DA REPUBBLICA
I primi segnali si sono avuti dopo un'ora
dalla scadenza dell'ultimatum
Da Bush a Saddam
L'attacco ora per ora
Alle 4.16 il discorso di Bush, dopo due ore
l'appello di Saddam
ROMA - Ecco, in sequenza, e secondo l'ora
italiana, l'elenco degli avvenimenti che hanno scandito
l'avvio delle operazioni militari in Iraq.
2.00 Scade l'ultimatum di Bush a Saddam Hussein.
Inizia un silenzio di un'ora e mezza.
3.01 L'agenzia egiziana di stampa Mena
batte il primo flash sulla partenza di B-52 in partenza
dal Kuwait.
3.30 Alcune emittenti televisive diffondono le
prime voci che un attacco partirà dopo 24 o 48 ore. Il
portavoce della Casa Bianca, Ari Fleischer, dice:
"Sarà il presidente a decidere".
3.34 Peter Arnett, inviato a Bagdad della
televisione Nbc, annuncia che le sirene dell'allarme
anti-aereo sono entrate in azione.
3.35 Inizia l'attacco americano all'Iraq. Con 40
missili Cruise e tre serie di raid degli aerei F-117 si
cominciano a colpire "obiettivi scelti".
Fleischer annuncia: "L'operazione per disarmare
l'Iraq è cominciata". Il primo attacco dura circa
venti minuti.
3.39 La contraerea irachena entra in azione
contro gli aerei anglo-americani.
3.45 La Nbc annuncia incendi alla periferia di
Bagdad.
4.06 Il primo obiettivo, secondo il Pentagono,
erano alcuni leader iracheni, forse lo stesso Saddam
Hussein.
4.15 Parte un secondo attacco nella zona
sudorientale di Bagdad.
4.16 Il presidente americano George W. Bush appare
in televisione dallo studio ovale della Casa Bianca. E
annuncia: "La guerra di liberazione dell'Iraq è
cominciata".
4.20 Fonti del Pentagono precisano: Non è ancora
l'attacco principale, ma sono stati scelti alcuni
bersagli di opportunità".
4.31 La Tv irachena continua a trasmettere
programmi normali.
4.35 Parte la terza serie di attacchi contro la
zona sud-est di Bagdad.
5.20 Il Pentagono precisa: l'"attacco di
decapitazione" è scattato prima dell'inizio
stabilito della guerra. I missili, spiegano, erano
diretti contro Saddam Hussein.
5.50 Gli allarmi della contraerea irachena
avvisano delle fine della prima fase dell'attacco. In
realtà è una pausa breve.
6.32 Compare in televisione Saddam Hussein.
"Un attacco vergognoso - dice il raìs - un crimine
contro l'umanità guidato dal piccolo Bush".
7.00 A Bagdad suonano di nuovo le sirene del
cessato allarme aereo, che segnalano la fine della
seconda ondata di bombardamenti.
(20 marzo 2003)
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DA - REPUBBLICA Una
guerra iniziata
l'11 settembre del 2001
di VITTORIO ZUCCONI
WASHINGTON - La guerra aperta nell'alba di
Bagdad dalla prima raffica di missili Cruise e di bombe
satellitare sganciate dagli F117 invisibili ai radar, è
cominciata alle ore 8:52 dell'11 settembre 2001, quando
un portaborse della Casa Bianca bisbigliò all'orecchio
di George Bush che stava leggendo un sillabario in una
classe elementare della Florida la notizia dell'attacco a
Manhattan. Fu allora, e non all'Onu, non negli inutili
summit e nella trascinata pantomima diplomatica finita
con l'ultimatum a Saddam Hussein che fu presa la
decisione irrevocabile di scatenare la controffensiva
dell'America contro l'Afghanistan, la prova generale, e
oggi l'Iraq, l'obbiettivo principale.
Tutto quello che abbiamo visto, vissuto e sofferto nei 18
mesi che dividono lo stupro di Manhattan dalla vendetta
su Bagdad è stata soltanto la ricerca e la preparazione
di una alleanza che desse a Bush e agli Stati Uniti una
confezione internazionale a una decisione presa
nell'interesse nazionale. Chi, in questi mesi, ha
onestamente creduto alla possibilità di una via
pacifica, chi si è battuto, ha manifestato, ha pregato
perchè non si arrivasse a quello che abbiamo visto
nell'alba di Bagdad e vedremo moltiplicato per mille
nelle prossime notte se il regime non si arrenderà, si
è coraggiosamente, generosamente illuso. Il metallo che
ha cominciato a cadere sull'Iraq era stato
irrevocabilmente fuso nel rogo dei due grattacieli.
Non ripeteremo qui la litania degli argomenti pro o
contro, le tesi di chi, con pari dignità e onestà, ha
creduto di mettersi sulle due sponde del dibattito,
purchè lo abbia fatto in buona fede, perchè tutto è
già stato detto e tutto è stato inutile. Niente avrebbe
potuto dirottare il treno della guerra. Quello che conta
adesso è sapere quale prezzo sarà pagato da coloro che
sono le sole, sicure vittime di questa trentennale
tragedia, la piccola gente d'Irak, quei 23 milioni di
persone alle quali nulla si può rimproverare se non di
avere pagato il prezzo della dittatura e poi della
vendetta occidentale contro il mostro sanguinario, quel
Saddam che lo stesso Occidente aveva creato, appoggiato e
armato tra la fine degli anni 50 e il 1990 e che, come
nel classico Frankenstein, ora deve distruggere.
Saddam è figlio nostro, e nessuno ha il diritto di
dimenticarlo. Il suo partito fu puntellato e spinto al
potere dalla Cia, nel 1959, per evitare che l'Iraq
diventasse comunista. Il suo regime fu armato con le mine
italiane, i missili francesi, i radar tedeschi, fu spinto
ad attaccare il Satana di allora, l'Iran e poi rifornito
di intelligence e di armi di distruzione di massa,
chimiche e batteriologiche, dai comandi americani,
perchè rintuzzasse e controllasse gli Ayatollah e
nessuno, a Washington, a Londra, a Roma.
Ma, all'inizio di una strada che sarà difficile anche
dopo la prevedibile, scontata vittoria militare, c'è una
frase detta da Bush nel suo annuncio che sarà il metro
con il quale misureremo il successo della campagna:
faremo ogni cosa possibile per risparmiare la vita degli
innocenti. Questo è il senso, la chiave, la morale di
questa guerra. Non la disfatta di un'esercito di
miserabili, che è scontata, ma la vita di coloro che
dovrebbero essere liberati. E la vita di tutti noi che da
quest'oggi siamo al fronte contro un terrorismo globale
che - se esiste - non può aspettare ancora molto a lungo
per far sentire il morso della sua vendetta.
(20 marzo 2003)
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DA - REPUBBLICA I
missili lanciati
da sei unità Usa
In azione anche le forze australiane
WASHINGTON - I missili cruise Tomahawk lanciati
prima dell'alba contro la leadership irachena sono
partiti da sei unità della U.S. Navy, quattro
incrociatori e due sottomarini. Lo ha detto il
vice-ammiraglio americano John Kelly, comandante della
portaerei "Abraham Lincoln" e coordinatore
della flotta navale degli Stati Uniti nel Golfo.
Il vice-ammiraglio Kelly ha indicato che tutte le unità
coinvolte in questa operazione sono americane e ha
aggiunto che "l'azione continua". Non è chiaro
quanti missili siano stati lanciati: varie fonti hanno
citato numeri diversi, una decina, una ventina, anche una
quarantina. Nessuna fonte ufficiale ha fornito una cifra
precisa.
Il vice-ammiraglio Kelly ha però indicato che, di tutti
i missili lanciati, uno solo ha fallito "la
transizione dal lancio al volo" ed è andato
perduto. All'attacco hanno anche partecipato aerei F-117,
che non si sa da dove siano partiti. Giornalisti a bordo
della 'Lincoln' hanno visto, questa mattina, ora del
Golfo, levarsi in volo aerei dalla portaerei, ma se ne
ignora la missione.
In azione anche le forze australiane, che hanno
cominciato a partecipare a operazioni di combattimento in
Iraq. Lo ha affermato oggi il primo ministro John Howard.
"Le nostre forze - ha detto Howard in una conferenza
stampa - hanno cominciato operazioni di combattimento e
di appoggio. Gli aerei FA-18 Hornet hanno cominciato
operazioni sopra l'Iraq, stanno effettuando missioni di
scorta a carri cisterna e ad aerei da ricognizione".
L'Australia ha inviato 2.000 effettivi nel Golfo, incluse
truppe scelte Sas, aerei da combattimento e navi da
guerra, malgrado i sondaggi mostrassero e mostrino una
forte opposizione alla guerra fra la popolazione.
L'operazione "Colpisci e terrorizza", non sarà
lanciata prima di 12 ore, cioè prima del calare della
notte sull'Iraq: lo indicano fonti militari anonime
citate, in modo concorde, dalle tv americane. Le stesse
fonti avvertono, però, che la prima fase vera e propria
della campagna "Libertà dell'Iraq" potrebbe
anche partire più tardi, comunque "nelle prossime
48 ore". L'azione della scorsa notte è stato un
attacco mirato alla leadeship irachena, "per
decapitare il regime".
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DA - REPUBBLICA Uno
"scudo umano" italiano
"Fermate questa guerra"
ROMA - "Ieri sera, prima che arrivassero
le
bombe, pensavamo che se il Papa, in un ultimo gesto
disperato, avesse deciso di venire qui a Bagdad la
guerra, forse, si sarebbe potuta evitare. Oggi mi rendo
conto che anche quel pensiero, quell'illusione infantile,
non avrebbe potuto rimandare questa tragedia. Ma bisogna
fermarsi". Alfredo Benedetti, 38 anni educatore
professionale in una comunità psichiatrica in provincia
di Bergamo, da un mese fa lo scudo umano a Bagdad. Da
ieri sera, assieme ad altri tre italiani (due uomini e
una donna) è sotto le bombe in un hotel della città,
l'Andalus.
Il racconto di Benedetti arriva per telefono, disturbato
dal rumore delle sirene e dai colpi costanti della
contraerea irachena. "Hanno bombardato poco fa -
racconta - proprio qui vicino, abbiamo sentito
distintamente le esplosioni. Non sono riuscito a vedere
cosa hanno colpito, ma ho visto le colonne di fumo
alzarsi". Prima di spostarsi in albergo, Benedetti
era appostato in una raffineria alle porte di Bagdad.
Troppo rischioso, però, rimanere lì con l'inizio
dell'attacco e così la decisione di spostarsi al centro,
vicino agli alberghi dove si trovano i giornalisti
occidentali.
"Ieri sera avevamo capito che la notte non avremo
dormito quando la contraerea ha iniziato a sparare. Era
il segnale inequivocabile che qualcosa stava
arrivando" dice Benedetti, che per riuscire a
mangiare un panino ha girato oltre due ore per la città
deserta. "Le strade sono praticamente vuote -
racconta - la gente è rintanata in casa e i negozi sono
tutti sbarrati.
Fino a qualche giorno fa il clima era ancora sereno e
tranquillo, ma da ieri tutto è cambiato".
Secondo Benedetti la città è presidiata dai militari:
"Sono ad ogni angolo della città, in bunker
realizzati con i sacchetti di sabbia e in postazioni
mobili. Sono praticamente le uniche persone in
circolazione". Attendono gli americani, qualora
decidano di arrivare fino a Bagdad, ma la loro presenza
serve anche a scongiurare qualunque tentativo di
ribellione. Rivolta che, dice Alfredo, non è nell'aria
per il momento. "E' tutto fermo - spiega - anche se
ho avuto la sensazione che qualcosa potrebbe accadere.
Per il momento, però, non c'è nulla".
Dopo aver passato la notte in bianco, Benedetti ha
riposato un po' questa mattina, poi è uscito per andare
nell'ufficio dove c'è il quartier generale degli scudi
umani ed è ritornato in albergo soltanto in serata.
"Nei giorni scorsi ho conosciuto uomini, donne e
bambini e con loro ho parlato e giocato - ricorda dalla
stanza dell'hotel che condivide con uno scudo umano
argentino - ora ogni volta che penso a loro sento un
brivido che mi percorre la schiena sapendo che, come me,
aspettano una bomba che gli cada sulla testa. Bisogna
solo attendere, gridare 'inshallah', e sperare che non
tocchi a tè".
Per il momento Benedetti non ha ancora deciso se lasciare
l'Iraq o rimanere fino alla fine delle ostilità.
"Ogni giorno penso se sia giusto andare via o
rimanere qui. Non sono un medico nè posso portare un
aiuto diretto, però qui ho conosciuto persone splendide
con cui ho dei legami affettivi. Non so, non so cosa
pensare".
"Siamo dentro una logica assurda e primitiva, altro
che paesi civili - aggiunge sconsolato lo "scudo
umano" - bisogna che tutto ciò si fermi, al più
presto". In attesa che qualcuno accolga il suo
appello, e quello dei pacifisti di mezzo mondo, Benedetti
si prepara ad un'altra notte da scudo umano: "E
anche stanotte dormire sarà impossibile".
(20 marzo 2003)
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DA - REPUBBLICA Sarà
una guerra lunga
E le Borse ripiegano
Mercati europei in discesa, Wall Street recupera
Petrolio stabile: l'Opec ha assicurato le forniture
LONDRA - Sarà una guerra lunga. George Bush lo
ha detto stanotte parlando alla nazione e preparando gli
americani a un conflitto che potrebbe essere "lungo
e difficile". Lo ha ripetuto parlando alla Camera
dei Comuni Geoff Hoon, ministro della Difesa
dell'esecutivo britannico. E lo ha confermato il suo
collega di governo Jack Straw, ministro degli Esteri di
Sua Maestà, richiamando l'Europa all'unità. E i mercati
hanno recepito subito il messaggio. Dopo Tokyo che
sull'euforia di una guerra lampo ha chiuso in positivo le
Borse europee hanno oscillato sulla parità per tutta la
mattina per ripiegare poi dietro Wall Street, che ha
aperto in negativo per scendere di oltre un punto
percentuale. Le parole di Bush, le conferme degli alleati
inglesi e, come se non bastasse la contrazione, a
febbraio, del superindice economico, hanno fatto
innescare alla Borsa di New York la retromarcia. Wall
Street ha poi recuperato per chiudere in lieve rialzo,
mentre i mercati hanno archiviato la giornata in
territorio negativo (Milano ha perso poco più dell'1 per
cento), con l'eccezione di Londra, praticamente
invariata.
Resta stabile invece il prezzo del barile. L'Opec dopo
l'attacco statunitense all'Iraq ha subito annunciato che
il flusso del greggio sui mercati sarà assicurato.
"Tutto il flusso che dovesse essere necessario in
seguito alla guerra in Iraq", ha precisato il
presidente dell'Opec Abdullah al Attiyah, dopo essersi
consultato con gli undici membri dell'organizzazione. E
oggi le quotazioni di riferimento in Europa, già in
discesa da almeno un paio di giorni, non hanno subito
scossoni: il contratto del Brent per consegna a maggio
viene scambiato a quota 26,65 dollari al barile, circa lo
0,3% in meno rispetto ai 26,75 dollari segnati in
chiusura di ieri.
Si annuncia dunque una guerra lunga e i mercati ne
prendono atto. D'altra parte le parole dei ministri
dell'esecutivo britannico non lasciano molto spazio ai
dubbi. "Non si può pensare che la guerra finisca
presto", ha dichiarato Jack Straw lanciando un
appello ai governi europei a fare fronte comune sulla
crisi in Iraq. La Gran Bretagna, ha detto Straw nel corso
di una conferenza stampa, auspica "che la comunità
europea trovi l'unità e riconosca di avere un'agenda
comune, lavorando per il sostegno umanitario all'Iraq e
la sua ricostruzione".
E Geoff Hoon annunciando che le forze britanniche sono
guà impegnate nel conflitto ha avvertito che la guerra
"potrebbe non essere breve". "Certamente,
noi tutti ci auguriamo che le operazioni offensive
finiscano rapidamente - ha aggiunto Hoff - ma noi non
dovremmo sottovalutare i rischi e le difficoltà a cui
potremmo andare incontro di fronte a un regime che è la
personificazione della spietatezza senza alcun riguardo
per la vita umana".
(20 marzo 2003)
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DA REPUBBLICA. Rumsfeld:
"Pozzi di petrolio
incendiati nel sud dell'Iraq"
WASHINGTON - Era uno dei grandi timori
americani della vigilia: la possibilità che Saddam
Hussein e i suoi fedelissimi, per fare terra bruciata
attorno all'avanzata Usa e per consegnare agli invasori
un paese colpito nel bene più prezioso, incendiasse i
pozzi di petrolio. E oggi pomeriggio, in questa prima
giornata di attacco statunitense, queste paure potrebbero
essere diventate realtà. Come ha rivelato, durante un
briefing, il segretario alla Difesa, Donald Rumsfeld: nel
sud del Paese, ha dichiarato, tre o quattro strutture
petrolifere sarebbero state date alle fiamme.
Ma ecco le parole del responsabile del Pentagono.
"Abbiamo avuto molte indicazioni - ha detto - che
indicano come il regime iracheno abbia ordinato di dare
fuoco a tre o quattro pozzi di petrolio nel sud. Siamo in
attesa di saperne di più". "Bruciare i pozzi
di petrolio è un crimine verso la popolazione", ha
proseguito poi il segretario alla Difesa. Invitando gli
iracheni a disobbedire a tali ordini.
Rivolto ai militari agli ordini del raìs, Rumsfeld li
ha esortati anche a non seguire eventuali ordini sull'uso
di armi chimiche o biologiche. Rivolto ai civili, ha
detto di restare nelle loro case e a non abbandonare il
paese. "I soldati e gli ufficiali iracheni si devono
chiedere se vogliono morire combattendo per un regime
condannato - ha concluso - o vogliono sopravvivere,
aiutare il popolo iracheno nella liberazione del loro
paese e svolgere un ruolo nel nuovo, libero Iraq".
Queste le notizie da Washington. Ma su questo punto la
versione di Bagdad è completamente diversa: dopo che
agenzie di stampa e televisioni satellitari hanno
rilanciato in tutto il mondo le parole di Rumsfeld, è
giunta la smentita irachena. Per bocca del ministro del
Petrolio, citato dalla Cnn. E - sempre secondo quanto
riportato dalla Cnn - ci sono anche altri testimoni, che
negano di aver visto pozzi in fiamme nel sud dell'Iraq.
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DA - REPUBBLICA Bagdad
sotto i missili
colpiti i palazzi di Saddam
Distrutte le abitazioni della moglie e del
figlio del raìs
BAGDAD - Alle 20.50 (le 18.50 italiane) il
suono delle sirene. Dieci minuti più tardi il nuovo
pesantissimo raid. Bagdad è finita di nuovo sotto
attacco. Un attacco molto più intenso di quello che meno
di 24 ore prima aveva dato inizio all'operazione
"libertà per l'Iraq": è partita la fase
"colpisci e terrorizza" dell'offensiva
americana. Quasi contemporaneamente, i primi marines Usa
hanno passato il confine kuwaitiano e sono entrati in
territorio iracheno.
In questa seconda ondata i missili cruise e le bombe di
precisione ad alta presentazione hanno colpito il cuore
della capitale irachena: la zona che ospita diversi
ministeri e i palazzi di Saddam Hussein, sulla riva
occidentale del fiume Tigri. Centrato il palazzo della
moglie e quello del figlio del raìs, Uday, senza che
nessuno rimanesse ferito. Prese di mira anche le caserme
della Guardia repubblica e, nella parte sud-orientale
della città, l'area intorno alla base militare di Al
Rashid. Le tv hanno mostrato immagini di fortissime
esplosioni, fiamme e fumo.
I giornalisti presenti nella capitale irachena hanno
riferito che è stato centrato almeno uno dei palazzi di
Saddam: nelle immagini mandate in onda dal Tg3 si
è visto il grande edificio circondato da lingue di fuoco
e nuvole di fumo, mentre l'inviata Giovanna Botteri ha
raccontato che il palazzo è stato praticamente distrutto
dalle fiamme. Tra i palazzi incendiati c'è quello degli
uffici di solito utilizzati dal vice premier Tarek Aziz e
da altri esponenti del governo. E secondo il primo canale
della tv russa, è stato danneggiato anche il ministero
della Difesa.
Le sirene del cessato allarme hanno sostituito i boati
delle bombe alle 22.15: l'attacco è durato un'ora e
quindici minuti. La tv di Bagdad ha riferito che nel
primo giorno di guerra gli americani hanno lanciato 72
missili e che quattro soldati iracheni sono rimasti
uccisi.
(20 marzo 2003)
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DA - LA REPUBBLICA Saddam,
un sosia in tv
secondo la Cnn
WASHINGTON - Quello che è apparso in tv questa
notte non era Saddam Hussein ma uno dei suoi sosia. E'
l'ipotesi avanzata dalla Cnn che, in base a indicazioni
dell'Intelligence statunitense, ha messo a confronto
un'immagine "autentica" del leader iracheno con
quella del discorso trasmesso dopo l'attacco. I due
Saddam appaiono diversi, l'ultimo più magro e con la
pelle più chiara rispetto al precedente.
In effetti Saddam Hussein si è presentato in tenuta
militare, stanco, invecchiato, per la prima volta ha
indossato gli occhiali e soprattutto ha letto su diversi
fogli il discorso con cui ha spronato il suo Paese a una
risposta immediata e dura ai bombardamenti americani
iniziati poche ore prima. Un atteggiamento diverso
rispetto all'immagine che il raìs ha sempre dato di sé,
sigaro fra le mani e discorsi a braccio.
Le differenze sono evidenti, ma gli esperti mettono in
guardia dal trarre dalle immagini conclusioni definitive:
se anche in tv fosse andato un sosia, uno dei vari di cui
il leader iracheno disporrebbe, questo non vuole
automaticamente dire che Saddam sia stato colpito, o
addirittura ucciso. Anzi, proprio queste differenze fanno
ipotizzare che sia esattamente il contrario: che stanotte
sia apparso il vero Saddam, e che il leader agguerrito
sia invece una costruzione.
E' noto che per le sue apparizioni pubbliche, ma anche
per ingannare i servizi americani sui suoi reali
spostamenti, Saddam Hussein si avvale di numerosi sosia.
Le voci sui "cloni" del rais circolano da
diversi anni e sono state confermate a più riprese da
alti ufficiali iracheni in esilio e da membri
dell'opposizione interna. La stessa Cia, fin dai tempi
della Guerra del Golfo del '91, nutriva il sospetto di
trovarsi di fronte a più di un Saddam. Troppe volte,
infatti, il dittatore iracheno usciva indenne dai
bombardamenti su palazzi e nascondigli nei quali, secondo
il servizio di informazioni, si sarebbe trovato senza
dubbio nel momento dell'attacco.
Il primo a svelare il trucco fu Latif Yahia, un ufficiale
iracheno fuggito all'estero. Nel 1995, l'esule raccontò
che in un attentato nel 1984 morì uno dei sosia del
rais, mentre un attore di origine egiziana, anche con
l'aiuto di un intervento di chirurgia estetica, avrebbe
sostituito Saddam nella storica nuotata nel Tigri, che
risale al 1992. La conferma è arrivata da Wafiq
Al-Samarae, ex capo dell'intelligence irachena, oggi in
esilio: "I sosia sono una misura di sicurezza
adottata quando Saddam viaggiava spesso e aveva frequenti
contatti con la popolazione", afferma l'alto
ufficiale.
La scelta di ricorrere ai sosia è dovuta alla
particolare attenzione che Saddam Hussein dedica alla
propria sicurezza. Una vera mania che ha generato voci
incontrollate sul suo stile di vita. Sembra infatti che
il rais non dorma mai due notti di fila nello stesso
posto, che usi per i suoi spostamenti mezzi improbabili
come le ambulanze e, addirittura, che non mangi nulla che
non sia stato provato prima dal suo assaggiatore, un
maresciallo in pensione.
Il ruolo dei sosia non è limitato solo alle occasioni
(sempre più rare) in cui Saddam appare in pubblico, per
inaugurare una fabbrica oppure per tenere un discorso. In
alcuni casi, si sarebbe fatto sostituire anche al tavolo
del Consiglio della rivoluzione, dove siedono i più alti
livelli del potere iracheno. E un finto Saddam sarebbe
quello che ha ricevuto a Bagdad il leader della destra
austriaca Joerg Haider, nel febbraio scorso.
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DA - IL MANIFESTO
Mai visto
RICCARDO BARENGHI
La guerra è arrivata. E' gia cominciata o comincerà tra
poche ore. L'ultimatum, quell'ultimatum tanto ridicolo
quanto tragico è ormai scaduto, la diplomazia ha finito
il suo lavoro, l'Onu è ridotta in pezzi, la politica
scompare dalla scena e le armi prendono il suo posto. Il
mondo è diviso, spaccato in due. Quelli che vogliono la
guerra sono in minoranza, in netta minoranza, ma la
guerra la fanno lo stesso. Quelli che la guerra non la
vogliono sono tre quarti dell'umanità, sono decine e
decine di paesi, sono le istituzioni internazionali, la
logica, la ragionevolezza, il buon senso. Non raggiungono
il loro scopo oggi, ma mai nella storia sono stati tanto
forti. Mai nessuno aveva visto decine e decine di milioni
di persone scendere in piazza una, due tre volte per
fermare questa avventura di sangue; mai nessuno aveva
visto governi non certo pacifisti prendere posizioni
così nette contro la guerra; mai nessuno aveva visto le
opinioni pubbliche schierarsi così decisamente per la
pace e spesso contro i loro stessi governi che pure
avevano votato. E' un patrimonio dell'umanità, e non
sarà seppellito nella sabbia irachena.
E proprio oggi che parlano le armi bisognerà che queste
persone, questi milioni di persone alzino ancora di più
la propria voce per farsi sentire. Ogni giorno di guerra
dovrà essere un giorno per parlare di pace: la vera
battaglia non sarà tra i bombardieri angloamericani, i
loro missili, le loro truppe e ciò che resta
dell'esercito iracheno; la vera battaglia è tra la
logica della guerra e l'ideale della pace. Vincerà la
prima solo se il secondo rinuncerà a lottare e le
lascerà il campo libero. Altrimenti, certamente non oggi
e neanche domani, ma prima o poi quella logica sarà
sconfitta: a meno che non si intenda calpestare
(bombardare) due terzi dell'umanità.
Ma quella logica che oggi si afferma, non sta in piedi da
sola ma grazie a qualcuno che in piedi la tiene. Il
presidente Bush negli Stati uniti e il primo ministro
Blair in Gran Bretagna sono le sue colonne portanti,
Aznar e Berlusconi i capitelli. Il primo è un
miracolato, ha vinto le elezioni per broglio ricevuto e
deve ringraziare gli assassini dell'11 settembre se alla
Casa bianca ancora lo chiamano mister President; il
secondo era un faro della sinistra europea (capace di
abbagliare parecchie falene di casa nostra) e adesso può
rimanere in piedi solo grazie ai voti dei suoi avversari:
che lo lasceranno cadere nella polvere oppure lo
trasformeranno nel loro leader; il terzo lasciamo perdere
ché non abbiamo spazio da perdere.
Ci piacerebbe lasciar perdere anche il quarto ma
purtroppo non possiamo. Venti giorni fa, il 28 febbraio,
ci aveva comunicato che «un intervento militare senza
l'Onu sarebbe stato nefasto». Ieri è venuto in
parlamento a spiegarci che questa guerra è legittima
anzi giusta anzi sacrosanta. Non la faremo solo perché
Bush non ci vuole e forse perché se la facessimo
cadrebbe il governo. Ma politicamente, moralmente,
spiritualmente siamo anche noi in Iraq. E infatti le
nostre basi e il nostro spazio aereo sono a disposizione
dei bombardieri angloamericani. Nonostante l'opinione
pubblica contraria a questa guerra, nonostante il papa,
nonostante Ciampi, nonostante la Costituzione. Nonostante
tutto.
Ma non sarà indolore questa scelta di Berlusconi, già
il suo governo scricchiola con Casini e i suoi uomini
stretti tra la «scomunica» papale e la fedeltà al
capo, con la popolarità dello stesso capo che crolla nei
suoi ex amati sondaggi, con il cuore dell'Europa che sta
dall'altra parte, con milioni di elettori del
centrodestra che si sono pentiti di averlo votato e non
è affatto detto che lo rivoteranno.
Bene hanno fatto allora i partiti del centrosinistra e
della sinistra a unirsi contro la guerra, contro le basi,
contro Berlusconi. Per una volta, la volta giusta, sono
stati capaci di rappresentare la stragrande maggioranza
degli italiani. Sperando che non resti solo una mozione.
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DA - IL MANIFESTO
La prima bufala
di guerra
La radio israeliana dice che Tareq Aziz è «scappato»,
anzi «è stato ucciso»
Menzogne «a buon mercato». Il vicepremier iracheno nel
pomeriggio compare, a Baghdad, davanti alle telecamere.
«State attenti - ha detto - perché nei giorni a venire
ne sentire anche di più grosse». «Siamo preparati alla
guerra». E conclude: «Gli americani hanno la forza ma
non il cervello»
S.D.Q.
La guerra guerreggiata non è ancora cominciata ma quella
psicologica sì. Ieri le agenzie hanno ripreso e
rilanciato una «notizia» clamorosa: Tareq Aziz, il
vicepremier iracheno e il linkage più visibile
del regime di Baghdad con la diplomazia internazionale
(il mese scorso venne anche in Italia per incontrare il
papa), era scappato a poche ore dallo scadere
dell'ultimatum di Bush, chiedendo asilo politico a un
altro paese. O addirittura era stato ucciso mentre
tentava di scappare, chissà forse da Saddam in persona
per aggiungere una nota di color sangue alla satrapia
babilonese. Davvero? No. Le prime bombe della guerra
psicologica. Certo non le ultime.
La notizia, così per caso, veniva da una fonte
israeliana. L'aveva data la radio pubblica di Israele
che, diceva, l'aveva appresa da un radioamatore
israeliano poliglotta in lingue orientali che, diceva,
l'aveva sentita captando una conversazione in arabo,
probabilmente fra e per speranzosi esuli iracheni in
attesa di essere liberati da Bush. Ma puzzava tanto di
bufala che neanche il sito web di Haaretz aveva
osato riprenderla. Non puzzava solo, era una bufala.
Poco dopo, a Baghdad, il disertore, o il morto, Tareq
Aziz si è presentato davanti alle camere della Tv. Sono
qui, questa è una voce «facile da smentire». Una voce
che il vicepremier iracheno ha attribuito - e una volta
tanto è difficile accusarlo di avere mentito - alla
coalizione dei paesi guidata dagli Stati uniti,
aggiungendo che sia gli iracheni sia il mondo esterno
dovrà abituarsi a sentirne sparare anche di più grosse
nei giorni a venire. «State accorti sulle voci
psicologiche a buon mercato», ha messo in guardia.
Poi, prima di andarsene, ha ripetuto le posizioni di
Baghdad di fronte all'imminente guerra che sta per
piovere in testa al regime ma soprattutto agli iracheni.
Ha risposto alle domande dei giornalisti che ormai è del
tutto «chiaro» che non esiste più la possibilità di
una soluzione politica. Che tuttavia l'Iraq è preparato
per la guerra e che la decisione degli Stati uniti di
invadere il suo paese è «un atto di colonizzazione,
un'aggressione imperialista e ingiusta contro il Medio
Oriente». Non certo «un atto di pace» o, come dice
Bush, di liberazione. Ha aggiunto che la richiesta
avanzata da Bush lunedì - che Saddam Hussein abbandoni
il paese - è qualcosa di «impossibile» (e oltretutto,
perché sia ben chiaro l'obiettivo americano, il
segretario di stato Colin Powell ha precisato ieri che
anche l'esilio di Saddam, a questo punto, non basterebbe
più a fermare l'attacco).
Ha definito anche «un esempio della mentalità»
americana il bombardamento in corso di volantini in cui
si incitano i soldati e i cittadini iracheni ad
accogliere i liberatori a braccia alzate, senza
combattere.
«Hanno la forza ma non hanno cervello», ha concluso. E,
una volta tanto, è difficile dargli torto.
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