DA REPUBBLICA

I primi segnali si sono avuti dopo un'ora
dalla scadenza dell'ultimatum
Da Bush a Saddam
L'attacco ora per ora
Alle 4.16 il discorso di Bush, dopo due ore l'appello di Saddam

ROMA - Ecco, in sequenza, e secondo l'ora italiana, l'elenco degli avvenimenti che hanno scandito l'avvio delle operazioni militari in Iraq.

2.00 Scade l'ultimatum di Bush a Saddam Hussein. Inizia un silenzio di un'ora e mezza.

3.01 L'agenzia egiziana di stampa Mena batte il primo flash sulla partenza di B-52 in partenza dal Kuwait.

3.30 Alcune emittenti televisive diffondono le prime voci che un attacco partirà dopo 24 o 48 ore. Il portavoce della Casa Bianca, Ari Fleischer, dice: "Sarà il presidente a decidere".

3.34 Peter Arnett, inviato a Bagdad della televisione Nbc, annuncia che le sirene dell'allarme anti-aereo sono entrate in azione.

3.35 Inizia l'attacco americano all'Iraq. Con 40 missili Cruise e tre serie di raid degli aerei F-117 si cominciano a colpire "obiettivi scelti". Fleischer annuncia: "L'operazione per disarmare l'Iraq è cominciata". Il primo attacco dura circa venti minuti.

3.39 La contraerea irachena entra in azione contro gli aerei anglo-americani.

3.45 La Nbc annuncia incendi alla periferia di Bagdad.

4.06 Il primo obiettivo, secondo il Pentagono, erano alcuni leader iracheni, forse lo stesso Saddam Hussein.

4.15 Parte un secondo attacco nella zona sudorientale di Bagdad.

4.16 Il presidente americano George W. Bush appare in televisione dallo studio ovale della Casa Bianca. E annuncia: "La guerra di liberazione dell'Iraq è cominciata".

4.20 Fonti del Pentagono precisano: Non è ancora l'attacco principale, ma sono stati scelti alcuni bersagli di opportunità".

4.31 La Tv irachena continua a trasmettere programmi normali.

4.35 Parte la terza serie di attacchi contro la zona sud-est di Bagdad.

5.20 Il Pentagono precisa: l'"attacco di decapitazione" è scattato prima dell'inizio stabilito della guerra. I missili, spiegano, erano diretti contro Saddam Hussein.

5.50 Gli allarmi della contraerea irachena avvisano delle fine della prima fase dell'attacco. In realtà è una pausa breve.

6.32 Compare in televisione Saddam Hussein. "Un attacco vergognoso - dice il raìs - un crimine contro l'umanità guidato dal piccolo Bush".

7.00 A Bagdad suonano di nuovo le sirene del cessato allarme aereo, che segnalano la fine della seconda ondata di bombardamenti.

(20 marzo 2003)

DA - REPUBBLICA

Una guerra iniziata
l'11 settembre del 2001
di VITTORIO ZUCCONI

WASHINGTON - La guerra aperta nell'alba di Bagdad dalla prima raffica di missili Cruise e di bombe satellitare sganciate dagli F117 invisibili ai radar, è cominciata alle ore 8:52 dell'11 settembre 2001, quando un portaborse della Casa Bianca bisbigliò all'orecchio di George Bush che stava leggendo un sillabario in una classe elementare della Florida la notizia dell'attacco a Manhattan. Fu allora, e non all'Onu, non negli inutili summit e nella trascinata pantomima diplomatica finita con l'ultimatum a Saddam Hussein che fu presa la decisione irrevocabile di scatenare la controffensiva dell'America contro l'Afghanistan, la prova generale, e oggi l'Iraq, l'obbiettivo principale.

Tutto quello che abbiamo visto, vissuto e sofferto nei 18 mesi che dividono lo stupro di Manhattan dalla vendetta su Bagdad è stata soltanto la ricerca e la preparazione di una alleanza che desse a Bush e agli Stati Uniti una confezione internazionale a una decisione presa nell'interesse nazionale. Chi, in questi mesi, ha onestamente creduto alla possibilità di una via pacifica, chi si è battuto, ha manifestato, ha pregato perchè non si arrivasse a quello che abbiamo visto nell'alba di Bagdad e vedremo moltiplicato per mille nelle prossime notte se il regime non si arrenderà, si è coraggiosamente, generosamente illuso. Il metallo che ha cominciato a cadere sull'Iraq era stato irrevocabilmente fuso nel rogo dei due grattacieli.

Non ripeteremo qui la litania degli argomenti pro o contro, le tesi di chi, con pari dignità e onestà, ha creduto di mettersi sulle due sponde del dibattito, purchè lo abbia fatto in buona fede, perchè tutto è già stato detto e tutto è stato inutile. Niente avrebbe potuto dirottare il treno della guerra. Quello che conta adesso è sapere quale prezzo sarà pagato da coloro che sono le sole, sicure vittime di questa trentennale tragedia, la piccola gente d'Irak, quei 23 milioni di persone alle quali nulla si può rimproverare se non di avere pagato il prezzo della dittatura e poi della vendetta occidentale contro il mostro sanguinario, quel Saddam che lo stesso Occidente aveva creato, appoggiato e armato tra la fine degli anni 50 e il 1990 e che, come nel classico Frankenstein, ora deve distruggere.

Saddam è figlio nostro, e nessuno ha il diritto di dimenticarlo. Il suo partito fu puntellato e spinto al potere dalla Cia, nel 1959, per evitare che l'Iraq diventasse comunista. Il suo regime fu armato con le mine italiane, i missili francesi, i radar tedeschi, fu spinto ad attaccare il Satana di allora, l'Iran e poi rifornito di intelligence e di armi di distruzione di massa, chimiche e batteriologiche, dai comandi americani, perchè rintuzzasse e controllasse gli Ayatollah e nessuno, a Washington, a Londra, a Roma.

Ma, all'inizio di una strada che sarà difficile anche dopo la prevedibile, scontata vittoria militare, c'è una frase detta da Bush nel suo annuncio che sarà il metro con il quale misureremo il successo della campagna: faremo ogni cosa possibile per risparmiare la vita degli innocenti. Questo è il senso, la chiave, la morale di questa guerra. Non la disfatta di un'esercito di miserabili, che è scontata, ma la vita di coloro che dovrebbero essere liberati. E la vita di tutti noi che da quest'oggi siamo al fronte contro un terrorismo globale che - se esiste - non può aspettare ancora molto a lungo per far sentire il morso della sua vendetta.

(20 marzo 2003)

DA - REPUBBLICA

I missili lanciati
da sei unità Usa
In azione anche le forze australiane

WASHINGTON - I missili cruise Tomahawk lanciati prima dell'alba contro la leadership irachena sono partiti da sei unità della U.S. Navy, quattro incrociatori e due sottomarini. Lo ha detto il vice-ammiraglio americano John Kelly, comandante della portaerei "Abraham Lincoln" e coordinatore della flotta navale degli Stati Uniti nel Golfo.

Il vice-ammiraglio Kelly ha indicato che tutte le unità coinvolte in questa operazione sono americane e ha aggiunto che "l'azione continua". Non è chiaro quanti missili siano stati lanciati: varie fonti hanno citato numeri diversi, una decina, una ventina, anche una quarantina. Nessuna fonte ufficiale ha fornito una cifra precisa.

Il vice-ammiraglio Kelly ha però indicato che, di tutti i missili lanciati, uno solo ha fallito "la transizione dal lancio al volo" ed è andato perduto. All'attacco hanno anche partecipato aerei F-117, che non si sa da dove siano partiti. Giornalisti a bordo della 'Lincoln' hanno visto, questa mattina, ora del Golfo, levarsi in volo aerei dalla portaerei, ma se ne ignora la missione.

In azione anche le forze australiane, che hanno cominciato a partecipare a operazioni di combattimento in Iraq. Lo ha affermato oggi il primo ministro John Howard. "Le nostre forze - ha detto Howard in una conferenza stampa - hanno cominciato operazioni di combattimento e di appoggio. Gli aerei FA-18 Hornet hanno cominciato operazioni sopra l'Iraq, stanno effettuando missioni di scorta a carri cisterna e ad aerei da ricognizione".
L'Australia ha inviato 2.000 effettivi nel Golfo, incluse truppe scelte Sas, aerei da combattimento e navi da guerra, malgrado i sondaggi mostrassero e mostrino una forte opposizione alla guerra fra la popolazione.

L'operazione "Colpisci e terrorizza", non sarà lanciata prima di 12 ore, cioè prima del calare della notte sull'Iraq: lo indicano fonti militari anonime citate, in modo concorde, dalle tv americane. Le stesse fonti avvertono, però, che la prima fase vera e propria della campagna "Libertà dell'Iraq" potrebbe anche partire più tardi, comunque "nelle prossime 48 ore". L'azione della scorsa notte è stato un attacco mirato alla leadeship irachena, "per decapitare il regime".

DA - REPUBBLICA

Uno "scudo umano" italiano
"Fermate questa guerra"

ROMA - "Ieri sera, prima che arrivassero le
bombe, pensavamo che se il Papa, in un ultimo gesto disperato, avesse deciso di venire qui a Bagdad la guerra, forse, si sarebbe potuta evitare. Oggi mi rendo conto che anche quel pensiero, quell'illusione infantile, non avrebbe potuto rimandare questa tragedia. Ma bisogna fermarsi". Alfredo Benedetti, 38 anni educatore professionale in una comunità psichiatrica in provincia di Bergamo, da un mese fa lo scudo umano a Bagdad. Da ieri sera, assieme ad altri tre italiani (due uomini e una donna) è sotto le bombe in un hotel della città, l'Andalus.

Il racconto di Benedetti arriva per telefono, disturbato dal rumore delle sirene e dai colpi costanti della contraerea irachena. "Hanno bombardato poco fa - racconta - proprio qui vicino, abbiamo sentito distintamente le esplosioni. Non sono riuscito a vedere cosa hanno colpito, ma ho visto le colonne di fumo alzarsi". Prima di spostarsi in albergo, Benedetti era appostato in una raffineria alle porte di Bagdad. Troppo rischioso, però, rimanere lì con l'inizio dell'attacco e così la decisione di spostarsi al centro, vicino agli alberghi dove si trovano i giornalisti occidentali.

"Ieri sera avevamo capito che la notte non avremo dormito quando la contraerea ha iniziato a sparare. Era il segnale inequivocabile che qualcosa stava arrivando" dice Benedetti, che per riuscire a mangiare un panino ha girato oltre due ore per la città deserta. "Le strade sono praticamente vuote - racconta - la gente è rintanata in casa e i negozi sono tutti sbarrati.
Fino a qualche giorno fa il clima era ancora sereno e tranquillo, ma da ieri tutto è cambiato".

Secondo Benedetti la città è presidiata dai militari: "Sono ad ogni angolo della città, in bunker realizzati con i sacchetti di sabbia e in postazioni mobili. Sono praticamente le uniche persone in circolazione". Attendono gli americani, qualora decidano di arrivare fino a Bagdad, ma la loro presenza serve anche a scongiurare qualunque tentativo di ribellione. Rivolta che, dice Alfredo, non è nell'aria per il momento. "E' tutto fermo - spiega - anche se ho avuto la sensazione che qualcosa potrebbe accadere. Per il momento, però, non c'è nulla".

Dopo aver passato la notte in bianco, Benedetti ha riposato un po' questa mattina, poi è uscito per andare nell'ufficio dove c'è il quartier generale degli scudi umani ed è ritornato in albergo soltanto in serata. "Nei giorni scorsi ho conosciuto uomini, donne e bambini e con loro ho parlato e giocato - ricorda dalla stanza dell'hotel che condivide con uno scudo umano argentino - ora ogni volta che penso a loro sento un brivido che mi percorre la schiena sapendo che, come me, aspettano una bomba che gli cada sulla testa. Bisogna solo attendere, gridare 'inshallah', e sperare che non tocchi a tè".

Per il momento Benedetti non ha ancora deciso se lasciare l'Iraq o rimanere fino alla fine delle ostilità. "Ogni giorno penso se sia giusto andare via o rimanere qui. Non sono un medico nè posso portare un aiuto diretto, però qui ho conosciuto persone splendide con cui ho dei legami affettivi. Non so, non so cosa pensare".

"Siamo dentro una logica assurda e primitiva, altro che paesi civili - aggiunge sconsolato lo "scudo umano" - bisogna che tutto ciò si fermi, al più presto". In attesa che qualcuno accolga il suo appello, e quello dei pacifisti di mezzo mondo, Benedetti si prepara ad un'altra notte da scudo umano: "E anche stanotte dormire sarà impossibile".

(20 marzo 2003)

DA - REPUBBLICA

Sarà una guerra lunga
E le Borse ripiegano


Mercati europei in discesa, Wall Street recupera
Petrolio stabile: l'Opec ha assicurato le forniture

LONDRA - Sarà una guerra lunga. George Bush lo ha detto stanotte parlando alla nazione e preparando gli americani a un conflitto che potrebbe essere "lungo e difficile". Lo ha ripetuto parlando alla Camera dei Comuni Geoff Hoon, ministro della Difesa dell'esecutivo britannico. E lo ha confermato il suo collega di governo Jack Straw, ministro degli Esteri di Sua Maestà, richiamando l'Europa all'unità. E i mercati hanno recepito subito il messaggio. Dopo Tokyo che sull'euforia di una guerra lampo ha chiuso in positivo le Borse europee hanno oscillato sulla parità per tutta la mattina per ripiegare poi dietro Wall Street, che ha aperto in negativo per scendere di oltre un punto percentuale. Le parole di Bush, le conferme degli alleati inglesi e, come se non bastasse la contrazione, a febbraio, del superindice economico, hanno fatto innescare alla Borsa di New York la retromarcia. Wall Street ha poi recuperato per chiudere in lieve rialzo, mentre i mercati hanno archiviato la giornata in territorio negativo (Milano ha perso poco più dell'1 per cento), con l'eccezione di Londra, praticamente invariata.

Resta stabile invece il prezzo del barile. L'Opec dopo l'attacco statunitense all'Iraq ha subito annunciato che il flusso del greggio sui mercati sarà assicurato. "Tutto il flusso che dovesse essere necessario in seguito alla guerra in Iraq", ha precisato il presidente dell'Opec Abdullah al Attiyah, dopo essersi consultato con gli undici membri dell'organizzazione. E oggi le quotazioni di riferimento in Europa, già in discesa da almeno un paio di giorni, non hanno subito scossoni: il contratto del Brent per consegna a maggio viene scambiato a quota 26,65 dollari al barile, circa lo 0,3% in meno rispetto ai 26,75 dollari segnati in chiusura di ieri.

Si annuncia dunque una guerra lunga e i mercati ne prendono atto. D'altra parte le parole dei ministri dell'esecutivo britannico non lasciano molto spazio ai dubbi. "Non si può pensare che la guerra finisca presto", ha dichiarato Jack Straw lanciando un appello ai governi europei a fare fronte comune sulla crisi in Iraq. La Gran Bretagna, ha detto Straw nel corso di una conferenza stampa, auspica "che la comunità europea trovi l'unità e riconosca di avere un'agenda comune, lavorando per il sostegno umanitario all'Iraq e la sua ricostruzione".

E Geoff Hoon annunciando che le forze britanniche sono guà impegnate nel conflitto ha avvertito che la guerra "potrebbe non essere breve". "Certamente, noi tutti ci auguriamo che le operazioni offensive finiscano rapidamente - ha aggiunto Hoff - ma noi non dovremmo sottovalutare i rischi e le difficoltà a cui potremmo andare incontro di fronte a un regime che è la personificazione della spietatezza senza alcun riguardo per la vita umana".

(20 marzo 2003)

DA REPUBBLICA.

Rumsfeld: "Pozzi di petrolio
incendiati nel sud dell'Iraq"

WASHINGTON - Era uno dei grandi timori americani della vigilia: la possibilità che Saddam Hussein e i suoi fedelissimi, per fare terra bruciata attorno all'avanzata Usa e per consegnare agli invasori un paese colpito nel bene più prezioso, incendiasse i pozzi di petrolio. E oggi pomeriggio, in questa prima giornata di attacco statunitense, queste paure potrebbero essere diventate realtà. Come ha rivelato, durante un briefing, il segretario alla Difesa, Donald Rumsfeld: nel sud del Paese, ha dichiarato, tre o quattro strutture petrolifere sarebbero state date alle fiamme.

Ma ecco le parole del responsabile del Pentagono. "Abbiamo avuto molte indicazioni - ha detto - che indicano come il regime iracheno abbia ordinato di dare fuoco a tre o quattro pozzi di petrolio nel sud. Siamo in attesa di saperne di più". "Bruciare i pozzi di petrolio è un crimine verso la popolazione", ha proseguito poi il segretario alla Difesa. Invitando gli iracheni a disobbedire a tali ordini.

Rivolto ai militari agli ordini del raìs, Rumsfeld li ha esortati anche a non seguire eventuali ordini sull'uso di armi chimiche o biologiche. Rivolto ai civili, ha detto di restare nelle loro case e a non abbandonare il paese. "I soldati e gli ufficiali iracheni si devono chiedere se vogliono morire combattendo per un regime condannato - ha concluso - o vogliono sopravvivere, aiutare il popolo iracheno nella liberazione del loro paese e svolgere un ruolo nel nuovo, libero Iraq".

Queste le notizie da Washington. Ma su questo punto la versione di Bagdad è completamente diversa: dopo che agenzie di stampa e televisioni satellitari hanno rilanciato in tutto il mondo le parole di Rumsfeld, è giunta la smentita irachena. Per bocca del ministro del Petrolio, citato dalla Cnn. E - sempre secondo quanto riportato dalla Cnn - ci sono anche altri testimoni, che negano di aver visto pozzi in fiamme nel sud dell'Iraq.

DA - REPUBBLICA

Bagdad sotto i missili
colpiti i palazzi di Saddam
Distrutte le abitazioni della moglie e del figlio del raìs

BAGDAD - Alle 20.50 (le 18.50 italiane) il suono delle sirene. Dieci minuti più tardi il nuovo pesantissimo raid. Bagdad è finita di nuovo sotto attacco. Un attacco molto più intenso di quello che meno di 24 ore prima aveva dato inizio all'operazione "libertà per l'Iraq": è partita la fase "colpisci e terrorizza" dell'offensiva americana. Quasi contemporaneamente, i primi marines Usa hanno passato il confine kuwaitiano e sono entrati in territorio iracheno.

In questa seconda ondata i missili cruise e le bombe di precisione ad alta presentazione hanno colpito il cuore della capitale irachena: la zona che ospita diversi ministeri e i palazzi di Saddam Hussein, sulla riva occidentale del fiume Tigri. Centrato il palazzo della moglie e quello del figlio del raìs, Uday, senza che nessuno rimanesse ferito. Prese di mira anche le caserme della Guardia repubblica e, nella parte sud-orientale della città, l'area intorno alla base militare di Al Rashid. Le tv hanno mostrato immagini di fortissime esplosioni, fiamme e fumo.

I giornalisti presenti nella capitale irachena hanno riferito che è stato centrato almeno uno dei palazzi di Saddam: nelle immagini mandate in onda dal Tg3 si è visto il grande edificio circondato da lingue di fuoco e nuvole di fumo, mentre l'inviata Giovanna Botteri ha raccontato che il palazzo è stato praticamente distrutto dalle fiamme. Tra i palazzi incendiati c'è quello degli uffici di solito utilizzati dal vice premier Tarek Aziz e da altri esponenti del governo. E secondo il primo canale della tv russa, è stato danneggiato anche il ministero della Difesa.

Le sirene del cessato allarme hanno sostituito i boati delle bombe alle 22.15: l'attacco è durato un'ora e quindici minuti. La tv di Bagdad ha riferito che nel primo giorno di guerra gli americani hanno lanciato 72 missili e che quattro soldati iracheni sono rimasti uccisi.

(20 marzo 2003)

DA - LA REPUBBLICA

Saddam, un sosia in tv
secondo la Cnn

WASHINGTON - Quello che è apparso in tv questa notte non era Saddam Hussein ma uno dei suoi sosia. E' l'ipotesi avanzata dalla Cnn che, in base a indicazioni dell'Intelligence statunitense, ha messo a confronto un'immagine "autentica" del leader iracheno con quella del discorso trasmesso dopo l'attacco. I due Saddam appaiono diversi, l'ultimo più magro e con la pelle più chiara rispetto al precedente.

In effetti Saddam Hussein si è presentato in tenuta militare, stanco, invecchiato, per la prima volta ha indossato gli occhiali e soprattutto ha letto su diversi fogli il discorso con cui ha spronato il suo Paese a una risposta immediata e dura ai bombardamenti americani iniziati poche ore prima. Un atteggiamento diverso rispetto all'immagine che il raìs ha sempre dato di sé, sigaro fra le mani e discorsi a braccio.

Le differenze sono evidenti, ma gli esperti mettono in guardia dal trarre dalle immagini conclusioni definitive: se anche in tv fosse andato un sosia, uno dei vari di cui il leader iracheno disporrebbe, questo non vuole automaticamente dire che Saddam sia stato colpito, o addirittura ucciso. Anzi, proprio queste differenze fanno ipotizzare che sia esattamente il contrario: che stanotte sia apparso il vero Saddam, e che il leader agguerrito sia invece una costruzione.

E' noto che per le sue apparizioni pubbliche, ma anche per ingannare i servizi americani sui suoi reali spostamenti, Saddam Hussein si avvale di numerosi sosia. Le voci sui "cloni" del rais circolano da diversi anni e sono state confermate a più riprese da alti ufficiali iracheni in esilio e da membri dell'opposizione interna. La stessa Cia, fin dai tempi della Guerra del Golfo del '91, nutriva il sospetto di trovarsi di fronte a più di un Saddam. Troppe volte, infatti, il dittatore iracheno usciva indenne dai bombardamenti su palazzi e nascondigli nei quali, secondo il servizio di informazioni, si sarebbe trovato senza dubbio nel momento dell'attacco.

Il primo a svelare il trucco fu Latif Yahia, un ufficiale iracheno fuggito all'estero. Nel 1995, l'esule raccontò che in un attentato nel 1984 morì uno dei sosia del rais, mentre un attore di origine egiziana, anche con l'aiuto di un intervento di chirurgia estetica, avrebbe sostituito Saddam nella storica nuotata nel Tigri, che risale al 1992. La conferma è arrivata da Wafiq Al-Samarae, ex capo dell'intelligence irachena, oggi in esilio: "I sosia sono una misura di sicurezza adottata quando Saddam viaggiava spesso e aveva frequenti contatti con la popolazione", afferma l'alto ufficiale.

La scelta di ricorrere ai sosia è dovuta alla particolare attenzione che Saddam Hussein dedica alla propria sicurezza. Una vera mania che ha generato voci incontrollate sul suo stile di vita. Sembra infatti che il rais non dorma mai due notti di fila nello stesso posto, che usi per i suoi spostamenti mezzi improbabili come le ambulanze e, addirittura, che non mangi nulla che non sia stato provato prima dal suo assaggiatore, un maresciallo in pensione.

Il ruolo dei sosia non è limitato solo alle occasioni (sempre più rare) in cui Saddam appare in pubblico, per inaugurare una fabbrica oppure per tenere un discorso. In alcuni casi, si sarebbe fatto sostituire anche al tavolo del Consiglio della rivoluzione, dove siedono i più alti livelli del potere iracheno. E un finto Saddam sarebbe quello che ha ricevuto a Bagdad il leader della destra austriaca Joerg Haider, nel febbraio scorso.

DA - IL MANIFESTO

Mai visto


RICCARDO BARENGHI


La guerra è arrivata. E' gia cominciata o comincerà tra poche ore. L'ultimatum, quell'ultimatum tanto ridicolo quanto tragico è ormai scaduto, la diplomazia ha finito il suo lavoro, l'Onu è ridotta in pezzi, la politica scompare dalla scena e le armi prendono il suo posto. Il mondo è diviso, spaccato in due. Quelli che vogliono la guerra sono in minoranza, in netta minoranza, ma la guerra la fanno lo stesso. Quelli che la guerra non la vogliono sono tre quarti dell'umanità, sono decine e decine di paesi, sono le istituzioni internazionali, la logica, la ragionevolezza, il buon senso. Non raggiungono il loro scopo oggi, ma mai nella storia sono stati tanto forti. Mai nessuno aveva visto decine e decine di milioni di persone scendere in piazza una, due tre volte per fermare questa avventura di sangue; mai nessuno aveva visto governi non certo pacifisti prendere posizioni così nette contro la guerra; mai nessuno aveva visto le opinioni pubbliche schierarsi così decisamente per la pace e spesso contro i loro stessi governi che pure avevano votato. E' un patrimonio dell'umanità, e non sarà seppellito nella sabbia irachena.

E proprio oggi che parlano le armi bisognerà che queste persone, questi milioni di persone alzino ancora di più la propria voce per farsi sentire. Ogni giorno di guerra dovrà essere un giorno per parlare di pace: la vera battaglia non sarà tra i bombardieri angloamericani, i loro missili, le loro truppe e ciò che resta dell'esercito iracheno; la vera battaglia è tra la logica della guerra e l'ideale della pace. Vincerà la prima solo se il secondo rinuncerà a lottare e le lascerà il campo libero. Altrimenti, certamente non oggi e neanche domani, ma prima o poi quella logica sarà sconfitta: a meno che non si intenda calpestare (bombardare) due terzi dell'umanità.

Ma quella logica che oggi si afferma, non sta in piedi da sola ma grazie a qualcuno che in piedi la tiene. Il presidente Bush negli Stati uniti e il primo ministro Blair in Gran Bretagna sono le sue colonne portanti, Aznar e Berlusconi i capitelli. Il primo è un miracolato, ha vinto le elezioni per broglio ricevuto e deve ringraziare gli assassini dell'11 settembre se alla Casa bianca ancora lo chiamano mister President; il secondo era un faro della sinistra europea (capace di abbagliare parecchie falene di casa nostra) e adesso può rimanere in piedi solo grazie ai voti dei suoi avversari: che lo lasceranno cadere nella polvere oppure lo trasformeranno nel loro leader; il terzo lasciamo perdere ché non abbiamo spazio da perdere.

Ci piacerebbe lasciar perdere anche il quarto ma purtroppo non possiamo. Venti giorni fa, il 28 febbraio, ci aveva comunicato che «un intervento militare senza l'Onu sarebbe stato nefasto». Ieri è venuto in parlamento a spiegarci che questa guerra è legittima anzi giusta anzi sacrosanta. Non la faremo solo perché Bush non ci vuole e forse perché se la facessimo cadrebbe il governo. Ma politicamente, moralmente, spiritualmente siamo anche noi in Iraq. E infatti le nostre basi e il nostro spazio aereo sono a disposizione dei bombardieri angloamericani. Nonostante l'opinione pubblica contraria a questa guerra, nonostante il papa, nonostante Ciampi, nonostante la Costituzione. Nonostante tutto.

Ma non sarà indolore questa scelta di Berlusconi, già il suo governo scricchiola con Casini e i suoi uomini stretti tra la «scomunica» papale e la fedeltà al capo, con la popolarità dello stesso capo che crolla nei suoi ex amati sondaggi, con il cuore dell'Europa che sta dall'altra parte, con milioni di elettori del centrodestra che si sono pentiti di averlo votato e non è affatto detto che lo rivoteranno.

Bene hanno fatto allora i partiti del centrosinistra e della sinistra a unirsi contro la guerra, contro le basi, contro Berlusconi. Per una volta, la volta giusta, sono stati capaci di rappresentare la stragrande maggioranza degli italiani. Sperando che non resti solo una mozione.

DA - IL MANIFESTO

La prima bufala di guerra


La radio israeliana dice che Tareq Aziz è «scappato», anzi «è stato ucciso»
Menzogne «a buon mercato». Il vicepremier iracheno nel pomeriggio compare, a Baghdad, davanti alle telecamere. «State attenti - ha detto - perché nei giorni a venire ne sentire anche di più grosse». «Siamo preparati alla guerra». E conclude: «Gli americani hanno la forza ma non il cervello»

S.D.Q.
La guerra guerreggiata non è ancora cominciata ma quella psicologica sì. Ieri le agenzie hanno ripreso e rilanciato una «notizia» clamorosa: Tareq Aziz, il vicepremier iracheno e il linkage più visibile del regime di Baghdad con la diplomazia internazionale (il mese scorso venne anche in Italia per incontrare il papa), era scappato a poche ore dallo scadere dell'ultimatum di Bush, chiedendo asilo politico a un altro paese. O addirittura era stato ucciso mentre tentava di scappare, chissà forse da Saddam in persona per aggiungere una nota di color sangue alla satrapia babilonese. Davvero? No. Le prime bombe della guerra psicologica. Certo non le ultime.

La notizia, così per caso, veniva da una fonte israeliana. L'aveva data la radio pubblica di Israele che, diceva, l'aveva appresa da un radioamatore israeliano poliglotta in lingue orientali che, diceva, l'aveva sentita captando una conversazione in arabo, probabilmente fra e per speranzosi esuli iracheni in attesa di essere liberati da Bush. Ma puzzava tanto di bufala che neanche il sito web di Haaretz aveva osato riprenderla. Non puzzava solo, era una bufala.

Poco dopo, a Baghdad, il disertore, o il morto, Tareq Aziz si è presentato davanti alle camere della Tv. Sono qui, questa è una voce «facile da smentire». Una voce che il vicepremier iracheno ha attribuito - e una volta tanto è difficile accusarlo di avere mentito - alla coalizione dei paesi guidata dagli Stati uniti, aggiungendo che sia gli iracheni sia il mondo esterno dovrà abituarsi a sentirne sparare anche di più grosse nei giorni a venire. «State accorti sulle voci psicologiche a buon mercato», ha messo in guardia.

Poi, prima di andarsene, ha ripetuto le posizioni di Baghdad di fronte all'imminente guerra che sta per piovere in testa al regime ma soprattutto agli iracheni.

Ha risposto alle domande dei giornalisti che ormai è del tutto «chiaro» che non esiste più la possibilità di una soluzione politica. Che tuttavia l'Iraq è preparato per la guerra e che la decisione degli Stati uniti di invadere il suo paese è «un atto di colonizzazione, un'aggressione imperialista e ingiusta contro il Medio Oriente». Non certo «un atto di pace» o, come dice Bush, di liberazione. Ha aggiunto che la richiesta avanzata da Bush lunedì - che Saddam Hussein abbandoni il paese - è qualcosa di «impossibile» (e oltretutto, perché sia ben chiaro l'obiettivo americano, il segretario di stato Colin Powell ha precisato ieri che anche l'esilio di Saddam, a questo punto, non basterebbe più a fermare l'attacco).

Ha definito anche «un esempio della mentalità» americana il bombardamento in corso di volantini in cui si incitano i soldati e i cittadini iracheni ad accogliere i liberatori a braccia alzate, senza combattere.

«Hanno la forza ma non hanno cervello», ha concluso. E, una volta tanto, è difficile dargli torto.