ULTIMA LETTERA DI BORSELLINO

Questa e' l'ultima lettera, credo, di Paolo Borsellino ed e' indirizzata a
una delle tante insegnanti che richiedevano la sua presenza nelle scuole per
parlare coi ragazzi della lotta alla mafia. Nella prima parte della lettera,
che ometto, il magistrato continua a scusarsi con la professoressa per il
ritardo a rispondere ed elenca diffusamente e umilmente tutte le ragioni che
gli hanno impedito di rispondere prima.
Ripropongo questa lettera oggi per due precisi motivi.
In primo luogo, perche' il nome di Borsellino e' di quelli che, per ordine
superiore, verranno raramente mentovati da giornali e televisioni nei
prossimi anni: percio' uno dei nostri compiti, qui ed ora, e' quello di
ricordare ai ragazzi che in Italia e' vissuto Paolo Borsellino.
In secondo luogo, perche' adesso e' il momento di ricordare formalmente qual
era il punto di vista tecnico di Borsellino e Falcone sulla mafia: "La mafia
(Cosa Nostra) è una organizzazione criminale, unitaria e verticisticamente
strutturata"; "il conflitto con lo Stato con cui Cosa Nostra è in
sostanziale concorrenza (hanno lo stesso territorio e si attribuiscono le
stesse funzioni) è risolto condizionando lo Stato dall'interno". Entrambi
questi punti di vista vengono oggi rinnegati, e diversi organi giudiziari (a
partire dalla Cassazione), negando l'unitarieta' dell'organizzazione
mafiosa, hanno gia' assolto numerosi imputati che, seguendo il punto di
vista di Borsellino e Falcone, sarebbero stati invece duramente condannati.
Ciascuna istituzione, naturalmente, ha il diritto di fare nel proprio ambito
le scelte che crede e, nell'arco di queste scelte, di individuare una
strada. Diritto loro. A patto che sia chiaro che con Falcone e Borsellino
non c'e' c'e' proprio piu' niente a che vedere.
* * *


Palermo, 19 luglio 1992. "Gentilissima" professoressa, uso le virgolette
perché le ha usate Lei nello scrivermi, non so se per sottolineare qualcosa,
e "pentito" mi dichiaro e dispiaciutissimo per il disappunto che ho causato
agli studenti del Suo Liceo per la mia mancata presenza all'incontro di
Venerdì 24 gennaio.
Oggi non è per certo il giorno più adatto per risponderLe perché frattanto
la mia città si è di nuovo barbaramente insanguinata ed io non ho più tempo
da dedicare neanche ai miei figli, che vedo raramente poiché dormono quando
esco da casa ed al mio rientro, quasi sempre in ore notturne, li trovo
nuovamente addormentati.
Ma è la prima domenica, dopo almeno tre mesi, che mi sono imposto di non
lavorare e non ho difficoltà a rispondere, però in modo telegrafico, alle
sue domande.
1) Sono diventato giudice perché nutrivo grandissima passione per il diritto
civile ed entrai in magistratura con l'idea di diventare un civilista,
dedito alle ricerche giuridiche e sollevato dalla necessità di inseguire i
compensi dei clienti. La magistratura mi appariva la carriera per me più
percorribile per dare sfogo al mio desiderio di ricerca giuridica non
appagabile con la carriera universitaria per la quale occorrevano tempo e
santi in paradiso.
Fui fortunato e divenni magistrato nove mesi dopo la laurea (1964) e fino al
1980 mi occupai soprattutto di cause civili, cui dedicavo il meglio di me
stesso. E' vero che nel 1975, per rientrare a Palermo, ove ha sempre vissuto
la mia famiglia, ero approdato all'Ufficio Istruzione Processi Penali, ma
ottenni l'applicazione, anche se saltuaria, ad una sezione civile e
continuai a dedicarmi soprattutto alle problematiche dei diritti reali,
delle (...) legali, delle divisioni ereditarie ecc.
Il 4 maggio 1980 uccisero il Capitano Emanuele Basile ed il Cons. Chinnici
volle che mi occupassi io dell'istruzione del relativo procedimento. Nel mio
stesso ufficio frattanto era approdato, provenendo anche egli dal Civile, il
mio amico d'infanzia Giovanni Falcone e sin da allora capii che il mio
lavoro doveva essere un altro. Avevo scelto di rimanere in Sicilia ed a
questa scelta dovevo dare un senso. I nostri problemi erano quelli dei quali
avevo preso ad occuparmi quasi casualmente, ma, se amavo questa terra, di
essi dovevo esclusivamente occuparmi.
Non ho più lasciato questo lavoro e da quel giorno mi occupo pressoché
esclusivamente di criminalità mafiosa. E sono ottimista poiché vedo che
verso di essa i giovani, siciliani e no, hanno oggi una attenzione ben
diversa da quella colpevole indifferenza che io mantenni sino ai
quarant'anni. Quando questi giovani saranno adulti avranno più forza di
reagire di quanto io e la mia generazione ne abbiamo avuta.
2) La Dia è un organismo investigativo formato da elementi dei Carabinieri,
della Polizia di Stato e della Guardia di Finanza, e la sua istituzione si
propone di realizzare il coordinamento fra queste tre strutture
investigative che, fino ad ora, con lodevoli ma scarse eccezioni, hanno
agito senza assicurare un reciproco scambio di informazioni ed una
auspicabile razionale divisione dei compiti loro istituzionalmente affidati
in modo promiscuo e non coordinato.
3) La mafia (Cosa Nostra) è una organizzazione criminale, unitaria e
verticisticamente strutturata, che si contraddistingue da ogni altra per la
sua caratteristica di "territorialità".
Essa è suddivisa in "famiglie", collegate tra loro per la comune dipendenza
da una direzione comune (Cupola), che tendono ad esercitare sul territorio
la stessa sovranità che su esso esercita, deve esercitare, legittimamente,
lo Stato.
Ciò comporta che Cosa Nostra tende ad appropriarsi delle ricchezze che si
producono o affluiscono sul territorio principalmente con l'imposizione di
tangenti (paragonabili alle esazioni fiscali dello Stato) e con
l'accaparramento degli appalti pubblici, fornendo al contempo una serie di
servizi apparenti rassembrabili a quelli di giustizia, ordine pubblico,
lavoro ecc., che dovrebbero essere forniti esclusivamente dallo Stato.
E' naturalmente una fornitura apparente perché a somma algebrica zero, nel
senso che ogni esigenza di giustizia è soddisfatta dalla mafia mediante una
corrispondente ingiustizia. Nel senso che la tutela dalle altre forme di
criminalità (storicamente soprattutto dal terrorismo) è fornita attraverso
l'imposizione di altra e più grave forma di criminalità. Nel senso che il
lavoro è assicurato ad alcuni (pochi) togliendolo ad altri (molti).
La produzione ed il commercio della droga, che pur hanno fornito Cosa Nostra
dei mezzi economici prima indispensabili, sono accidenti di questo sistema
criminale e non necessari alla sua perpetuazione.
Il conflitto inevitabile con lo Stato con cui Cosa Nostra è in sostanziale
concorrenza (hanno lo stesso territorio e si attribuiscono le stesse
funzioni) è risolto condizionando lo Stato dall'interno, cioè con le
infiltrazioni negli organi pubblici che tendono a condizionare la volontà di
questi perché venga indirizzata verso il soddisfacimento degli interessi
mafiosi e non di quelli di tutta la comunità sociale.
Alle altre organizzazioni criminali di tipo mafioso (camorra, 'ndrangheta,
Sacra Corona Unita ecc.) difetta la caratteristica della unitarietà ed
esclusività. Sono organizzazioni criminali che agiscono con le stesse
caratteristiche di sopraffazione e violenza di Cosa Nostra, ma non ne hanno
l'organizzazione verticistica ed unitaria. Usufruiscono inoltre in forma
minore del "consenso" di cui Cosa Nostra si avvale per accreditarsi come
istituzione alternativa allo Stato, che tuttavia con gli organi di questo
tende a confondersi.
Paolo Borsellino



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