Il Vangelo e il Governo

UNA PARABOLA APPLICATA A PRO DEI TRUFFATORI CHE POSSONO

Ma sì, sarà magari strampalato ma non arbitrario né inopportuno considerare l’operato di questo Governo alla stregua della parabola evangelica riportata da Luca, all’esordio del cap. 16 e conosciuta con il titolo di “Parabola del fattore infedele”.

Ora se noi consideriamo il popolo alla stregua del padrone della parabola e il governo  come fattore, troveremo subito che questo fattore più infedele e infedele di così non potrebb’essere, e che il suo comportamento non potrebb’essere più ipocrita ed antievangelico.

Riassumiamo la parabola.

Un uomo ricco aveva un fattore, che fu accusato di dissipare i beni che gli erano stati affidati.  Saputo ciò quel fattore ebbe paura e pensò: se il padrone mi priva dell’amministrazione dei suoi beni, che cosa potrò fare io per vivere, dal momento che non so zappare e mi vergogno di elemosinare? Allora chiamò i servi e falsificò le ricevute dei loro debiti nei confronti del padrone, dimezzandole o riducendole di molto.

Quando il padrone lo seppe lodò il suo fattore perché aveva agito con avvedutezza…..

Seguono considerazioni che non sono importanti ai fini del nostro discorso.

Ma la conclusione è ancora validissima e non presenta nessuna difficoltà d’ordine morale e civile:

“Non si può servire a due padroni, perché o si odierà uno e si amerà l’altro...”

E l’uno e l’altro sono indicati come Dio – per noi il popolo sovrano  – o il mammona – e cioè il proprio arricchimento.

Si tratta di una parabole che ho sentito raccontare le mille e mille volte dai pulpiti quando ancora usavo andare nelle chiese cattoliche la domenica, e confesso di aver molto sofferto per accettarne le interpretazioni che a volta a volta sentivo dai predicatori.

Non so se tale parabola sia ancora così citata, ma so che, specie le ultime vicende politiche di cui si è fatto protagonista il nostro governo, me l’hanno richiamata alla memoria per una curiosa contiguità di comportamenti e di motivazioni, tuttavia forse solamente apparente.

Il nostro è notoriamente un governo di fattori infedeli, anche se non proprio tutti: ne sono prova il fatto che numerosissimi sono i suoi membri inquisiti o già condannati. o in attesa di ulteriori sentenze, o salvati dalla scadenza dei termini o da amnistie e cose del genere Come dire che un fattore infedele e disonesto non può che aiutare altri fattori e fatterelli altrettanto  infedeli e altrettanto bisognosi di essere perdonati. Sarebbe peccare gravemente di mancanza del senso della realtà pensare che un tale fattore possa essere come quello evangelico, che per coprirsi si mette ad aiutare i suoi sottoposti,  di lui più poveri. ”Similis cum similibus qui stanno” dice Damte Alighieri di certi dannati del suo inferno. Ed è così che l’inferno, nel nostro caso, tocca a coloro a cui il Governo-fattore-infedele fece promesse mirabolanti, poi sempre rinnovate e vantate tanto più quanto più misera diveniva la loro situazione economica.

Così avviene anche che persino la morale della parabola riportata da Luca va modificata rovesciandola: non si deve amare Dio – e cioè il popolo sovrano nella nostra similitudine – ma il mammona – e cioè l’arricchito e l’approfittatore. Perché se si amasse il popolo non si potrebbero beneficiare i disonesti, come invece il governo ampiamente ha fatto e continua a fare moltiplicando i condoni a favore dei disonesti.

E peggio per chi ha sempre fatto il proprio dovere, pagando le imposte e rispettando le norme di convivenza civile. Per lui non ci sarà misericordia: se per caso qualcuno lo denigrerà presso siffatto nostro amministratore infedele: dovrà fare una fatica infernale per scagionarsi, posto che poi ne abbia la possibilità.

Per questo mi è sembrato che la parabola da me applicata al caso dell’Italia di Berlusconi  andasse segnalata. La sua morale infatti riposa sulle alture di Tremonti, che per far cassa darebbe l’anima al diavolo, seppure il diavolo potesse appetire siffatti adepti.

Che poi il termine “cassa “ sia ambiguo più dei fattori infedeli di cui sopra poco importa. Cassa è il nome che si dà anche all’ultimo involucro in cui si tumulano i morti, e non fa differenza se a morire e ad esservi rinchiuse sono magai l’onestà, l’umanità, il senso di giustizia ed ogni altra vera virtù civica:  importante è che dentro quella cassa qualcosa ci sia e che quello che c’è non limiti il profitto, ma anzi lo facilitti.

E non farò come Alessandro Manzoni che per sapere se fu vera gloria rimanda ai posteri: so già, come tutti gli onesti, che non solo non fu vera gloria, ma che fu autentica vergogna.

Rieti, martedì 18 febbraio 2003

 

Luigi Melilli