DA - LA REPUBBLICA Scontri e bombe a sud di
Bagdad
Decine di civili uccisi
Annientata
una intera famiglia su un pick up: 15 morti
HILLA (IRAQ
CENTRALE) - Decine di morti, tra cui otto bambini e un
neonato. Corpi fatti a pezzi, feriti adagiati per terra
negli ospedali perché nei letti non c'è più posto.
"Un orrore", secondo le parole del portavoce
della Croce rossa internazionale Roland Huguen-Benjamin.
Trentatré vittime, circa 450 i feriti. Sono le vittime
del bombardamento di Hilla, un centro di contadini nei
pressi dell'antica Babilonia a circa 80 chilometri a sud
di Bagdad. La nuova strage di civili è stata provocata
da un missile che ha colpito una palazzina in un
quartiere residenziale. Le immagini diffuse dal luogo del
massacro mostrano uomini donne e bambini ammucchiati sui
pavimenti, distesi sul selciato, pietosamente composti
sul pianale di un camioncino. "Che razza di bombe
hanno usato?", si è chiesto il responsabile della
Croce rossa. Una prima risposta è arrivata da un
corrispondente della France Presse
giunto sul posto, che ha raccontato di avere visto sparse
sul terreno decine di mine con piccoli paracadute, segno
che nel raid sono state utilizzate bombe a grappolo.
Da aggiungere al
conto dei morti ci sono poi i quindici membri di una
stessa famiglia, rimasti uccisi ieri sera mentre erano in
fuga dalla città. Il pick up su cui viaggiavano è stato
centrato da un razzo lanciato da un elicottero Apache. A
raccontarlo è stato l'unico sopravvissuto nel
bombardamento, Razek al Kazem al Khafaj. Il gruppo stava
scappando dalla città meridionale di Nassiriya, dove
sono in corso durissimi scontri tra esercito iracheno e
forze angloamericane, ed era in viaggio quando il veicolo
è stato centrato dal missile. Khafaj ha mostrato a un
fotografo dell'agenzia France Presse le quindici bare e
ha spiegato che le vittime sono sua moglie, i loro sei
figli, i suoi genitori e i tre fratelli con le rispettive
mogli. "Su chi posso piangere?" urlava l'uomo.
Cospargendosi il capo di sabbia "per non vedere
più".
L'offensiva dal cielo, condotta con gli elicotteri
d'attacco "Apache", rientra in quella serie di
operazioni che, nelle intenzioni dei generali americani,
deve servire ad ammorbidire la Guardia Repubblicana, che
Saddam ha disposto nella zona circostante Bagdad in vista
della battaglia per la conquista della città.
Dalla provincia di Babilonia, dove si trova la città di
Hilla colpita oggi così pesantemente, si accede infatti
direttamente alla capitale irachena. E si tratta dello
stesso teatro che da ieri ha visto alcune incursioni dei
soldati alleati, con lo scopo dichiarato di
"saggiare" la resistenza delle truppe scelte di
Saddam.
(1 aprile 2003)
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DA - LA
REPUBBLICA
"Le
Brigate Rosse
non sono terroristi"
"Nessuna
rivendicazione o annuncio di azioni future"
Il legale: "Il trattamemto carcerario è
abnorme"
ROMA - Dodici
pagine per dire che gli atti delle Brigate rosse
"non possono essere considerati atti di
terrorismo". Nadia Lioce, la brigatista in carcere
dopo l'omicidio dell'agente Petri, non parla con i
giudici. Ma affida alla carta i suoi proclami. Un
documento che, secondo quanto riferisce il legale Attilio
Baccioli conterrebbe "un'analisi della strategia
delle Br e delle attuali contraddizioni di classe e
dell'attuale fase dell' imperialismo".
Nelle intenzioni della Lioce il documento avrebbe dovuto
essere letto in aula nel corso dell'udienza davanti al
Tribunale della libertà, ma il pm Giuseppe Nicolosi si
è opposto ritenendolo "apologetico". Così le
12 pagine scritte a mano sono state acquisite agli atti
dal collegio, che dovrà anche decidere sui ricorsi
presentati dall'avvocato Baccioli contro i due ordini di
custodia cautelare (uno relativo alla sparatoria sul
treno e all'omicidio dell'agente Petri e l'altro per
banda armata) spiccati dalla magistratura di Firenze. Il
documento, che conterrebbe anche un riferimento specifico
all'attentato alle Torri gemelle, conterrebbe "una
rivendicazione globale di tutta l'attività delle Br, ma
non come rivendicazione materiale o di
partecipazione" spiega Baccioli. Dai fogli non
arriverebbe nessun annuncio di future azioni
terroristiche. In pratica, dice Baccioli, "un mero
documento di analisi".
Il legale è poi
tornato sul trattamento carcerario della Lioce. "E'
assolutamente abnorme. E' in un isolamento totale.
Pensate che della guerra non sapeva nulla. Lei dice: 'io
vado a testa alta, sono una prigioniera, mi danno da
mangiare, da bere e sto in una stanza pulita. Altri
prigionieri vengono torturati, per fortuna a me non mi ha
torturato nessuno".
Nell'udineza di oggi Baccioli ha ribadito il suo ricorso
contro la contestazione dell' aggravante della finalità
di terrorismo e di eversione dell'ordine democratico
contenuta nel provvedimento del gip di Firenze, chiedendo
la revoca dell'ordine di carcerazione e la trasmissione
degli atti alla procura di Arezzo. Anche per la
contestazione della banda armata, Baccioli ha chiesto la
revoca del provvedimento cautelare.
Tesi a cui si è opposto il pm Giuseppe Nicolosi. Secondo
la procura, sarebbero incontestabili le aggravanti di
terrorismo ed eversione contestate alla brigatista in
relazione alla sparatoria sul treno. La decisione del
tribunale del riesame sarà resa nota nei prossimi
giorni.
(1 aprile 2003)
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DA - LA
REPUBBLICA
Polmonite,
paura nel mondo
Un "forte sospetto" a Roma
Sei
i morti in Canada, allarme in Australia e Spagna
In California quattro persone sotto osservazione
ROMA - Un caso
sospetto a Milano, un altro "fortemente"
sospetto a Roma. Non rientra, in Italia, l'allarme per la
polmonite atipica. E cresce la paura anche nel resto del
mondo. Con il primo caso sospetto in Australia, una
vittima a Panama, sei morti in Canada, un uomo sotto
osservazione in Spagna, quattro persone - che erano a
bordo di un aereo proveniente dal Giappone - ricoverate a
San José in California. Intanto, nel giorno in cui si
celebrano i funerali di Carlo Urbani, il medico italiano
ucciso dal virus, le autorità sanitarie rassicurano sul
caso della Sicilia, così come a Firenze due pazienti
"sospetti" sono tornati a casa e altri due sono
stati dimessi questa sera. Ma il ministro della Salute,
Girolamo Sirchia, avverte: "Meglio rimandare i
viaggi in oriente".
"Non esiste certezza" ma è "molto
probabile" che il paziente ricoverato all'ospedale
Spallanzani di Roma sia affetto da Sars. A dichiararlo è
stato il ministro Sirchia, secondo il quale "le
caratteristiche cliniche del paziente ricoverato allo
Spallanzani fanno sospettare fortemente che si tratti di
polmonite atipica. Si tratta - ha spiegato il ministro -
di un assistente di volo della Chatay Pacific, cinese, di
25 anni, arrivato da Hong Kong, che già stava male e che
poi si è spostato in varie città italiane prima di
essere ricoverato a Roma". Sirchia ha quindi
assicurato che "le cure funzionano, è gia
sfebbrato. E comunque è attualmente in corso un'accurata
indagine epidemiologica per rintracciare tutte le persone
che può avere contattato".
Un nuovo paziente
è anche sotto osservazione da questa mattina
nell'ospedale fiorentino di Careggi, un uomo di 39 anni
rientrato dalla Cina il 22 marzo con sintomi influenzali.
L'uomo è stato posto sotto controllo nel reparto
malattie infettive "per motivi precauzionali",
spiegano dal policlinico. Sempre a Firenze, sono tornati
a casa ieri sera due coniugi fiorentini, rientrati da una
decina di giorni da un viaggio in Oriente: avevano
accusato sintomi influenzali, ma dopo i controlli sono
stati dimessi.
Di fronte al rischio di contrarre la sindrome,
"sarebbe meglio rimandare viaggi in Estremo Oriente
- ha detto il ministro Sirchia -, se non di fronte a casi
di necessità assoluta". "Nel nostro Paese - ha
aggiunto -, la situazione è ancora tranquilla, speriamo
che non ci siano altri casi. Ma servono grande cautela e
precauzione". Sirchia ha spiegato che si tratta di
"una malattia causata da un virus particolarmente
aggressivo, con una incidenza altissima di
mortalita", aggiungendo anche che "attualmente
nel nostro Paese non c'è pericolo, né ragione di
allarmarsi. Non bisogna fare cose inconsulte - ha detto
il ministro - come tapparsi in casa o assumere
antibiotici, che sono totalmente inutili. Sono le
autorità sanitarie - ha concluso - a dover prendere le
precauzioni necessarie, ed è quello che stiamo
facendo''.
Intanto è rientrato l'allarme in Sicilia, dopo la
pubblicazione, da parte di un quotidiano locale, della
notizia di un caso sospetto all'ospedale Civico di
Palermo mentre a Imperia un uomo di 64 anni, reduce da un
viaggio in Thailandia, è stato ricoverato d'urgenza
all'ospedale di Sanremo.
Altre due persone sono morte di polmonite atipica a
Toronto, e sale così a sei il numero delle vittime della
Sars in Canada. Spunta il primo caso sospetto in
Australia. Si tratta di un paziente arrivato da Singapore
il 12 febbraio, giunto in ospedale undici giorni dopo con
i sintomi del virus, e dimesso dopo due settimane. Solo
ora ci si è resi conto che potrebbe trattarsi di
sindrome respiratoria acuta: il responsabile
dell'Organizzazione sanitaria nazionale, Richard
Smallwood, ha informato l'Organizzazione mondiale per la
sanità ed è in attesa dei risultati delle analisi.
Sono invece stati messi in quarantena lo staff tecnico e
quindici dei ventidue giocatori delle rappresentative
maschile e femminile di rugby di Singapore, che hanno
partecipato al torneo annuale di Hong Kong. Nessuno
presenta sintomi, ma si tratta di una misura
precauzionale. Al torneo "Hong Kong Seven"
avrebbe dovuto partecipare anche l'Italia, che invece ha
rinunciato proprio a causa dell'epidemia.
Allarme anche negli Stati Uniti. In serata un aereo
proveniente dal Giappone con 200 persone a bordo è stato
messo in quarantena all'aeroporto di San José, in
California. Durante il volo proveniente da Tokyo, stando
al portavoce dell'aerostazione Cathy Gaskell, due membri
dell'equipaggio e due passeggeri hanno accusato sintomi
che hanno fatto pensare alla sindrome respiratoria acuta
grave. I quattro sono stati presi in cura dai medici
mentre i passeggeri senza sintomi potranno tornare a casa
ma con alcune importanti raccomandazioni tese a cogliere
sul nascere qualsiasi manifestazione dell'infezione.
Una vittima si segnala a Panama: un uomo di 45 anni è
morto dopo aver manifestato i sintomi della Sars. Il
ministero locale della Sanità ha avviato un'inchiesta
per determinare la natura della malattia. E un uomo che
presentava i sintomi del contagio è stato ricoverato in
Spagna, a Basurto; il paziente era rientrato di recente
nel Paese dopo un viaggio in Cina. Fra alcuni giorni la
diagnosi definitiva: se dovesse essere confermato, si
trattarebbe del primo caso in Spagna.
(1 aprile 2003)
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DA - IL MANIFESTO
La notizia fa
paura
ROBERTO ZANINI
«Il primo piano di guerra è fallito a causa della
resistenza irachena, ora stanno cercando di scriverne un
altro». Commento ragionevole, pacato, banale. E' di
Peter Arnett intervistato dalla tv di stato irachena. La Nbc
l'ha giustamente licenziato, non si chiacchiera col
nemico. La Casa Bianca è impazzita e questo l'ha scritto
John Le Carré, i generali del Pentagono sono impazziti e
questo l'ha suggerito il loro ministro Donald Rumsfeld,
ora sono impazzite anche le televisioni. Dell'America che
conosciamo resteranno gli hamburger - bisogna dire che le
mucche sono impazzite per prime.
L'eroe televisivo di Desert Storm è fuori da Iraqi
Freedom, che è un nome abominevole. La Cnn
lo aveva già licenziato quattro anni fa, aveva prestato
la faccia a un servizio sull'uso dei gas nel Laos e il
Pentagono l'aveva presa male. Si era scusato allora e si
è scusato adesso ma ha sprecato la cenere e il capo. E
poi è anche neozelandese e quindi immigrato, e in
gioventù è stato certamente socialista.
I militari hanno perso la confortevole, feroce certezza
della blitzkrieg
e la guerra gli si è sporcata tra le mani. Missili sulle
case, bambini assetati, tank anglofoni bombardati, canali
arabi che non cantano l'inno nazionale e persino
fastidiosi kamikaze, roba dura da manipolare. E' una
guerra della paura, shock and awe
qualsiasi cosa voglia dire. Doveva essere un kolossal nel
deserto ma sta diventando una serie a puntate, e l'horror
non tiene la mezz'ora pomeridiana a orari fissi. Bush e
Rumsfeld hanno bombardato la tv irachena e incorporato la
propria nelle truppe perché la loro terrorizzante
telepredicazione avesse un senso e un pubblico, ma questo
a lungo termine è un rischio.
«Le immagini televisive sono lo strumento essenziale
della gestione della paura» ha detto il filosofo
francese Paul Virilio, che chiama il Pentagono «il
ministero della paura». L'esercito ha vietato di
riprendere i funerali dei soldati uccisi e sta spegnendo
i cellulari di quelli sul campo. Paura va bene, ma madri
e padri non devono essere depressi dalla liberazione
dell'Iraq e più tardi del mondo intero.
I network degli Stati uniti, per ora compatti e
patriottici, hanno subito lo stesso choc dei generali. Il
Settimo Cavalleria e i giornalisti americani al seguito
si erano preparati alla stessa guerra, un conflitto di
plastica di breve durata e massimo risultato. Del resto shoot
vuol dire sparare un proiettile ma anche girare una
ripresa e le divise dell'inviato speciale della Cnn
e dell'ufficiale a cui è gemellato
sembrano identiche, con la sola differenza che il primo
porta il corpetto antiproiettile sopra la giubba e il
secondo sotto - o non ce l'ha.
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DA - IL MANIFESTO
Strage di
bambini
Undici bambini sono stati uccisi sabato notte da un
missile che ha colpito la fattoria alla periferia di
Baghdad in cui vivevano con le famiglie. L'ennesimo
massacro, ma non l'ultimo in una città dove le vittime
civili dei bombardamenti sono purtroppo sempre più
numerose. «Questo non è terrorismo? - chiede la gente
sconvolta indicando le macerie di una casa - Qui ci
viveva una donna anziana con due figli orfani e una
nipote. Una famiglia distrutta, e magari gli americani ci
diranno che erano terroristi»
GIULIANA SGRENA
INVIATA A BAGHDAD
Ibombardamenti si accaniscono sulla capitale irachena,
notte e giorno, come promesso dal segretario alla difesa
Usa, Donald Rumsfeld: Bassora è solo un assaggio di
quello che sarà l'assedio di Baghdad. Lo stiamo vedendo,
la notte scorsa non c'è stata tregua. Eppure la mattina
la città era più popolata del solito, i negozi sono
ancora quasi tutti chiusi, ma alcuni mercati hanno
riaperto, la strada Jumuriya è tornata agli ingorghi
abituali: sul marciapiede si vende di tutto: taniche di
benzina, fornelli a gas, utensili vari, vettovaglie e
vestiti. Perché tanto fermento dopo una settimana di
paralisi totale e una notte d'inferno? «Evidentemente la
gente si aspettava la pioggia di migliaia di bombe nei
primi giorni di guerra come minacciato dagli Stati uniti,
invece le cose stanno andando diversamente, i
bombardamenti continuano ma le truppe non avanzano e poi
bisogna fare rifornimenti, le scorte si esauriscono», ci
dice Majid mentre compra la frutta. I prezzi sono
aumentati? «Quelli dei pomodori sì, costavano 350
dinari al chilo, ora sono arrivati a 1.000 (circa mezzo
euro), le arance anche sono aumentate, ma di poco». E
ogni mattina ritroviamo gli effetti sanguinosi dei
bombardamenti: un'altra strage di civili. Ieri secondo la
tesimonianza diretta di un reporter dell'Afp
di Baghdad - ancora non confermate dal governo iracheno -
abbiamo saputo che sabato notte venti persone, tra cui
undici bambini, sono morte e dieci sono rimaste ferite in
un bombardamento angloamericano su una fattoria nella
zona sud della città. Sono stati i parenti delle
vittime, gli unici a rimanere illesi nella strage, a
raccontare che i bombardieri alleati hanno distrutto tre
abitazioni del sobborgo di Al Janabiin sventrandole con
un missile che ha colpito in pieno le case. Gli undici
bambini, sette donne e due uomini morti nell'attacco
appartenevano a cinque famiglie.
E anche ieri mattina abbiamo trovato gli effetti dei raid
notturni: un nuovo centro di comunicazioni, quello di Bab
al-Muhaddan, sventrato, colpito un altro palazzo
presidenziale sulle rive del Tigri, sarebbe quello
abitato dal figlio minore di Saddam, Qusay, che comanda
la guardia repubblicana. E' stato nuovamente attaccato
anche il ministero dell'informazione e il missile che
l'ha colpito ha danneggiato le case vicine. I famosi
danni «collaterali». Che cominciano ad essere numerosi.
Al-Adhamiya è un quartiere abitato dai veri baghdadini,
i vecchi abitanti della città, che si vantano di
esserlo. Dopo aver superato le nubi di fumo nero
provocate dalle trincee di petrolio che ancora bruciano,
ci addentriamo nel quartiere incontrando prima orti
coltivati a verdure e vivai di fiori, poi la zona più
commerciale e popolare. Quasi tutti i negozi sono ancora
chiusi, ma non le bancarelle di frutta e verdura e le
panetterie, che sono obbligate a restare aperte e a
mantenere fisso il prezzo del pane. Svoltiamo in una
strada sterrata della parte di al-Adhamiya che prende il
nome di al-Kam, un cumulo di macerie sbarra la strada. E'
quel che resta di una casa sventrata da un missile.
«Erano le 12 e 30, l'ora della preghiera di mezzogiorno,
c'era chi pregava e le donne cucinavano, quando è
arrivato un boato, la casa colpita è stata completamente
distrutta, quella dietro solo parzialemente, sei i morti,
compresa una bambina di 12 anni, e una ventina di
feriti». Anche la casa di Husham, che ci racconta
l'accaduto, e altre vicine sono state danneggiate.
Intorno a noi si è affollato un gruppetto di persone, ci
sono anche alcune donne, questo è un quartiere sunnita e
le donne sono meno bardate delle sciite. Tutti comunque
ci assalgono: «Questo non è terrorismo?! E magari gli
americani vengono a dirci che qui abitavano terroristi,
era una donna anziana con due figli orfani e la nipote
che era venuta a trovarla, una famiglia distrutta».
Husham, 26 anni, ingegnere agronomo, lavora al ministero
dell'agricoltura, ma da quando c'è la guerra sono tutti
a casa. Anche la moglie Suad, che è avvocata e lavora in
tribunale. Il figlioletto Ibrahim, vuole una fotografia e
subito alza le mani a V in segno di vittoria. Perché
pensate che sia stata colpita questa casa? «Per
vendetta, perché gli americani stanno subendo molte
perdite nel sud», risponde una ragazza. Ma più che
certezze, in loro c'è tanta rabbia, contro gli
occidentali: che cosa fate per fermare Bush? Cerchiamo di
spiegare che cosa fanno i pacifisti in occidente, ma non
possiamo certo dire che le grandi mobilitazioni siano
bastate a fermare la guerra e per loro è questo che
conta. Parliamo anche della posizione dei governi, ma
Husham taglia corto: «Solo dio è dalla nostra parte,
questo ci basta». Gli facciamo notare che forse non
basta. Lui che farà se arrivano gli americani?
«Prenderò il fucile, tutti abbiamo il fucile pronto,
siamo tutti mujahidin (combattenti ndr)»,
conclude. Anche le donne? «Anche le donne», risponde.
Riattraversiamo la città passando accanto, sulla riva
del Tigri, al palazzo presidenziale bombardato ma la
gente non se ne preoccupa, superiamo il ponte, l'unico
sopravvissuto intatto alla guerra del Golfo del 1991,
perché, mi raccontano, era stato mimetizzato con le
piante. Vediamo il centro di comunicazioni al-Mamun
anch'esso sventrato mentre la torre Saddam che si trova
accanto si è miracolosamente salvata, tranne i vetri.
Poco lontano ci addentriamo nel quartiere residenziale di
Qadissiya: villette recintate con giardino, un luogo
tranquillo ma particolarmente pericoloso perché si trova
nel mezzo di tanti possibili obiettivi, militari e
civili. Proprio per questo gli abitanti di molte di
queste case, dopo l'inizio della guerra, si sono
trasferiti altrove. E così il missile che ha colpito il
quartiere due giorni fa, alle 19 e 30, lasciando un
cratere profondo sette metri, ha distrutto tre case (55
abitanti) ma non ha provocato vittime.
«I miei figli piangevano sempre sentendo i
bombardamenti, così ci siamo trasferiti in campagna e lo
stesso hanno fatto i vicini», racconta Mohammed Kamel
Ismail, 50 anni, sette figli, mentre rovista tra quel che
resta della sua biblioteca. Insegnante di scuola
secondaria, teneva delle lezioni anche a casa, e ci
mostra tra le macerie la stanza dove insegnava, si trova
accanto alla cucina dove sul pavimento sono ancora sparse
cipolle e patate. Mentre racconta arrivano alcuni suoi
studenti a salutarlo. Si vede che lo stimano molto. «Mi
rispettano molto perché io insegno loro anche quello che
c'è dietro le cose, i retroscena delle cose che
succedono, ma d'ora in poi insegnerò loro anche l'odio
verso l'occidente», dice. E poi continuando con la sua
aria dolce e sommessa, ci confessa: «Prima io non
riuscivo a capire i martiri che si fanno saltare per
aria, ora li capisco, non ho più niente da perdere e
spero che dio mi riservi presto il martirio». Ma lei ha
sette figli, che hanno bisogno di un padre, perché deve
sperare nel martirio, ci sono altri modi di combattere
gli americani, gli occidentali, non crede? contestiamo.
«Il martirio è il nostro dovere, solo di questo hanno
paura gli americani, perché non sanno come affrontarlo.
Per quanto riguarda i figli, sono un padre premuroso, mi
alzo di notte per coprirli, il sorriso dei bambini è
uguale dappertutto, che diritto hanno di toglieceli? Ma
cresceranno bene perché li ho educati nell'insegnamento
del corano», afferma sicuro. Continua a frugare tra i
libri che sono rimasti ammucchiati tra le macerie nella
stanza in cui insegnava, trova finalmente il volume che
cercava: un libro pregiato, un corano scritto in arabo
con traduzione e commento in inglese. E me lo regala. Ma
non aveva appena detto di odiare gli occidentali?
Comunque non gli avevamo creduto. Poco lontano le bombe
continuano a cadere, ci allontaniamo dalla costruzione
ancora in bilico, meglio non rischiare.
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DA - IL MANIFESTO
Licenziato
Peter Arnett
«Anti-Usa» Il popolare giornalista, inviato a Baghdad,
cacciato dalla Nbc News dopo aver rilasciato
un'intervista alla televisione irachena
GIULIA D'AGNOLO VALLAN
NEW YORK
Aumenta la tempesta scoppiata ormai da qualche giorno
intorno al rapporto media Usa/guerra in Iraq e la Nbc
News licenzia il noto giornalista Peter Arnett, uno dei
pochi corrispondenti della TV americana a trasmettere da
Baghdad. La Nbc ha annunciato ieri mattina il
licenziamento di Arnett, grande e controverso
protagonista del coverage da Baghdad durante la prima
guerra del Golfo (fu accusato di essere pro Saddam), fino
a ieri in Iraq per conto delle rete via cavo Msnbc
(lavorava per il programma National Geographic Explorer)
e, dopo che il suo corrispondente aveva lasciato Baghdad
per ragioni di sicurezza, del tg nazionale della Nbc. Il
motivo dell'allontanamento di Arnett è un'intervista che
il premio Pulitzer dal Vietnam (per la Ap), ha concesso
alla televisione di stato irachena. Nell'intervista,
Arnett ha dichiarato che «il primo piano militare
americano è fallito a causa della resistenza degli
iracheni.......». Arnett ha detto anche che, negli Usa,
«Bush sta fronteggiando dubbi rispetto all'andamento
della guerra e opposizione alla guerra stessa». E, nella
sua affermazione giudicata più «incendiaria», ha
affermato che «i nostri pezzi sulle vittime civili,
sulla resistenza delle forze irachene sono trasmessi
negli Stati uniti....Aiutano coloro che si oppongono alla
guerra a sviluppare i loro argomenti» e suggerito in
modo un po' ambiguo che l'amministrazione Bush aveva
sottovalutato i suoi reportage in cui si diceva che gli
iracheni avrebbero risposto agguerritamente all'invasione
(apparentemente, secondo quanto riportato anche sul New
York Times, la Msnbc non avrebbe mandato in onda una sua
intervista con Tariq Aziz realizzata due settimane fa, in
cui si discuteva proprio di questo). Curiosamente, se si
eccettuta quest'ultimo intervento più «personale», le
dichiarazioni di Arnett eccheggiavano quelle rilasciate,
a beneficio di tutti gli spettatori americani, da
parecchi altri corrispondenti ed editorialisti Usa,
durante lo scorso week-end - dopo il primo momento di
adesione euforica, anche i media statunitensi, infatti,
hanno cominciato a prendere con meno passività le voce
del Pentagono. «Le operazioni militari in Iraq vanno
come previsto, sono i media che danno segni di
nervosismo», non a caso, ha detto acido Rumsfeld
impegnato da giorni in un'operazione di damage control.
Solo ieri, il governo Usa ha annunciate l'esplusione
dall'Iraq di un altro corrispondente Usa, Geraldo Rivera
perché avrebbe «rivelato segreti militari» ed è sotto
attacco anche l'anchorman della Abc Peter Jennings
perché il suo coverage sarebbe troppo antiamericano e
«pessimista».
Ritrasmesse domenica sera dalle reti cavo rivali Fox-Tv e
Cnn (i cui corrispondenti sono stati espulsi dalle
autorita' irachene già da tempo) alcune delle battute di
Arnett sono state immediatamente usate come
«manifestazioni di antiamericanismo».
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DA - IL MANIFESTO
«Le bombe?
Partite da qui»
Parlano alcuni dipendenti «civili» della base Usa di
Sigonella
PATRIZIA ABBATE
SIGONELLA (Catania)
«La guerra? In realtà sono almeno tre, quattro mesi che
qui c'è la guerra...». È difficile entrare a
Sigonella, eppure ci sono almeno tremila civili che ci
lavorano dentro, fianco a fianco coi militari, e che
vedono quello che ai parlamentari in ispezione non è
consentito vedere. Aerei che decollano strapieni di merci
«hazardous»,
pericolose. Diretti verso destinazioni «XXX»,
«unknown»,
sconosciute. Luca - il nome è inventato, l'identità
preferisce non vederla pubblicata... - è uno di questi.
Spiega come è difficile continuare a fare il proprio
lavoro in questi giorni terribili in cui il conflitto
vero, nutrito di bombe e morti e visto soprattutto in tv,
si mescola a quello interiore, fatto di crisi personali
rispetto a un'attività che «vuoi o non vuoi, è
comunque di supporto alla guerra». E continua: «Il
lavoro è aumentato notevolmente, non c'è dubbio. Basti
pensare che se normalmente l'attività di atterraggi e
decolli è contenuta quotidianamente in due pagine di
"schede", adesso siamo a otto, nove pagine».
Che in numeri di aerei significa esser passati dalla
normale ventina «a sessanta, settanta voli al giorno».
Ma non è cominciato ora, assicura Luca. «Sono almeno
tre, quattro mesi che questo movimento è iniziato, segno
che la guerra in Iraq è stata decisa ben prima del
20...». Marco è un altro dipendente di Sigonella,
lavora anche lui nella «zona americana», e conferma:
«Siamo diventando matti... Certo che c'è un incremento
di voli, e di arrivi di persone: sono militari,
familiari, gente comunque diretta al fronte di guerra o
alle basi vicine; che andrà a fare da supporto di vario
tipo...». E soldati? «Certo che ne abbiamo visti, e
tanti: passano da qui, non si fermano a lungo...». I
rapporti con i militari Usa restano cordiali. Solo un po'
più di tensione in generale nella base, «i controlli
sono aumentati, ma non rigidi come nei giorni successivi
all'11 settembre...», ma la sensazione è quella di
lavorare «al buio», «non sappiamo effettivamente cosa
viene trasportato, ma certo che ci sono armi. In alcuni
carichi c'è scritto esplicitamente, explosive
material, con specificato anche il
peso: ce n'è da un quintale; in altri, appunto, c'è
scritto solo "pericoloso"». Le armi sono
depositate in un arsenale che si trova fuori dalla base
propriamente detta, anche se a pochi metri. È il Weapons
department, il deposito esplosivi
che «è controllato esclusivamente dagli americani». E
le destinazioni dei velivoli? «Buona parte del traffico
in questo momento è diretto ad Akrotiri, in Grecia, dove
stazionano le portaerei Truman e Roosevelt, e anche nella
base di Souda Bay, sempre in Grecia. Ma ci sono aerei
diretti in Kuwait, Bahrein... e si fermano quasi sempre
qui, per rifornimenti, i velivoli che arrivano dalle basi
statunitensi...». Il tipo di aerei che fa scalo alla
base è anch'esso vario, dagli elicotteri C2 ai Boeing,
capaci di portare 170 mila pound di carico.
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DA - IL CORRIERE
DELLA SERA
Rumsfeld:
«Distrutta la Divisione Medina»
Si tratta del
reparto d'élite della Guardia repubblicana irachena: era
stata disposta a difesa di Bagdad
WASHINGTON - «La
divisione Medina della Guardia repubblicana irachena è
stata distrutta oggi». Lo ha detto martedì il
segretario alla Difesa Usa, Donald Rumsfeld, nel corso
della conferenza stampa tenuta al Pentagono, assieme al
presidente dei capi di Stato maggiore unificati, generale
Richard Myers.
Almeno due divisioni della Guardia repubblicana hanno
subito una riduzione delle capacità superiore al 50%, ha
specifiato Myers. «La Guardia repubblicana mantiene un
atteggiamento difensivo: non ha abbozzato una ritirata,
ma sono state notate dispersioni di forze nei dintorni
della capitale. Abbiamo anche visto arrivare rinforzi»,
ha detto il generale.
MEDINA - La
divisione Medina (La splendente) disponeva
originariamente di 10 mila uomini e 250 carri armati,
circa 250 mezzi corazzati per il trasporto truppe, e
forse di 60 pezzi di artiglieria, oltre a un numero
imprecisato di missili terra aria SA-14 e SA-16, la
versione russa degli «Stinger» americani. La forza è
suddivisa in tre brigate corazzate e una di fanteria,
secondo quanto spiega Kenneth Pollack, l'ex analista
della Cia specializzato in questioni di difesa irachene.
La divisione divenne famosa durante la guerra con l'Iran,
quando guidò cinque offensive decisive per l'esito della
guerra. Nel 1990 era stata una delle quattro divisioni
della Guardia repubblicana a invadere il Kuwait, entrando
a sopresa nell'emirato dal fianco occidentale. Il 27
febbraio 1991 avvenne lo scontro con una brigata della
prima divisione corazzata dell'esercito americano. Le
forze Usa distrussero circa 70 carri armati T-72 e T-55 e
un numero elevato di altri veicoli corazzati. Gli
americani allora persero un solo uomo. Dal 1997 è
schierata in difesa di Bagdad. 1 aprile 2003
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DA - IL CORRIERE
DELLA SERA
Saddam Hussein:
«La jihad è un dovere»
Il
vice-presidente agli alleati: «La vera lotta non è
ancora cominciata, ci sono 6 mila volontari che si sono
già uniti a noi»
BAGDAD - Saddam
Hussein è tornato a chiamare gli iracheni alla guerra
santa e a promettere loro che vinceranno la guerra contro
gli invasori. Questa volta, il presidente non è apparso
in televisione e ha affidato un suo messaggio al ministro
dell'Informazione Mohammed Saed Sahaf. La guerra all'Iraq
«è una aggressione contro la religione, contro la terra
dell'Islam, per questo la jihad è un dovere e chiunque
muore nello svolgimento del suo dovere religioso va in
paradiso», ha affermato Saddam Hussein in un testo letto
da al Sahaf, in cui ha inoltre esortato il suo popolo:
«Cogliete l'occasione, o fratelli».
L'APPELLO DI RAMADAN - Il regime iracheno, per bocca del
vicepresidente Taha Rassin Ramadan, ha attaccato i
governi arabi che «sostengono linvasione
statunitense», attraverso «basi, il rifornimento di
acqua o altri mezzi», invitando la popolazione araba a
mobilitarsi contro le loro leadership. «I vostri
fratelli in Iraq non hanno bisogno di cibo o medicine -
ha detto Ramadan -, e sperano che questi soldi non
vengano trasformati in aiuti dai vostri governi. Quello
che serve è una lotta per lescalation e la
mobilitazione contro i regimi che stanno complottando e
stanno aiutando gli aggressori, che stanno fornendo loro
basi, rifornimenti e acqua».
VOLONTARI -
Ramadan ha poi annunciato che «6.000 volontari del mondo
arabo hanno raggiunto lIraq», dove «avranno
lonore di prendere parte alla battaglia finale».
Agli «aggressori», il vice di Saddam ha voluto dire che
«la vera lotta non è ancora cominciata". «La
Guardia repubblicana e le forze scelte del presidente -
ha aggiunto - posseggono armi sofisticate che rientrano
nei limiti fissati dalle regole internazionali, e sono
intenzionate a difendersi». «Dopo 13 giorni di
combattimento - ha sottolineato Ramadan - gli alleati non
possono nemmeno annunciare loccupazione di un
singolo villaggio. Usano questo pretesto, per accusare
altri Paesi di fornirci armi (con riferimento alla Siria,
ndr). E accusano una cattiva programmazione da parte del
Pentagono. Non hanno preso in considerazione il fatto che
la nostra popolazione voglia la libertà. Non sanno che
la popolazione irachena crede nel suo leader».
NESSUNA ARMA PROIBITA - Il vicepresidente ha anche
ribadito che l'Iraq non dispone di armi di distruzione di
massa. «Dico a tutti che l'Iraq non ha alcuna arma di
distruzione di massa ed è una vergogna che (gli
americani) ripetano questa menzogna». Ha inoltre
accusato «le forze degli invasori» di essere pronte a
portare loro stesse in Iraq armi proibite «per poi poter
dire: 'Guardate cosa abbiamo trovato'». 1 aprile 2003
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DA - IL CORRIERE
DELLA SERA
Dalla Ue il via
libera alla fusione Stream-Telepiù
Il sì è
condizionato a una serie di regole che News Corp, la
società del tycoon dei media Rupert Murdoch, dovrà
rispettare
BRUXELLES - Nasce
un'unica pay tv in Italia. L'ultimo sì arriva dalla
Commissione europea che ha informalmente dato un via
libera condizionato alla fusione fra Stream e Telepiù,
autorizzando di fatto la creazione di un polo unico della
televisione a pagamento in Italia.
SI' CONDIZIONATO - La decisione - secondo quanto appreso
dall'Ansa - è stata presa dai capi di gabinetto
dell'esecutivo Ue, stabilendo che il dossier sia messo
all'ordine del giorno della prossima riunione della
Commissione europea come «punto A», ovvero come
questione su cui non sono necessarie ulteriori
discussioni. Il via libera di Bruxelles è condizionato
al rispetto di numerose condizioni da parte di News Corp,
la società del tycoon dei media Rupert Murdoch che
possiede anche Stream. Fra queste non vi sono novità
rilevanti rispetto a quanto anticipato nelle scorse
settimane.31 marzo 2003
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DA - IL SOLE 24
ORE
Industria:
parte in calo il 2003
La produzione in
marzo: -0,4% il dato mensile, -0,8% quello tendenziale
annuo, -1,4% la variazione corretta per i giorni
lavorativi. E' pari a -0,9% il calo annuo stimato nel
primo trimestre e a -0,7% quello congiunturale (-1,1% il
dato annuo grezzo). L'indagine del Centro
Studi Confindustria
Dopo il risultato
negativo del 2001 (-0,8% la variazione media annua), con
quattro trimestri consecutivi in flessione, l'industria
italiana ha mostrato un profilo congiunturale
praticamente piatto nel corso del 2002, mentre la
variazione tendenziale negativa si è accentuata, essendo
pari a -1,4% il consuntivo annuo ricalcolato secondo il nuovo
indice Istat con base 2000=100. La
produzione nel trimestre gennaio-marzo ha messo in
evidenza un aumento di appena lo 0,6% rispetto all'ultimo
quarto dell'anno precedente, quando il ciclo recessivo ha
toccato il suo punto di minimo. Ma i dati del trimestre
aprile-giugno indicano una situazione di nuovo
stazionaria (+0,1%) nei confronti del periodo precedente.
Il consuntivo per il trimestre luglio-settembre (+0,6%) e
l'ultimo quarto dell'anno (-0,5%) segnalano, poi, un
profilo di ulteriore ristagno dell'industria, con
l'andamento della produzione che si conferma stazionario
nella sua dinamica congiunturale mensile.
I dati ufficiali Istat sulla produzione
industriale - resi noti con qualche ritardo rispetto ai
periodi di riferimento - e le anticipazioni delle
indagini congiunturali mensili dellIsae e del Centro
Studi Confindustria basati sui consumi
elettrici, che arrivano pressoché in tempo reale,
mostrano un andamento dellattività produttiva
nell'arco dei dodici mesi del 2002 sostanzialmente
stagnante nei confronti del trimestre finale del 2001,
secondo i dati destagionalizzati - il livello dell'indice
continua a oscillare intorno a quota 97-98 - ma sempre in
declino rispetto allo stesso periodo di un anno prima,
sia nei dati grezzi (-1,4%) che nella media giornaliera
(-1,3%). Le stime e i dati qualitativi (fiducia e
aspettative) via via disponibili avevano, peraltro,
indicato nel corso del primo trimestre la presenza di una
svolta ciclica, che avrebbe portato a una fase di ripresa
nell'ultima parte dell'anno. Ma i dati successivi hanno
fatto segnare un'ulteriore battuta d'arresto nel ciclo
della produzione industriale, per cui il consuntivo del
2002 registra una variazione marcatamente negativa nella
media del periodo.
La ripresa
produttiva ha avuto un netto ripiegamento a partire dal
secondo trimestre del 2001; lattività industriale
è stata via via caratterizzata da un minor vigore e tra
gli operatori si è registrato un prevalente
atteggiamento di cautela, orientato al pessimismo. I
valori raggiunti dallindice destagionalizzato, in
particolare, dopo essere stati i più elevati degli
ultimi cinque anni, a conferma della consistenza del
passato ciclo congiunturale positivo, si sono riportati
ai livelli di inizio 2000. Le indicazioni delle inchieste
Isae condotte
presso un ampio campione di aziende manifatturiere, hanno
mostrato infatti un ristagno della domanda, con il
declino della componente estera, una tendenza
all'accumulo delle scorte di magazzino e un clima di
opinione in maggioranza sfavorevole, in una fase di
progressiva decelerazione dell'attività industriale.
Nellambito
dei grandi settori industriali le sole variazioni
positive nella media del 2002 riguardano il legno e i
prodotti in legno, gli alimentari, la chimica, le
macchine e apparecchi meccanici per quanto concerne sia
la produzione che le vendite e i nuovi ordini. In calo
più o meno contenuto, sempre nella media dell'anno, sono
i mobili, la metallurgia e i prodotti in metallo, la
gomma e materie plastiche, le raffinerie di petrolio; la
lavorazione dei minerali non metalliferi, la carta,
stampa ed editoria sono rimaste pressoché invariate. Un
andamento molto negativo ha caratterizzato, invece,
l'elettrotecnica ed elettronica, i mezzi di trasporto, il
tessile-abbigliamento, le pelli, cuoio e calzature,
industrie molto sensibili al ciclo congiunturale (e alla
forte competizione) internazionale.
Dal lato della
domanda, le principali indicazioni vengono dall'andamento
degli ordinativi affluiti alle imprese,
tradizionalmente caratterizzati da ampie fluttuazioni
cicliche sia nei valori grezzi che destagionalizzati.
Essi sono, in particolare, un ottimo barometro che
anticipa la dinamica della produzione industriale nel
breve-medio periodo. La loro evoluzione è diventata,
peraltro, piuttosto altalenante a partire dalla metà del
2000, e la passata tendenza positiva si è completamente
ribaltata nei dati più recenti. Il volume dei nuovi
ordini acquisiti dalle aziende è in flessione nel
confronto tendenziale dal secondo trimestre del 2001, a
causa dell'indebolimento della componente estera; ma ha,
poi, ceduto anche la domanda interna. Segnali di recupero
si registrano, infine, nell'ultimo scorcio del 2002.
Secondo le inchieste Isae degli ultimi mesi dello scorso
anno, il clima di fiducia delle imprese industriali
ha via via perso quota rispetto agli elevati valori in
precedenza raggiunti, mentre le attese a breve termine
(tre-quattro mesi) sulle tendenze di domanda e produzione
appaiono sfavorevoli, dopo aver mostrato qualche cenno di
ripresa. La produzione industriale aveva fatto segnare
nel corso del 2000 un incremento medio giornaliero di
quasi il 5%, mentre il livello raggiunto dall'indice
destagionalizzato si era collocato fino alle soglie della
primavera 2001 sui valori più alti delle recenti fasi
cicliche. Ma dall'aprile del 2001 la produzione, secondo
i valori destagionalizzati, ha imboccato una nuova strada
in progressiva discesa, che ha caratterizzato il ciclo
congiunturale dell'ultimo biennio (-1,2% la media
giornaliera 2001). L'intero 2002 ha confermato, in
particolare, il quadro tendenzialmente recessivo del
secondo semestre 2001.
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DA - IL
MESSAGGERO
Spadolini
il più esigente.Prodi il più compagnone.Amato amava la
puntualità.
Bossi ordina Coca Cola. E Berlusconi?
Si scusa sempre per le nottate
di MARIO AJELLO
alle dieci. Se glielo portavi un minuto prima, lui
fingeva di offendersi: "Quanta fretta...". Se
glielo offrivi un minuto dopo, lui faceva amabilmente la
vittima: "Mi avevate dimenticato?"».
E un fiume di ricordi, un diluvio di emozioni
passate e presenti il commendator Di Peso. Potrebbe
scrivere anche lui, come Andreotti, un libro intitolabile
"Visti da vicino". Perché in 33 anni da
«addetto allanticamera del presidente del
Consiglio», qui al primo piano di palazzo Chigi, Angelo
Di Peso è vissuto a stretto contatto con i potenti e ha
visto la Prima Repubblica e poi la Seconda, lItalia
degli "anni di piombo" e quella di Mani Pulite,
il "vecchio", il "nuovo" e tutto il
resto. Adesso, a 67 anni, il commendatore va in pensione
e con lui trasloca un piccolo grande pezzo di storia
istituzionale. Infatti, nellultima riunione del
Consiglio dei ministri, gli hanno voluto fare una
sorpresa: è stato chiamato nella sala, ed è partito un
applauso di tutti in suo onore. «Devo ammettere che mi
sono commosso un po», confida. E racconta, nel suo
stile minimalista: «Spadolini aveva sempre una richiesta
da fare: mi porti lacqua tonica? Potrei avere un
po di whisky? Prodi il più compagnone e quando
brindammo per lammissione dellItalia
nelleuro era lui che versava champagne a noi: ne
vuole un altro goccio, signor Di Peso? Ciampi e
Andreotti, che mi chiedeva spesso la novalgina per i suoi
mal di testa, i più signorili. Berlusconi quello che si
preoccupa di più quando, vuoi per la Finanziaria o vuoi
per la guerra, si fanno le ore piccole: mi dispiace per
lorario...».
Ma soprattutto cè il caffè. Il sottosegretario
Bonaiuti, da quando lo ha assaggiato per la prima volta,
non fa che ripetere a Di Peso: «Il suo espresso è
squisito». E tratta il commendatore con il rispetto che
si deve a un testimone della Repubblica. Cè
addirittura chi sostiene che il caffè Di Peso è più
gustoso di quello che si prepara al Quirinale. Ma lui
smorza: «Non esiste alcuna rivalità fra tazzine
istituzionali». Cera Rumor, nel 70, quando
Di Peso cominciò la sua lunga carriera "di
governo". Base delle operazioni, la "bottega
del caffè" allestita con tanto di macinino a due
passi dallo studio dei vari premier e che adesso il
commendatore divide con altri colleghi più giovani:
Cammilluzzi, Ludovisi, Brandi e Moretti (che sono due:
Renato e Giuseppe). Berlusconi, quando Mastella lo
tradì, si sfogò: «Clemente, ti ho coccolato, ti ho
riempito di pane, burro, marmellata e altre bonizie e tu
ora mi fai questo?». «Io so solo una cosa», confessa
Di Peso: «Mastella è paesano mio». Vengono entrambi da
Benevento.
«Adesso spiega questo simpatico coffee-man
il sistema funziona così. Nella sala del Consiglio dei
ministri, ognuno di loro ha sul tavolo un pulsante con su
scritto "commesso". Lo spinge, compare sul
nostro computer il nome di chi ci sta chiamando e uno di
noi si affaccia per chiedere che cosa serve. Durante la
preparazione della Finanziaria, nottate su nottate, il
caffè diventa un fiume. Solo Frattini non lo beve». E
le birrette di Bossi? «Semmai, beve Coca-Cola». Chissà
se Michele Serra, quando chiama quelli del Polo i
"coca-colisti", per dire che sono
filo-americani, si riferisce proprio alle lattine del
senatùr. «Ai tempi della Prima Repubblica spiega
Di Peso si bevevano alcolici. Adesso neppure li
abbiamo più». In tempi di guerra, però, un cognacchino
allenterebbe la tensione. «Non lo so. Ricordo che
durante una crisi internazionale, forse quella di
Sigonella, girava in una riunione un thermos di Jack
Daniels».
Ancora: «Al sottosegretario Letta piace il caffè forte
e senza zucchero». E dunque è uno statista diverso dal
mitico Talleyrand, il quale amava ripetere: «Il caffè
deve essere nero come la notte, caldo come
linferno, dolce come lamore». E la
"ciofeca", quella sbroda di cui ride Totò nei
"Due marescialli"? «Qui la ciofeca non
sè mai vista», sorride il commendatore. Semmai,
nel Palazzo, la considerazione è tale che in molti
sarebbero capaci di rivolgere a Di Peso le parole di
Eduardo De Filippo nella commedia "I fantasmi di
Roma": «Quando io morirò, portami il caffè. E
vedrai che resuscito come Lazzaro».
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DA - IL
MESSAGGERO
Rumsfeld
pronto a cedere
alla strategia di Powell
con attacchi più massicci
Gli iracheni: uccisi 54 nemici
dal nostro
corrispondente
STEFANO TRINCIA
NEW YORK - La Casa Bianca risponde con
unaccelerazione ai dubbi ed alle polemiche sulla
strategia di guerra irachena. E, sotto gli occhi vigili e
nervosi di un George Bush che conferma la "piena
fiducia" ai vertici militari, il Pentagono ordina
per la prima volta alle proprie truppe di varcare la
"linea rossa": il perimetro della morte intorno
a Bagdad oltre il quale Saddam appare intenzionato a
reagire con ogni mezzo alloffensiva
dellinvasore, armi di distruzione di massa
comprese. Unità militari delle forze speciali Usa,
accompagnate da reparti della terza divisione di
fanteria, sono penetrate senza problemi nella "zona
rossa" per sondare le difese approntate dal raìs.
Intanto, poco più a sud della capitale, a ridosso della
cittadina di Hindiyah, i Marines hanno ingaggiato la
prima vera battaglia con le Guardia Repubblicana guidata
dal figlio di Saddam Qusay. In un inferno di fuoco le
truppe angloamericane hanno tentato di chiudere la
partita per il controllo di due snodi cruciali, Bassora a
sud e di Nassirya al centro, ma la sfida con le forze
irregolari ed i "feddayn" di Saddam è lungi
dallessere risolta.
Forte del massiccio appoggio dellopinione pubblica
che al dodicesimo giorno di guerra gli tributa tassi
dapprovazione del 70 per cento, Bush ha dichiarato
da Filadelfia: «Siamo sempre più vicini a Bagdad,
sempre più vicini alla vittoria». Il Presidente Usa ha
glissato sulle voci secondo cui la guerra lampo promossa
dal Ministro della Difesa Rumsfeld starebbe lasciando il
passo alla "dottrina Powell", che prevede
lattesa di rinforzi e la costruzione di
unarchitettura bellica massiccia prima di partire
alla presa di Baghdad. Ed ha invece insistito sulla
valenza epocale della guerra per la liberazione degli
iracheni dal giogo della dittatura e sugli
"splendidi successi" dei primi undici giorni di
guerra. «Giorno dopo giorno ci avviciniamo alla
vittoria», ha esclamato.
Secondo il Pentagono loffensiva sta già dando
infatti i suoi frutti in termini di destabilizzazione del
regime. Decine di membri della Guardia Repubblicana
risultano essere stati catturati dagli americani, il
numero dei prigionieri ha superato ieri le 8000 unità.
La portavoce del Ministero della Difesa, Victoria Clarke,
ha inoltre affermato che le famiglie di molti membri
della elite irachena, tra cui lo stesso Saddam, stanno
abbandonando il paese. Nessun commento invece sui 54
morti angloamericani che secondo il regime sarebbero il
bilancio della battaglia di Bassora e di scontri in altre
località.
«Stiamo arrivando - ha proclamato dal quartier generale
del Qatar il generale Vincent Brooks, uno dei vice del
comandate Tommy Franks - dovunque ci siano presenze del
regime, noi ci andremo». Un messaggio destinato a
smentire nei fatti le polemiche su un presunto
rallentamento delle operazioni, che è stato rafforzato
dallimpatto devastante dei bombardamenti su Bagdad,
sul fronte curdo a nord della capitale e soprattutto dal
primo contatto con le truppe scelte di Saddam.
Due piccole località a circa 60 chilometri da Bagdad,
Hindiyah e Imam Ayub, sono state teatro dello scontro a
fuoco tra reparti della Terza Divisione di Fanteria e
unità della Guardia Repubblicana. Dai soldati iracheni
catturati nel corso delloperazione, i Marines hanno
appreso con sorpresa che molti di loro provenivano dalla
Brigata Nabuccodonosor, una unità che fino a poco tempo
fa risultava schierata a nord, a difesa di Tikrit, città
natale di Saddam.
I combattimenti di Hindiyah per il controllo di un ponte
sul fiume Eufrate, stanno sfiorando due luoghi
estremamente delicati per le sensibilità islamiche: il
primo è Karbala, città santa degli sciiti ricca di
monumenti di culto. Una battaglia nelle sue strade
potrebbe scatenare nuove ondate di antiamericanismo tra
gli iracheni. Laltro snodo importante è
larea delle rovine di Babilonia, mitica capitale
dellantica Mesopotamia, di grande valore storico e
archeologico.
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DA - L'UNITA'
La Chiesa e
l'indifferenza
di
Fabio Luppino
La Chiesa ha una
lunga storia. E se assume un principio, un punto di
vista, lo porta avanti sino in fondo. Così sta facendo
il quotidiano del Vaticano sulla guerra.
LOsservatore romano annota e ci offre una bussola,
condivisibile o non, di come Roma interagisce con
Baghdad. Spesso intransigente con il governo,
allOsservatore romano ieri non è sfuggito il
desolante panorama offerto dal nostro Parlamento. Si
parlava di profughi, di carne e teste in grande
sofferenza per una guerra che non hanno voluto.
LUlivo, fuori e dentro laula, ha trovato
altra materia per sfilacciarsi, inutilmente. La Destra ha
offerto il peggio di sé: lindifferenza. Si parlava
di profughi e alla Camera rimbombava nel vuoto la voce
degli oratori: ad ascoltarli erano in dodici. Il
quotidiano della Santa Sede annota: «Nonostante
limportanza della materia e le accese discussioni
che laccompagnano, i documenti sono stati solo
illustrati in unaula deserta: una dozzina i
deputati presenti (sette allapertura della
seduta». Annotate anche voi. Annotate il silenzio su
migliaia di vite spezzate (iracheni e anche militari
angloamericani) del nostro presidente del Consiglio. Che
intanto sta al telefono con Bush.
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