Devianza , criminalità e sistemi normativi

Recentemente la televisione ha trasmesso il bellissimo film di Frank Darabont " Il miglio verde ". Questo film , come l’altro capolavoro del regista , " Le ali della libertà " , pongono interrogativi inquietanti sul concetto di criminalità , di devianza e sulla pena di morte , che ahimè è ancora in vigore in alcuni paesi . Pertanto , constatando che i sistemi di controllo sociale dilagano , e considerando che nuove forme di segregazione vengono legittimate , ritengo che sia necessario analizzare le complesse problematiche inerenti la " devianza" . Partendo da questi presupposti e valicando l’impianto concettuale delle verità ortodosse e delle norme , si evince che la legge della paura , della forza , delle camere a gas , della sottomissione pecorina alla volontà patriarcale , è stata una costante . Non senza ragione Joseph Conrad sosteneva che la credenza di un’origine soprannaturale del Male non è necessaria , dal momento che gli uomini di potere sono capacissimi di qualsiasi malvagità .

D’altro canto , psicologi e criminologi hanno ripetutamente osservato che il Bene ( cioè la società ) viene raffigurato nell’atto di debellare il Male ( cioè il condannato ) . Preso atto , dunque, che le regole della Realpolitik dell’universale sono generate dai poteri di dominazione , si rileva che il cosiddetto Male è un riflusso , un tanfo di corpo malato, pregno di imposture.

Sarebbe quindi opportuno promuovere una riflessione critica sul fatto che anche se per secoli si è cercato di debellare il Male , la criminalità non è mai stata sconfitta . Difatti , assassinio , rapina , stupro , tutti i delitti del vecchio repertorio , più qualche novità postmoderna ,continuano a manifestarsi con inquietante puntualità . Ne consegue che l’eliminazione e la segregazione di alcuni uomini non annientano il Male , ma consentono solo una rappresentazione simbolica del Bene . In realtà , al di là dei riti di istituzione e delle credenze preriflessive , emerge che , a rigore di logica , la giustizia , intesa in senso lato e alto , non dovrebbe mai sopprimere la vita , né dovrebbe infliggere pene brutali .

Inoltre, occorre meditare sul fatto che come le streghe sparirono quando sparì chi le mandava al rogo , così gli uomini " mostruosi " e "diabolici " potrebbero svanire , se la società smettesse di renderli quello che sono per poi virtuosamente farli fuori .

D’altra parte , la giustizia non può essere considerata un ente supremo , vuoi perché è incorporata in determinati modelli culturali , vuoi perché non ha il potere di agire indipendentemente dai suoi agenti . L’arbitrio della forza razionalizzata , la violenza extralegale su cui poggia l’ordine legale , il positivismo legalistico , i meccanismi di potere , comportano, dunque, che la cosiddetta giustizia si riveli sovente prostituta , sadica , schizofrenica . Non senza ragione Machiavelli la definì " una creatura sottomessa , schiava del potere " . Vero è che la società , creando una netta linea di demarcazione tra vizio e virtù , promuove nell’immaginario una valvola di sicurezza , che porta poi l’individuo a dislocare le contraddizioni sociali e ad esorcizzare le paure collettive nelle quali si trova immerso . Da qui la legittimazione dell’esercizio del potere , l’istituzionalizzazione delle forme più aberranti di castigo , la produzione di " mostri " . In realtà , una comunità che non osa proteggere il suo più umile e più odiato elemento nella libera espressione delle sue opinioni, per false e ripugnanti che possano essere , non è che una massa di schiavi . Difatti , la giustizia irosa che , per consuetudine , uccide ed emargina i propri simili , senza comprendere le ragioni del crimine , della devianza , ecc. , assolve la barbara funzione di mattatoio sociale . Eppure si continua a pensare che il problema della criminalità possa essere risolto eliminando il criminale . Andando al di là del bene e del male , invece , si dovrebbe prendere coscienza che " il nostro crimine contro i criminali consiste nel fatto che noi li trattiamo come bricconi " ( Nietzsche ).

La verità è che i carnefici , gli apostoli della " giustizia ", non sono i ministri del volere divino , ma solo gli esecutori di un sistema sociale che condanna , emargina , etichetta , sulle basi del codice delirante del potere .

La giustizia retributiva , il paradigma del castigo , non possono rappresentare , dunque, una risposta alla criminalità e alla " devianza " , occorre , invece , che la comprensione sia sostituita alla vendetta . D’altra parte , le vocazioni , le carriere criminali sono il prodotto di diverse e variegate cause e non si lasciano certo situare in base al fattore geografico o topografico . Al di là di un mistificato impianto concettuale , la psicopatia del criminale , oltre ad essere una malattia del suo spirito , è anche il risultato di una società che alla comprensione del problema , alla cura , sostituisce la vendetta , il castigo , la segregazione .

Per quanto concerne la pena di morte , tuttora in vigore negli Usa e in altri paesi , conviene ricordare un episodio che suscitò grande clamore in tutto il mondo , ossia quello del " bandito della luce rossa " Caryl Chessman . Quest’ultimo fu condannato dallo stato californiano nel 1948 , e giustiziato , peraltro per reati non commessi , dopo 12 anni . Nel lungo periodo passato nel " Braccio della morte " , Caryl , attraverso un iter pregno di dolore e con un esemplare impegno culturale , diventò un grande scrittore , un acrobata giuridico e un uomo dotato di particolare sensibilità . Per comprendere appieno la catarsi di Caryl sono illuminanti le sue affermazioni : " I lunghi anni vissuti in questo crogiolo che chiamano " braccio della morte " , mi hanno portato di là dall’amarezza , dall’odio, dalla violenza animale " . Onde evitare fraintendimenti , è bene precisare che non tutti i detenuti hanno la vivida intelligenza , lo spirito indomito , le potenzialità di Chessman , sicché sarebbe quanto mai fuorviante argomentare che il carcere duro possa essere foriero di una sana redenzione .

Bisogna , invece , riflettere sul fatto che Caryl , pur essendo cambiato profondamente , fu giustiziato , in nome di una brutale tautologia ,ossia che " la legge è legge e nient’altro ".

Inoltre , rivisitando l’inquietante episodio , si rileva che la condanna fu fortemente supportata dall’opinione pubblica , aizzata dalla stampa , e ciò influenzò un settore della magistratura .

Le perverse e " oscure " macchinazioni emergono da palesi incongruenze e da profonde lacune degli atti processuali . Il quesito che si pone è : Caryl fu un eroe ? Fu in realtà solo un uomo . Ma , l’uomo che entrò nella cella della morte non era più l’adolescente traviato che dodici anni prima era entrato in carcere . Quei dodici anni , infatti , furono proficui , egli li occupò a scrivere quattro libri , a studiare diritto e letteratura , ad apprendere lingue straniere , soprattutto a rifarsi una coscienza e una moralità . Ciononostante , la giustizia cieca , ottusa , schiava dei poteri e dei pregiudizi , condannò un uomo che avrebbe potuto dare un positivo contributo a tutta la società . Il macabro episodio dimostra che i criminali non possono essere rappresentati come perverse incarnazioni del Demonio allo stato puro , anche perché gli assassini sono nati nella medesima comunità in cui sono nati i virtuosi .

In realtà , il castigo , le forche , le camere a gas , il carcere duro , appagano spesso un atavico bisogno di emozioni e , al tempo stesso , sono funzionali ai sistemi di dominazione per manipolare le coscienze .

Sarebbe , pertanto , auspicabile promuovere una seria riflessione sulle motivazioni e sui complessi meccanismi , che portano un’acritica opinione pubblica , ieri come oggi , a bollare il criminale , rifiutando di analizzare obiettivamente quali forze hanno generato il "mostro ". Vero è che l’impresa risulta piuttosto ardua , perché nell’immaginario collettivo la legge funge da catalizzatore , facendo dimenticare così che , come voleva S, Paolo , " se la legge facesse di noi degli uomini giusti , Cristo sarebbe morto per nulla ". Ciò significa che lo slogan dei movimenti pacifisti " fuori la guerra dalla storia " dovrebbe assumere una valenza ampia e variegata , infatti , dovrebbe espellere tutti i paradigmi della violenza che si sono sedimentati nella storia .

Per quanto concerne la legge , conviene precisare , che non va penalizzata tout court , perché essa offre alla pubblica accusa una spada , ma , nel contempo , fornisce all’imputato uno scudo . Pur rilevando l’ambivalenza della legge , non si può negare,però, che la giustizia e la verità sono state perennemente disoccupate . Ciò è ampiamente suffragato dal fatto che i criminali della storia , ossia gli uomini di potere , hanno seminato sempre morte e distruzione . Non senza ragione Foucault sosteneva che la guerra è il motore delle istituzioni e che la storia è un operatore di potere .

Ne consegue che il cosiddetto "Male" valica i paradigmi di un riduttivo manicheismo , dal momento che risulta arduo stabilire la linea di demarcazione tra criminalità legale e quella illegale . Ciò detto , analizzando il fenomeno criminoso , si rileva che esso ha sempre suscitato grande interesse , tant’è che scrittori e filosofi attraverso i secoli sono stati attratti dal problema . Platone considera il crimine come sintomo della malattia dell’anima , Aristotele pone l’accento sull’origine passionale-irrazionale . S. Tommaso, invece, pur attribuendo alle passioni umane la maggior parte dei crimini , non trascura di evidenziare che anche la miseria è un fattore criminogeno . Furono , però, Calvino , Montesquieu , Rousseau, Bentham, Beccaria , che cominciarono a considerare alcune manifestazioni di criminalità come fenomeni a sfondo sociale ed economico .

Preso atto che l’interesse per il problema è stato sempre vivo , occorre rilevare che la criminologia , intesa come scienza autonoma , nasce a metà del secolo XIX .

Non potendo esplicitare in modo esaustivo tutto l’iter delle ricerche scientifiche , ritengo, però, che non si possa prescindere da un breve riferimento alle teorie lombrosiane .

Lombroso , avvalendosi dello studio antropometrico , sostenne la nota teoria del " delinquente nato " . Se l’atavismo lombrosiano risulta opinabile e fuorviante , è altresì vero che lo studioso ha avuto il grande merito di aver esteso i metodi della ricerca scientifica all’analisi dell’uomo autore del reato .

Successivamente le ricerche si sono affinate e hanno spaziato in diversi campi , tant’è che sociologia , psichiatria , psicanalisi , psicosociologia , riflessologia , antropologia culturale, hanno contribuito a fornire le coordinate della criminologia . Ovviamente non si è trascurato il rapporto tra criminalità , sistemi politici e condizioni economiche .

Considerare questo rapporto non è un’impresa facile , perché richiede la rimozione di tutte le forme di ideologismo e di determinismo . Da qui la necessità di evitare un approccio settoriale , per mettere in luce che la riduzione del pauperismo non può risolvere tout court il complesso problema della criminalità . Difatti , pur riconoscendo l’alta incidenza del fattore-miseria e di tutti i fattori ambientali –situazionali , conviene sottolineare che le forme motivazionali della criminalità sono variegate e non si possono attribuire solo a finalità di arricchimento economico , ma anche all’aggressività ,alla sessualità, al ludismo , alla psicopatia , alle pulsioni ossessive , alla brama sessuale ,alle perturbazioni psichiche , ecc. , basti pensare a quella che si definiva "criminalità dei colletti bianchi". Il marxismo dogmatico e acritico , invece, vede nel capitalismo e nelle sue derivazioni economiche l’unica ragione della condotta criminale . In realtà questa chiave di lettura è settoriale , vuoi perché il problema della delinquenza si è manifestato anche prima del capitalismo , vuoi perché la criminalità non può essere ridotta esclusivamente ad una concezione di classe . Al contrario un’utilizzazione pregnante del marxismo emerge all’inizio del novecento con Bonger . Quest’ultimo , andando oltre la denuncia delle responsabilità del capitalismo e della ingiustizia sociale , ha evidenziato come un sistema di produzione basato sulla proprietà privata e sul profitto sia contrario allo sviluppo dei legami di reciprocità . In altri termini , il capitalismo , rendendo gli uomini più egoisti , li predispone all’agire criminoso .

Inoltre , alcuni sociocriminologi associano il delinquente al proletario , sicché la devianza sarebbe una sorta di lotta di classe inconsapevole . Anche questa chiave di lettura risulta opinabile , perché opta per un approccio monocausale , trascurando così la complessità del problema .

Per quanto concerne la cosiddetta " devianza " è invece illuminante il concetto di "anomia", introdotto in sociologia da Durkheim . L’anomia , letteralmente assenza di norma , assume il significato di " frattura delle regole sociali " , ovvero perdita di valore della norma . Ciò si verifica , secondo Durkheim , allorchè molte persone di un sistema sociale nutrono un minore rispetto per le norme per cause intrinsecamente connesse alla stessa struttura sociale . Il rifiuto della norma avviene soprattutto quando una società , per via di rilevanti mutamenti economico-sociali , perde di credibilità e di legittimità . Da qui un disorientamento delle aspettative , uno stato di sregolatezza , che generano una sorta di gara verso mete irraggiungibili , sicché meno un soggetto si sente limitato , maggiormente intollerabile appare qualsiasi limitazione . Inoltre , il grande sociologo ritiene che le cause della anomia siano da ricercare nella iperstimolazione delle aspirazioni in misura di gran lunga superiore ai mezzi per soddisfarle , nella insofferenza verso i sistemi di controllo e nel fallimento della società nel porre limiti alle domande dei vari gruppi sociali . Questi fenomeni sono collegati alla fase espansionistica della economia capitalistica , alla meta del progresso economico fine a se stesso , al mito del successo , al miraggio di un accrescimento sempre più rapido e concorrenziale . Questa commistione di cause determina la frattura delle regole sociali e , al tempo stesso , provoca un senso profondo di frustrazione e di inquietudine .

Le osservazioni fatte mettono in luce che la complessità del problema richiede la rimozione di teorie e griglie interpretative monocausali e impone , invece , l’assunzione di un indirizzo multifattoriale . Attualmente una comprensione esaustiva della "devianza " potrebbe essere particolarmente proficua , perché stanno dilagando forme aberranti di esclusione , di emarginazione , di xenofobia .

Ma a questo punto , dal momento che la mistica della violenza simbolica imperversa, producendo stereotipi vecchi e nuovi , è opportuno fare un breve cenno alla situazione odierna . Oggi , per via del capitalismo globale , si registra un incremento della criminalità transnazionale caratterizzata da attività diversificate . Difatti , ai terreni tradizionali , ossia prostituzione , traffico di stupefacenti e di armi , si sono aggiunti il traffico di tecnologia nucleare , il commercio di organi , l’organizzazione dell’emigrazione clandestina . Va precisato che questi fenomeni non sono congiunturali , ma strutturali e sistemici . Se la logica di mercato del globalismo incrementa la criminalità transnazionale , è altresì vero che non si può nè circoscrivere il fenomeno , né si può cadere nelle fuorvianti strumentalizzazioni del discorso sicuritario .

Considerando , però, le eclatanti regressioni e le politiche reazionarie nei confronti degli immigrati , dei "diversi"e delle anime ribelli e creative , vale la pena insistere ancora sul problema della criminalità e della devianza. Innanzitutto, per debellare i paradigmi del potere e del biopotere , si dovrebbero rimuovere categorie obsolete e apriorismi ideologici. Sicchè , valicando vetusti schematismi , occorre rilevare che il problema della criminalità non può essere recepito come fatto contingente , perché esso è una costante della storia . In realtà la criminalità varia nel tempo e nello spazio solo per quantità e qualità , infatti , nessuna nazione , sistema sociale , regime politico, ordinamento giuridico , apparato sanzionistico e poliziesco , sono riusciti non solo ad affrancare l’umanità dal crimine , ma neppure ad impedire il triplice fenomeno dell’aumento , dell’omogeneizzazione e della internazionalizzazione . Inoltre , negando le coordinate di un riduttivo determinismo, si evince che la criminalità è distribuita in tutti i gruppi sociali : le classi povere non commettono più delitti delle classi abbienti , anche se queste non sono parimenti criminalizzate e punite . Ciò detto , giova analizzare attentamente la cosiddetta devianza , per ovviare all’ipergeneralizzazione , alle semplificazioni e ai rituali sociali di esclusione –inclusione. Un’indagine sul vasto concetto di devianza mostra che esso non è definibile in assoluto, perché è strettamente connesso alle aspettative sociali codificate in leggi . In realtà, la nebulosa categoria della devianza crea una sorta di cortina fumogena su quelli che sono gli autentici problemi della società . Basti pensare che in passato anche le malattie mentali e gli handicap di vario genere venivano etichettati come devianti , e ciò comportava l’affidamento ad istituzioni residenziali . Ciò significa che il concetto di devianza va sempre considerato in relazione a quello di normalità , agli stereotipi culturali, , alla vocazione moralistica della società . Non senza ragione Alessandro Dal Lago sostiene che la sociologia , alla pari di qualsiasi altro sistema di credenze secolarizzato , è una sorta di narrazione morale che tuttavia , a differenza dei sistemi di pensiero ottocenteschi , si spinge fino a precisare nei minimi dettagli il proprio catechismo . Al di là delle rappresentazioni e delle raffigurazioni emerge ,dunque , che " la normalità è qualcosa che la teoria sociale ha sempre presupposto senza però chiarire i contenuti e gli ambiti". Difatti tutte le ricerche hanno focalizzato l’attenzione sulla conoscenza dell’anormalità , trascurando così un elemento essenziale , ossia che tutti i sistemi normativi sono incorporati nei processi sociali e nei modelli culturali .

A questo proposito A. Dal Lago osserva che " con l’eccezione di Durkheim , la sociologia classica ha eluso il problema , o meglio l’ha dislocato , concentrandosi sulle spiegazioni delle trasgressioni ".

"Scorrendo la letteratura sociologica che va, grosso modo , dagli anni 30 alla fine del secolo XX , si trova che , volta per volta , sono stati ( e sono ) considerati casi empirici di devianza ( al di fuori dei crimini più gravi come rapina , omicidio , stupro , spaccio di droga , ecc. ,) : la prostituzione ma anche il lavoro delle entraineuses , il vagabondaggio e un gran numero di stili di vita marginali , innumerevoli forme di protesta urbana , le cosiddette malattie mentali e in generale " disturbi del comportamento "( A. Dal Lago "La produzione della devianza ") .

Preso atto , dunque , che il concetto di devianza risulta vago quanto quello di normalità , giova promuovere una disamina controfattuale e critica sulla patologia della normalità e sulla convalida consensuale di alcuni paradigmi . Innanzitutto è necessario decostruire i variegati aspetti della società patriarcale , che di fatto non è mai stata debellata. Ciò sarebbe quanto mai proficuo , perché consentirebbe un’indagine alternativa ed eretica sui meccanismi di oppressione , di ineguaglianza , di sottomissione . Difatti , rivisitando l’origine delle mistificazioni , si evince che le società hanno istituito il sacro a garanzia del profano . Da qui un ordine gerarchico fondato sul principio del Padre e sulla figura istituzionalizzata del Custode della legge . Quest’ultima istituisce così il primato dell’uomo sulla donna e , al tempo stesso , legittima stratificazioni , prevaricazioni e fuorvianti stereotipi . Notoriamente, con la società moderna , si distrugge il sistema rigido delle gerarchie e si produce un‘organizzazione fondata sul principio della differenziazione funzionale , che rimuove , però, , ogni investimento affettivo . Pur constatando la discontinuità tra due modelli di società , conviene rimarcare che alcuni paradigmi si sono perpetuati , tant’è che il "diverso" è stato sempre penalizzato . Assodato , dunque , che le discriminazioni hanno sempre avuto diritto di cittadinanza , occorre sottolineare che , se la criminalità è una costante della storia, è altresì vero che nella categoria della devianza vengono inscritte tutte le forme di sovversione ,di presunto disordine sociale , di follia . Non senza ragione Foucault , parlando della repressione della follia , sosteneva che quest’ultima è " il linguaggio escluso- - quello che pronuncia , contro il codice della lingua , parole senza significato ( gli insensati , gli imbecilli , i dementi ) , o quello che pronuncia parole sacralizzate (i violenti , i furiosi ) , o quello ancora che fa passare dei significati vietati ( i libertini , gli irriducibili ) ". Ciò significa che le leggi , il codice linguistico , la cultura dominante , la violenza simbolica del potere , escludono le parole " blasfeme " e condannano il libertinaggio del pensiero , l’eterodossia e tutto ciò che deborda .

Purtroppo , le dinamiche dell’esclusione non sono state debellate , tant’è che oggi come ieri dilagano , anche se al sistema di internamento è stata sostituita la società di controllo. Difatti, l’attuale regime di dominazione , in nome dell’ordine e della sicurezza , stigmatizza ogni forma di "devianza " con una repressione preventiva . Il disordine viene così percepito come evenienza mostruosa , abnorme e destabilizzante . In realtà sono proprio i guardiani dell’ordine che producono l’evento mostruoso per governare mediante la paura . Ciò non significa negare la presenza di veri criminali, ma si vuole evidenziare solo che i meccanismi di rifiuto| esclusione sono parte integrante della produzione sociale del crimine . Per comprendere appieno l’assetto sistemico postmoderno , caratterizzato da una serie di processi globali , non si può prescindere da un riferimento alla glocalizzazione . Questo termine , creato da Roland Robertson , illumina l’inestricabile unità delle spinte alla globalizzazione e alla localizzazione . Da qui l’arbitrio poliziesco della sovranità globale, che per eliminare l’esercizio della libera scelta , genera e incrementa a livello planetario sentimenti di paura e di ansia . Il gioco perverso del mondo della rappresentazione , debitamente surriscaldato dai mass-media , dilata così l’allarme-criminalità e , al tempo stesso, spinge ad enfatizzare le figure di eroici poliziotti .

In realtà , al di là dei giochi di prestigio del biopotere , nella società globalizzata si mettono a punto le tecniche per confinare nello spazio i rifiuti della globalizzazione.

Pertanto , constatando che l’uso della carcerazione e della immobilizzazione dilaga , tant’è che lo stato di detenzione sta crescendo in tutti i paesi , giova fare un breve riferimento al libro di Thomas Mathiesen , " Processo alla prigione ". L’autore , con esemplare perizia, esamina le teorie addotte per giustificare l’uso della carcerazione come metodo per risolvere "problemi sociali acuti e dannosi ". Mathiesen , con la sua illuminante indagine , considera le diverse teorie : da quella che attribuisce alla prigione un ruolo di prevenzione , a quelle che rimarcano il ruolo di neutralizzazione e deterrenza , infine a quella che vede nel carcere semplicemente una punizione . La conclusione è che , senza eccezioni , tutti i paradigmi sono deboli sul piano logico , ingiustificabili sul piano empirico e privi di fondatezza sul piano etico . Difatti - osserva Mathiesen : " Che fondamento morale si ha per punire qualcuno , magari duramente , al fine di evitare che individui del tutto diversi commettano atti simili ? ". Inoltre , la questione è preoccupante sul piano etico in quanto " coloro che puniamo sono persone in larga parte povere e gravemente segnate , le quali hanno bisogno di assistenza piuttosto che di essere punite ". Valutando poi gli effetti della carcerazione , è opportuno aggiungere che la comunità carceraria può agire come fattore favorente , anziché inibente , della recidiva . Ciò è da imputare alla violenza istituzionale , al contagio inter-delinquenziale , all’addottrinamento dei più esperti verso i meno esperti di arti criminose, alla depersonalizzazione imposta .

E’ evidente quindi che contro le immagini e le parole d’ordine di tutti i regimi di dominazione , occorre negare la politica bellica dell’esclusione e promuovere, invece, sentimenti di reciprocità , di comprensione , di affetto . Per rimuovere gli schemi concettuali di un devastante moralismo , sarebbe opportuno rivisitare Pascal . Quest’ultimo , considerando la duplicità dell’uomo , sosteneva: " E’ bene che l’uomo non si creda eguale né agli angeli né ai bruti , e che non ignori né l’una cosa né l’altra , ma che le conosca entrambe ".

E’ necessario , dunque , mettere in discussione la legittimità epistemologica di alcune opinabili definizioni inerenti l’ambiguo concetto di devianza , nella consapevolezza che i nuovi meccanismi di controllo non hanno nulla da invidiare alle forme di internamento più dure . Pertanto , pur prendendo atto che il problema della criminalità è una costante della storia , giova smascherare tutte le forme di falsa coscienza e di autoalienazione schizoide , per demolire le leggi locali e translocali della repressione e per demistificare l’immoralità del moralismo strumentale . Vero è che l’impresa si rivela piuttosto ardua , perchè , come vuole Marco Bascetta , oggi in fatto di mostri regna una mostruosa confusione . Difatti , " esistono mostri dell’adattamento e mostri del superamento " . Ma , parlando di mostruosità , al di là della valenza variegata del termine , ieri come oggi emerge un dato , ossia che tutti i mostri sconfessano la cosiddetta normalità , valicano ogni ordine trascendente e ogni misura . In altri termini , il mostro rappresenta la devianza dalla norma e dalla forma , si presenta come abnormità , alterazione , sovversione. I quesiti che si pongono sono : chi stabilisce le categorie della normalità ? Sulla base di quale codice la società crea una netta linea di demarcazione tra virtuosi e criminali ? Quali sono i paradigmi che generano il concetto di devianza ? Perché la criminalità dei poteri costituiti viene legittimata dal senso comune ? Rispondere a questi interrogativi significa demistificare i parametri di un fuorviante immaginario collettivo e demolire le stolte credenze create da tutti i sistemi di dominazione . Sicchè , considerando che l’egemonia culturale e politica del globalismo sta stigmatizzando con la repressione preventiva gli Alien postmoderni , si impone perentoria l’esigenza di districare il bandolo della matassa , per smascherare le aberranti perversioni del biopotere e dei meccanismi di controllo sociale .

In realtà , la tolleranza zero , il discorso sicuritario , il diritto punitivo del sospetto , sono funzionali all’assetto sistemico per creare i nuovi mostri e , al tempo stesso,rappresentano una risorsa politica per legittimare l’esclusione violenta dei migranti e dei profughi . Queste strategie , pregne di cultura bellica, con meccanismi di tipo politico , giuridico e poliziesco , trasformano il reietto in criminale , in nemico pubblico , sicché , paradossalmente , si criminalizza la povertà , ogni forma di legittima disobbedienza e tutti i comportamenti che , eticamente , costituiscono esercizio di libertà inviolabili .

Da qui la reclusione , le misure repressive e la razionalizzazione dell’esclusione e dello sfruttamento di una forza-lavoro sottopagata e subordinata .

Ovviamente il mostruoso ordine globale , pur adottando politiche palesemente criminose , non solo rimane impunito , ma , in nome dello spettro sicuritario , esorcizza le contraddizioni strutturali e legittima l’assolutizzazione dell’arbitrio poliziesco , avvalendosi di un sottile terrorismo psicologico che propaga ansia e paura . Ne consegue che artatamente risulta "normale " derubare intere nazioni delle loro risorse , privare intere comunità dei loro mezzi di sostentamento , assumere la guerra come politica ordinativa , sterminare innocenti con le bombe intelligenti .

Preso atto , dunque , che l’attività procedurale " normale " è miasmatica , corrotta , barbara, perché pianifica massacri e perpetra soprusi quotidiani ai danni delle donne e degli uomini del pianeta , è opportuno fare riferimento al cosiddetto senso comune , dal momento che esso è sovente preda di sollecitazioni e suggestioni reazionarie . Il senso comune , infatti, se inteso in un’accezione alternativa ed eretica , si rivela conservatore , ottuso e ottenebrato . D’altronde il momento genetico del cosiddetto senso comune è incorporato nel codice maledetto del potere. Da qui una baraonda di mistificazioni e un corteo carnascialesco di menzogne , che hanno poi legittimato abusi e violenze . Ne consegue che il senso comune risulta incompatibile con tutte le forme di curiosità , eresia , disobbedienza , volontà trasgressiva .

E’ evidente che per smascherare i paradigmi di una cultura patriarcale , per demistificare le categorie di un moralismo tessuto di pregiudizi , per demolire le diverse figure dell’idolatria , occorre prendere coscienza che il vizio ha sempre reso omaggio alla virtù. Ciò significa che le perverse dinamiche sociali sono state e sono innescate dal codice maledetto dei poteri , che rispondendo alla logica del darwinismo sociale e avvalendosi della violenza simbolica , criminalizza , emargina , esclude .

Per decostruire criticamente l’impianto paradigmatico della presunta società sana ; per sradicare i pregiudizi repressivi ; per negare la logica patriarcale ; per smascherare lo strumentario retorico dell’esclusione ; per operare un distinguo tra terrorismo e dissidenza –resistenza : in altri termini , per demistificare il governo della paura e il codice aberrante del biopotere , occorre prendere coscienza che il Caos è un ordine da decifrare attentamente, se si vuole attivare un’autentica prassi della liberazione e se si persegue l’ambizioso obiettivo di costruire una democrazia assoluta .

Bisogna , dunque, bombardare le menzogne , rendere sempre più efficace e radicale la disobbedienza , sviluppare traiettorie costituenti di contropotere , per destabilizzare e sradicare i meccanismi della repressione , vuoi nella versione imperiale , vuoi nella versione nazional-popolare del Belpaese .

Vero è che le soggettività esodanti incontrano non poche difficoltà , infatti , i nuovi dispositivi di potere inscrivono nel loro codice guerre costituenti e un feroce controllo onnilaterale , sicché si registra lo scontro quotidiano tra la ricerca di forme alternative di comunità e assetti di governo caratterizzati da una brutale razionalità strumentale e repressiva .

Pur rilevando i comportamenti criminosi del dispotismo sociale del capitale , però, dobbiamo assumerci la responsabilità etica della vita , debellando la cultura di guerra , negando perentoriamente la logica di dominio e costituendo, invece, un inedito collettivo che inglobi azione , emozione , affettività .

D’altra parte , l’umanità può proteggersi dalle conseguenze della sua stessa "pazzia ", dalle strategie di potere , dalle nefaste logiche imperiali , solo creando una società sana , fondata sulla giustizia sociale , sulla legalità non astratta , sulla reciprocità , sull’amore , sulla liberazione dei corpi e delle anime , sulla potenza del desiderio , sulla creatività del lavoro vivo . Inoltre , considerando che la differenza dei sessi attiene alla sfera dei problemi connessi all’ordine di una società , si dovrebbero rimuovere le torbide deviazioni della cultura del padre , facendo emergere la qualità materna di Dio , nella convinzione che la "maternità " dovrebbe essere il tratto specifico di tutti i rapporti interni alla città degli uomini . Non senza ragione S . Francesco rifiuta il titolo di padre perché " uno solo è il padre" , mentre accetta quello di " madre " , proprio perché la qualità materna di Dio promuove fraternità e amore premuroso ed effusivo .

Bisogna , dunque , andare al di là dell’ossessivo ideologismo , della supponente arroganza dei tecnici, del sociologismo di maniera , della funesta ingerenza dei partiti , della logica dello sviluppo : in altri termini , contro l’agghiacciante silenzio della ragione , occorre soprattutto diventare " esperti di umanità " .

Ciò impone una radicale rivoluzione culturale , un sovvertimento di presunti valori morali , un nuovo approccio della scienza politica , uno svuotamento del biopotere ,una vitale innovazione teorica , un codice autenticamente umano , nella consapevolezza che , come voleva Albert Camus , " dietro ogni grande svolta della storia c’è un uomo nuovo che aspetta . E’ un uomo innocente " .

Wanda Piccinonno