DA - IL MANIFESTO
BERLUSCONI
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DA - IL MANIFESTO «Questa guerra è legittima» Il premier, in parlamento, difende la scelta di Bush, fa approvare la concessione delle basi , ma specifica che «di lì non partiranno attacchi diretti». Poi attacca: «La sinistra è antioccidentale». Il Colle «prende atto» ANDREA COLOMBO ROMA Parla per 33 minuti nell'aula di Montecitorio, e ripeterà poco dopo il medesimo discorso al senato, senza cambiare una virgola. Parla in un clima di scontro frontale tra eserciti compatti (non è del tutto sincero per quanto riguarda la Casa delle libertà), interrotto a ripetizione dalla sinistra ma anche dagli applausi di risposta dei suoi. Mai come stavolta, Silvio Berlusconi parla ai telespettatori, nonché agli alleati d'oltre Atlantico, prima e più che agli onorevoli colleghi. E mai come stavolta si trova alle prese con un compito difficile. Deve rassicurare gli americani, far capire chiaramente che sta dalla loro parte. Ma deve anche apparire come pacifico leader «non belligerante» di fronte agli elettori che minacciano di punirlo severamente. Il tutto mascherando quell'inconfondibile sapore da Italietta alla Alberto Sordi che di settimana in settimana ha sempre più segnato le sue scelte. La strategia era stata messa a punto nel vertice notturno a palazzo Chigi. Lì i centristi avevano ottenuto che venisse eliminato un passaggio che elogiava apertamente il vertice delle Azzorre, e che in compenso venissero inserite un paio di espressioni di rammarico nonché l'affermazione tonda per cui l'Italia è un paese «non belligerante». A insistere perché ci fosse anche un omaggio ipocrita al «santo padre» era stato invece Gianfranco Fini. Ma sbrigate le incombenze di coalizione, agli Usa Berlusconi concede moltissimo. Afferma forte e chiaro che «l'uso della forza è legittimo». Giura che «il disarmo forzoso dell'Iraq è già stato legittimato dalle risoluzioni 678, 687 e 1441 dell'Onu»: una nuova risoluzione avrebbe solo potuto «fissare un termine certo» per portare a termine il disarmo. Nulla di più, e comunque la Francia ha fatto una scelta «legittima ma sbagliata» quando ha annunciato il suo veto. Ma il capo della destra deve anche convincere gli italiani, ed è un obiettivo più arduo. Berlusconi attacca con varie strategie diverse. Prima si addentra in una dissertazione dottorale sul diritto internazionale, ricapitola i preceenti attacchi all'Iraq dopo la guerra del `91 (nel `93 e nel `98). Se erano legittimi quelli, come garantito dall'Onu in entrambe le occasioni, altrettanto legittima è la prossima guerra, dal momento che Saddam non si è uniformato all'obbligo di offrire immediata e piena collaborazione agli ispettori. Poi dalla cattedra passa al comiziaccio, si lancia contro la sinistra: «Sta dimostrando di non avere il senso della realtà né quello della democrazia». Quindi riporta tutto al genere che preferisce, la semplificazioe estrema, rozza, quella che spinge il deputato Buglio a sbottare in un salutare: «Ma è un imbroglione!». Non è questione di stare o no con la pace, afferma infatti, ma di schierarsi con le libere democrazie dell'occidente o con un sanguinario tiranno. Messe così le cose, chi mai potrebbe nutrire dubbi sull'opportunità di scaricare tonnellate di bombe sui sudditi del tiranno? La carta risolutiva su cui punta il Cavaliere però è ancora un'altra. Concedere agli Usa la disponibilità delle basi e delle infrastrutture, prosegue, significa solo uniformarsi a quel che hanno già fatto i paesi che più hanno contrastato l'intervento, Francia e Germania. Comportarsi diversamente significherebbe denunciare l'alleanza atlantica. E' il leit-motiv che il grande comunicatore ripeterà più tardi, chiacchierando con i girnalisti: «L'amara realtà è che l'opposizione è antiamericana e antioccidentale». Del resto, chiude in crescendo, dalle basi «non partiranno attacchi diretti», a conferma del carattere di sostegno non belligerante che l'Italia offre agli Usa. C'è più fumo che arrosto nell'annuncio, come faranno notare più tardi i deputati di Rifondazione comunista. L'autonomia dei bombardieri è limitata, un'ulteriore tappa prima di arrivare su Baghdad o Bassora sarebbe comunque obbligata. E tuttavia proprio su questo punto si è articolata la strategia della destra. Deciso nel vertice notturno di palazzo Chigi, il passaggio sull'«uso passivo» delle basi era stato controfirmato in mattinata, prima del dibattito, dal consiglio dei ministri. Di lì era passato direttamente al Quirinale, dove Ciampi aveva convocato il Connsiglio supremo di difesa. Ma nel suo comunicato finale, il Consiglio si limita a «prendere atto», sottolineando che la responsabilità delle scelte spetta a governo e parlamento. E la precisazione sembra indicare una scarsa convinzione di Ciampi nell'indirizzo scelto dal governo. C'è un'omissione significativa nell'intervento del premier. Nemmeno una parola sul terrorismo, sulla minaccia di attentati. Berlusconi rimedierà più tardi, parlando con i giornalisti. «Non credo che ci siano rischi di attentati in Italia», assicura. Perché la minaccia terrorista è un elastico, la si può tirare a piacimento: agitare quando serve a scaldare gli animi, minimizzare quando pare più opportuno non spaventare i già dubbiosi elettori. Proprio come i sondaggi. Nessuno più del padrone Mediaset sa quanto sia facile produrre opinione mediante la diffusione di opinione. E dunque spara il suo bravo sondaggio. «Non è vero che gli italiani sono contro la guerra. Anzi, il 64% è con noi, e molti avrebbero preferito un intervento diretto». Parola sua. Per ora una maggioranza blindata ha approvato le sue comunicazioni (304 sì contro 246 no alla camera, 159 sì contro 124 no e un astenuto al senato). Convincere gli italiani, nonostante i sondaggi addomesticati, sarà meno facile. |
DA - IL MANIFESTO Pronti a occupare le piazze
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DA - IL CORRIERE DELLA SERA Vaticano: profondo dolore del Papa Firenze: digiuno e recita del rosario. Belluno: campane a
morto. Torino: veglia di preghiera. Frosinone: fiaccolata
CITTÀ DEL VATICANO - La Santa Sede esprime «profondo
dolore» per l'inizio della guerra all'Iraq e «deplora
che si sia interrotta la via della trattativa», secondo
il diritto internazionale. Lo ha detto il portavoce
vaticano Joaquin Navarro Valls. Nella dichiarazione,
diffusa poco prima delle 13 in sala stampa vaticana,
Navarro Valls lamenta anche il fatto che «il governo
iracheno non abbia accolto le risoluzioni delle Nazioni
Unite e lo stesso appello del Papa, che chiedevano un disarmo
del Paese». |
DA - IL CORRIERE DELLA SERA La finta morte di Aziz era una trappola hi-tech La falsa notizia ha portato allo scoperto il numero 2 del regime che ha condotto gli Usa al comando del rais, poi bombardato AL UDEI (QATAR) - Era una trappola. Per tentare di stanare Saddam e ucciderlo. I bombardamenti Usa di stamani su Baghdad erano diretti contro il Comando delle forze armate irachene: una sede di comando che era stato possibile scoprire grazie alla falsa notizia della morte di Tareq Aziz il numero due del regime iracheno. Lo hanno detto fonti della base militare Usa di Al Udeid, in Qatar, che hanno chiesto di restare anonime, secondo le quali la notizia della fuga del vice premier iracheno Tareq Aziz è stata intenzionalmente diffusa dai servizi segreti americani affinché lo stesso Aziz fosse indotto a tenere una conferenza stampa per smentirla di persona. Aziz sarebbe stato quindi seguito via satellite dal luogo dove ha tenuto la conferenza stampa via satellite sino al centro di comando delle forze armate irachene, lo stesso che sarebbe stato colpito questa mattina. Non si ha sinora conferma se Aziz e quanti altri alti ufficiali si trovassero sul luogo e se qualcuno sia rimasto colpito.20 marzo 2003 |
DA - IL MESSAGGERO Israele, Sigonella, Libia: i grandi rifiuti di ALESSANDRO POLITI |
DA - L'UNITA'
Tutto il mondo
si rivolta alla guerra unilaterale. Cortei, fiaccolate da
Sydney a Betlemme Si comincia dall'Australia dove in 40.000 hanno sfilato per le strade di Melbourne, paralizzando l'intera città, contro l'intervento armato e la posizione del governo australiano che ha scelto di prendere parte direttamente alle operazioni militari. La capitale della pace è Berlino, dove 50.000 studenti sfilano in corteo dalla Alexanderplatz fino alla porta di Brandeburgo, passando di fronte all'ambasciata americana, sotto cartelli come «No alla guerra per il petrolio» e «George W. Hitler». Sorprende gli stessi leader pacifisti la reazione della Gran Bretagna, dove le proteste hanno avuto un'adesione immediata e spontanea. Blocchi stradali e cortei sono stati organizzati a Londra e in altre città: gli studenti sono usciti dalle scuole e molti hanno disertato il lavoro per uno sciopero indetto dalla coalizione 'Stop War'. Per sabato si prevede la più imponente organizzata nel Regno Unito dall'inizio della crisi irachena. E molti laburisti abbandonano Blar per partecipare alla manifestazione, mentre le Chiese di Inghilterra e Irlanda e il Consiglio musulmano del Regno Unito hanno diffuso una dichiarazione auspicandosi che il conflitto «finisca al più presto». Sono 10.000 in Grecia, tra i 10 e i 15mila a Berna, alcune migliaia a Vienna, mentre sorgono manifestazioni spontanee persino in una ventina di centri. A Parigi, le organizzazioni contrarie alla guerra si danno appuntamento nel pomeriggio di fronte all'ambasciata americana e la circondano. Ma non è solo lEuropa a scendere in piazza: si moltiplicano le manifestazioni di protesta in Pakistan a Karachi, in Siria a Damasco, a Betlemme in Cisgiordania, nel Qatar e negli Emirati, in Indonesia a Giacarta, Bandung, Yogyacarta e Makassar in Indonesia. E anche gli americani scendono in piazza: a Washington, New York, Boston, Salt Lake City, Detroit, Chicago, Minneapolis e Cleveland, e in Delaware, Maryland, Wisconsin, Arkansas e Nevada. |
DA - L'UNITA'
Appende la
bandiera della pace in fabbrica: licenziato. Accade alla
Fiat Il lavoratore si chiama Stefano Musacchio. A Termoli, come in tutte le fabbriche metalmeccaniche europee, il 14 marzo scorso era stato organizzato uno sciopero contro la guerra. E lui, così come faceva quasi tiutta l'Italia, aveva pensato di affiggere la bandiera della pace. Ne ha presa una e l'ha piantata sulla palizzata che circonda lo stabilimento dove lavora. Qualcuno l'ha visto e la direzione è intervenuta. Licenziato. Stefano Musacchio, ovviamente, ha annunciato che impugnerà il licenziamento. Ma la sua ovviamente non sarà solo una battaglia sindacale: venerdì mattina, Bertinotti ed altri dirigenti della sinistra, alle 11 alla Camera illustreranno le iniziative che intendono prendere per respingere questa gravissima violazione dei diritti sindacali. |
DA - L'UNITA'
Scalfaro in
Senato ricorda al premier l'articolo 11 della
Costituzione L'ex capo dello Stato ha rivolto un appello al premier, ricollegandosi ad un colloquio avuto con lui questa mattina durante la commemorazione al Senato di Marco Biagi, durante il quale Berlusconi gli ha raccontato i colloqui con George Bush: «dal primo momento -ha detto Scalfaro riferendo le parole del capo dell'esecutivo- gli ho detto che essendo l'Italia un Repubblica parlamentare non c'era da pensare che ci fosse la possibilità che in qualche modo il Parlamento fosse favorevole ad una guerra. Ho avuto la sensazione di una volontà determinata, di una specie di compito messianico». «Se queste cose, anche umane, del suo colloquio le avesse dette in Aula -ha spiegato Scalfaro- mi avrebbe trovato largamente consenziente. Ho la sensazione che nel momento in cui il presidente parla in aula sia più preoccupato che queste parole suonerebbero come incerta posizione di alleanza e quindi marca eccessivamente l'alleanza e questo dà la sensazione che poco alla volta, anche fuori dalla volontà, sia una condiscendenza». «Sarà un giorno terribilmente infausto se questa
notte prenderà la parola soltanto la voce delle armi. È
il no all'uomo, alla ragione, alla stessa dignità della
persona», continua Scalfaro. «Noi siamo estranei a
questa guerra che vede travolgere le istituzioni
internazionali, che vuole buttare all'aria quello che in
50 anni si è fatto. Sono gli uomini deboli che non hanno
pensiero, che mancano di volontà, che mancano di
cultura, che hanno bisogno di forze dall'esterno, a
cominciare dalle armi». Un pensiero l'ex capo dello
Stato lo ha rivolto anche al vertice delle Azzorre di
domenica dove «i tre capi di Stato hanno parlato solo di
guerra. Non è un momento fortunato - ha sottolineato
Scalfaro - per il mondo se questi tre hanno |
Stupore e
terrore di Furio Colombo «Sono contrario a questa guerra perché è una guerra sbagliata. Non si può essere daccordo con la decisione di Bush. Attaccare un Paese senza il consenso delle Nazioni Unite per me è inammissibile. È un fatto gravissimo. LAmerica è il Paese più forte e proprio per questo dovrebbe essere di esempio ed evitare il conflitto. Gli ispettori dellOnu stavano facendo un buon lavoro. Perché attaccare lIraq?». No, queste non sono parole ascoltate sulle piazze italiane e del mondo durante le migliaia di manifestazioni di pace avvenute dovunque. Non sono parole di ostilità e di antagonismo verso gli Stati Uniti. Queste sono parole del diplomatico americano Thomas Foglietta, che è stato ambasciatore a Roma quando era presidente degli Stati Uniti Bill Clinton, quando quel Paese e quel governo si davano come progetto di «portare un po di pace in un mondo dilaniato dalla violenza e dalla diseguaglianza» (è una frase nell ultimo discorso di Clinton sullo «Stato dellUnione»). Sono parole dette ieri, a Roma, in una intervista
pubblicata a pag. 38 de Il Messaggero. Pensate a Jimmy Carter, che non ha mai pensato di scatenare una guerra mentre centinaia di americani erano stati catturati e tenuti in ostaggio per mesi in Iran. E confrontatelo con il piano di attacco che ci è stato svelato oggi. Mentre si alzano il fumo e le fiamme nel cielo notturno di Bagdad, coloro che lavorano a questa strana guerra di cui il mondo intero non ha capito il senso, ci dicono che loperazione ha il nome terribile di «Stupore e terrore». Vuol dire lintenzione che si sappia bene che questo è un progetto senza scampo e che la sua capacità distruttiva dovrà essere esemplare, memorabile. Precisano alla Cnn alcune voci da Washington: «Ciò che sta per accadere è qualcosa che non si è mai visto, qualcosa che apparirà senza uguali». È una intimazione difficile da capire, da interpretare. A confronto solo le parole del Papa, che parlano di un profondo dolore ed annunciano una ostinata volontà di rifiuto, sembrano adeguate. Infatti persino il più appassionato discorso politico, nel suo linguaggio tradizionale, sembra incapace di dire tutto il disorientamento, tutta la confusione, tutto lo spavento che lannuncio, il nome e le prime immagini di questa guerra comunicano. Perché tutta la forza del Paese più potente del
mondo, e la sua più avanzata e avveniristica tecnologia,
devono essere usate, con costi immensi di vite umane e
ricchezze, per provocare «stupore e terrore» come in
una maledizione biblica? Certo, il trauma è stato immenso l11 settembre. Ma ripagare lorrore (moltiplicato per la tecnologia e la potenza) per andare a colpire a caso, senza sapere dove comincia e come si forma davvero il pericolo, impone allAmerica la condanna di vivere fra lutto e lutto, fra strage e strage. In questo modo si costruisce la prigione di un incubo destinato a non finire, stretto nel cerchio del dolore subìto e del dolore provocato. Un incubo grande quanto la capacità tecnica e la volontà terribile di provocare «stupore e terrore» e una guerra mai vista. Ecco perché Thomas Foglietta, che è stato fino a poco fa ambasciatore degli Stati Uniti a Roma, ha concluso ieri la sua intervista con queste parole: «Sì, lo ammetto, anchio ho paura».
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