito Baas iracheno arrivò al potere nel 1963 e nel 1968. Così come non fu casuale che Reagan prima e Bush senior dopo lo salvarono da una sconfitta certa nel 1982 e nel 1991. Inoltre vi chiederei dl considerare il danno immane provocato da Saddam alla questione palestinese. Dividendo e logorando il Mondo arabo e musulmano, egli ha indubbiamente favorito il calo dell'interesse e delI’impegno internazionale a favore di una giusta ricomposizione del principale conflitto medio-orientale. Vi assicurerei che nessuno di noi verserà una lacrima per l’uscita di scena di Saddam.

SE FOSSI un vero pacifista mi schiererei a fianco degli iracheni, degli iraniani, dei kuwaitiani, degli arabi e dei musulmani. Assumerei una posizione costruttiva a favore di tutte le vittime della tirannia di Saddam, di coloro che non riescono a elevare la propria voce per sostenere il loro diritto alla libertà ed alla pace. Mi libererei dalla gabbia mentale che porta a valutare tutto con l’ottica manichea di chi è pro e di chi è contro l’America. Capirei che la fondata opposizione a una guerra per il monopolio del petrolio e per l’egemonia regionale, non può far passare in second’ordine la legittima battaglia per il riscatto dalla tirannia di Saddam. Eviterei in tutti i modi che la crescita dell’antiamericanismo finisca, da un lato, per accelerare la corsa di Bush alla guerra e, dall’altro, per consolidare l’ostinazione di Saddam a restare al potere a qualunque prezzo. A fianco del giusto slogan “NO alla guerra di Bush”, sosterrei a viva voce “Sì alla legittima ingerenza umanitaria per liberare gli iracheni dalla tirannia di Saddam”. L’Iraq no è un Paese pacificato ma bensì in guerra da 30 anni, una guerra sferrata da Saddam contro il proprio popolo e quelli limitrofi. Non si tratta quindi di portare la guerra in Iraq, ma all’opposto di porre fine a una guerra che già c’è

SE FOSSI un politico onesto e lungimirante riconoscerei che Saddam è al pari di Slobodan Milosevic, se non molto di più, un tiranno da rimuovere dal potere. Direi che, se gli iracheni e gli altri popoli che hanno pagato con il proprio sangue e lo stillicidio delle proprie risorse non sono riusciti a liberarsene, è giusto che la comunità internazionale intervenga per aiutarli. Mi renderei conto che ci sono due milioni di "morti fumanti" per colpa di Saddam che è fuorviante dare la caccia a una singola "pistola fumante". Riconoscerei che le armi di distruzione di massa sono solo un sintomo e una conseguenza del regime di Saddam, ma che il vero problema è lui. Ammetterei che queste anni le possiede per- che gliele abbiamo date noi. Ugualmente ricorderei che queste armi le ha già usate perfino contro il proprio popolo e che quindi non si tratta di verificare se potrà mai usarle. Mi toglierei il paraocchi che mi impedisce di vedere l'impressionante macchina bellica americana già dispiegata nel Golfo e di prendere atto che Bush ha già deciso di fa- re la guerra; Mi attiverei per imbrigliare la controversa "guerra di Bush" portandola nell’alveo delle Nazioni Unite per trasformarla in una legittima" operazione di ingerenza umanitaria". Mi assicurerei che che il tutto avvenga nel rispetto della medesima legalità internazionale che ha ispirato gli interventi nell’ex Jugoslavia e nel Kuwait. Infine capirei che bisogna agire in fretta perché il tempo limite sta per scadere. Speriamo che non sia già troppo tardi.

 

La Stampa – del 16/02/03 di Pierluigi Battista

EPPURE D´ALEMA AVEVA DETTO: «SAREI FELICISSIMO SE FOSSERO RIVENDICATI ANCHE I DIRITTI DEL POPOLO IRACHENO»

Saddam, il «grande dimenticato» Contro di lui né polemiche né ironie

Il Raìss non era tra gli obiettivi di striscioni e slogan della manifestazione


ROMA MA Saddam, dov´è? Niente da fare, Saddam Hussein non è qui. In questo oceano di folla che sciama per Roma, dove sono i cartelli contro Saddam, gli slogan contro Saddam, gli striscioni contro Saddam? L´occhio del cronista, che probabilmente si sbaglierà per difetto considerata l´enormità della manifestazione, ne ha visti tre. Uno striscione su fondo giallo recita così: «No alla guerra, no a Saddam» ed è retto da un gruppo di giovani iracheni. Poi c´è una ragazza che porta con orgoglio il suo cartello: «Saddam in esilio, Bush a casa». Infine un altro cartello, con disegno stilizzato, scritta rossa su fondo nero: «Stop alle bombe, stop a Saddam». Migliaia di cartelli contro Bush, migliaia di cartelli contro Berlusconi, tantissimi che sbeffeggiano le tre B, quelle di Bush, Berlusconi e Blair. Ma la S di Saddam latita, è inesistente, psicologicamente ed emotivamente fuori dal cuore di questo immenso happening multicolore. Saddam Hussein non c´è, cancellato, totalmente rimosso. Eppure era questo l´auspicio di Massimo D´Alema: «Sarei felicissimo se sabato prossimo ci fossero anche striscioni e slogan per rivendicare i diritti e la libertà del popolo iracheno». D´Alema sarà felice per la straordinaria riuscita della manifestazione, ma come presidente dei Ds dovrebbe prendere atto che pochi militanti del suo partito hanno fatto sì che il suo auspicio venisse realizzato. Anche Walter Veltroni, sindaco di Roma che ha portato in dote un gigantesco drappo con i colori dell´arcobaleno issato sul pennone del Campidoglio, aveva detto: «Spero che alla manifestazione ci siano tanti striscioni contro Saddam. Il pacifismo vero non può accettare un criminale che cancella la libertà di stampa, che perseguita i curdi, che costringe un popolo alla fame». Speranza frustrata. Certamente il pacifismo italiano è come lo descrive Veltroni, ma a Roma questa sua natura è stata occultata pudicamente. Forse sarà per un´altra volta, ma non uno slogan, in questa appassionata e allegra manifestazione, si è levato contro il «criminale». Sarà per un´altra volta. Ma, questa volta, non è stato così. Eppure sono tante e variegate le anime che danno vita al popolo pacifista di Roma. Ci sono gli estremisti, e ci sono i moderati. Gli atei e i credenti, gli ex comunisti e gli ex democristiani, i giovani e i vecchi, gli arrabbiati e i tranquilli, i «cani sciolti» e gli organizzati, quelli che son venuti con i mezzi propri e quelli che sono arrivati in carovane. Ma Saddam non c´è mai. Passano e si esibiscono le varie anime del corteo ma la ricerca di un sia pur piccolo indizio che le speranze di D´Alema e di Veltroni abbiano ricevuto il conforto dei fatti è destinata alla reiterata frustrazione. Arrivano i Cobas che gridano «fuori l´Italia dalla Nato, fuori l´Italia dalla Nato». Con il loro oltranzismo verbale, il risultato della ricerca è scontato. Nemmeo un lontanissimo accenno a Saddam. Anzi, in questo spezzone della manifestazione vengono pure sventolate bandiere dell´Iraq. Non è forse l´Iraq la vittima designata dei guerrafondai americani e degli europei loro «servi»? Non è forse questa la «guerra del petrolio», la «guerra dei padroni»? Dunque è inutile cercare notizie di Saddam qui. Ci si può provare con un gruppo di boy scout. Vestono la loro divisa. Hanno facce di ragazzi perbene, solari, impegnati, non banali. Agitano vessilli arcobaleno acquistati nei pressi di piazza San Pietro. Ma anche qui Saddam è sparito. Non fa presa. Non è tra gli obiettivi della festosa ironia. Non è il turno del «criminale», forse. Arriva un gruppo di festosi militanti della «Sinistra giovanile», calamita della nuova generazione che fa capo ai Ds. D´Alema è il loro presidente, forse ne vorranno ascoltare i ragionevoli consigli. Invece no. Ballano al ritmo dell´allegra musichetta che viene dagli altoparlanti collocati su un pulmino. Sono sarcastici, trasgressivi, elettrizzati nel calore comunitario dell´adunata oceanica. Ma non tanto da sprecare cartelli e striscioni contro Saddam Hussein. Distrazione o critica politica alle speranza di D´Alema e Veltroni? Inutile attendersi qualcosa dai «Disobbedienti» scatenati. Forse l´intero universo emotivo è concentrato nell´ostilità per l´«Amerika», o forse sono così disobbedienti che vogliono disobbedire alla nomenklatura della vecchia sinistra. Fatto sta che Saddam, anche qui, non c´è. E nemmeno nel gruppo «Attac», e nemmeno nelle tante articolazioni locali dei «Forum», dei «centri sociali». O nell´Arci, che ha addirittura firmato ed esibito una bandiera in cui l´arcobaleno si trasforma gradualmente nella bandiera dell´Iraq orgogliosamente esibita. Naturalmente nessuna bandiera d´Israele (da esibire, non da bruciare), neanche a mo´ di compensazione. Ci sono tantissimi gonfaloni, nell´immenso corteo. Una quantità strabocchevole di Comuni, Province e Regioni che hanno aderito alla marcia della pace. Tanti sindaci, famosi e meno famosi, con indosso la fascia tricolore, tanti vigili urbani che portano con fierezza le insegne del loro municipio. Ci sarà qui, in questo spezzone istituzionale della manifestazione, qualche accenno critico al dittatore, un cartello contro il tiranno che vessa il suo popolo? No, Saddam Hussein non è qui, né in effigie né nei cuori gonfi di indignazione anti-americana (c´è pure Bush che assomiglia ad Hitler) di un popolo che protesta perché l´ultima parola dei padroni della guerra e sulla pace a suo parere verrà detta a Washington. Che c´entra Baghdad, malgrado gli auspici di D´Alema e di Veltroni (e i timori di Giorgio Napolitano, che aveva detto di aver paura della deriva antiamericana e indifferente a Saddam del popolo della pace). In lontananza si vedono le bandiere della Cgil. No, neanche qui. Nemmeno tra le bandiere del più grande sindacato italiano, Saddam Hussein merita uno sberleffo, una battuta, uno slogan, un cartello irridente. Niente. E niente nemmeno tra le bandiere della Cisl, il sindacato moderato. Moderato in tutto, in questa manifestazione. Ma non talmente moderato da contrastare l´umore dominante, decisamente smoderato nei confronti degli Stati Uniti d´America. Arrivano i cattolici. Due di loro portano un cartello gentile e pensoso: «La pace è un dono di Dio». Si capisce che non hanno alcuna simpatia per il despota di Baghdad, ma non al punto di sfidare il tono prevalente nella manifestazione, lo spirito profondo che è tutto un «senza se e senza ma», ma non appare affatto in sintonia con gli auspici di chi premeva per una pressione psicologica anche nei confronti del «criminale» iracheno. Saddam? Saddam Hussein non è qui, a Roma, bersaglio di milioni di pacifisti.

 

REPUBBLICA 19 gennaio 2003

 

 

MA A BAGDAD NON C’E’ LIBERTA’ DI DISSENSO

ADRIANO SOFRI

 

 

IERI marce contro la guerra hanno attraversato molte città americane. A metà febbraio

le città d'Europa (e non solo) saranno riempite da persone angosciate e scandalizzate.

Che cosa diranno queste persone? È difficile figurarsi che cosa sarà già successo prima del 15 febbraio, e se la data avrà dovuto anticiparsi. I manifestanti dovranno comunque scegliere le loro parole d'ordine. È già chiaro che la guerra contro I'Iraq metterà insieme nella protesta sia i pacifisti " di principio"- contro la guerra "senza se ne ma", come ora si dice- sia i persuasi dell'errore, o del delitto, di questa specifica impresa militare.

Sono moltissimi, anche questi ultimi: spinti dallo sdegno contro il proclama della guerra preventiva; dalla convinzione che una guerra che non riesce a provarsi inevitabile è proprio per questo inaccettabile; e dalla ribellione ad una ultrapotenza americana che fin nel linguaggio del suo capo-«Sono stufo...» -offende l'udito universale. In Europa l' ampiezza del dissenso da questa guerra è impressionante, e non ha fatto che crescere lungo la colossale campagna interventista, come mostra la Gran Bretagna, dove ancora poco fa la percentuale di oppositori toccava sì e no un terzo di quella, plebiscitaria, della Germania. Oltre alla mancata- fino a prova contraria -scoperta della pistola fumante, fissata come condizione effettiva o cerimoniale dall'Onu, impressiona la follia di una gigantesca impresa militare dai costi e dalle conseguenze imprevedibili che potrebbe, si dice, essere evitata dalla rimozione di un solo (e orrendo) uomo.

I manifestanti -me compre- so, sarei con loro se non avessi altri impegni -protesteranno evidentemente tutti, sebbene in modi molto diversi, contro la politica americana: alcuni preferiranno gli slogan contro gli Stati Uniti, altri gli slogan contro l' Amministrazione Bush. Se andasse solo così, le manifestazioni avrebbero una mezza ragione,e dunque rischierebbero un torto intero.  Saddam Hussein è infatti affare dei manifestanti -ho già provato qui ad argomentarlo. Lo è a maggior ragione nella urgente vigilia della guerra. Sono ben pochi i pacifisti di ogni ispirazione che non rispondano, a domanda, che Saddam è "ovviamente" un nefando tiranno sanguinario, ammazzatore al dettaglio e al- l'ingrosso della gente altrui e della sua. Tuttavia arrivano al disastro lungamente annunciato e distillato della guerra senza che si siano mosse memorabili manifestazioni di protesta contro Saddam, e anzi senza che le numerose e vaste mobilitazioni per la pace e contro gli Stati Uniti abbiano compreso significative denunce del regime iracheno. C'è qualcosa in più. Alla certificazione ormai straripante della mostruosa biografia di Saddam (per la quale non è un'attenuante la trascorsa complicità "realistica" delle potenze occidentali, a cominciare dall ' americana: aggravante bensì del cinico o stupido realismo di queste ultime) si aggiunge ora una responsabilità che da sola può valerle e batterle tutte. Perché anche dove fossero i più brutali e falsificati moventi a spingere potenze guerrafondaie all 'assalto di Bagdad, anche se Saddam Hussein fosse il leader amato e voluto dal cento per cento delle genti irachene, di fronte alla certezza e all’imminenza di una guerra schiacciante contro il suo paese che potrebbe essere sventata da un suo personale sacrificio -neanche supremo: un arrangiamento di prima classe a Mosca o a Tripoli - Saddam dovrebbe sbrigarsi a

 

levarsi di torno. Non so quanti cittadini iracheni -sciiti e sunniti e curdi, tutti bolliti oggi nel- la caldaia del cento per cento - griderebbero forte, se fossero liberi di farlo: «Saddam vattene!». Molti, moltissimi, credo. Anche continuando a maledire gli americani. Ebbene, i manifestanti europei e americani contro la guerra sono liberi di gridare: "Saddam vattene!», e di gridarlo almeno altrettanto forte che gli slogan contro Bush e Blair. Se non  l'hanno già deciso, propongo loro di farlo, a pieni polmoni. Non riesco a trovare nessuna passabile ragione che 10 sconsigli. Denunciare l'indegnità di un dittatore (e oltretutto vietargli di deformare in favore proprio e della propria: propaganda l' altrui passione per la pace) rischia forse di indebolire l'opposizione alla guerra preventiva di Bush e dei suoi alleati? No, anzi. E la minaccia alla pace e al diritto che viene dalle tirannidi diffuse, spregiudicate maneggiatrici di armi di distruzione di massa, è forse un'invenzione america- na ? Non si può dichiarare la propria solidarietà col popolo iracheno senza rivendicare che Saddam 10 liberi dalla sua abietta oppressione. In buona parte del mondo più o meno democratico si discute da tempo, e ormai pubblicamente, di come eliminare Saddam, assassinio compreso. Non ci riescono, pare. Si può esserne dispiaciuti o no. Ma bisogna dirgli sul muso che vada a farsi fottere. Non si darebbe con ciò partita vinta all'arroganza americana. Caso mai, si toglierebbe un pretesto essenziale a chi davvero miri a una guerra a tutti i costi, Saddam o no. E si mostrerebbe che la passione per la pace non accetta di barattarsi con quella per la giustizia e la libertà.