DA - REPUBBLICA .Inferno di bombe su
Bagdad
"E' cominciato l'A-Day"
B52
in azione anche a Bassora e nel nord a Mosul
BAGDAD - Il
Pentagono lo chiama A-Day, a Bagdad possono chiamarlo in
un solo modo, inferno. Il grande attacco, l'inizio vero e
proprio delle operazioni su larga scala in Iraq
incomincia mentre in Italia sono le 18. Le sirene
dell'allarme aereo riprendono a suonare a Bagdad e il
cielo si riempie di traccianti. Poi comincia tutto. Manca
qualche minuto alle 19 italiane, le nove di sera a
Bagdad. Cominciano a cadere le bombe. Comicia l'A-Day, il
grande attacco, comincia l'inferno. Durerà una decina di
minuti. Poi, puasa di un'ora e mezza e si ricomincia.
Le bombe cadono sui palazzi e nuvole di fumo si levano da
quello che resta dopo il loro passaggio. Fuoco, nubi di
polvere rosse che si alzano verso il cielo. Anche uno dei
palazzi presidenziali è stato colpito dai missili ed è
avvolto nelle fiamme.
Tra un bombardamento e l'altro, pochi secondi di calma
irreale, poi riprende il sibilo dei missili e il
frastuono diventa di nuovo assordante. La potenza di
fuoco che si riversa sulla città è infinitamente
superiore a quanto visto finora. Non c'è tregua e la
notte è appena agli inizi.
Anche gli esperti
cronisti della Cnn non riescono a ricordare nulla di
simile. Mai nella storia della televisione si è visto
dal vivo, in diretta e senza filtri, tale potenza
devastante. Dopo dieci minuti, torna quella che definire
calma è quasi un'offesa. Passa un'ora e mezza e una
nuova ondata di bombe si abbatte sulla città.
In totale dall'inizio dei bombardamenti sono state tirati
320 ordigni tra bombe e missili, la maggior parte
nell'attacco di questa sera su Bagdad e dintorni.
A colpire sarebbero i bombardieri americani B52H partiti
dalla base della Raf britannica di Fairford, nel
Gloucestershire. Come confermato da fonti del Pentagono,
è l'A-Day, il debutto dell'operazione "colpisci e
terrorizza". Questo significa che, secondo le
previsioni, almeno 1.500 bombe saranno sganciate nelle
prossime 24 ore.
Ma non è solo la capitale sotto le bombe. Un portavoce
del governo del Kuwait dice che anche Bassora è
sottoposta allo stesso trattamento da parte dei
bombardieri. E raid aerei sono in corso sulla città di
Mosul, nell'Iraq settentrionale, ha riferito il
corrispondente di Al Jazeera che si trova sul posto. La
contraerea, secondo alcuni testimoni, sarebbe entrata in
azione anche sulla città di Kirkuk, città petrolifera
nel nord del Paese.
(21 marzo 2003)
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Rumsfeld:
"Saddam sta perdendo
il controllo dell'Iraq"
Blair:
"L'offensiva procede bene, ma la fine non è
immediata"
WASHINGTON - Sia
Washington che Londra prospettano una guerra ancora
"lunga e pericolosa", ma il segretario alla
Difesa Usa Donald Rumsfeld assicura che tra i dirigenti
iracheni la confusione "è crescente" e
che "la fine del regime è vicina". Invitando
nuovamente i generali di Bagdad a non opporre resistenza
e a non usare armi di distruzione di massa, il capo del
Pentagono dice che Saddam "sta iniziando a perdere
il controllo del paese". Nella conferenza stampa
tenuta al Pentagono tre quarti d'ora dopo l'avvio del massiccio
bombardamento sulla capitale irachena,
Rumsfeld spiega che la campagna militare angloamericana
ha come obiettivo prioritario colpire con una forza tale
da far capire al raìs e ai suoi uomini che ormai per
loro è arrivata la fine, per arrivare allo scopo ultimo,
"la liberazione dell'Iraq". Quindi il
segretario alla Difesa dice esplicitamente che con
l'attacco di stasera è iniziata la "guerra
aerea" vera e propria.
"Non
so" se Saddam controlli ancora il Paese, se sia
ancora effettivamente in carica, ma bisogna comportarsi
come se lo facesse, fin quando non si avrà certezza del
contrario. "Ci sono segnali ma non sono
sicuri", aggiunge il segretario alla Difesa
americano. Che poi conferma l'esistenza di contatti per
indurre alla resa i generali iracheni.
Ai giornalisti che azzardano paragoni tra i bombardamenti
sull'Iraq e quelli della seconda guerra mondiale,
Rumsfeld risponde sottolineando l'estrema precisione
degli ordigni oggi dalle forze Usa rifiutando ogni
similitudine con quello che accadde più di sessant'anni
fa.
Nonostante tutto, da Washington e da Londra continuano ad
arrivare inviti alla cautela: non sarà una guerra lampo,
non finirà presto, non sarà così semplice. Il
portavoce della Casa Bianca, Ari Fleischer, ricorda che
le forze combattenti hanno "molti rischi"
davanti a loro. "Penso - dice - che sia importante
che gli americani ricordino che l'impegno in Iraq può
essere lungo, faticoso e pericoloso". Il portavoce
sembra volere contrastare l'impressione del conflitto
senza ostacoli che s'è andata diffondendo con l'avanzata
delle
truppe angloamericane nel Sud dell'Iraq.
Citando il presidente Bush, Fleischer aggiunge:
"Questa è la fase d'apertura. Questa è una cosa
vera, questa è una guerra vera, è pericolosa, è piena
di rischi". Quasi a cercare di ridimensionare la
percezione della guerra come evento mediatico con le
immagini dell'avanzata dei soldati in diretta tv e le
telefonate dei telespettatori che riconoscono sullo
schermo i propri familiari in missione.
Quella della Casa Bianca è la stessa preoccupazione di
Tony Blair. Il premier britannico dice che l'offensiva in
Iraq "sembra procedere bene" ma non bisogna
illudersi che possa finire "nell'immediato".
Blair riferisce di diserzioni e scontri nel governo di
Bagdad. "Ma devo avvertire - aggiunge - che le
nostre forze dovranno affrontare resistenze e,
ncessariamente, non raggiungerannno il loro obiettivo
nell'immediato". E usa il termine
"overnight", da un giorno all'altro, per
indicare che non ci si può attendere una fine della
guerra a brevissimo termine.
(21 marzo 2003)
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DA - REPUBBLICA.
Iraq, morti sul
campo
due marine americani
E ci
sono anche le 12 vittime dell'elicottero caduto
Otto sono inglesi, quattro americani. Forse un incidente
KUWAIT - Due
soldati americani vittime della "linea del
fuoco". Vale a dire in combattimento. Le due morti -
avvenute in due differenti scontri, nella località di
Umm Qasr - sono state confermate, entrambe, dal Comando
centrale americano, che ha sede nella base di As Sayliyah
(Qatar).
Il primo è un marine della Prima divisione, morto al
mattino in un conflitto a fuoco; il secondo è stato
ucciso vicino al porto di Umm Qasr, nel sud dell'Iraq.
Le due prime vittime sul terreno seguono i 12 soldati
rimasti uccisi in quello che secondo le prime
ricostruzioni è stato un drammatico incidente. Sono gli
otto militari britannici e i quattro statunitensi che
erano a bordo di un elicottero dei Marine precipitato in
Kuwait, a circa sedici chilometri dal confine meridionale
con l'Iraq.
Non è ancora chiara la dinamica dell'incidente che ha
coinvolto il Chinook CH-45 "Sea Night", un
elicottero adibito per il trasporto truppe. "Sono in
corso le prime indagini, ma dalle prime notizie sembra
che non si sia trattato di un fuoco nemico", ha
detto Andersen.
In base alle
prime ricostruzioni raccolte dalla Cnn, la causa della
caduta andrebbe ricollegata a un malfunzionamento
meccanico la cui natura non è stata ancora precisata.
Tuttavia nessuna ipotesi viene ancora esclusa. Le
informazioni disponibili sono estremamente scarse:
l'elicottero sarebbe caduto mentre conduceva una missione
collegata all'avanzata delle truppe in territorio
iracheno.
Poco prima altri due elicotteri militari americani
avevano compiuto "atterraggi duri", lungo il
confine tra il Kuwait e l'Iraq. Uno, danneggiato
seriamente, era stato distrutto per evitare che cadesse
in mano nemica, l'altro aveva potuto rientrare alla base
con i propri mezzi.
Il Ch-46 "Sea Knight" (cavaliere del mare) è
un elicottero a due motori e a doppia pala della Marina
Usa, un mezzo aereo d'assalto adatto al trasporto di
truppe e materiali. Può essere anche utilizzato con
funzioni di ricerca e soccorso o evacuazione di feriti in
caso di emergenza.
(21 marzo 2003)
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DA - REPUBBLICA
Saddam compare
in tv
Minacce agli invasori
Le
immagini del leader iracheno
con il figlio e il ministro della Difesa
BAGDAD - Saddam
Hussein sarebbe è vivo. Il leader è comparso alla tv
irachena, ripreso durante un incontro con il figlio
Qusay, che comanda la guardia repubblicana, e con il
ministro della Difesa Hashem Hamad. Le immagini di questo
colloquio potrebbero smentire le ipotesi sempre più
insistenti secondo le quali il rais sarebbe stato ferito
o addirittura morto già nel primo bombardamento su
Bagdad, all'alba di ieri. Manca però qualsiasi certezza
sul fatto che le immagini siano realmente di oggi.
Anche il Pentagono in serata diffonde la notizia che
Saddam Hussein potrebbe esser rimasto ferito ieri nel
primo raid su Bagdad. Le notizie del ferimento del raìs
si sono moltiplicate per tutta la giornata, l'emittente
americana Abcnews, citando fonti dell'intelligence
americana, aveva riportato che testimoni oculari avevano
visto il dittatore portato fuori in barella dalle macerie
del bunker bombardato all'alba di ieri. Secondo i
funzionari dell'intelligence citate dall'emittente
americana, Saddam era su una "barella con una
maschera di ossigeno sulla faccia".
Il ministro della
Difesa britannico, Geoff Hoon, aveva invece ipotizzato la
morte del raìs in un'intervista alla tv satellitare Sky
News, ma subito smentita dalle
autorità irachene. "Non è stato stabilito con
assoluta certezza - ha detto Hoon - se Saddam Hussein sia
ancora vivo o se sia rimasto ucciso durante il primo
attacco contro Bagdad". E anche la Cia non si
espone, malgrado gli esperti dell'intelligence americana
abbiano appurato che la voce nel video trasmesso la sera
del primo attacco dalla tv irachena è proprio quella di
Saddam. Non è infatti chiaro se il nastro sia stato
registrato in precedenza.
Ma Bagdad smentisce le fonti occidentali, e dà la sua
versione della guerra. Con gli strumenti tradizionali,
immagini di civili feriti, minacce contro gli
"invasori". Ed è comunque pronta la replica
del ministro dell'Informazione iracheno, Mohamed Said Al
Sahaf: "Saddam Hussein è vivo, con i suoi
familiari. Anche se hanno mirato alle loro case, sono
salvi". Smentita sostenuta anche dall'ambasciatore
iracheno a Mosca, Abbas Khalaf, che ha dichiarato:
"Saddam sta bene al pari di tutti i suoi familiari e
figli". Il diplomatico si è rifiutato di dire se il
raìs si trovi a Bagdad o altrove: "Questa
informazione è coperta dal segreto durante la guerra, ma
il presidente non abbandonerebbe mai la patria nel
momento del pericolo". Fra l'altro, come riferisce
l'agenzia di stampa irachena Ina, Saddam avrebbe offerto
denaro per ogni aereo "nemico" abbattuto e per
ogni soldato americano ucciso o catturato.
Ed è toccato ancora al ministro dell'Informazione, Al
Sahaf, mostrare le foto di civili feriti nei
bombardamenti su Bagdad. Almeno 37 secondo l'agenzia di
stampa irachena Ina: "Il nemico ha colpito uno degli
edifici del ministero per la Pianificazione, oltre a un
alro palazzo usato dall'amministrazione dello
Stato". La nota evidenzia che "sono state prese
di mira parecchie aree civili", e Al Sahaf è
apparso in televisione mostrando alcune foto dei feriti:
"Questi sono i veri bersagli", ha detto.
Nel corso di una conferenza stampa, Al Sahaf ha definito
il presidente degli Stati Uniti, George W. Bush,
"capo di una banda internazionale di bastardi",
i funzionari americani "gangster al pari di Al
Capone". Ed ha affermato che le forze
anglo-americane che hanno invaso l'Iraq "non
usciranno vive" dalla "palude" in cui si
sono avventurate.
Anche il ministro degli Interni, Mahmud Diab Al Ahmed, ha
convocato una conferenza stampa. Alla quale si è
presentato in tuta da combattimento, armato di fucile,
pugnale alla cintura, e ha dichiarato che "la
vittoria per l'Iraq è garantita". "Non abbiamo
intenzione di uccidere gli americani o gli inglesi, ma
intanto ieri, con i dodici inceneriti, hanno avuto un
primo assaggio di quello che li aspetta" ha detto il
ministro, riferendosi alle dodici vittime dell'elicottero
caduto, lasciando intendere che sia stato abbuttuto dalle
forze irachene e non sia precipitato, come hanno riferito
gli Stati Uniti, a causa di un guasto meccanico. "E
Bagdad - ha concluso - sarà un inceneritore per le
truppe degli invasori".
Un appello ad uccidere "tutti gli americani nel
mondo, ovunque si trovino" è giunto da uno dei più
importanti imam della moschea di Bagdad "Um Al
Maarek" (che in arabo significa "madre di tutte
le battaglie"): il lader religioso si è presentato
alla preghiera del venerdì con un kalashnikov fra le
braccia, e ha invitato arabi e musulmani nel mondo ad
"uccidere gli invasori", dopo
l'"aggressione barbara sferrata da uno dei Paesi
più potenti del mondo".
(21 marzo 2003)
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DA - IL MANIFESTO
Fuoco
LUIGI PINTOR
Vincere la guerra sparando pochi missili e uccidendo
Saddam il tiranno per invadere l'Iraq senza massacrare la
popolazione. Forse era questa la scommessa di Bush il
texano ma l'ha persa. Per lui sarebbe stato un trionfo e
per chi odia e ripudia la guerra per la sofferenza delle
popolazioni colpite, prima che per le sue finalità di
dominio, sarebbe stato un sollievo. Ma non siamo ai tempi
degli Orazi e Curiazi e quando saremo in edicola non
sappiamo quante delle tremila bombe annunciate saranno
piombate su città e villaggi e quanto sangue sarà stato
versato. Lo scenario si ripresenta così come era stato
annunciato e come paventavamo, la più grande potenza
militare della storia contro un paese due volte
disgraziato per il nemico che lo assale e per il regime
che lo governa.
Il presidente americano non è apparso sicuro di sé nel
suo ultimo appello televisivo alla nazione, ha parlato di
una guerra forse più lunga e luttuosa del previsto,
lacrime e sangue. Forse ha voluto mettere le mani avanti
ma ieri abbiamo visto sugli schermi la ferocia scatenata
della guerra. Una cosa ci sembra certa, che la durata e
il costo di questa ferocia sono la grande incognita che
grava non solo sul presente ma sul futuro.
Ogni giorno che passa crescerà l'avversione e
l'opposizione nel mondo, non più per impedire la guerra
che c'è ma per condannarla senza appello e fermarla come
si può. Non solo l'avversione e l'opposizione pubblica
ma l'ostilità dei governi e degli Stati che vedranno
confermate le ragioni della loro contrarietà. E le
conseguenze e i rimbalzi nell'area medio-orientale e
sugli equilibri mondiali si moltiplicheranno. Il
presidente Chirac ha detto di augurarsi che sia evitata
una catastrofe umanitaria, ma qual è l'unità di misura
di una catastrofe umanitaria? Questa lo è già e i
vincitori possono uscirne sconfitti da se stessi.
Questo scenario di morte che ci sovrasta potrebbe ancora
attenuarsi se la popolazione e il suo regime non vorranno
o non potranno opporre resistenza, se sul campo giocherà
una squadra sola. L'ultima immagine di Saddam lo mostrava
sconvolto, forse non tanto per i missili sul bunker
quanto perché a guidarli può essere stato quel
complotto intestino su cui gli americani fanno ancora
affidamento. Ma qualcuno dice (poiché la tragedia è
sempre intrisa di inganno e menzogna), che si trattava di
una controfigura maldestra.
Ma di che parliamo? Mentre noi scriviamo cadono a Baghdad
le bombe invisibili, il cielo iracheno sputa morte, il
resto del mondo è incollato alle televisioni e la gente
manifesta per le strade. Manifestazioni negative, le
chiama il proconsole che ci governa, e infatti lo sono
perché negano e rinnegano questo orrore. Abbiamo visto
crollare sui nostri schermi i primi palazzi, le torri
newyorkesi moltiplicate a Baghdad non ad opera di quattro
terroristi ma della leadership della civiltà
occidentale. Ecco la catastrofe umanitaria che avanza e
che dev'essere fermata. Questa guerra non può essere
vinta da nessuno dei contendenti, può e deve essere
vinta solo dalla pace.
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DA - IL CORREIRE
DELLA SERA
Militari turchi
entrano in Iraq
Il ministro degli
esteri: «Dobbiamo controllare i rifugiati e prevenire il
terrorismo». Powell si era detto contrario
ANKARA - Un
migliaio di militari turchi hanno attraversato la
frontiera con lIraq. Lo hanno comunicato fonti
militari di Ankara. Il ministro degli esteri turco
Abdullah Gul aveva preannunciato che Ankara avrebbe
inviato truppe «per conterete il prevedibile afflusso di
profughi dallIraq». Il segretario di Stato Usa
Colin Powell aveva avvertito che gli Stati Uniti «non
vedono alcuna necessità di una invasione turca
nellIraq settentrionale».
La Turchia deve controllare i rifugiati nel nord iracheno
per prevenire attività terroristiche, ha dichiarato il
ministero degli esteri turco, aggiungendo che Ankara
«non ha alcuna ambizione territoriale in nord Iraq» ma
che agisce unicamente per scopi umanitari e di sicurezza.
Ma Colin Powell è stato chiaro: «I turchi non
dovrebbero andare in Nord Iraq. L'aiuto migliore che ci
possono dare è non entrare in Iraq».
LA DECISIONE DEL GOVERNO TURCO - La decisione del governo
turco è avvenuta «nell'interesse del Paese» ha detto
il ministro della difesa Vecdi Gonul, dopo una serie di
no che avevano creato molta tensione nei rapporti tra
Ankara e Washington. Il governo di Ankara aveva in
precedenza condizionato la concessione effettiva dello
spazio aereo turco agli aerei americani ad un via libera
di Washington all'ingresso di truppe turche in Nord Iraq.
E aveva chiesto una rapida risposta di Washington. Ed è
stato il segretario di stato americano Colin Powell a
darla: «Le due questioni vanno tenute distinte e
comunque i turchi non dovrebbero andare in Nord Iraq».
NEGOZIATO E TENSIONE - Il negoziato tra i due Paesi
alleati aveva assunto caratteri persino parossistici. I
turchi hanno detto: prima entriamo noi in Nord Iraq e poi
vi diamo lo spazio aereo. Gli americani volevano una
sequenza contraria. I turchi vogliono creare una fascia
di sicurezza oltre il confine di 25 chilometri, gli
americani vogliono concederla per soli 11 chilometri. Gli
Usa si oppongono ad una presenza unilaterale turca in
Nord Iraq, che provocherebbe aspre reazioni dei curdi
nordiracheni. La situazione delle relazioni turco
americane resta dunque tesa e la rottura diventerebbe
insanabile se Ankara mandasse contro il parere degli
americani le sue truppe al Nord.
21 marzo 2003
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DA - IL CORREIRE
DELLA SERA
Quirinale:
«Ciampi non può ricevere i pacifisti»
«Il capo dello
Stato non può incontrare movimenti ma soltanto
parlamentari e capigruppo di partito, per rispetto
competenze»
ROMA - Dopo
l'appello alle forze politiche perché si lavori per
ridare credibilità all'Onu, il presidente della
Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, ha fatto sapere oggi di
non poter incontrare i pacifisti. Un comunicato del
Quirinale spiega che «nel doveroso rispetto delle
proprie competenze, così come definite dalla
Costituzione, il presidente Ciampi non ritiene di poter
accogliere le richieste di incontro», avanzate da
parlamentari e movimenti sulla posizione dell'Italia nel
conflitto iracheno. Il Capo dello Stato, precisa la nota,
è sempre pronto a ricevere capigruppo parlamentari e
dirigenti di partito.
L'APPELLO - Il comunicato è arrivato dopo l'appello
lanciato oggi da Ciampi in una cerimonia al Quirinale per
il premio Saint Vincent, in riferimento al conflitto in
Iraq: «Occorre adoperarsi affinchè le presenti vicende
non intacchino il prestigio e la funzionalità dell'Onu,
massima istituzione preposta all'ordinato svolgimento
delle relazioni mondiali e non abbiano effetti dirompenti
sull'alleanza transatlantica». «Su questi obiettivi -
ha aggiunto - il Consiglio Europeo ha ritrovato ieri
solidi elementi di coesione».
IRAQ - Sul conflitto contro l'Iraq «ormai in corso»,
Ciampi ha detto: «È un intervento militare al quale
l'Italia ha deciso di non partecipare con una scelta
politica compiuta da governo e Parlamento, nel rispetto
della Costituzione, una scelta volta anche all'obiettivo
della ricomposizione dell'unità europea e del rapporto
transatlantico».
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DA - IL SOLE 24
ORE
La maledizione
del Kurdistan si chiama "oro nero"
La maggior parte
dei giacimenti petroliferi iracheni si trova in
territorio curdo. I Paesi confinanti sono preoccupati sia
per la costruzione di nuovi oleodotti, sia per il destino
dell'altra preziosa risorsa locale: l'acqua.di Giulia
Crivelli
Dietro alla
complessa vicenda del popolo curdo, alle schermaglie
diplomatiche sull'autodeterminazione dei popoli e su
integrità territoriali, si nasconde anche una complessa
rete di interessi politici ed economici che rendono un
"Kurdistan indipendente" una seria minaccia per
numerosi paesi mediorientali e occidentali.
Il
Kurdistan, una nazione senza Stato
Su una superficie
più grande dell'Italia vivono 30 milioni di persone, ma
il
territorio è
diviso in cinque Stati: Turchia, Iran, Irak, Siria ed
ex-Urss.
Basti pensare che
la più importante zona petrolifera irachena è situata
proprio in una delle aree del "Kurdistan di
fatto", nel nord dell'Iraq. Attualmente il petrolio
e gli altri idrocarburi dei giacimenti del Mar Caspio
possono essere esportati dalle repubbliche ex sovietiche
dell'Asia centrale (Azerbaijdzhan in primo luogo) solo
attraverso oleodotti e gasdotti costruiti ai tempi
dell'Urss e oggi controllati dalla Russia.
La corsa a nuovi
oleodotti
Negli ultimi mesi si è assistito a una vera e propria
corsa alla costruzione di nuovi gasdotti: l'America
appoggia l'ipotesi di una "pipeline" che da
Baku (Azerbajdzhan) arrivi in Turchia, tagliando fuori
Russia e Iran. Gli iraniani auspicano una linea più
piccola che tagli direttamente a sud sul loro territorio.
Oltre all'oro nero, l'oro blu (l'acqua)
Al problema del petrolio, l'oro nero, si somma quello
dell'acqua, l'oro blu: la Turchia sta infatti realizzando
un imponente programma di costruzione di dighe e laghi
artificiali proprio in zona curda, un progetto che
rischia di sconvolgere il controllo delle acque e
minaccia seriamente Siria e Iraq. È inoltre proprio
attraverso il Kurdistan, nella zona di confine
Turchia-Iraq, che passano gran parte dei rifornimenti di
questi paesi e da tempo i guerriglieri impongono una
tassa "rivoluzionaria". (Secondo fonti
occidentali molti guerriglieri sono anche coinvolti,
assieme alla Mafia locale, nell'organizzazione di una
delle più importanti rotte della droga del Medio
Oriente).
Le paure della Turchia e la posizione Usa
Il crescente potere degli indipendentisti curdi è, per
la Turchia, un grande pericolo anche sul piano politico e
la sta ostacolando non poco nell'obiettivo di espandere
la propria influenza culturale, politica ed economica nei
Paesi ex sovietici dell'Asia centrale e di rafforzare i
suoi rapporti con l'Unione Europea, che l'ha più volte
accusta - tra l'altro - di violazioni dei diritti umani
in Kurdistan. Il ruolo della Turchia, tra l'altro, è di
importanza vitale anche per gli Stati Uniti d'America,
che le attribuiscono un ruolo cruciale per gli equilibri
mediorientali e centroasiatici e l'hanno sempre
considerato un baluardo contro l'Iraq di Saddam Hussein.
Il recente rifiuto di Ankara (ufficiale dal 19 marzo
scorso) di lasciar passare dal proprio territorio i
soldati americani diretti in Iraq, si giustifica anche
con la paura, da parte del governo turco, che il
passaggio degli americani dia ai curdi l'occasione e
l'opportunità per rafforzare la loro autonomia e fare un
ulteriore passo verso il riconoscimento politico
ufficiale.
Più in generale, un qualunque sconvolgimento politico
nell'area dell'Kurdistan potrebbe influire pesantemente
su gran parte dei paesi occidentali ed europei, che con
la Turchia stanno instaurando rapporti economici sempre
più fitti.
I Partiti Politici Curdi
La composita galassia politica curda comprende quasi una
dozzina di movimenti; i partiti principali, quelli che
raccolgono, nel loro complesso, la maggioranza del popolo
curdo, sono però soltanto tre: il Partito democratico
del Kurdistan (Kdp), l'Unione patriottica del Kurdistan
(Puk) e il Partito curdo dei lavoratori (Pkk). I primi
due si dividono il controllo del cosiddetto Kurdistan
libero nell'Iraq meridionale, il terzo è attivo
prevalentemente in Turchia.
PDK
Il Partito Democratico del Kurdistan (PDK o KDP), il più
vecchio fra tutti i partiti curdi, fu fondato in Iraq nel
1946 da Mustafa Barzani (padre di Massud, attuale leader
del partito), su immagine del Pdk d'Iran (il partito
creato nel '45 da alcuni nazionalisti curdi di Mahabad,
la regione iraniana dove, nel '46, venne proclamata la
prima Repubblica Curda della storia). Il Pdk, che sin
dalla nascita ha guidato l'opposizione armata ai vari
regimi iracheni (nonostante periodi di intesa provvisoria
con Baghdad), è un'organizzazione a base prevalentemente
familiare e di clan, ma che può vantare anche molti
intellettuali dalla sua parte. Il Pdk iracheno è rimasto
unito fino al '75, quando, per contrasti `personali' con
Barzani, il leader carismatico Jalal Talabani ha deciso
di fondare l'Upk (Unione Patriottica del Kurdistan), che
ha privato il Pdk dell'egemonia nell'area di Sulaimaniya,
nel Kurdistan iracheno ai confini con l'Iran. Attualmente
il partito di Barzani è comunque il movimento egemone
nell'area irachena confinante con la Turchia. Dal
dicembre `94 Pdk e Puk hanno cominciato a contendersi
militarmente il dominio dell'area di sicurezza curda
creata dall'Onu nel '91. Violento anche il contrasto tra
il Pdk e il Pkk, che ha spinto Barzani a stringere anche
alleanze tattiche con l'esercito di Ankara, ottenendo in
cambio il controllo del contrabbando petrolifero sul
confine turco-iracheno e dando il via a sanguinose
reciproche rappresaglie a catena nei villaggi. Solo nel
novembre '98 i due partiti si sono riavvicinati, grazie
alla mediazione turca, impegnandosi a contrastare il Pkk.
Un ruolo assai minore è stato invece quello ricoperto
dal Pdk d'Iran, almeno fino all'elezione a segretario,
nel '71, di Aldul Rahaman Ghassemlu, che è riuscito a
dare un nuovo impulso al movimento. Ghassemlu, ucciso
nell'89 a Vienna, da emissari iraniani, ha combattuto a
fianco di Khomeini, fino alla rivoluzione del 79. Tra
anni dopo la sua morte, anche il suo successore,
Sharafkandi è stato assassinato (a Berlino). Attualmente
il Pdk iraniano è guidato da Abdullah Hassan Zadeh.
PUK
Nata dalla fusione di tre diversi movimenti politici
curdi, promossa nel 1975 da Jalal Talabani, (un ex -
collaboratore di Mustafa Barzani), l'Unione Patriottica
Curda (Puk o Upk) è l'avversario storico del Pdk. Alla
fine degli anni Sessanta Talabani, ancor oggi leader del
partito, divenne consigliere del governo iracheno contro
Barzani. A partire dal '94 il Puk si è scontrato
militarmente per ottenere il predominio della regione
curda d'Iraq e, attualmente, controlla il settore al
confine con l'Iran (la Sulaimaniya). Il Puk è stato
spesso sostenuto dal governo di Teheran, e, almeno fino a
poco tempo fa, ha appoggiato il Pkk. L'11 novembre '98,
in seguito a un incontro ad Ankara con Barzani e il
premier turco, che riavvicina i due partiti iracheni,
Talabani annuncia il suo impegno a "porre termine a
ogni presenza del Pkk nel Kurdistan iracheno" e a
rendere impermeabile il confine turco.
PKK
Il Partito dei Lavoratori del Kurdistan (Pkk), fu fondato
nel 1978 da Abdullah Ocalan (ancor oggi leader
incontrastato del movimento): all'epoca era la più
piccola delle organizzazioni in lotta per la causa curda,
monopolizzata da PdK e Udk. I due movimenti storici erano
però visti in Occidente come movimenti 'di destra',
anti-marxisti, e non erano mai riusciti a portare alla
ribalta la causa curda così come era avvenuto per altre
lotte di liberazione nazionale (palestinese, irlandese,
basca, ecc.). I leader dei due partiti, spesso scesi a
patti con i governi "oppressori' di Iraq, Iran e
Siria, hanno spesso finito per combattersi l'un l'altro,
alienandosi molte simpatie della gente curda. Il Pkk,
invece, man mano che il suo radicale messaggio maoista è
andato ammorbidendosi in un 'socialismo democratico',
aperto anche al profondo sentimento religioso della
popolazione, è riuscito a conquistare l'egemonia sulla
popolazione curda in Turchia. Un predominio che, secondo
i suoi avversari, è stato reso possibile anche da una
spietata strategia del terrore nei confronti degli
oppositori. A tutt'oggi il Pkk arruola 7.500 uomini, ma i
suoi simpatizzanti sono almeno 50 mila. Dal 1984, con
alcuni momenti di tregua, il Pkk ha svolto una sanguinosa
attività di guerriglia contro le forze armate turche ;
fino a poco tempo fa il partito (unico tra i principali
movimenti curdi) lottava per la creazione di uno
Kurdistan indipendente e solo negli ultimi anni ha
affermato di potersi "accontentare" di una
forte autonomia all'interno dello stato turco. Secondo la
Turchia il Pkk, con la sua guerriglia, ha causato la
morte di 30 mila persone in 15 anni. (D'altra parte le
forze turche sono accusate di avere distrutto ben 3.500
villaggi favorevoli al Pkk e deportato centinaia di
migliaia di curdi).
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DA - IL
MESSAGGERO
La
pace? Un mezzo
Il fine assoluto
è la dignità umana
di SERGIO GIVONE
SONO in molti ormai, non meno fra i laici che fra i
cattolici, a riconoscere al Papa una profondità di
visione storica incomparabilmente superiore a quella di
statisti e politici. Il Papa, che non decide nulla quanto
alle sorti del mondo, vede molto più lontano di coloro
che invece hanno il potere di decidere. E questa è la
tragedia cui stiamo assistendo.
Ma che cosa ha visto il vecchio Pontefice, profeta
disarmato e indomito? Ha visto per primo, come ha
ricordato il card. Pio Laghi, che se la forza della legge
viene sostituita dalla legge della forza, e, peggio
ancora, se la forza, per il solo fatto di essere tale, si
traveste da diritto, allora il fondamento della concordia
fra i popoli è scosso nel profondo e forse in maniera
irreparabile. D'ora in avanti a nessuno, neanche al più
abietto dei dittatori, potrà essere rimproverato di far
valere le sue ragioni, quali che siano, con la forza.
Purché abbia la forza. E l'accortezza di usarla per
autodifesa o in nome di qualsiasi pretesto lui vorrà.
Solo il Papa ha osato chiedere che ne sarà dell'uomo in
un mondo come quello verso il quale stiamo andando.
Ha visto anche dell'altro, il Papa. E cioè che in gioco
è, né più ne meno, la scelta fra il bene e il male.
Chi sceglie la pace sceglie il bene, chi sceglie la
guerra sceglie il male. Non che la pace sia di per sé il
bene. E viceversa. Infatti: «Sappiamo tutti che non è
possibile dire pace ad ogni costo», e sono sempre parole
del Papa. Ma il fatto è che la guerra, anche quando ha
per obiettivo il bene, precipita inevitabilmente
nell'abisso del male, se non altro perché ne adotta la
logica e si appropria dei suoi metodi. E con ciò il Papa
ha rovesciato la presunzione di chi scatena la guerra e
nello stesso tempo la giustifica come lotta del bene
contro il male. Il Papa non ha accusato nessuno. Ma non
ha esitato a definire "satanica"
l'identificazione del nemico con il Nemico, con il Male.
Qui il pensiero wojtyliano, tutto incentrato sul nesso di
etica e pace e cioè sul "coraggio di combattere il
male con il bene" (dove fra l'altro si vede con
chiarezza che la pace è un mezzo piuttosto che un fine,
perché fine assoluto è il rispetto della dignità
umana), acquista una forte intonazione religiosa.
Di quale colpa costoro si macchiano secondo il Papa? In
fondo fanno la guerra in nome dello stesso Dio, o no? Non
basta a giustificarli la loro volontà di difendere
l'Occidente e i valori cristiani? La risposta del Papa è
inusualmente dura e severa. «Nell'intimo di ogni persona
risuonano la voce di Dio e quella insidiosa del Maligno.
Questa ultima cerca di ingannare l'uomo seducendolo con
la prospettiva di falsi beni per distoglierlo dal bene
che consiste proprio nel compiere la volontà divina».
E' alle radici della tradizione cristiana che il Papa
guarda, profeticamente, e con una potenza visionaria che
il mondo comprende a fatica. La figura in questione è
quella dell'Anticristo. Il quale non ha il volto
demoniaco dell'operatore di iniquità e nemmeno quello di
un bieco tiranno. Al contrario, ha il volto benefico di
chi dice di voler salvare il mondo. E magari lo pensa
anche. Ma costui, come l'Apocalisse insegna, non è che
un seduttore, uno che inganna autoingannandosi.
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DA - L'UNITA'
Gli Usa:
«Espellete i diplomatici iracheni». Francia e Russia:
«No». L'Italia: «Forse»
di red
Francia e Russia
hanno già detto di no. E l'Italia? Ancora non ha
risposto. Anche se «sta valutando la richiesta degli
Stati Uniti di espellere alcuni diplomatici iracheni
sospettati di attività incompatibili con il proprio
status». Si usano le virgolette perché è questa
l'affermazione fatta dal ministro degli Esteri, Franco
Frattini, che ha così - per la prima volta - confermato
che Roma rientra fra la sessantina di capitali a cui gli
Usa hanno inoltrato la richiesta di espulsione.
Nell'ultima settimana molti Paesi hanno espulso
diplomatici iracheni. Richiesta che, come detto, Francia
e Russia hanno già respinto.
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DA - L'UNITA'
Ambasciatore
iracheno: Annan ha aiutato gli Usa a scatenare la guerra.
di
red
Il segretario
generale dell'Onu Kofi Annan ha aiutato gli Stati Uniti a
scatenare la guerra e ha dato il via all'attacco
ritirando gli ispettori. L'accusa arriva
dall'ambasciatore iracheno alle Nazioni Unite, Mohammed
Aldouri. Secondo Aldouri, Annan avrebbe deciso di
sospendere il programma 'Petrolio in cambio di cibo"
e di ritirare la forza di pace in Kuwait su richiesta di
Usa e Gran Bretagna. E non solo. Aldouri ha coontestato
Annan anche per non «aver rilasciato alcun messaggio per
deplorare l'attacco colonialistico e barbaro».
Dopo la
spaccatura del Consiglio di sicurezza davanti alla crisi
irachena, dunque, la crisi delle Nazioni Unite, come
organo per la tutela della pace, potrebbe diventare
ancora più profonda, anche se Aldouri non ha risposto a
chi gli chiedeva se abbia intenzione di chiedere le
dimissioni di Annan.
Intanto, la tv araba Al Jazeera ha detto che forze
militari irachene avrebbero catturato «molti soldati»
britannici, americani e australiani a Fao, una città del
sud dell'Iraq.
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DA - L'UNITA'
Gli obiettivi
della guerra secondo Donald Rumsfeld
di
red
Scatta 'l'A-Day',
la vera campagna aerea delle forze angloamericane e il
segretario alla Difesa Donald Rumsfeld elenca gli otto
obbietivi della guerra in Iraq.
1)«Mettere fine
al regime di Saddam Hussein colpendolo con forza tale da
rendere ben chiaro agli iracheni che lui e il suo regime
sono finiti».
2)«Identificare,
isolare e alla fine eliminare le armi di sterminio
irachene, i loro vettori, i siti di produzione e le reti
di distribuzione».
3)«Dare la
caccia, catturare e condurre fuori dal Paese terroristi
che hanno trovato un rifugio sicuro in Iraq».
4) «Raccogliere
informazioni riservate che ci consentano di individuare
reti terroristiche a loro collegate in Iraq e fuori».
5) «Raccogliere
quante più informazioni possibile sulla rete globale
coinvolta in attività riguardanti le armi di
sterminio».
6) «Mettere fine
alle sazioni e portare subito aiuto umanitario, cibo e
medicinali agli sfollati e ai cittadini iracheni
bisognosi».
7) «Proteggere i campi petroliferi e le risorse
dell'Iraq, che appartengono al popolo iracheno, e di cui
avranno bisogno per sviluppare il loro paese dopo decenni
di incuria del regime».
8) «Aiutare il
popolo iracheno a creare le condizioni per una
transizione rapida verso un autogoverno rappresentativo
che non sia una minaccia per i suoi vicini e che si
impegni a garantire l'integrità territoriale del
paese».
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DA - LIBERAZIONE
Migliaia e
migliaia nelle piazze e nelle strade di tutta Italia in
una mobiltazione spontanea contro la guerra
In scena Il
Grande No
Maria R.
Calderoni
Il Grande No.
E'esploso. In tutte le città, in tutti i paesi, in tutti
i comuni. Al nord al centro al sud. Nei grandi centri
come nei piccoli borghi. La prima bomba maledetta non ha
colto nessuno di sorpresa. Con le bandiere, i cartelli,
gli striscioni, i tamburi, l'emozione e l'ira dei giusti
il fiume del no alla guerra ha cominciato a prendere
corpo dalla notte tra mercoledì e giovedì. Strade
piazze palazzi comunali diventati all'improvviso, senza
bisogno di convocazioni o ordini scritti, il pulsante
cuore di una manifestazione totale. Una tempesta, una
pioggia, una miriade di iniziative; presenze, messaggi,
blocchi, sit in, cortei. La valanga inarrestabile di
un'inarrestabile protesta, i mille e mille rivoli di un
moto che invade l'Italia e, da un capo all'altro, è un
tutt'uno, una sola unica Presenza. Il Grande No.
Occhio e croce,
dalle prime luci dell'alba a questo momento in cui
scriviamo, intorno lle 17 di oggi (ieri, giovedì) sono
centinaia di migliaia le persone scese per le strade, col
loro no. Sommerso il nostro tavolo, il diluvio delle
segnalazioni non smette un minuto. Anzi cresce, difficile
per i ben noti "amici della guerra" trovare un
posto dove nascondersi. E noi temiano di essere, nella
circostanza, cronisti imperfetti, inadeguati per difetto,
già ci sentiamo in colpa.
Dapperutto
ragazzi, un esercito di ragazzi. Sono usciti dalle
scuole, una grande giornata di movimento studentesco che
si è materializzata come d'incanto. Con gli zaini e le
bandiere, gli striscioni e i cartelli scritti col
pennarello si sono riversati per le strade città per
città, scuola per scuola. Sono tra i primi, tra i più
decisi: il mondo salvato dai ragazzini? Una montagna di
notizie studentesche in effetti ci sommerge.
Cominciamo pure
da Roma. Tanti e tanti, li hanno visti tutti, i ragazzi
della capitale; alle 9 già venivano giù almeno in 2000
dalla metro di S. Maria del Soccorso inondando una
affollatissima Tiburtina, e poi seduti sui binari della
omonima stazione Fs, mescolati col Social Forum e il
corteo del IV e V municipio e poi giù in piazza del
Campidoglio, dove c'è già una gran folla. Tutti i
dipendenti comunali hanno infatti deciso uno sciopero per
tutta la giornata, e tutti sono lì, studenti e vigili
mescolati insieme. Ma è l'intera città a essere
battuta. Il corteo degli studenti avanza verso
l'ambasciata Usa in via Veneto; ci sono tutt le scuole, i
licei storici - Mamiani, Tasso, Visconti - ma anche tutti
gli istituti professionali, come non si vedeva da gran
tempo. Maturi, educati, civili, "parlamentano"
con la polizia che è lì davanti ai cancelli sbarrati
della sede Usa, i ragazzi vorrebbero mettere una bandiera
della pace al portone. No non si può, peccato. Nessun
incidente, nessuna agitazione, si va verso il Parlamento;
ondeggia insieme a loro il grande cartello di Greenpeace
contro la Esso. Instancabili, eccoli nel pomeriggio coi
loro cartelli e i loro striscioni al Campidoglio;
un'immensa fiaccolata sta per avviarsi per le strade
romane, insieme Rifondazione comunista, Verdi, Ds, Social
Forum, operai delle fabbriche in sciopero. Alla Sapienza
lezioni sospese in tutte le facoltà: e sono loro, gli
studenti universitari a bloccare per più di un'ora
l'intera stazione Termini, "No alla illegittima
guerra del petrolio". Né si fermano qui, nel mirino
dei ragazzi "che dicono no" gli accordi con
l'Alenia e la Banca di Roma, una delle "banche
armate" che finanziano produzioni belliche.
Nè taccioni i
celebrati Castelli romani, dove tutte le scuole
superiori, licei e istituti tecnici, hanno sospeso le
lezioni, così il Foscolo ad Albano, il Vailati e il
Pertini a Genzano, con i ragazzi che confluiscono nel
presidio eretto in piazza Frasconi, mescolandosi ai
dipendenti del Comune che manifestano con loro.
Pullulano i
Castelli; e manifestazioni in tutto il Lazio, fiaccolate
e sit in a Rieti (davanti alla prefettura), Viterbo,
Bassano Romano, Rocca di Papa, Frosinone (dove è in
corso una veglia). Già decisa una settimana intera di
mobilitazione in tutta la regione; migliaia e migliaia
sono in campo, insieme Prc, Ds, associazioni della pace,
Social Forum, fabbriche, scuole, Giovani Comunisti. Un
Lazio lanciatissimo.
Grandi notizie da
Milano. Augusto Rocchi, il nostro segretario provinciale,
che di solito pecca di asciuttezza nordica, oggi si
lascia andare, l'aggettivo grande gli scappa più di una
volta. Due cortei con tanta gente "come non avevo
visto da un pezzo", dice; gli operai che hanno
risposto in massa allo sciopero dei sindacati e tanti
tanti studenti, insieme da largo Cairoli al consolato
americano. E ancora nel pomeriggio il concentramento
generale in piazza Duomo sotto lo striscione
"Fermiano la guerra". Un giorno intero, tutta
Milano risponde, un giorno forte. E domani si ricomincia,
ponta un'altra grande manifestazione dei milanesi no war.
Non solo il
capoluoogo, tutta la cintura è in fermento, Bresso,
Garbagnate, Paderno Dugnano, Sesto, una catena di
fiaccolate, sit in, asemblee, cortei, consigli comunali
aperti. Il comune di Corbetta ha proclamato il lutto
cittadino.
«Siamo seduti
sui binari della Stazione», ci dicono da Bologna.
Occupazione simbolica, tra un'ora ce ne andiamo: c'è un
po' di tutto, dice allegramente il nostro interlocutore,
operai, rifondatori, ferrovieri, no global, un mare di
studenti. Due cortei, almeno 10mila persone; una piazza
Maggiore stracolma; una città disseminata di bandiere
arcobaleno; una marcia contro la Esso. E non è che
l'inizio. Ieri era ieri e oggi infatti si ricomincia:
nasce in piazza Maggiore la Tenda Permanente della Pace,
richiamo fisso, appuntamento collettivo. E c'è anche un
domani, con una manifestazione già programmata. Senza
tregua.
Fronte del porto
a Genova. 24 ore di sciopero proclamato volontariamente
dai portuali, gli altri lavoratori li hanno seguiti,
fermi gli altri porti, la Funzione Pubblica, i trasporti
cittadini. Città bloccata, veglia in piazza De Ferrari,
scuole vuote con migliaia di ragazzi in strada; e quattro
cortei che dal polo universitario hanno coinvolto la
stazione marittima, Sanpierdarena, Brignole. Occupata la
stazione Principe, interrotta l'assemblea alla Regione; e
oggi Comune e Provincia, su proposta di Rifondazione
comunista, si riuniscono in assemblea straordinaria
congiunta, aperta alla cittadinanza. Si, è emergenza.
Piccole, grandi,
infinite notizie piovono giù. A Verona occupati due
licei (il Galilei e il Fracastoro), sciopero e corteo a
piazza Bra, manifestazione davanti alla sede del Comando
delle Forze Alleate, e oggi incontro internaziomale
"la Poesia e la pace"al Palazzo della Gran
Guardia.
A Reggio Calabria
studenti convocati in piazza via sms, presidio davanti
alla questura, i ragazzi dell'Istituto d'arte dietro
l'enorme bandiera della pace cucita da loro stessi a
mano. E corteo nel pomeriggio: a piazza Camagna, dopo lo
sciopero proclamato dai sindacati, tutte le sigle del
pacifismo reggino, gli studenti, i metalmeccanici della
Omeca, i tessili di San Gregorio, i centri sociali,
Rifondazione, i Verdi, i ds.
A Como traffico
bloccato e sit in davanti al Municipio, "signori
della guerra non vi lasceremo in pace". Mattinata di
mobilitazione a Imola, Reggio Emilia, Forlì, Cesena; nel
pomeriggio è la volta di Modena, Ferrara, Ravenna,
Piacenza, Parma. Rimini ha innalzato un presidio in
piazza Cavour.
Firenze, per
lunghi minuti suonano le lugubri sirene. Tra oggi e
domani, qui dicono, saranno almeno 100 mila le persone
coinvolte. Un corteo di almeno 20 mila in una Firenze
letteralmente avvolta dalle bandiere iridate, bloccati i
binari e alcune strade tra gli applausi della gente; e
tanti anche qui gli studenti in piazza, quelli delle
medie superiori e soprattutto gli universitari. Occupata
Lettere e Filosofia, il Prc si mobilita davanti alle
fabbriche e alle chiese, l'Unità di crisi è in funzione
giorno e notte nella sede dell'Arci. Sì, è emergenza.
Del resto in tutta la Toscana, la risposta è
straordinaria; mobilitate Siena, Arezzo, Massa, Carrara;
e i Disobbedienti continueranno anche domani, anche dopo,
tutti i giorni. Due cortei a Pisa, sindacati studenti in
piazza - almeno 10 mila -, occupato il Ponte di Mezzo e
Tenda della pace in piazza del Comune.
Da Cagliari
Walter Falgio ci invia un bel resoconto. «Un corteo
spontaneo ha invaso la città dalle 10,30. Studenti,
giovani e giovanissimi, prima di tutto. E poi
universitari, lavoratori, sindacati, il mosaico delle
associazioni e dei movimenti, pacifisti, antimilitaristi,
antagonisti». E non un corteo, ma due, «dalle 17,30
hanno sfilato almeno 8000 persone, sino alla
rappresentanza del Governo, "Berlusconi facci
sognare, parti volontario e non tornare", e poi
l'immancabile "A fora sa Nato da sa Sardigna".
E ci sarà pure un presidio coi pescatori del Sulcis; e
pure una pedalata della pace. Nessun limite alla
provvidenza...
Sit in a
Catanzaro, fiaccolata a Cosenza, sit in a Nuoro, dove
2000 bloccano il Tribunale; Bergamo registra la più
grande manifestazione della Lombardia, (migliaia di
studenti in piazza, bloccata l'autostrada e
"accerchiato" il Comune.
Marche. Qui la
Regione ha aderito ufficialmente alla manifestazione di
protesta, approvando una propria mozione. In sciopero
spontaneo i Cantieri Navali ad Ancona, con manifestazione
e corteo di migliaia, tanti gli studenti e non mancano i
blocchi stradali; mobilitate Pesaro, Fano, Senigallia,
Macerata, Civitanova.
Umbria. Qui la
Regione ha convocato un Consiglio straordinario. E a
Perugia almeno 5000 studenti in corteo, presidio davanti
alla prefettura, Tavolo della pace, occupata Lettere e
Filosofia. E tutte le parrocchie mobilitate; lunedì sera
in programma una immensa fiaccolata nella circoscrizione
di S. Sisto. E il cardinale di Perugia, mons. Chiaretti
sarà anch lui presenti, tra i fedeli, i Disobbedienti, i
comunisti, i no global, i credenti e i non credenti di
buona volontà. La terra di Capitini batte più di un
colpo.
Qui Torino. Alle
sette del mattino in piazza Castello è già sorto un
Presidio Permanente contro la guerra; un corteo
fortissimo, oltre 30 mila batte una città pavesata di
bandiere arcobaleno; sotto l'enorme striscione
"Disobbedire, sabotare" sfilano i Giovani
Comunisti, la Rete studentesca, i Social Forum, le
associazioni. Un missile di tre metri (di plastica, di
plastica...) è "lanciato" contro la
"banca armata" che di nome fa San Paolo; e un
altro contro la facciata della Esso. Semplice
dimostrazione, gli impiegati non si offendono...
Università con le facoltà chiuse e binari occupati a
Porta Susa, dopo lo sciopero, alle 17, arrivano gli
operai delle fabbriche.
Qui Napoli.
Corteo da piazza Matteotti a piazza Plebiscito,
moltissimi gli studenti in corteo, docenti personale e
ragazzi in assemblea al liceo Pansini, simbolici blocchi
del traffico davanti alle sedi Enel, Napoletanagas,
Sagit; domani corteo alla base Nato di Bagnoli. Qui
Caserta, al corteo partecipa anche il vescovo mons.
Nogaro. Qui Salerno, corteo in piazza Portanuova e
bandiera della pace issata sul Palazzo di Città. Qui
Eboli, il Muncipio inalbera la bandiera a mezz'asta e
proclama una giornata di lutto. Qui Trieste, Venezia,
Udine, Gorizia,
Qui Palermo, sit in spontaneo in piazza Politeama,
Università mobilitata, cortei in tutti i centri della
regione. E domenica tutto il no war siciliano si dà
appuntamento davanti a Sigonella.
Cronaca di ieri.
Una Giornata Particolare.
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