Napoli
reagisce immediatamente all'attacco Usa. La città si
indigna, vuole la pace e gli studenti occupano
l'Orientale. Diario di una giornata colorata d'arcobaleno
Mattina di sole primaverile, lo spiazzo antistante la sede centrale dellIstituto universitario orientale, storicamente sempre il più reattivo, vede radunarsi unenorme massa di studenti. Il Centro studi anarchici e il Collettivo orientale fanno subito girare la parola dordine: occupazione. Pacifica e in un clima di festa si prende possesso delledifico. Compaiono subito gli striscioni con slogan contro la guerra da tutte le finestre. Nessuno si oppone alloccupazione. Il sentimento della pace è pienamente condiviso da tutti: docenti, personale universitario, studenti, guardiani. Il passaparola continua. Vengono indette assemblee, si stabilisce lora e il luogo per il corteo cittadino, che si svolgerà alle 15.00 a Piazza Matteotti e vedrà un enorme massa di persone partecipare. I lavoratori si uniscono agli studenti e comincia lo sciopero di due ore degli uffici e delle fabbriche. Le varie università napoletane in un attimo si coordinano, si decidono le manifestazioni da tenere. AllOrientale cè anche Francesco Caruso, portavoce dei disobbedienti napoletani che dichiara: «E giunto il momento che venga pagato il prezzo politico più alto da parte della nostra classe politica. Una mobilitazione di massa può cambiare le cose realmente, non è un grido lanciato nel vuoto. Dobbiamo ricordarci di cosa ha potuto fare lopposizione civile durante la guerra del Vietnam. E la nostra classe dirigente deve rendersi conto che cè un altissimo numero di persone che dissentono completamente dalla linea di governo». Presente è anche la rete No-Global partenopea che sta organizzando un grandissimo corteo per sabato 22 marzo, con partenza da Piazzale Tecchio, uno dei suoi rappresentanti ribadisce: «Solo una grande e compatta mobilitazione delle persone può cambiare il corso di questo momento storico così grave. Noi vogliamo rappresentare tutte le anime del dissenso alla guerra, creare una mobilitazione permanente». Medesima è lintenzione delle università, occupare ad oltranza tutti gli edifici universitari, occuparli fintanto che dura la guerra, come risposta alla politica militarista del governo. Presso lOrientale giungono anche gli studenti medi, sventolano bandiere della pace dovunque, dai balconi, dagli uffici privati e pubblici, sugli autobus. Dovunque ci sia spazio, lì sventolano le bandiere arcobaleno. Guardarsi intorno è emozionante: una folla enorme che dimostra come la violenza non sia mai la risposta alle controversie, ma che grida di gioia possono destare ancora una volta le coscienze. Allinterno dellOrientale si discute. Un recente sondaggio americano metteva in risalto che pochi giovani statunitensi sapevano dove si trovasse lIraq. Qui a Napoli tutti sanno non solo lesatta collocazione geografica, ma sanno argomentare con intelligenza il proprio no alla guerra. Qui dove cè uno dei dipartimenti più importanti di studi islamici dItalia e dove le lingue si mischiano ogni giorno, cè coscienza piena delle proprie idee. Allora di pranzo sono ospite del signor Palumbo. Guardandomi mi dice: «Fanno la guerra perché non hanno il senso di cosa sia. Per due aerei caduti in America, hanno avuto bisogno degli psicologi. E a Napoli chi li ha mai visti durante la guerra? Essere bombardati significa dormire vestiti ed essere sempre pronti a scappare. Ogni notte. Sempre. Allepoca gli inglesi erano abbastanza corretti. Solo obbiettivi militari. Ma le loro bombe a volte non esplodevano. Poi vennero gli americani. E abbiamo conosciuto cosa è un bombardamento a tappeto. Una volta una bomba esplose fuori da una chiesa, mi sono salvato per miracolo, ma fuori ho visto una cosa che non dimenticherò mai: un piede sanguinante in una scarpa. E non era il solo, cerano pezzi di persone dovunque. Questa è la guerra, questi sono i bombardamenti. Ma non lo vogliono mai ricordare». Osservo
questo anziano signore, vigoroso nel suo parlare, ha
lasciato raffreddare il suo piatto. Ma non la memoria
dellatrocità della guerra. |