DA - LA REPUBBLICA Saddam al popolo di
Bagdad
"La vittoria vi appartiene"
Messaggio ai cittadini della
capitale, poi bagno di folla in strada
BAGDAD - Appare di nuovo in televisione,
Saddam Hussein. Vestito in uniforme, il dittatore torna
sul grande schermo dopo un'assenza di dieci giorni, per
lanciare un breve messaggio rivolto soprattutto alla
popolazione della capitale: "Colpite il nemico con
forza con le armi di cui disponete", dichiara,
riferendosi all'imminente attacco alleato. Perché la
battaglia contro gli invasori può essere vinta, anche
grazie "all'aiuto di Allah: Dio è grande, e
sconfiggerà i criminali". Poco dopo il suo
intervento, in serata, la televisione trasmette altre
immagini: un suo bagno di folla in strada, per le vie di
Bagdad, anche in zone che colpite da bombardamenti.
Secondo l'annunciatore, sono state girate proprio oggi.
Due circostanze che denotano la volontà, da parte del
leader, di fare vedere che è ancora vivo e in buona
salute. Come dimostrano anche alcuni passaggi del suo
discorso in tv, entrambi riferibili a episodi degli
ultimi giorni. Saddam dice infatti che le forze alleate
"stanno girando attorno alle linee difensive di
Bagdad, evitando il confronto, così come hanno fatto
attorno alle altre città irachene". E poi ricorda
anche "quel contadino che ha abbattuto un
(elicottero) Apache americano con il suo vecchio
fucile": fatto realmente avvenuto, lo scorso 24
marzo. Certo, potrebbe anche trattarsi di un sosia. Ma
resta il fatto che il popolo iracheno ha visto il suo
dittatore nel pieno delle sue forze. Quanto
all'intelligence americana, gli esperti liquidano la
faccenda dicendo che il discorso mostrerebbe solo che il
loro "nemico numero uno" è sopravvissuto alla
primissima ondata di bombardamenti.
Ma torniamo al concetto principale espresso da
Saddam, e trasmesso dalla tv di Stato. "La vittoria
appartiene all'Iraq": questo il messaggio più forte
inviato dal dittatore alla popolazione. E dunque rivolto
non solo ai membri del suo esercito, ma anche ai semplici
cittadini. E' a loro infatti che il raìs si appella,
quando incita "il glorioso popolo di Bagdad" a
difendere la loro città. "Caro popolo di Bagdad e
dell'Iraq - scandisce poi - siete un simbolo di dignità.
Con l'aiuto di Dio sarete vincitori".
Già in mattinata, Saddam aveva inviato un messaggio,
attraverso il ministro dell'Informazione Mohammad Said Al
Sahaf. Con contenuti molto simili: "Sonfiggete e
distruggete il nemico".
(4 aprile 2003)
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DA - LA REPUBBLICA
L'aeroporto in
mano agli Usa
Sahaf: "Pronti i kamikaze"
Una rete di cunicoli trovato
sotto le piste
dovranno essere "bonificati" dai marines
BAGDAD - L'aeroporto di Bagdad è sotto il
controllo delle truppe americane. Dopo una furiosa
battaglia la conferma della conquista dello scalo Saddam
Huessein (subito ribattezzato "Bagdad
International" dagli americani), arriva dal Comando
centrale delle forze alleate. In Qatar sono ottimisti ma
si attendono ancora battaglia. Ma la portavoce del
Pentagono Victoria Clarke ha confermato che lo scalo è
sicuro e che la pista non può essere utilizzata per
operazioni aeree.
E mentre centinaia di soldati statunitensi andranno
questa notte a rafforzare le posizioni conquistate, il
ministro dell'Informazione iracheno Al Sahaf, gelido e
beffardo, ha commentato: "E' stata un'azione da
esibizionisti, sono nell'aeroporto ma isolati e
accerchiati. Questa notte li attaccheremo e li cacceremo.
Non ne resterà uno vivo". Eppoi l'agghiacciante
annuncio: "Vedrete: non sarà un'azione
tradizionale". Il pensiero dei giornalisti presenti
è corso alle armi chimiche: "No, non useremo armi
di distruzione di massa - ha detto Al Sahaf - manderemo
all'attacco i nostri martiri". Insomma, toccherà ai
kamikaze votati al suicidio.
Ma alla guerra delle parole segue quella
guerreggiata che parla di furiosi combattimenti con
unità corazzate americane spalleggiate dagli aerei che
hanno combattuto edificio per edificio. La fanteria ha
bloccato l'ingresso verso la capitale mentre aerei
americani provenienti dalla portaerei Kitty Hawk hanno
sganciato bombe guidate dai laser o dai satelliti sugli
hangar e i depositi di carburante dell'aeroporto, e hanno
colpito un vicino complesso militare.
Risultato le piste dello scalo sono ormai inservibili ma,
come sottolinenano al Comando centrale delle forze Usa,
l'effetto era voluto per impedire a Saddam ed ai suoi
dignitari di scappare dalla città. Adesso i marines ed i
fanti americani tengono l'aeroporto ma, come assicura il
generale Vincent Brooks, "ci saranno altri
combattimenti.
I soldati Usa hanno perquisito gli edifici dello scalo e
sequestrato armi e munizioni nei bunker iracheni ma hanno
anche scoperto una serie di gallerie che corrono sotto
tutto il complesso: nessuno sa dove portino e cosa ci sia
dentro. I soldati temono che all'interno dei tunnel
possano nascondersi soldati o miliziani iracheni.
E mentre gli americani si preparano alla bonifica del
sito conquistato da Bagdad il ministro Al Sahaf minaccia.
"Dopo aver inchiodato a terra alcuni reparti degli
infedeli americani e britannici a Nord, Sud e Ovest di
Baghdad, le nostre forze hanno isolato i nemici che si
trovano ora nello scalo", ha detto Al Sahaf.
Stanotte, ha aggiunto, le forze irachene attaccherano
"i nemici" che si trovano nell'aeroporto,
"e non credo che nessuno di loro sopravviverà a
meno che non si arrendano senza condizioni". Poi, il
sinistro annuncio dell'attacco notturno dei kamikaze.
(4 aprile 2003)
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An contro le
inviate Rai
"Sono le veline di Saddam"
L'opposizione si indigna:
"Ingiurie e volgarità"
Tg1 e Tg3: "Dichiarazioni squallide e
intollerabili"
ROMA - "Gruber e Botteri gradite al
regime di Saddam, oppure corruttrici e c'è da chiedersi
con quali mezzi e fonti": le inviate della Rai al
fronte iracheno nel mirino di Alleanza Nazionale. Più
precisamente, del senatore Ettore Bucciero, che ha
chiesto al presidente della commissione di Vigilanza,
Claudio Petruccioli, di indagare come mai le due
giornaliste "si siano salvate" dall'epurazione
subita, invece, dai colleghi della Cnn,
della Fox e
persino della tv araba Al Jazeera.
Bucciero azzarda una spiegazione: "Delle due l'una:
o le 'veline' hanno corrotto il ministro
dell'informazione, c'è da chiedersi con quali mezzi e
fonti, oppure fanno un'informazione gradita al regime
mostrando esclusivamente i danni causati da qualche bomba
poco intelligente o sbadata". Poi, una solleciazione
anche al nuovo direttore generale, Flavio Cattaneo, che
secondo Bucciero "dovrebbe fare un po' di conti, per
valutare se costi meno l'abbonamento al bollettino del
ministero iracheno dell'Informazione di quanto pesi sulle
casse Rai la permanenza in Iraq delle inviate".
Affermazioni che non potevano non sollevare
immediatamente polemiche e repliche. Fra le prime, quella
del senatore Antonello Falomi, capogruppo dei democratici
di sinistra in commissione di Vigilanza, secondo il quale
il collega di An "anziché occuparsi del lavoro
difficile e pericoloso che Lilli Gruber e Giovanna
Botteri svolgono da Baghdad, con grande professionalità,
al servizio di tutti noi, farebbe bene a indagare sulla
sua cultura politica dalla quale trasuda una volgarità
maschilista e pulsioni censorie che evidentemente le
acque di Fiuggi non sono riuscite a cancellare".
Reazioni analoghe quelle di Renzo Lusetti, della
Margherita ("Un partito di governo non può usare
né tollerare un linguaggio così ingiurioso"), di
Gabriella Pistone, deputata dei Comunisti italiani
("Bucciero si dovrebbe rinfrescare il concetto di
libertà di informazione, che evidentemente è appannato
dalle sue antiche radici"), della deputata Ds Gloria
Buffo ("accuse infami").
Reazioni indignate anche dal sindacato dei giornalisti.
Il segretario Usigrai, Roberto Natale, parla di
"dichiarazioni squallide" e auspica che
"qualcuno, nel partito del quale Bucciero fa parte
senta il dovere di prendere pubblicamente le distanze da
un intervento così sguaiato". Un "attacco
volgare", critica il comitato di redazione del Tg3,
ancor di più "perché arriva da un rappresentante
del Parlamento italiano al quale ricordiamo, tra l'altro,
che tra i suoi elettori ci sono pure le donne".
Intollerabili, continua il comunicato del Cdr, le
"volgarità e insinuazioni sessuali su
professioniste dell'informazione che hanno avuto il
plauso dei vertici aziendali", "invitiamo
pertanto il senatore Bucciero a porgere le sue scuse alle
colleghe e a guardarsi le corrispondenze di guerra sui
network di tutto il mondo e leggersi i giornali.
Verificherà che quelle della Rai sono informazioni
complete. Libero comunque di recarsi di persona sul
posto". Oltre al Tg3, testata per la quale lavora
Giovanna Botteri, interviene anche il direttore del Tg1,
Clemente Mimun, sottolineando come le due giornaliste
"stiano dimostrando quotidianamente capacità e
coraggio non comuni".
(4 aprile 2003)
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DA - IL MANIFESTO
Il petrolio
iracheno per Israele
Affari di guerra: il governo di Tel Aviv chiede agli Usa
la riattivazione dello strategico oleodotto Mosul-Haifa
MANLIO DINUCCI
Mentre è ancora in corso la guerra sanguinosa per
l'occupazione dell'Iraq, Sharon presenta a Bush il conto
per l'appoggio fornito da Israele. Il comando israeliano
ha partecipato alla guerra, anche se non apertamente, sin
dalla fase preparatoria, infiltrando commandos nell'Iraq
occidentale, addestrando fanti e marines Usa al
combattimento urbano, mettendo il proprio territorio a
disposizione del Pentagono per costruirvi depositi di
materiale bellico e carburante, e costituendo a Tel Aviv
un comando congiunto israelo-statunitense collegato via
satellite al Comando centrale Usa nel Qatar. La moneta
con cui Sharon chiede di essere pagato è l'oro nero
dell'Iraq. Lo conferma il fatto che il ministro
israeliano delle infrastrutture, Joseph Paritzky, ha dato
disposizioni per una eventuale riapertura dell'oleodotto
che fino al 1948 collegava Mosul, nella zona petrolifera
dell'Iraq settentrionale, al porto di Haifa sul
Mediterraneo, dove oggi si trova la maggior parte delle
installazioni petrolifere e raffinerie israeliane. Lo ha
comunicato lo stesso ministro al quotidiano israeliano Ha'aretz
(31 marzo), dicendosi «certo che gli americani sarebbero
favorevoli al progetto, dato che l'oleodotto porterebbe
il petrolio iracheno direttamente al Mediterraneo». La
riapertura dell'oleodotto Mosul-Haifa garantirebbe a
Israele un flusso di greggio a basso costo, estratto in
un'area limitrofa. In tal modo, esso «potrebbe
risparmiare sull'importazione di petrolio ad alto costo
dalla Russia». Il progetto sicuramente non dispiace agli
«americani», ai quali il ministro israeliano si rivolge
in veste di futuri governanti dell'Iraq. Questo per due
ragioni: sia perché sarebbe vantaggioso per le compagnie
petrolifere statunitensi, cui dovrebbe essere affidato lo
sfruttamento dei pozzi iracheni, sia perché toglierebbe
alla Russia una lucrosa fornitura petrolifera, punendo
Mosca per la sua opposizione alla guerra.
Si riapre così, con un'altra guerra, la storia
dell'oleodotto Mosul-Haifa. Esso svolse un importante
ruolo nella penetrazione dell'imperialismo britannico
nella regione mediorientale, soprattutto quando, nel
1937, Londra promosse un colpo di stato in Iraq
instaurandovi un governo filo-britannico: ciò le permise
di ottenere il petrolio iracheno a bassissimo prezzo e di
trasportarlo attraverso l'oleodotto fino in Palestina,
sotto mandato britannico dal 1922. Quando nell'aprile
1941 la Germania hitleriana promosse in Iraq un colpo di
stato in funzione anti-britannica, le forze filo-tedesche
occuparono il forte di Rutba assumendo il controllo
dell'oleodotto Mosul-Haifa, che venne però riconquistato
poco tempo dopo dalle forze britanniche. L'oleodotto
venne chiuso nel 1948, con la cessazione del mandato
britannico sulla Palestina e la proclamazione dello stato
di Israele.
Successivamente si tentò di riattivarlo quando, negli
anni `80, l'Iraq di Saddam Hussein era in guerra contro
l'Iran e quindi era sostenuto da Washington. Fu il primo
ministro israeliano Yitzhak Shamir a proporre al governo
iracheno la riapertura dell'oleodotto Mosul-Haifa. Nello
stesso periodo, alla metà degli anni `80, il governo
israeliano intraprese una trattativa con Baghdad e Amman,
cui partecipò Donald Rumsfeld (allora consigliere del
presidente Reagan), per la realizzazione di un altro
oleodotto, costruito dalla Betchel statunitense,
attraverso cui il petrolio iracheno sarebbe potuto
arrivare al porto giordano di Aqabah sul Mar Rosso. In
cambio del suo assenso, Israele avrebbe ricevuto 100
milioni di dollari annui. Di nuovo, nel 1987, il ministro
israeliano per l'energia, Moshe Shahal, elaborò un
progetto che prevedeva di trasportare il petrolio
iracheno fino ad Haifa attraverso le Alture di Golan
occupate. Ma anche questo progetto naufragò con il
cambio di fronte e la prima guerra contro l'Iraq.
Ora, con la seconda guerra contro l'Iraq, si crea di
nuovo la possibilità di riattivare lo storico oleodotto
Mosul-Haifa. Su questo è in corso una serrata trattativa
tra il governo Sharon e l'amministrazione Bush. Si fanno
però i conti senza l'oste. Quale sarebbe la reazione in
Iraq al momento in cui il petrolio iracheno cominciasse a
scorrere verso Israele? Come reagirebbero i curdi, dal
cui territorio partirebbe il petrolio? Quali forze
occorrerebbero per proteggere l'oleodotto da azioni di
sabotaggio? Quale sarebbe la reazione dei paesi arabi?
Probabilmente a Washington si pongono tali interrogativi.
Ma Sharon insiste: pretende, giustamente, la parte che
gli spetta del bottino di guerra.
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DA - IL CORRIERE DELLA SERA
Berlusconi: non
ci sarà un rimpasto di governo
«La bocciatura di un articolo del ddl
Gasparri alla Camera è stato solo un incidente di
percorso. Ho la pazienza di Giobbe»
ROMA - Silvio Berlusconi ha escluso l'ipotesi
di un rimpasto di governo e ha assicurato che la
«coalizione va avanti in maniera serrata con un
presidente che passerà alla storia cancellando Giobbe:
la pazienza di Silvio darà i suoi frutti».
L'eventualità di un rimpasto è stata avanzata da alcuni
quotidiani dopo che nella maggioranza erano sorte
polemiche in seguito della bocciatura di un articolo del
disegno di legge Gasparri sul riordino del sistema
radiotelevisivo e dopo lo slittamento alla Camera
dell'esame della devolution già approvata in dicembre
dal Senato.
«INCIDENTE DI PERCORSO» - Alla Camera sul
ddl Gasparri «è accaduto quello che si chiama un
incidente di percorso, rimedieremo sicuramente al
Senato», ha commentato Berlusconi. «Ho visto la lista
degli assenti a Montecitorio: sono tutti vicinissimi a
me. Quindi, veramente non c'è stata la sensazione che ci
fossero numeri che potevano lasciare adito a un risultato
negativo».
IRAQ: «PIANI COME PREVISTO» - Parlando della guerra in
Iraq, il presidente del Consiglio ha affermato: «Come mi
ha detto il presidente Bush, le operazioni erano in
anticipo sul programma e quindi credo che continuino
secondo quelli che erano i progetti degli alleati».
«RICUCIRE I RAPPORTI TRA ALLEATI» - «Tutti stanno
cercando di ricucire. Anche da parte nostra stiamo
cercando di ricucire per quanto riguarda lOnu,
lUe e lAlleanza atlantica: credo che questo
si debba fare e noi siamo impegnati in prima fila», ha
risposto Berlusconi riferendosi agli incontri di giovedì
a Bruxelles tra il segretario di Stato americano Colin
Powell e gli alleati europei.4 aprile 2003
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DA - IL CORRIERE DELLA SERA
Blair: l'Iraq
sarà governato dagli iracheni
Il ministro della Difesa britannico invita
alla prudenza: «Il regime non cadrà subito»
LONDRA (GRAN BRETAGNA) - Le forze della
coalizione sono attese da combattimenti durissimi a
Baghdad. Il ministro della Difesa britannico Geoff Hoon
parla alla Bbc e non enfatizza oltre misura il fatto che
le truppe Usa abbiano ormai il quasi completo controllo
dellaeroporto della capitale. La fine del regime
non avverrà necessariamente in tempi rapidi.
La presa dellaeroporto, dice Hoon, rappresenta un
"durissimo un colpo psicologico per il regime. È la
dimostrazione migliore che siamo arrivati".
Ma la partita non è ancora chiusa, precisa Hoon.
Prendere Baghdad sarà "certamente una sfida
militare molto dura ed è per questo che io e altri
abbiamo invitato tutti a non farci illusioni su una
caduta del regime in tempi brevi".
Nellavanzata, ricorda Hoon, "ci sono stati
duri combattimenti" e abbiamo incontrato una
"seria resistenza. Questo
può verificarsi anche a Baghdad".
BLAIR: «L'IRAQ SARA' GOVERNATO SOLO DAGLI IRACHENI» -
Il primo ministro inglese ha promesso che l'Iraq del
dopoguerra dovrà essere governato solo dagli iracheni,
senza britannici o americani, e che le truppe
angloamericane non dovranno restare nel Paese più del
necessario. L'impegno di Blair è stato formulato in una
lettera aperta al popolo dell'Iraq che verrà distribuita
sul campo dai soldati britannici, diffusa su siti web e
inviata per e-mail.
«Una volta che il regime di Saddam Hussein sarà caduto,
inizierà il lavoro per costruire un Iraq nuovo, libero e
unito», ha detto Blair nella lettera. «Un Iraq
pacifico, prospero che verrà governato da e per il
popolo iracheno, non dall'America, né dalla Gran
Bretagna, né dalle Nazioni Unite». «Le nostre truppe
se ne andranno il più presto possibile", ha
aggiunto. «Non resteranno un giorno in più del
necessario». 4 aprile 2003
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DA - LA REPUBBLICA
I primi tank
americani
sono entrati a Bagdad
Violenti scontri in mattinata a
10 chilometri dal centro
Allarme della Croce rossa: i feriti sono diverse
centinaia
BAGDAD - La diciassettesima giornata di guerra
è iniziata con il primo ingresso di truppe e tank
statunitensi nella capitale: in mattinata ci sono stati
violenti combattimenti, in una zona distante circa 10
chilometri dal centro. Secondo quanto riportato dal
Comando in Qatar, massicce forze Usa sarebbero già
arrivate proprio in centro; mentre Saddam avrebbe
ordinato all'ottava e quindicesima brigata della Guardia
repubblicana di andare a schierarsi nel cuore della
metropoli. Diversa la versione del ministero
dell'Informazione iracheno: l'assalto Usa sarebbe stato
respinto, le truppe costrette a ritirarsi. E intanto la
Croce Rossa lancia l'allarme: da questa mattina diverse
centinaia di feriti sono stati ricoverati negli ospedali
cittadini.
L'ingresso nella capitale. A entrare per primi, per
missioni di ricognizione, mezzi corazzati delle unità
della seconda divisione della terza Fanteria, nei
quartieri periferici. Da parte irachena, nella prima
mattinata, la resistenza è stata portata avanti sia col
fuoco di artiglieria, sia, come già detto, con i tank.
Alcuni degli elementi della terza divisione, dopo
l'incursione, si sarebbero spostati verso la parte sud
della città, per missioni contro le forze della Guardia
Repubblicana: il comando ha riferito che sarebbe stato
preso il quartier generale della divisione Medina, senza
incontrare resistenza.
I movimenti all'aeroporto. Nel corso della
notte, alle truppe di stanza allo scalo ribattezzato
Bagdad International, si sono aggiunti altri rinforzi: ma
non c'è stata traccia di quella "azione non
convenzionale", minacciata ieri dal ministro
dell'Informazione iracheno, Mohammed Said Al Sahaf, che
aveva parlato esplicitamente di missioni kamikaze.
Comunque la situazione nell'area non è tranquilla:
infatti oggi i militari hanno chiamato l'aviazione a
attaccare gli iracheni al limitare dell'aeroporto. Oggi
inoltre le autorità irachene hanno smentito la conquista
dello scalo da parte americana.
I raid senza sosta. Gli attacchi aerei sono proseguiti
nella capitale. Sia nella notte che questa mattina. Tra i
bersagli, il complesso di al-Mamoun, uno dei più
importanti centri di telecomunicazioni della città, già
colpito più volte nei giorni scorsi: è stato centrato
nel corso dei massicci bombardamenti di oggi all'alba.
L'attacco a Karbala. Un attacco aereo e da terra sulla
città dell'Iraq centrale è in corso, hanno detto fonti
militari americane. Le forze paramilitari fedeli a Saddam
hanno risposto al fuoco, secondo quanto riferito da
giornalisti presenti sul posto.
I test sulla polvere bianca. Allarme rientrato: la
sostanza ritrovata ieri in migliaia di casse e scatoline
a sud di Bagdad, non è materiale tossico utilizzabile
come arma chimica. Lo hanno dimsotrato le prime analisi
di laboratorio. La polvere si è rivelata essere
soprattutto atropina, uno degli antidoti contro il gas
nervino.
Gli incidenti. Tre soldati americani sono rimasti uccisi
ieri: un caccia Usa potrevve aver bombardato per errore
una postazione di truppe di terra. Oggi un apparecchio
americano, del tipo AH-1W Super Cobra, è precipitato
oggi in un'area del centro dell'Iraq. I due piloti sono
morti, ha dichiarato, con un comunicato, il Comando di
Doha. "Sulla base delle indicazioni preliminari - si
legge nel comunicato - l'incidente non sembra essere
stato provocato da fuoco nemico". Ancora, tre
soldati Usa sono morti in un incidente stradale vicino
all'aeroporto di Bagdad.
(5 aprile 2003)
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DA - LA REPUBBLICA
Spot in piazza
per il raìs
Saddam riappare fra la gente
Ma quello ripreso potrebbe essere
un sosia:
sorride, stringe mani, si lascia avvicinare
dal nostro inviato MAGDI ALLAM
KUWAIT CITY
"CON lo spirito, con il sangue, ci sacrifichiamo per
te o Saddam!". La folla lo acclama saltellando dalla
gioia. Il braccio con il pugno chiuso scandisce il ritmo
dell'eccitazione. In mezzo compare, per la prima volta
dall'inizio della guerra, Saddam. Il soverchiante
esercito americano è alla periferia di Bagdad, ma il
raìs appare tranquillo. Addirittura raggiante. Sorride
ininterrottamente. Si fa abbracciare dalle donne mentre
gli uomini si prostrano per baciargli la mano. E' il più
clamoroso colpo mediatico messo a segno da Saddam, anche
se con la capitale quasi del tutto senza elettricità, in
pochi hanno potuto raccogliere il messaggio contenuto nel
filmato trasmesso dalla tv irachena.
Siamo nella piazzetta Al Liqaa del quartiere di Al
Mansur, alla periferia ovest di Bagdad, lungo la
direttrice che porta all'aeroporto internazionale
occupato dagli americani. Le strade sono deserte. Poche
le automobili in circolazione. La gran parte dei negozi
tiene le saracinesche abbassate. In lontananza si vedono
le nuvole nere che si sprigionano dal petrolio dato alle
fiamme dentro le trincee scavate tutto intorno alla
capitale. La telecamera si sofferma su delle abitazioni
basse e povere. Il suolo è accidentato. E' una zona
popolare. Quando Saddam compare è accompagnato da poche
guardie del corpo. Alcune hanno la pistola alla cintola,
altre brandiscono il kalashnikov. Saddam indossa
l'uniforme verde scuro della milizia del partito Baath.
Sotto il colletto spicca una maglietta dello stesso
colore. Si muove con una certa agilità. Visita un posto
che ha subito un bombardamento aereo. Si vedono delle
mura danneggiate. L'incontro con la gente appare del
tutto casuale. Si vedono uomini e donne che passando si
soffermano.
Increduli, cercano di avvicinarsi per salutare
il loro leader. Le guardie del corpo, dall'aspetto
corpulento e per niente sportivi, si predispongono per
garantire la sicurezza di Saddam. Ma a turno qualcuno
riesce a passare. In un primo tempo Saddam stringe le
mani che sporgono a distanza. Ma quando la folla cresce,
si infrangono le barriere. Una donna con il velo nero si
scaraventa sul raìs e lo abbraccia. Lui sorride
estasiato. A un certo punto Saddam salta su un rialzo
della strada, scandisce con il pugno chiuso della mano il
segno della vittoria. E a sorpresa risponde alle
molteplici mani che si protendono verso di lui
"battendo il cinque", che si ottiene facendo
scoccare il palmo delle due mani aperte. Qui
l'eccitazione della folla raggiunge il culmine.
L'invocazione al martirio per Saddam si è ripetuta
ininterrottamente.
Per la verità si tratta di una novità assoluta.
Sconvolgente. Come non si vedeva da tanti anni. Al punto
da suscitare più di un dubbio sul fatto che si sia
trattato del vero Saddam. Questi abitualmente non sorride
quasi mai. Ha il volto più gonfio e il fisico obeso. I
suoi movimenti sono lenti e pressoché meccanici. I
capelli e i baffi sono leggermente brizzolati. Il Saddam
del filmato è invece gioviale, giovanile, si muove con
disinvoltura. Non ha alcuna traccia di senilità nei
tratti facciali, il profilo è alquanto asciutto. E
soprattutto ha impresso un sorriso disarmante. Il vero
Saddam è ossessionato dalla possibilità di essere
ucciso in qualsiasi momento. Evita il contatto con la
gente. Tutti quelli che si presentano al suo cospetto
devono essere minuziosamente perquisiti. Addirittura sono
costretti a lavarsi le mani con un solvente per essere
certi che non lo contaminino con sostanze velenose. Ieri
si è assistito all'esatto contrario. Saddam era
estasiato dal bagno di folla.
Andava incontro a persone sconosciute con il sorriso in
bocca, quasi si trattasse di un fatto abituale. E poi
c'è un altro aspetto che non convince.
Ieri a Bagdad era una giornata caldissima. Il termometro
ha segnato i 34 gradi. Eppure nel filmato la gran parte
delle persone veste a maniche lunghe e indossa un
giacchetto o un maglioncino. E' pertanto probabile che il
filmato sia stato girato all'alba, quando fa più
freschetto, ma di un altro giorno, quando la temperatura
era più bassa.
Comunque sia l'impatto psicologico e propagandistico è
indubbio. Chi ha avuto modo di vedere il filmato ha
dedotto che Saddam è vivo e tiene saldamente in mano il
potere. Ieri è stata una giornata eccezionalmente attiva
per il raìs. Prima della trasmissione del filmato con il
bagno di folla, s'era già manifestato due volte con dei
brevi discorsi televisivi. Il primo letto dal ministro
dell'Informazione Mohammad Said Al Sahhaf e il secondo,
nel tardo pomeriggio, pronunciato in prima persona. Non
capitava dallo scorso 24 marzo. In quella circostanza
Saddam fece riferimento all'abbattimento di un elicottero
americano Apache da parte di un contadino. Ieri ha
nuovamente ricordato quell'episodio rinnovando l'appello
alla Jihad, la Guerra santa: "Colpiteli con forza
ovunque s'avvicinino, resistete, o coraggiosi abitanti di
Bagdad! Per volontà di Dio voi sarete i vincitori e loro
i vinti!". In un intervento colmo di retorica
religiosa, Saddam ha concluso assicurando che "i
loro morti andranno all'Inferno, i nostri martiri
conquisteranno il Paradiso".
C'è una frase nel discorso letto da Al Sahhaf che merita
attenzione. Saddam dice: "Combatteli, fratelli.
Colpiteli giorno e notte, e fate che la terra dei
musulmani sia un fuoco che bruci i piedi e il volto degli
invasori". Il bruciare i piedi e il volto potrebbe
significare il ricorso a armi chimiche.
Quello che è certo è che Saddam ha deciso di giocare il
tutto per tutto. Ha ben chiaro che ormai la resa dei
conti è imminente. La sua uscita pubblica di ieri è una
mossa vincente e che ha colto tutti di sorpresa. Ma
probabilmente la vera sorpresa deve ancora arrivare.
(5 aprile 2003)
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DA - L'UNITA
Perché
lOnu Tace?
di Pino Arlacchi
Kofi Annan si è fatto vivo pochi giorni fa, leggendo un
breve invito ai belligeranti in Iraq perché rispettino
la Convenzione di Ginevra del 1949 sulla condotta delle
guerre. Da vari mesi il Segretario Generale delle Nazioni
Unite non si faceva sentire, e le critiche a quella che
viene ormai definita «passività» di fronte agli eventi
iracheni si stanno accrescendo. Vari dirigenti Onu non
nascondono più il timore che la politica di basso
profilo seguita finora da Annan stia portando più
svantaggi che utili allorganizzazione.
Alla base del loro disagio si collocano due
preoccupazioni. La prima si collega alla arrendevolezza
mostrata da Annan verso le due potenze più influenti nel
gioco multilaterale (Usa e Gran Bretagna) durante
lintero corso della crisi irachena. Il Segretario
Generale ha dato limpressione di non tenere nel
dovuto conto le posizioni degli altri stati membri e
dellopinione pubblica mondiale, e di non avere
saputo esprimere la ragione dessere delle Nazioni
Unite come entità fondamentalmente avversa alla guerra e
alla violenza.
Come mai, molti si chiedono, lunica proposta
davvero suscettibile di evitare la guerra è apparsa e
scomparsa allultimo minuto sotto il nome di «piano
franco-tedesco», invece di essere presentata per tempo,
un anno prima, come iniziativa del Segretario Generale?
Linvio di una missione militare Onu in Iraq pronta
ad usare la forza per rimuovere gli ostacoli alle
ispezioni avrebbe ricevuto, dentro e fuori del Consiglio
di Sicurezza, un sostegno molto forte, e tale da
scoraggiare eventuali proposte alternative.
I nemici di Annan hanno una risposta molto semplice a
questo interrogativo. Una simile decisione poteva essere
da un vero Segretario Generale, e non dal modesto
funzionario amministrativo che gli eventi - e gli Usa,
desiderosi di non ripetere gli scontri avuti con il suo
predecessore Boutros Ghali - hanno catapultato in un
ruolo al di sopra delle sue possibilità.
Ma la storia del potere fornisce vari esempi di agnelli
trasformati in leoni, anche in età matura, dalla
consapevolezza delle proprie responsabilità e dal
desiderio di riscattare mediocri curriculum personali.
Annan avrebbe potuto elaborare un piano di azione
vincente per lIraq se fosse stato disposto a
correre alcuni inevitabili rischi, ed a pagare i costi di
una presa di distanza dallamministrazione
americana.
Ciò non è accaduto. Una cruciale opportunità è stata
sprecata, e la storia non si fa con i «se». Il
Segretario Generale ha preferito evitare la grande
politica ed ha passato la patata bollente nelle mani
degli Ispettori. Entrati in scena Blix ed ElBaradei,
Annan si è accomodato in platea, come se la vicenda lo
riguardasse fino ad un certo punto. Lasciando ad alcuni
stati membri il compito di difendere dagli attacchi dei
vandali di Washington loperato degli uomini da lui
stesso nominati.
Gli Ispettori hanno lavorato con competenza ed
imparzialità, conquistandosi il rispetto di chiunque
creda nella legalità universale, e se ne sono andati a
testa alta, senza cedere ai diktat di alcuno. Quando il
destino della vicenda irachena si è avviato verso il suo
esito finale, e le tensioni della comunità
internazionale hanno raggiunto il loro culmine, Annan ha
dimostrato di rimanere fedele alla sua concezione, varie
volte espressa, del ruolo del Segretario Generale delle
Nazioni Unite: più segretario che generale.
Silenzio, quindi, di fronte al teppismo del governo Bush
contro il diritto internazionale. No comment di fronte
allinvasione di uno stato sovrano da parte di altri
stati, avvenuta senza neppure la giustificazione, come in
Kosovo, di una emergenza speciale. Nessuna attivazione
degli strumenti Onu, come lAlto Commissariato per i
diritti umani, per il monitoraggio della condotta della
guerra. Niente gioco di anticipo nel dibattito sul futuro
delle Nazioni Unite. Solo la ripetizione dello slogan -
enunciato e subito contraddetto in Kosovo e in
Afghanistan - sulla indisponibilità delle Nazioni Unite
ad assumere lamministrazione dellIraq dopo la
guerra.
Qui sta il nocciolo del secondo ordine di preoccupazioni
che circolano nel Palazzo di Vetro. La remissività di
Annan ha finito col dare la sensazione agli estremisti
che circondano il Presidente Usa che essi possono sparare
contro lOnu senza dover temere una qualsivoglia
reazione. E di potere quindi mettere mano alla strategia
da lungo tempo vagheggiata: la riduzione delle Nazioni
Unite da embrione del governo mondiale e da fonte del
diritto internazionale ad una semplice NGO, una agenzia
umanitaria in concorrenza con la Croce Rossa. Spogliata
di ogni funzione politica, legale e perfino di promozione
dello sviluppo.
Nel mondo prefigurato dai vari Wolfowitz, Perle e Cheney
(forse non da Bush in persona perché argomento troppo
complesso), le crisi internazionali dovrebbero essere
trattate da un piccolo comitato di potenze subalterne
allegemonia Usa. Le questioni dello sviluppo e
della stabilità economico-finanziaria sarebbero
appannaggio esclusivo della Banca Mondiale e del Fondo
Monetario, istituzioni la cui «governance» è molto
più affidabile, agli occhi americani, del carrozzone
Onu. In quanto alla legalità e al diritto
internazionali, be, si potrebbero ridurre al minimo
indispensabile i trattati multilaterali in favore di
quelli bilaterali, e lasciare allunica superpotenza
della terra lonere di far scaturire il diritto
dalla forza. Dopo avere messo a posto, ovviamente, gli
stati-canaglia tramite una serie di guerre preventive.
Sono queste le idee che spaventano i vertici
dellOnu. Il loro rapido passaggio dal regno della
paranoia a quello della realtà sta allarmando anche
molti stati membri, e soprattutto quelli che appartengono
al mondo in via di sviluppo. Essi temono di perdere con
le Nazioni Unite non solo una fonte di sostegno economico
e politico disinteressato, ma anche lunico forum
dove possono almeno far sentire la propria voce.
Questi paesi vedrebbero con favore la sostituzione di
Annan con un leader allaltezza dei tempi drammatici
che si profilano per lOnu e per la comunità
internazionale. Ma ciò richiederebbe lassenso di
varie potenze, alcune delle quali interessate a mantenere
il minimalismo attuale.
Un Segretario Generale più energico potrebbe anche
essere il risultato di una riforma dellOnu che lo
rendesse inamovibile e non rieleggibile, e dotato di
poteri effettivi sulluso della forza durante le
crisi internazionali. Speriamo che la discussione sulla
riforma del sistema si avvii in questa direzione.
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