Commenti su
due romanzi di Ercole Patti
di salvatore
mica
Integrazione di storia e critica del cinema(m-z) di Sc.
Della comunicazione di Catania
In queste pagine è contenuto il mio lavoro di analisi su
alcuni scritti di Ercole Patti.
Ho conosciuto quest'autore e scritto questi commenti per
integrare Storia e critica del cinema nel Cdl di Scienze
della comunicazione a Catania.
Ho deciso di pubblicare questo lavoro per diverse
ragioni: innanzitutto spero di invogliare la gente che
leggerà queste pagine a conoscere un grande scrittore
siciliano come Patti, che io ho letteralmente amato;
secondariamente ho pensato anche che qualche povero
studentello ritrovatosi nella condizione (assurda ed
infondata - come ho già fatto notare nel mio scritto
"Dante risvegliati!Hai dimenticato
Scienze
della comunicazione!"-)di dover integrare una
materia che aveva già dato in passato, possa trarre
giovamento dal mio lavoro.
Ovviamente si tratta del MIO lavoro ed è di conseguenza
altamente opinabile. Al mio esame ho consegnato questi
scritti e non mi è stato fatto alcun appunto su di essi,
ma non posso garantire che ciò che vi è contenuto sia
stato considerato totalmente "giusto"
dall'insegnante.
Insomma
Prendetelo con le pinze :-)
Commento su "Un bellissimo Novembre" di Ercole
Patti
Ho amato questo racconto. E' una fondamentale premessa al
commento che mi accingo a fare, il quale sarà
inevitabilmente viziato dall'ammirazione che provo per
quest'autore, da me sinora sconosciuto.
Mi ha stupito la sua sinteticità, la sua semplicità, la
brevità del racconto ed infine la leggera intensità che
Patti è riuscito ad imprimere alle pagine cruciali del
suo scritto.
Il linguaggio usato è incredibilmente semplice,
accessibile a chiunque, la narrazione sembra tratta da
temi scritti da un ragazzino quindicenne; ricordando la
genialità dell'autore, non posso non credere che
quest'incredibile effetto sia stato deliberatamente
ricercato.
Bukowsky una volta disse che il genio è colui che riesce
ad esprimere concetti complessi con parole semplici;
Patti è il perfetto archetipo di quest'asserzione.
L'autore riesce con parole semplici e concetti immediati
a dipingere scenari di straordinaria nitidezza, esplica
mirabilmente profondi sentimenti contorti che mai avrei
creduto di poter ritrovare sulle pagine di un libro.
I moti dell'anima che l'artista descrive sembrano
scolpiti nelle sue parole semplici. Personalmente ritengo
che un registro linguistico aulico avrebbe svilito la
spontaneità delle pulsioni primordiali presenti nel
romanzo, arricchendone inutilmente la forma.
Nessuna ridondanza è presente. Nessun compiacimento
letterario, nessun inutile panegirico, nessuna
descrizione risulta pedante: i virtuosismi dialettici
sono messi al bando.
Ho detto che il linguaggio è semplice, ma in nessun caso
in questo superbo scritto questa convinzione risulta
sinonimo di pressappochismo o faciloneria. Le descrizioni
sono impreziosite da un peculiare uso dei predicati
verbali tendente a "dipingere" la scena più
che a descriverla, diminuendo l'uso complessivo delle
parole ed aumentando la suggestività della narrazione.
Patti non usa il dialetto. Raramente nei dialoghi dei
protagonisti vi sono delle locuzioni di italiano
regionale. Lo scritto risulta lineare anche per questa
ragione
La chiave di volta della comprensione del linguaggio
usato dall'autore a mio avviso risiede nella sua
metodologia di lavoro, ciò che con un termine più
aulico ma anche più impreciso potrei azzardarmi a
chiamare la sua "filosofia narrativa".
In particolare vedo in Patti un autore lontanissimo dal
verismo. La descrizione di Zafferana e della città di
Catania è costantemente influenzata dallo stato d'animo
del protagonista.Tengo a sottolineare che questa tendenza
è chiaramente esplicitata dall'Autore in varie parti del
testo. Il mondo esterno, seppur descritto con incredibile
attenzione e meticolosità, si fonde spesso, con le
speranze e le attese del protagonista. Lo stesso dicasi
per il linguaggio. Il protagonista è un ragazzino
quindicenne: il linguaggio di questo scritto sembra
tratto dal suo diario post-mortem.
La trama è semplice quanto fascinosa: un quindicenne
catanese (Nino) sul finire della stagione estiva, viene
iniziato alle gioie dell'amore fisico da una sua zia
ventottenne (Zia Cettina). Divorato dalla crescente
passione e dall'impossibilità di instaurare un rapporto
affettivo stabile e reciproco, Nino assaggerà, assieme
alle gioie del sesso, il fiele della gelosia, della
frustrazione e dell'umiliazione, che lo spingeranno
all'annichilimento.
Il romanzo si conclude infatti con la morte del
protagonista.
Patti ama Catania e la zona rupestre circostante. E'
assolutamente innegabile. Le sue descrizioni sono
deliziose, puntigliose, precise, rapide ed esaustive. Il
profondo amore che traspare dal suo stile descrittivo mi
ha ricordato molto da vicino le luminose viste descritte
da Bulgakov e Dostoevskij. Mi ha favorevolmente colpito
sentire tanto dolce zelo da parte dell'autore nel
mostrare zone che mi sono tanto familiari.
I dialoghi sono semplici e diretti, i pensieri del
protagonista cristallini e perfettamente comprensibili:
non si può non sviluppare una sorta di empatia per Nino
e per i suoi affanni; in fondo seppur in forma diversa,
tutti noi abbiamo vissuto esperienze simili.
Sinceramente credo che nel romanzo vi sia molto di
autobiografico. Probabilmente l'autore ha esposto una sua
fantasia o ha mischiato sue fantasie con vicende
realmente vissute; me lo fa pensare l'incredibile
familiarità con cui Patti maneggia le ingenue speranze
del protagonista e la perfetta conoscenza del "modus
operandi" delle ragazze-donne siciliane: nel romanzo
si evince chiaramente che la zia Cettina non vuole
assolutamente mai parlare dei rapporti che intrattiene
con il nipote neanche quando si trovano in situazioni di
intimità, preferisce farsi vincere dalla passione in
rari momenti di sua euforia, che per il ragazzo
rappresentano la coronazione di un lungo ed estenuante
sforzo intellettuale e fisico atto a capire le esigenze
di lei, a lui sconosciute, comprenderne i linguaggi,
così diversi dai suoi ed infine riuscire a farla
"cedere".
Nel romanzo è presente un rapido crescendo. Si passa da
sogni e fantasie tipiche dell'età pubescente a dialoghi
di approccio tra Nino e la zia Cettina, agli atti
sessuali veri e propri fra i due, precedentemente solo
sognati da Nino.
Leggo nella conclusione una costruzione altamente
simbolica. La corsa finale di Nino nei boschi gonfi di
meraviglie, che prima lo avrebbero attratto, ma adesso
gli risultano del tutto indifferenti, perché
ossessionato dalla gelosia ed accecato dalla passione,
raffigura a mio parere il cambiamento adolescenziale:
l'annullamento degli interessi e delle passioni
fanciullesche sacrificate ad un nuovo bisogno, una più
alta necessità, prima avvertita come secondaria ma ora
diventata, così rapidamente, preponderante.
Ritengo che anche la morte di Nino sia simbolica. La
scoperta del tradimento della zia lo uccide, anche se in
maniera casuale, nel romanzo. In effetti la zia Cettina
aveva in precedenza ucciso il Nino bambino o pubescente
che dir si voglia; con il suo atteggiarsi con Santagati
(con cui Nino la vede far l'amore nelle ultime pagine del
romanzo) la zia uccide anche l'ingenuità di Nino, il suo
amore profondo e viscerale, quale può essere un amore
impossibile, la zia così uccide le ultime vestigia del
vecchio Nino - il sognatore - probabilmente creando un
uomo nuovo: un adulto. Ma l'autore non ci consente di
assistere a questa rinascita, non ci fa assistere al
lento ricostruirsi di Nino; preferisce porre l'accento
sul dramma, la morte, la fine di un'epoca, l'annullamento
di un essere vivente causata da una distratta passione
adulta.
Commento su "La cugina" di Ercole Patti
La trama del romanzo in questione è tipicamente
Pattiana: molto semplice, quasi inesistente. Le storie di
Patti sono sempre delle storie-non storie per così dire;
la naturale freschezza della sua narrazione fa apparire
gli eventi, opportunamente diluiti nel tempo, un
inevitabile susseguirsi di situazioni naturali in cui i
protagonisti, loro malgrado, si vedono costretti a
prendere parte.
Il romanzo si distacca parzialmente dai toni e dagli
umori di altri scritti di Patti. Il tono satirico
presente in altri romanzi è totalmente abbandonato, in
questo scritto Patti è assorto, pensoso, incredibilmente
malinconico e nostalgico. Un umor nero è presente in
tutto il romanzo, la trama è imperniata sulla corsa
verso la morte.
La ricerca della felicità è costantemente rivolta verso
il passato, verso i ricordi: una volta morta Agata, Enzo
ricorderà come in un film tutti i loro incontri,
dall'adolescenza alla vecchiaia.
La descrizione dei luoghi è, come sempre,
dettagliatissima e vi è un costante rimando ad
esperienze realmente vissute dallo scrittore. Patti non
si esime neanche in questo suo particolarissimo lavoro,
che a volte mi spinge a pensare che si tratti di
un'eccezione, rispetto al resto della sua produzione,
dall'inserire sé stesso, la sua Catania, le sue
esperienze e la sua stessa figura, rappresentata da
Fragalà, suo alter ego nel romanzo.
Il linguaggio narrativo usa spesso un codice filmico,
probabilmente a causa della grande esperienza dell'autore
nel campo della critica e della sua attività come
sceneggiatore. Spesso vi sono immagini che evocano
concetti o patologie dell'animo:
"corpi grassi" "denti spezzati"
"sporchi flaccidi e spenti paralitici"
ecc
Enzo e Agata i due cugini protagonisti. La storia inizia
quando Enzo aveva 17 anni e Agata soltanto 13. Sin da
allora amanti, faranno proseguire questa relazione fino
alla morte di Agata. Questa relazione è ovviamente uno
specchietto per le allodole per narrare la vera storia;
il vero fine di Patti è avere un motivo grazie al quale
poter narrare la storia delle vite dei due protagonisti,
traendone le dovute conseguenze.
Agata pur intrattenendo una relazione di tipo amoroso con
il cugino fa innamorare di sé il giovane barone Ninì
Scudieri che, a malapena quattordicenne, cade nella
trappola di Agata. Gli interessi della protagonista sono
gretti e meschini, Patti insiste nel mostrare la sua
falsità quando ci dice:
"Agata,a cui Ninì continuava a non piacere nemmeno
un pochino, mise la mano sulla sua dicendo
-anche tu mi piaci- cosciente di mentire solo per il
gusto di farlo innamorare"
Ma anche Enzo è un personaggio gretto. Non legge, non ha
interesse per la sua carriera né per i suoi studi, passa
la sua vita a cercare il piacere, in forme diverse, tende
sempre alla soddisfazione delle sue pulsioni, non mira in
alto, non ha particolari ambizioni o desideri, né una
condotta morale che possa essere definita
"dignitosa"; l'unico pregio di Enzo, che forse
spiega per intero il suo personaggio sta nella chiusura
del capitolo riguardante la sua vita accademica:
"
solo Enzo rimase tutta la vita in attesa,
come un ragazzo"
Enzo è un archetipo. Penso che la vita e la condotta di
Enzo siano necessari allo scrittore per esporre la sua
tesi, per esplicare la sua personale interpretazione del
senso della vita.
Enzo viene inevitabilmente contrapposto dal lettore ai
suoi amici Ugo Cannavò, Peppino, Armando e Nino, suoi
compagni nelle scorribande vissute durante gli anni
accademici; tutti loro dopo una breve pausa si sarebbero
tuffati nella vita, avrebbero preso il loro posto nella
società, avrebbero dimenticato la ricerca del piacere e
per forza di cose avrebbero vissuto una vita
"regolare", quasi scontata nella sua banalità.
Enzo serve a mostrare l'inutilità del lavoro, della
carriera, degli studi, degli impegni. La vita di Enzo
consiste nella ricerca del piacere sensuale, sessuale ed
emotivo. Enzo prova molto piacere anche nel
"violentare" la vita altrui: spesso gode nel
possedere una donna sposata con figli, durante una breve
assenza del marito. Chiaramente vi è presente anche la
componente psicologica: la tendenza edipica è facilmente
ravvisabile in queste sequenze. Enzo sfiora la vita,
violentando la vita altrui, non volendo crearsi un
rapporto stabile ed una vita "regolare"cerca di
rubarne il nettare, solo il meglio, tralasciando nella
sua ricerca edonistica, tutto il resto.
La ricerca del piacere, innocente prima e
"perverso" poi è onnipresente tema del
romanzo.
Enzo e la sua condotta sono da Patti presi a pretesto al
fine di mostrare l'essenza della vita degli altri
personaggi. Tutti i protagonisti del romanzo difatti,
cercano in un modo o nell'altro il piacere, mascherando
le proprie pulsioni e i propri desideri dietro la
maschera del lavoro e degli impegni, sostanzialmente
tendono in forma celata a ciò che da sempre Enzo
rincorre:
Agata desidera una buona posizione sociale e la ottiene
seducendo Ninì Scudieri.
L'avvocato Ugo Cannavò desiderava poter frequentare le
alte sfere, ci riesce grazie al suo successo nel lavoro.
E gli esempi potrebbero continuare.
Non vi è nessuna generosità nei personaggi descritti
dall'autore: poiché ognuno è intento ad eludere la
propria morte con le sue ricerche e le sue vane lotte; la
crudeltà, l'egoismo e l'insensibilità degli uomini sono
onnipresenti nel romanzo.
Il piacere però svela presto il suo volto oscuro:
l'inutilità, la morte.
Simbolico è il momento in cui un desiderio a lungo
insoddisfatto -il matrimonio tra Agata e Ninì Scudieri-
trova il suo coronamento, i giovani scappano, ma la gioia
è presto interrotta dall'incedere della morte: la madre
di Ninì infatti muore e i due novelli sposi sono
costretti a tornare precipitosamente dal viaggio di
nozze.
Lo scrittore non condivide le pulsioni di nessuno dei
personaggi del romanzo ad eccezione di Enzo; reputa
strani, vuoti e forse ridicoli i desideri di Ugo Cannavò
ad esempio.
L'inutilità della ricerca del piacere investe però in
forma lenta ed inaspettata anche Enzo che nel suo
tramonto smette d cercare il piacere e si limita ad
osservare la scena finale del romanzo. La fine dei
desideri di Enzo inizia con quella vocina che gli ricorda
il suo veloce incedere verso l'inevitabile.
Credo di poter affermare che Enzo in questo romanzo
rappresenta un osservatore. Enzo non vive, Enzo aspetta.
Tenta disperatamente di prolungare la fase
adolescenziale, per evitare di entrare nella vita, di
iniziare a viverla e inevitabilmente di finirla.
Non si sposa, non ha figli e caparbiamente sostiene che
l'età è quella che ci si sente dentro non quella che si
ha anagraficamente. Continua fino a quando la vocina non
lo avverte che anche se ha vissuto in una fase
adolescenziale prolungata, è comunque vissuto e quindi
comunque morirà.
Patti usa spesso forti contrasti nello scritto: la bella
e profumata cameriera Concetta, ad esempio, è rapita dal
fascino del vecchio, brutto, sporco cocchiere Don Carmelo
e dal guardiano della villa Bellini Don Bastiano, che
odorava di canile ed aveva il naso pieno di escrescenze.
Per quanto riguarda il linguaggio, Patti, fedele alla
lezione verghiana, opta per un codice regionale,
sicuramente informale e lontano dal linguaggio usato
dalle elìtes sociali e nella forma scritta.
Salvatore Mica
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