DA - LA REPUBBLICA

Bagdad, via all'offensiva finale
Si combatte a Karbala e An Najaf
Due elicotteri angloamericani dati per dispersi
Voci di una rivolta anti-Saddam a Bassora

ROMA - Parte l'offensiva finale delle truppe alleate alla conquista di Bagdad e violenti scontri a sud della capitale fanno il più alto numero di vittime dall'inizio della guerra. Fonti del Pentagono parlano di 300/500 morti iracheni nelle due città di Karbala e An Najaf.
Una colonna corazzata statunitense è stata affrontata da una forza di fanteria irachena, con la quale ha ingaggiato la battaglia di maggior rilievo fino ad ora sostenuta, nei sei giorni di guerra in Iraq. La battaglia si era già conclusa, quando le fonti del Pentagono ne hanno dato notizia. "Hanno sparato loro per primi, noi siamo stati affrontati", ha sottolineato il funzionario citato, secondo il quale non è chiaro se sia combattuto contro le truppe di fanteria dell'esercito regolare iracheno, o contro milizie irregolari, quali i Fedayin paramilitari che si ispirano a Saddam Hussein o le milizie del Partito Baath, detentore del potere nel regime del presidente Saddam Hussein.

Il funzionario citato esclude invece che possa essersi verificato stanotte il primo scontro con le divisioni della Guardia Repubblicana a difesa di Bagdad.

Bagdad. Le divisioni angloamericane hanno inziato l'accerchiamento di Bagdad secondo quanto riferito in serata dal Segretario di Stato Colin Powell. Mentre il regime del rais snocciolava dati "trionfalistici" sui successi dell'esercito locale nelle passate 24 ore: secondo il dittatore iracheno nel sud del Paese le forze locali hanno abbattuto tre elicotteri, distrutto 30 veicoli nemici tra cui carri armati e hanno ucciso otto soldati nemici. Infine, la minaccia delle armi chimiche: il regime iracheno, dice Saddam, ha tracciato una sorta di "linea rossa" attorno alla capitale e ha autorizzato la Guardia Repubblicana a usare armi chimiche appena le forze angloamericane la oltrepasseranno.

Nassiriya. Dopo una dura battaglia i marines americani hanno passato l'Eufrate a Nassiriya, in Iraq meridionale e da lì hanno iniziato una rapida avanzata verso Nord. Fino a quel momento i soldati Usa erano stati impegnati in una battaglia durissima contro le truppe irachene. Ma superato l'ostacolo, passando un ponte minato, un grande convoglio di marines ha passato l'Eufrate e intrapreso la strada di Bagdad. Un primo provvisorio bilancio, fatto dalla France Press, parla di oltre 100 cadaveri di iracheni ma anche i comandi americani ammettono "alcune perdite". Percorsi pochi chilometri la colonna di carri armati è stata nuovamente attaccata dalle forze irachene mentre due elicotteri risultano dispersi nella terribile tempesta di sabbia che sta imperversando nella regione.

Bassora. I network televisivi britannici riferiscono di una rivolta contro il regime di Saddam nella città. Secondo il ministero della Difesa di Londra i miliziani di Saddam hanno aperto il fuoco sulla folla. Due soldati inglesi sono stati uccisi ieri - ma la notizia è stata data oggi - dal fuoco amico in un incidente.

Umm Qasr. Umm Qasr è caduta. Gli alleati hanno conquistato la città e il porto iracheno che si affaccia sul Golfo Persico. "Adesso è sicuro e aperto" dice un comandante britannico, precisando che la prima unità navale con gli aiuti umanitari destinati alla popolazione irachena potrebbe giungere nella città, centro strategico per il traffico mercantile verso l'interno del Paese, nel giro di 48 ore.

(25 marzo 2003)

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DA - LA REPUBBLICA

Una squadra di mammiferi per bonificare la baia
In azione anche le otarie al largo del Barhein
In arrivo a Umm Qasr
i delfini sminatori
Grazie al sonar biologico scovano la mina e la segnalano
Saranno ospitati in apposite vasche fino alla fine del lavoro

BAGDAD - Partono i rinforzi dalla Florida per sminare il porto di Umm Qasr, la città a 50 chilometri a sud di Bassora. Ma gli sminatori in arrivo non hanno mimetiche né stellette, piuttosto pinne e un sonar eccezionale. Si tratta infatti di una "squadra scelta" di delfini, ai comandi dell'esercito americano, che collaborerà alla ricerca di mine sui fondali. Saranno anche loro a rendere possibile l'arrivo delle navi, che porterano rifornimenti militari, e aiuti per i civili, nell'unico porto ormai funzionante dell'Iraq. Ma non basta. Se la squadra dei delfini lavorerà principalmente in appoggio a Umm Qasr, scende in campo anche un gruppo scelto di otarie, 20 leoni marini addestrati, usciti dalla base californiana di San Diego, di stanza al largo del Bahrein con la quinta flotta della US Navy. A fare compagnia, fra l'altro, ai 1.600 cani da guerra già schierati dagli americani sul fronte iracheno.

Tutto è pronto, nella baia, per accogliere i preziosi collaboratori. Il capitano Mike Tillotson ha annunciato che la caccia agli ordigni, posizionati dagli iracheni, sarà affidata al sonar naturale di un gruppo di delfini (una decina, divisi in tre gruppi, tra cui alcuni figli di cetacei "veterani" della prima Guerra del Golfo), che arriveranno a bordo di aerei cargo speciali, con vasche piene d'acqua, e saranno ospitati in recinti costruiti appositamente. Nessuno è più abile dei delfini nel pattugliamento e nella ricognizione dei fondali, e nel percepire la presenza del nemico a miglia e miglia di distanza. Ed in profondità, diventano avversari imbattibili: a colpi di coda possono affrontare due incursori contemporaneamente.

Ma anche le otarie, arruolate per la prima volta in questa guerra, si sono dimostrate, in addestramento, reclute infaticabili. I "sea lions" si tuffano nelle acque del Golfo, e raggiungono in pochi secondi profondità anche di 300 metri (nuotano alla velocità di 45 chilometri l'ora). Senza stancarsi mai, né essere costrette a tener conto degli obblighi della compensazione. Con un vantaggio, rispetto ai delfini: il leone marino è capace di camminare anche sulla terraferma, il che gli consente di arrivare sui fondali più bassi, o dove ci sono porti e approdi.

Non è la prima volta che i delfini vengono utilizzati durante operazioni di guerra. Nel 1959 la Marina militare americana aveva avviato un programma di studio e addestramento dei mammiferi, per sfruttare il loro straordinario sonar biologico. Da allora, drappelli selezionati vengono sottoposti ad un lungo e delicato addestramento, dal quale escono preparati a rintracciare le mine sui fondali. Ma non spetta a loro intervenire diettamente sull'ordigno: il compito dei delfini è piazzarci sopra una boa visibile dalla superficie, e faclitare così il lavoro degli arificieri (e ridurre, anche i rischi per i militari), ai quali non resta che disinnescare la mina.

La prima missione dei "war dolph" - così vengono chiamati - risale alla guerra del Vietnam. Poi vennero i pattugliamenti nei porti del Barhein, negli Anni Ottanta, nelle acque del Golfo Persico rese pericolose dal conflitto fra Iran e Iraq. E tornarono in azione anche durante la prima Guerra del Golfo, nel 1991-1992: in quell'occasione i militari montarono sul muso dei mammiferi alcuni ordigni esplosivi, mandandoli contro il nemico. Ma la strategia non piacque alle associazioni animaliste, che insorsero contro la Us Navy. E squadre di delfini sono state anche utilizzate per la preparazione di questo conflitto iracheno, con un accurato lavoro di ricognizione, nel mese di gennaio, in alcune aree del Golfo.

Ma anche per gli animali impegnati nelle operazioni belliche ci sarà il meritato riconoscimento: a Londra sta per nascere il primo cimitero per gli "eroi di guerra" con coda, pelo, ali e pinne. Costerà oltre un milione di sterline, sarà chiamato Animals in War Memorial Found, ed avrà come mascotte il soldato 2709: un eroico piccione, che sacrificò la propria vita per la corona nella Prima Guerra Mondiale.

(25 marzo 2003)

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DA - IL MANIFESTO

Come mai?


LUIGI PINTOR


Sembrava probabile e quasi ovvio, non solo ai fautori e sostenitori della guerra ma anche ai suoi avversari, che l'Iraq sarebbe crollato in breve tempo. Per ragioni militari, prima di tutto, data la smisurata sproporzione delle forze in campo. Ma soprattutto per ragioni politiche, essendo quello di Saddam un regime tirannico e fantoccio. Non è andata e non va così. Ci promettono che la guerra sarà lunga, ci saranno molte perdite da entrambi le parti (soprattutto da una parte, si capisce), l'invasione incontra una resistenza non sporadica ma generalizzata (Bassora è in queste ore un teatro di guerra e guerriglia e diventerà un cimitero). Perché, come mai, com'è possibile? Non è un qualsiasi errore di calcolo, è un rovesciamento di scenari su cui riflettere e da cui trarre conseguenze non superficiali.

Gli americani possono essere stati abbagliati dalla loro potenza e superbia militare ma c'è molto di più. C'è al fondo di questa impresa una «ignoranza», se così si può dire, un'ignoranza che è peggio della menzogna e che purtroppo non è solo una loro prerogativa ma è sempre esistita in occidente e resta evidentissima nell'italietta cobelligerante. E' l'ignoranza di tutto un mondo che fu e rimane, secondo questa mentalità, essenzialmente «coloniale».

Ci troviamo invece e inopinatamente di fronte a una nazione, a un territorio che appartiene a chi lo abita da sempre, a un paese di trenta milioni di anime che viene bombardato e invaso e non ci sta. Noi la chiamiamo liberazione da un tiranno, ma non c'è stata chiesta né da un partito fratello né da un governo in esilio. E per chi la subisce è intanto e semplicemente quello che è, un'aggressione e un'invasione straniera che promette cioccolata e sigarette a prezzo di una soggezione completa. Saddam il tiranno può ben fare appello non più ad Allah ma alla guerra patriottica, alla guerra di indipendenza contro un destino coloniale.

Vecchio scarpone, quanto tempo è passato etc. Non c'entra ovviamente niente la guerra d'Abissinia, né le guerre d'Africa pre-fasciste, ma la televisione che in quegli anni era la copertina illustrata della Domenica del Corriere mostrava i ras etiopi scalzi e con la lancia a fronte dei caschi coloniali che con le mitragliatrici avrebbero spazzato quel deserto lastricandolo di moderne autostrade. Poi però per vincere ci sono voluti i gas asfissianti, a cui Indro Montanelli non ha mai onestamente voluto credere, perché anche il Negus Neghesti era un imperatore preferibile al maresciallo Rodolfo Graziani.

Ma ora siamo in Iraq nel 2003, le guerre d'indipendenza si addicono al nostro risorgimento e non certo a un paese terzo o quarto come quello, e infatti questo scenario inatteso può benissimo rovesciarsi di nuovo. La disinformàzia ci dice contemporaneamente che gli inglesi si ritirano da Bassora, dove una volta morirono in cinquantamila, ma sono a cento chilometri da Baghdad, dove moriranno invece cinquantamila iracheni. E un altro scenario può rovesciarsi, giacché finora contiamo i morti militari e civili col pallottoliere ma un massacro può essere l'esito finale.

Lo scenario che non cambierà, oggi né domani, è quello del mondo che invoca la pace come unica vittoria. Non la invoca con la retorica o con le manifestazioni ma la mantiene viva, sotto il fuoco della guerra, come sinonimo di esistenza e garanzia di futuro.

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DA - IL MANIFESTO

BERLUSCONI La guerra non c'è


STEFANO BENNI


Cittadini italiani. Qui è Silvio W. Berlusconi che vi parla. Anche se la propaganda comunista e vaticana cerca di convincervi del contrario, i miei avvocati mi hanno rassicurato che: a) l'Italia non è belligerante

b) non solo non è belligerante, ma non è neanche in guerra

c) non c'è in realtà nessuna guerra

Non abbiamo mai concesso né basi né spazio aereo agli americani. Era già tutto loro. Le basi americane sono da tempo territorio Usa a tutti gli effetti, occupano uno spazio grande come una regione e non sono ancora Stato Usa autonomo perché stanno decidendo per il nome: Italiaska o New Pizzland. In quanto alla spazio aereo, gli americani ci scorazzano già da anni, basta pensare al Cermis o a Ustica. Vi posso assicurare che nessun aereo Usa parte per missioni di guerra dalle nostre basi. Alcuni portano in giro le bombe, perché a stare chiuse nell'hangar si arrugginiscono. Altri fingono di partire per confondere il nemico, a volte tornano, a volte restano nascosti in qualche garage o luogo appartato. Io ho due B 52 nel mio giardino a Arcore.


Non sono mai transitati sul suolo italiano treni con armi. Se qualcuno ha portato con sé un carro armato o un cannone, lo ha fatto a titolo personale, l'importante è che non lo abbia messo in mezzo al corridoio intralciando i passeggeri o il servizio ristoro. Abbiamo espulso i diplomatici iracheni non perché ce lo ha chiesto Bush, ma perché ai sensi della legge Bossi-Fini non avevano più un lavoro, in quanto, come sapete, tutti gli sforzi diplomatici sono falliti.

Non abbiamo mai venduto armi agli americani. Agli iracheni sì, ma allora Saddam era un amico.

Non è vero che siamo già in corsa per la ricostruzione dell'Iraq e stiamo arraffando le commesse. Io di commesse ne ho avute a migliaia alla Standa e nessuna può dire che io le ho messo le mani addosso. Sono fedele a mia moglie anche se è una traditrice pacifista e secondo alcuni pettegolezzi attualmente è fidanzata con un certo Schopenauer.

Non siamo belligeranti, in quanto non c'è nessuna belligeratura in corso. E' semplicemente in atto l'operazione per disarmare Saddam. Non mi risulta che ci siano morti né tra i civili né tra i militari. Aprite la televisione e vedrete che nulla è cambiato: le solite sigle, le solite facce, i soliti conduttori, e gli esperti che giocano con le mappe e i soldatini. Si discute di Iraq, ma come si parla del brutto tempo o dei virus della polmonite, sono inconvenienti che un palinsesto non può ignorare.Qualcuno con criminoso cattivo gusto, in un rigurgito Santoriano, ha mandato in onda scene di qualche film pulp dove si vedevano marines americani massacrati e civili iracheni morti. E' ovvio che simili cose non possono avvenire in una moderna chirurgica operazione di disarmo. Ho dato l'ordine a Gasparri di mettere durante queste scene il sottotitolo fiction, e il pallino rosso sullo schermo. Mi ha risposto: ci costerà un sacco di soldi dipingere il pallino su ogni televisore italiano. E' più cretino di quanto credevo.

Ma insomma, cittadini italiani, ragionate! Vi sembra che se ci fosse la guerra il mio amico Bush andrebbe in vacanza nel suo chalet? Vi sembra possibile che un grande democrazia arresti millecinquecento persone a San Francisco perché manifestano contro la guerra? Mi si attribuiscono battute meschine sui pacifisti, che poi mi tocca di smentire. Ma io so bene che, non essendoci guerra, non ci sono pacifisti. E' un mistero per me cosa facciano quei milioni di persone in strada, con quella bandiera tutta colorata che sembra la maglia del Milan che ha fumato marijuana.Se ci fosse davvero la guerra, con tutti i missili che hanno tirato su Baghdad avrebbero ucciso Saddam. Invece eccolo lì che parla in diretta. Maledetto concorrente! E' uno dei pochi che in video è tronfio e bugiardo come me.Il migliore in televisione, comunque, è sempre George Wermacht Bush. Ha il carisma e la statura morale di un pupazzo da ventriloquo e ultimamente si è messo anche a fare il comico. Ha detto che l'Iraq deve rispettare la convenzione di Ginevra. Che i suoi prigionieri devono essere trattati umanamente, proprio come quelli di Guantanamo. Ha invocato anche il tribunale dell'Aia. Mancava solo che chiedesse l'invio di ispettori dell'Onu nella zona delle operazioni. Quando poi ha detto che bisogna rispettare il diritto internazionale, si sono sentite le risate dei cameramen e gli spari di Colin Powell che li abbatteva.

Riassumendo: l'Italia non è in guerra, non c'è nessuna guerra, non ci sono morti né da una parte né dall'altra, gli elicotteri inglesi abbattuti dal fuoco amico non sono eventi bellici ma incidenti dovuti alla congestione del traffico aereo, come a Fiumicino. Non ci sono manifestazioni sanguinose in tutto il medio Oriente, e il popolo iracheno, come ho già anticipato a suo tempo, è entusiasta di questa pacifica invasione. Ci sono invece le armi chimiche e di sterminio di massa. Sono a Aviano, pronte a essere trasportate in Iraq nel caso gli americani non ne trovassero. Ci avete creduto? Ma siete proprio dei ingenui, era una battuta.

Sapete qual è la verità? La vera arma di sterminio di massa sono io col mio governo di ipocriti, quello che vuole farvi credere che non sta succedendo niente. Abbiamo cominciato con lo sterminio dell'informazione, poi abbiamo intrapreso quello del diritto, ora ci proviamo con lo sterminio delle coscienze. Una nube di indifferenza, ecco la nostra arma chimica. Per il momento non ci riusciamo. Ma confidiamo nella tendenza degli Italiani a dimenticare in fretta, e in un pronto intervento dei servizi segreti contro il crescere del movimento pacifista. Perciò se vedete alla televisione immagini volgari di sangue e morte e bombardamenti, pensate che non sono vere, perchè la guerra moderna non fa morti. Sono semplicemente degli errori di sceneggiatura.

E adesso vi lascio, prima di andare via per il week-end devo discutere con Blair e Aznar sui nuovi oleodotti e sulla ricostruzione di Baghdad. Io ho proposto Baghdad due, un ridente complesso residenziale a pochi chilometri da Baghdad, in una località che si chiama Teheran. Ha detto Bush che ci pensa lui a sgombrarmi il terreno. E poi c'è il progetto di un ponte tra Messina e Amman, con un solo pilone a Creta. E per finire una fusione tra Mediaset e Lockeed, perché non c'è la guerra, ma stranamente in Borsa le azioni della fabbriche di armi triplicano. Misteri della finanza.

Italiani, state tranquilli. Niente sangue né dolore né lacrime. Strike & Awe non è un'azione di guerra e non vuole dire Sconvolgi e Terrorizza. E' un serial con due poliziotti, Strike il bruno e Awe il biondo. Me lo ha detto Frattini che ha studiato inglese con la Playstation. Io vi proteggerò, vi consolerò, vi rassicurerò, io sono la tempesta di sabbia che tutto nasconde, io sono l'operazione Forget&Fard. Credetemi. Non sta morendo nessuno. So prendermi le mie responsabilità e non dico bugie. Ve lo giuro sui figli di Blair.

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DA -. IL MANIFESTO

Gli Usa: «I russi con Saddam»


«Tecnici russi stanno aiutando gli iracheni a disturbare la nostra azione»


FRANCO PANTARELLI
NEW YORK


Gli Stati uniti hanno aperto un serio contenzioso al massimo livello con la Russia, accusandola di esportare armi «illegali» in Iraq e, praticamente, di avere uomini che combattono a fianco degli iracheni. Bush in persona ha telefonato a Putin per sollevare il caso nel modo più forte. «Abbiamo prove credibili - ha detto Ari Fleischer, portavoce della Casa bianca - che alcune compagnie russe hanno fornito assistenza e attrezzature militari proibite al regime iracheno, visori notturni, congegni per disturbare le comunicazioni radio e missili anticarro teleguidati». Dunque, «abbiamo chiesto al governo russo di far cessare immediatamente simili attività inquietanti, proibite dalle Nazioni unite». Un anonimo funzionario del Pentagono si spingeva poi molto oltre, affermando che «sappiamo che dei tecnici russi sono a Baghdad, in questo momento, e aiutano gli iracheni a gestire questi sistemi di accecamento Gsm che danneggiano la nostra azione militare». Lo stesso Colin Powell interveniva più tardi dicendo che «tutto ciò mette a rischio i nostri ragazzi... danno al nemico un vantaggio che non vogliamo abbia». Poco prima, il ministro degli esteri russo Igor Ivanov aveva formalmente negato. «La Russia - aveva detto Ivanov - rispetta rigorosamente i suoi obblighi internazionali e non ha fornito all'Iraq nessuna attrezzatura, tantomeno militare, in violazione delle sanzioni in atto». Poi, come uno che risponda a un interlocutore particolarmente petulante, Invanov aveva aggiunto: «La parte americana ci ha chiesto varie volte a proposito di possibili forniture all'Iraq di attrezzature proibite. I nostri esperti hanno controllato meticolosamente e l'ultima risposta che abbiamo dato risale al 18 marzo: non è stato trovato nulla che provi le preoccupazioni americane».

La storia degli «aiuti militari» russi all'Iraq, infatti, sta andando avanti da giorni, dopo che il Washington Post l'aveva portata alla luce, innescando una serie di smentite: dal vice capo dello staff del Cremlino Aleksej Volin («non è solo una storia inforndata, è del tutto inventata»), dai responsabili delle due compagnie russe chiamate in causa, la Aviaconversija e la Kbp Tula, e dalla Rosoboroneksport, cioè l'istituzione che è l'unica intermediaria per le esportazioni russe di materiale militare. L'altro ieri però questa storia era stata tirata fuori da molte tv Usa nel contesto dei resoconti sui soldati americani uccisi o catturati in Iraq, il che suggeriva di fatto che quel rovescio era stato colpa delle forniture russe.

E' per questo che ieri era arrivata la smentita formale di Ivanov: ma visto il botta e risposta fra le sue parole e quelle di Fleischer, il portavoce della Casa bianca ha di fatto dato del bugiardo al ministro degli esteri russo. Cose da guerra fredda: e infatti poco più tardi, quando si è appreso che Bush aveva personalmente chiamato Putin, la sensazione diffusa era che quella chiamata somigliasse più al «telefono rosso» dei tempi di Breznev che alle «conversazioni fra amici» del post-1989.

Stando a ciò che si è appreso, Putin ha risposto alle accuse di Bush con vaghe assicurazioni ma esortandolo anche a «evitare una catastrofe umanitaria in tutta la regione». Putin è andato comunque avanti con la sua azione che già nel mattino presto si era delineata: quella di agire contro gli Stati uniti nelle «sedi competenti». Il governo di Mosca si è rivolto alla Commissione dell'Onu per i diritti umani, che ha sede a Ginevra e che è attualmente riunita per la sua annuale sessione ordinaria, affinché dedichi una seduta speciale alla guerra dell'Iraq. Alla richiesta russa si sono affiancati altri otto paesi. Poi Ivanov ha detto di voler anche chiedere una convocazione del Consiglio di sicurezza per discutere ciò che sta accadendo in Iraq.

Bush intanto a partire da ieri è impegnato anche in una battaglia interna: quella di ottenere il finanziamento della guerra da parte del Congresso. Il «conto», che stavolta dovrà essere pagato soltanto dagli Stati uniti per avere voluto questa guerra disponendo di scarso seguito nel mondo (dieci anni fa le spese furono ripartite fra molti paesi e Washington finì per contribuire con uno scarso 25 per cento), è di circa 70 miliardi di dollari. O comunque questa è la richiesta che Bush ha rivolto a deputati e senatori. E' la stessa stima fatta da mesi, ma Bush si era sempre rifiutato di ufficializzarla perché - sosteneva - c'erano troppe variabili da considerare. Così il nuovo bilancio è stato necessario vararlo senza la voce «guerra» e ciò ha irritato molto i parlamentari. Questo spiega come mai l'altro giorno un senatore democratico, Russ Feingold, sia riuscito a mettere insieme una maggioranza che ha «congelato» 100 dei 700 miliardi di dollari di riduzioni fiscali che Bush ha promesso, proprio per pagare la guerra senza salti mortali contabili. Gli uomini di Bush sono al lavoro per far rovesciare quel voto, ma non sarà facile.

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DA - IL CORRIERE DELLA SERA

Al Jazira sul Web colpita dagli hacker

Aumento verticale del traffico dopo aver pubblicato le foto dei prigionieri americani non trasmesse negli Usa, poi la crisi

MILANO - Appena nato, il nuovo sito web in inglese dell'emittente del Qatar Al Jazira è finito nel mirino degli hacker che, complici alcuni problemi tecnici, lo hanno mandato in tilt. L'accesso all'indirizzo www.english.aljazeera.net , che contiene il notiziario in
inglese, è impossibile da quando, ieri, è stato lanciato in
rete.

VERSO L'EUROPA - Oltre all'attacco dei pirati della rete, che ha colpito anche la versione in arabo
www.aljazeera.net i tecnici
dell'edizione on-line dell'emittente devono far fronte alla decisione dell'host DataPipe, statunitense, di rescindere il contratto e costringere i responsabili di al-Jazira a spostare il sito su server europei. Mentre la versione in inglese non dispone del software in grado di mostrare video, quello in arabo ha diffuso ieri le immagini dei marines catturati e uccisi in Iraq. Così, secondo il sistema di monitoraggio del motore di ricerca Lycos, la parola «jazeera» è stata ieri la più cercata di tutto il web. Al momento della redazione di questo articolo entrambi i siti non sono traggiungibili dall'Italia.

ALJAZIRA.IT - È invece accessibile una versione «non ufficiale» di
Al Jazira in italiano redatta da un «un gruppo informale di qualificati traduttori dall'arabo, studiosi ed esperti di mondo arabo-islamico». Il sito traduce le notizie di Al Jazira e diffonde una rassegna stampa dei media arabi. È stato registrato nel gennaio 2002.

25 MARZO 2003

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DA IL CORRIERE DELLA SERA

Il Papa: «Viviamo un'ora difficile della storia»

Il Santo Padre, parlando a un gruppo di cappellani militari, torna a condannare il conflitto in Iraq e a sostenere la pace

CITTA' DEL VATICANO - «Un’ora difficile della storia». Questo per il Papa è la guerra in Iraq visto che «il mondo si trova ancora una volta ad ascoltare il fragore delle armi». Giovanni Paolo II torna a parlare con angoscia del conflitto in corso: «Il mio pensiero delle vittime, delle distruzioni e delle sofferenze provocate dai conflitti armati arreca sempre profonda preoccupazione e grande dolore» ha affermato in un messaggio rivolto ai Cappellani Militari in occasione del corso di formazione al diritto umanitario organizzato dalla Congregazione dei Vescovi e dal Pontificio Consiglio Giustizia e Pace.

RIPUDIO DELLA GUERRA - Il Papa, inoltre, sottolinea che «ormai dovrebbe essere chiaro a tutti» che la guerra come «strumento di risoluzione delle contese tra Stati è stata ripudiata, prima ancora che dalla Carta delle Nazioni Unite, dalla coscienza di gran parte dell’umanità». Poi aggiunge: «Fatta salva la liceità della difesa contro un aggressore», come ad indicare, seppur implicitamente, che la guerra preventiva voluta da Bush per rovesciare Saddam non rientra in questa casistica. Wojtyla non manca di riflettere sulll’azione dei pacifisti che in queste settimane hanno manifestato a milioni in tutto il mondo per dire «no» alla guerra irachena. «Il vasto movimento contemporaneo a favore della pace, la quale secondo l’insegnamento del Concilio Vaticano II, non si riduce a una semplice assenza di guerra, traduce questa convinzione di uomini di ogni continente e di ogni cultura».

TINTE FOSCHE - In questo quadro internazionale dalle tinte fosche, il Papa assegna alle religioni un ruolo importantissimo al fine di non far scivolare questa guerra in uno scontro tra civiltà. «Lo sforzo delle diverse religioni per sostenere la ricerca della pace è motivo di conforto e di speranza - afferma Giovanni Paolo II - Nella nostra prospettiva di fede, la pace pur frutto di accordi politici e intese tra individui e popoli, è dono di Dio che va invocato insistentemente con la preghiera e la penitenza». Rimane, per Wojtyla, un punto chiave per procedere alla pacificazione: «senza la conversione del cuore non c’è pace. Alla pace non si arriva se non attraverso l’amore». Poi un appello rivolto - indistintamente - a tutti gli uomini di buona volontà: «a tutti viene chiesto ora l’impegno di lavorare e pregare affinché le guerre scompaiano dall’orizzonte dell’umanità». 25 marzo 2003

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«Il rischio è vincere la guerra e perdere la pace»

Casini:«Le ostilità potrebbero creare molti problemi
ai leader arabi moderati e inasprire il fondamentalismo»

ROMA - «Il rischio è quello di vincere la guerra e perdere la pace». E' il timore del presidente della Camera, Pier Ferdinando

Casini, il quale paventa questo rischio nelle ripercussioni della guerra in Iraq sull'area mediorientale. «A testimoniarlo - afferma Casini - sta il fatto che l'amministrazione Usa ha riaperto la questione palestinese poco prima dell'inizio del conflitto. È infatti evidente che la guerra può creare gravi difficoltà ai leader arabi moderati e inasprire il fondamentalismo, tanto che gli Usa hanno riaperto un dossier che stava dormendo».

QUADRO - «Questa è la vera questione - ha continuato Casini - ed è per questo che quello che mi preoccupa di più seguendo i telegiornali non è tanto la situazione delle operazioni militari, ma è il quadro collaterale di quello che sta capitando nei paesi limitrofi»


25 marzo 2003

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DA - LA REPUBBLICA

Guardia repubblicana verso Najaf
parte la controffensiva irachena
Mezzi armati iracheni lasciano Bassora diretti ad Al Faw
Parà forse provenienti dall'Italia prendono un aeroporto a nord

BAGDAD - A Bagdad esplodono le bombe e la popolazione muore sotto i missili dell'ennesimo raid. Un portavoce militare iracheno annuncia che le legioni della Guardia repubblicana sono entrate per la prima volta in azione nella capitale e sono partite in colonna alla volta di Najaf per riconquistare il ponte sul fiume Eufrate. Anche a Bassora gli iracheni contrattaccano: 120 mezzi corazzati e carri armati sono usciti dalla città, dove erano arretrate le forze irachene nei giorni scorsi, diretti verso la penisola di Faw.

Ed è nell'Iraq centrale che si combatte la battaglia più dura. A Najaf sono un migliaio i morti da parte irachena e il contingente della coalizione subisce attacchi di guerriglia devastante mentre è intasato sotto l'ennesima tempesta di sabbia. Il ministero della Difesa di Londra non conferma né smentisce le affermazioni della televisione del Qatar Al Jazeera che ha mostrato oggi le immagini di due soldati morti e di due prigionieri sostenendo che si tratta di militari britannici.

Bagdad. Dopo una notte di bombardamenti a tappeto la Croce Rossa internazionale conta ufficialmente 8 morti e 60 feriti, inclusi 6 bambini in gravi condizioni. Poco prima delle 12 italiane, due missili si abbattono sul mercato della città affollato di persone: un primo bilancio, non ufficiale, parla di 14 morti e 30 feriti ma le vittime potrebbero essere addirittura 16. Colpiti anche i capisaldi della Guardia repubblicana - come conferma il Pentagono - e il centro della tv di Stato che per un paio d'ore è costretta a interrompere le trasmissioni. Il segretario generale dell'Onu, Kofi Annan, si dice "turbato" per quanto accaduto nella capitale irachena mentre il Comando centrale statunitense tace per tutta la giornata. Da Washington, il generale Stanley McChrystal rilancia: "Non sono nostri missili potrebbe essere stata la contraerea irachena a colpire quei civili".

Al tramonto suonano nuovamente le sirene e i raid aerei ripartono come annunciato dal ministro della Difesa britannico, Geoff Hoon, che ha parlato nel pomeriggio alla Camera dei comuni. "La strage di Bagdad non fermerà i bombardamenti - ha detto Hoon - al contrario, i raid saranno intensificati per preparare l'ingresso in città delle truppe di terra". Infine a Bagdad la tv di Stato annuncia l'entrata in scena, oggi per la prima volta, dell'elite della Guardia repubblicana, che avrebbe inflitto "pesanti perdite" alle forze dell'alleanza. Una colonna di circa mille mezzi, approfittando della tempesta di sabbia, è uscita dalla capitale diretta a Sud con l'obiettivo di riconquistare il ponte sul fiume Eufrate, preso nei giorni scorsi dalle forze della coalizione.

La rivolta a Bassora. La seconda città del paese continua a essere assediata dalle truppe britanniche, che non sono riuscite a imporvi il proprio controllo a causa di focolai di resistenza che continuano a creare problemi agli occupanti. Le voci di una rivolta della popolazione contro il dittatore si ridimensionano e il portavoce dell'opposizione sciita spiega: non è in corso una ribellione contro le forze di Saddam, ma semplicemente una protesta provocata dalla mancanza di acqua e elettricità. Fonti militari britanniche riferiscono che una colonna di tank iracheni ha lasciato la città finendo sotto il fuoco delle forze della coalizione. La colonna corazzata è stata individuata dai radar britannici, mentre sembrava puntare verso la penisola di Faw percorrendo la strada lungo il canale dello Shatt al Arab, dove avevano già preso posizione diverse unità del Comando 40 dei Royal Marines britannici, per tagliare la via di fuga.

Najaf. Centinaia di morti, addirittura un migliaio, come dicono alcuni ufficiali americani. La battaglia più cruenta fra quella combattute in Iraq nella prima settimana di guerra si è svolta a Najaf, città santa sciita nell'Iraq centrale, a soli 180 chilometri dalla capitale. Sono stati ancora una volta scontri atipici e "asimmetrici", durante i quali i carri armati statunitensi sono stati fronteggiati da agili e veloci pick-up iracheni a quattro ruote motrici armati di missili filoguidati. Dopo una giorno di battaglia le truppe alleate hanno conquistato il ponte sull'Eufrate e ora si attende la controffensiva irachena: una colonna di 1000 carri armati è partita da Bagdad alla volta del ponte per riconquistarlo.

Nuovo stop a nord di Nassiriya. Marines di nuovo bloccati sulla strada che porta verso Bagdad. Le forze Usa sono state fermate dalla resistenza irachena a Ash Shatrah, una quarantina di chilometri a nord della città dove proprio ieri si era svolta una delle battaglie più cruente della guerra. La notizia giunge da un corrispondente della Reuters, secondo il quale le truppe americane si sono arrestate in attesa della copertura dell'artiglieria. Fonti di Bagdad parlano di 500 civili feriti durante gli scontri nei dintorni di Nassiriya. E in serata parte la controffensiva: una ventina di soldati americani feriti dai razzi lanciati dalle truppe irachene.

Il fronte nord. Dall'alba di oggi i bombardamenti aerei sono ripresi anche su Mosul, nel nord del paese. Le prime esplosioni sono risuonate alla periferia della città, capoluogo di un ricchissimo distretto petrolifero ai confini con il Kurdistan. Colpite anche le postazioni irachene sulle colline che guardano su Shanshamal, città di una enclave controllata dai curdi fin dal 1991. Mille paracadutisti, normalmente di stanza nella base italiana di Ederle (Vicenza), si sono lanciati su una pista di atterraggio nell'Iraq del Nord, occupandola. I paracadutisti che hanno aperto il fronte del Nord, nel terroritorio curdo, appartengono alla 173/a divisione aerotrasportata. La pista di atterraggio è stata occupata per aprire il passaggio ai carri armati ed ai mezzi corazzati da combattimento Bradley.

Rinforzi. Il Pentagono ha annunciato che circa 30 mila uomini della quarta divisione di fanteria partiranno tra breve per raggiungere il Golfo.

Prigionieri. La televisione satellitare al Jazeera ha trasmesso oggi un video che mostra due soldati britannici che sarebbero stati uccisi, secondo l'emittente in lingua araba, in un agguato nei pressi di al-Zubayer a sud di Bassora. Il video mostra anche dei soldati britannici che sarebbero prigionieri degli iracheni, un veivolo senza pilota abbattuto ed un mezzo corazzato per il trasportato delle truppe strappato ai britannici.

(26 marzo 2003)


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Ancora missili su Bagdad
Colpiti case e un mercato
Il comando Usa: "Potrebbe essere stata la contraerea"
Bombardate la tv di stato e quella satellitare

BAGDAD - Missili su un mercato, e su alcune palazzine di un quartiere popolare di Bagdad. E' accaduto alle 11.30 ora locale, quando la capitale irachena aveva già subito numerose ondate di bombardamenti. Il ministero iracheno dell'Informazione ha parlato di "molte, molte vittime", i testimoni riferiscono di almeno 15 morti e 30 feriti. Le operazioni di soccorso procedono a fatica, fra le macerie fumanti, i bombardamenti che continuano incessanti, la tempesta di sabbia e la pioggia che sta cadendo sulla capitale.

Dei missili sul mercato e contro i palazzi, il Comando centrale statunitense per tutta la giornata non dà notizie. "Non sappiamo se gli ordigni fossero nostri" ha dichiarato il generale Vincent Brooks, durante una conferenza stampa presso il Comando centrale Usa nella base di As Salyiya, in Qatar. "Non possiamo dire che non c'entriamo - ha proseguito - anche se gli errori possono sempre capitare, semplicemente non ne sappiamo niente". Poi, in serata, il Pentagono specifica: l'aviazione aveva messo nel mirino nove siti missilistici terra-terra in un attacco intorno alle 11.00 (ora locale). "I missili e lanciamissili erano piazzati all'interno di zone residenziali di civili - dice il Comando centrale Usa - la maggior parte di missili era posizionato a meno di 90 metri dalle case. Stiamo lavorando ad un rapporto completo sull'accaduto". Poi, da Washington, il generale Stanley McChrystal rilancia: "Potrebbe essere stata l'antiaerea a colpire quei civili".

Sono le immagini a raccontare l'entità del raid, quelle trasmesse dalla tv araba Al Jazeera e dalla Bbc: corpi mutilati e carbonizzati, pozze di sangue, edifici devastati, la folla che alza i pugni al cielo e grida "Allah akbar" ("Dio è grande"). Il direttore della Difesa civile irachena, Hamad Al Dulaimi, ha detto che alcuni degli edifici colpiti ospitano, al piano terra, officine meccaniche e, ai piani superiori, appartamenti privati. Sul luogo si sta recando anche un medico del comitato internazionale della Croce rossa, e il delegato del comitato a Bagdad, Roland Benjamin, ha spiegato: "Non abbiamo ancora informazioni di prima mano, ma vogliamo vedere se i feriti possono essere trasportati subito negli ospedali, e se questi dispongono del materiale necessario".

Intanto si prepara la battaglia di terra per la conquista di Bagdad. E continua, incessante, la tempesta di sabbia: il cielo è a tratti arancione e la visibilità, compromessa anche dalla pioggia che ha iniziato a cadere sulla capitale irachena, non supera i 500 metri. L'aria è resa irrespirabile dal fumo del petrolio, sparso e incendiato lungo le trincee dalla Guardia Repubblicana. Poche decine di chilometri separano la testa delle truppe dalla capitale, ma una fonte del Comando centrale in Qatar informa che il regime iracheno ha minato i ponti di accesso a Bagdad e intensificato il ricorso a "tattiche terroristiche".

Avanza anche il Settimo cavalleggeri delle forze armate Usa: è a un passo dalla "cintura" difensiva della Guardia Repubblicana, ma anche dalla temuta guerra "casa per casa". Si attendono rinforzi da sud, gli stessi che hanno ripreso l'avanzata da Nassiriya, sull'Eufrate, dove le truppe alleate sono state impegnate in sanguinosi combattimenti.

Ma fin dall'alba di oggi gli aerei di Usa e Gb hanno bombardato diverse zone di Bagdad, in particolare la parte meridionale della città, dove sono risuonate decine di esplosioni con nel mirino cinque divisioni della Guardia repubblicana schhierate a difesa della capitale. Bombe alleate anche nel centro, colpito il ministero dell'informazione. Attaccate, nella notte, le "aree del potere" di Saddam. Da una parte il centro della comunicazione del raìs, da dove sono partite le immagini dei morti e dei prigionieri Usa; dall'altra (il fianco meridionale della capitale) i capisaldi dov'è asserragliata la Guardia Repubblicana.

Colpita anche la televisione satellitare irachena: solo dopo qualche è tornata a trasmettere, mandando in onda canzoni patriottiche. La tv di Stato, che ieri sera ha interrotto i programmi per 45 minuti dopo i bombardamenti che avevano centrato i ripetitori, alle 9 ha ripreso le trasmissioni con una lettura del Corano. Il Pentagono ha confermato che i bersagli dell'attacco nel cuore di Bagdad erano i centri di comunicazione. "Abbiamo colpito la principale stazione televisiva - dicono fonti della Difesa Usa - così come un complesso sotterraneo per telecomunicazioni e il centro per comunicazioni satellitari di Bagdad".

(26 marzo 2003)

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Gli Usa inviano i rinforzi
Altri trentamila uomini

WASHINGTON - La Quarta divisione di fanteria degli Stati Uniti è in partenza per il Golfo. Trentamila uomini di rinforzo per le truppe che stanno combattendo in Iraq. Lo ha deciso il Pentagono e la partenza è prevista a breve. Domani o al più tardi venerdì gli uomini della Quarta divisione di fanteria potrebbero già essere a destinazione. E' la prova che la guerra si annuncia lunga e difficile, che la resistenza incontrata sul terreno è maggiore di quella che la Coalizione si aspettava. E che forse il Pentagono sta modificando in corsa i suoi piani di attacco per la forte resistenza incontrata nelle città del sud.

La quarta divisione è considerata una di quelle tecnologicamente più preparate. Nelle intenzioni iniziali dei vertici militari americani avrebbe dovuto essere inviata in Turchia, per attaccare l'Iraq dal nord. E' stato il "no" del Parlamento di Ankara al passaggio dei militari americani sul suo territorio a indurre il Pentagono a modificare i piani.

Di stanza a Fort Hood, in Texas, e a Fort Carson, in Colorado, la Quarta divisione comprende 16 mila uomini, ma insieme con le forze di appoggio i militari che partiranno verso il Golfo nelle prossime ore vengono stimati in 30.000 circa.

(26 marzo 2003)

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DA - IL MANIFESTO

Bombarda e doma


ALESSANDRO PORTELLI


Non so se avete presente quella vecchia canzone proletaria romana che dice «vent'anni e più di tirannia fascista \ col carcere, il confino ed il bastone \ non hanno menomato al comunista \ la convinzione»; e poi continua: «questa città ribelle e mai domata \ dalle rovine e dai bombardamenti...» Sono versi che abbiamo sentito tante volte che non si pensa più a che vogliono dire. E invece fermiamoci un attimo e facciamoci caso: la canzone non attribuisce ai bombardamenti la funzione di liberare la città, ma quella di domarla. Uno dei miti che accompagnano le guerre a cavallo del millennio è che se tu bombardi un popolo oppresso, questo te ne sarà grato e ti accoglierà con fiori e confetti, e la festosa accoglienza alle truppe alleate nel 1944-45 in Italia è il precedente storico che fa scuola. Le buone ragioni le sappiamo: i primi a bombardare e a provocare la guerra eravamo stati noi; l'arrivo segnava la fine di una lunga guerra (non l'inizio di una guerra lampo) e la costruzione di un nuovo ordine internazionale (non la sua distruzione); gli alleati erano occidentali come noi, non esponenti di una cultura e di una religione diverse e spesso ostili o percepite come tali; soprattutto, direi, oltre che oppressa dal fascismo, l'Italia era già un paese occupato da un altro esercito straniero, particolarmente efferato.

Tuttavia, la canzone (e una quantità di narrazioni orali raccolte nel corso degli anni) suggeriscono che i bombardamenti non vengono percepiti solo come alternativa liberatrice all'oppressione, ma anche come una sua continuazione sotto altre forme e per altre mani: da una parte, le rovine e i bombardamenti pongono fine ai vent'anni e più; da un'altra, vi si aggiungono. Le disgrazie si accumulano sulla povera gente; la regola non è «chiodo scaccia chiodo», ma «piove sul bagnato». Troppo spesso, quando parliamo di regimi dittatoriali, pensiamo alle popolazioni come se l'oppressione politica fosse l'unico aspetto che conta della loro esistenza (e, per gli oppositori, i ribelli, gli esuli praticamente lo è). Ma anche sotto Mussolini o sotto Saddam, le città sono piene di gente che nel frattempo manda i figli a scuola, fa la spesa, va al cinema, va in chiesa o alla moschea, si sposa... tutte cose che la dittatura rende difficili, e che le bombe rendono impossibili.

Anche per questo credo che dobbiamo fare specialmente caso al verbo usato nella canzone: «domata». Qui, naturalmente, si parla soprattutto degli oppositori, dei partigiani («ribelle»). Ma più ampiamente, l'idea che l'effetto delle bombe sia quello di «domare» la città si riferisce alla soggettività: una città domata non è solo sconfitta, ma ha anche interiorizzato l'inevitabilità e la giustezza della propria sconfitta. In questo senso la canzone sembra anticipare la terminologia della guerra in corso - quello «shock and awe» che, come scrivono i suoi teorici James Wade e Harlan Ullman, consiste nello «intontire, terrorizzare, decapitare, spezzare la volontà di resistenza». Forse la traduzione più giusta e letterale di «shock and awe» va cercata nel manzoniano «percossa, attonita»: sotto shock, appunto, e ammutolita davanti a un evento luminoso di incomprensibile grandiosità.

Però qui c'è un altro problema. Già durante la seconda guerra mondiale i bombardamenti erano accompagnati da volantini che incitavano la popolazione a ribellarsi contro Mussolini e contro i tedeschi, giustamente indicati come la causa prima delle loro disgrazie. Lo stesso è avvenuto in Irak, e l'invasione è stata intrapresa con l'aspettativa che non solo non ci sarebbe stata resistenza, ma che la popolazione si sarebbe sollevata contro il suo sanguinario tiranno. Finora, di questa sollevazione non c'è segno, salvo in territori come il Kurdistan irakeno dove già esiste una struttura sociale alternativa al regime. Ma come aspettarsi che una società civile disarticolata dalle bombe, una massa di individui intontiti e senza volontà, costretti a mettere in primo piano l'esigenza elementare di sopravvivere (senza acqua, senza elettricità...) - come si fa ad aspettarsi che una società in queste condizioni, per quanto odi il tiranno, trovi le energie e l'organizzazione per insorgere? Più ancora: dopo aver ridotto una società in questo stato, come si fa a immaginare di poterci trovare le basi di una democrazia?

26 MARZO 2003



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DA - IL MANIFESTO

Senz'acqua, «target militare»


La città di Bassora ora è un obiettivo militare per le truppe britanniche. Ma ieri sera era ancora senz'acqua, così come Umm Qasr. La Croce Rossa internazionale descrive una crisi umanitaria
MARINA FORTI
La città di Bassora ora è «obiettivo militare». Lo ha annunciato ieri mattina un portavoce del comando militare britannico (le truppe britanniche hanno la responsabilità dell'Iraq meridionale mentre quelle statunitensi si dirigono verso Baghdad). Cosa vuol dire? «Semplicemente che è un obiettivo perché ha un'enorme importanza militare e politica», ha spiegato il portavoce militare ai cronisti presso il Comando centrale delle forze anglo-americane in Qatar. Tradotto: attorno alla seconda città irachena, con una popolazione tra 1,5 e 2 milioni di abitanti, le forze della coalizione hanno trovato forte (forse inaspettata) resistenza militare: ora puntano a prendere la città. «Ci sono elementi che consideriamo obiettivi militari: i fedayyin, la Guardia repubblicana, le milizie del partito Baath che stanno combattendo». Ma, aggiunge il portavoce, non intendono entrare subito nell'abitato, «per paura di danni collaterali» (vittime civili). Resta da vedere cosa significa tutto questo per la vita materiale di Bassora. Lunedì il Comnitato internazionale per la Croce Rossa aveva lanciato un allarme, ripreso dal segretario dell'Onu Kofi Annan e da agenzie umanitarie come l'Unicef: la città, sen'acqua né luce, è sull'orlo di una catastrofe umanitaria. Fino a lunedì ci sono stati cannoneggiamenti, l'unica tv straniera presente a Bassora, Al Jazeera, continua a mostrare feriti e vittime. (Il corrispondente di Al Jazeera ieri sera ha anche smentito la notizia di una rivolta popolare contro il regime). Ieri i cannoneggiamenti sono cessati, e i tecnici del Comitato internazionale per la Croce Rossa (Icrc) hanno finalmente potuto raggiungere la centrale di pompaggio e potabilizzazione dell'acqua di Wafa Al Qaed, a nord dell'abitato: da venerdì pomeriggio è ferma perché nei primi combattimenti sono stati interrotti i cavi dell'alta tensione. Hanno portato un generatore d'emergenza, ma perché l'impianto riprenda a funzionare apieno bisognerà intervenire sulla centrale elettrica, e poi bisogna aspettare che ci sia abbastanza pressione - insomma, ieri sera a Bassora l'acqua non era ancora tornata.

Una città sen'acqua da quasi 5 giorni è in crisi. I tecnici della Croce rossa internazionale, insieme a quelli dell'ente idrico municipale, erano riusciti sabato a far funzionare con generatori altre stazioni di pompaggio minori, ma coprono solo il 30 o 40% del fabbisogno. «E non è acqua sana», ci dice al telefono dall'Iraq Giuseppe Renda, operatore del Comitato Internazionale per la Croce Rossa: «I miei colleghi dicono che molti abitanti ormai vanno ad attingere acqua nel fiume, lo Shatt-e-Arab. Considerate che Bassora è già in una situazione molto fragile, intere zone hanno solo fogne a cielo aperto. Tutto questo può diventare drammatico». Già: in regime di sanzioni commerciali, le magre risorse dello stato iracheno sono andate a potabilizzare l'acqua, mentre il trattamento delle fogne e acque di scarico è tralasciato e va tutto direttamente nei fiumi. L'Unicef si allarma per la situazione di almeno 100mila bambini sotto i 5 anni a rischio: le malattie diarroiche sono già tra le prime cause di mortalità infantile. L'Organizzazione mondiale per la Sanità teme uno scoppio di queste malattie, compreso il colera - già comparso in passato a Bassora.

Manca l'acqua anche a Umm Qasr, appena 4.000 abitanti, che ieri le truppe britanniche hanno dichiarato «pacificata». Anche qui acqua e luce sono andate via appena cominciati i combattimenti, giovedì scorso: ieri i reporter entrati al seguito delle truppe britanniche hanno visto gruppi di persone che si avvicinavano alle truppe per chiedere acqua, mettendo le mani a scodella per farsi capire. Nel pomeriggio sono circolati veicoli militari con altoparlanti per annunciare che presto arriveranno acqua e aiuti - due piccole autobotti sono arrivate in serata e hanno permesso alla popolazione di riempire le taniche.

I portavoce militari dicono che gli aiuti più sostanziali arriveranno oggi, una nave da cargo aspetta solo che sia sminato il braccio di mare che porta proprio a Umm Qasr, l'unico porto marino dell'Iraq. L'arrivo degli aiuti è essenziale, per il comando anglo-americano, «per far fronte all'emergenza umanitaria» - e per risollevare la propria immagine: si aspettavano di essere accolti come liberatori, almeno non siano coloro che provocano la fame. Proprio lunedì sera UsAid (l'ente Usa per gli aiuti internazionali) ha firmato un contratto da 4,8 milioni di dollari per gestire il porto di Umm Qasr: è andato alla società Stevedoring Services of America di Seattle, Ssa, ed è il secondo di otto contratti previsti per gestire la ricostruzione dell'Iraq distrutto dalla guerra.

Giuseppe Renda però è preoccupato anche per le città di Mosul e Kirkuk, nel nord dell'Iraq, al centro della seconda zona petrolifera del paese. Renda ci parla da Arbil, città settentrionale dell'Iraq, nella zona autonoma di fatto dal governo centrale di Baghdad. La Croce rossa Internazionale è delegata a occuparsi delle vittime dei conflitti armati - e infatti è presente nelle zone più difficili del mondo, nei teatri di conflitto noti o dimenticati, dall'Afghanistan alla Liberia - passando appunto per l'Iraq. Nelle ultime settimane nel Kurdistan iracheno «abbiamo visto arrivare migliaia di sfollati». Ci sono gli abitanti delle città kurde nei territori autonomi, che hanno lasciato le città per andare nei villaggi di montagna, presso parenti e amici. Poi ci sono gli sfollati di Kirkuk e Mosul, che invece sono nel territorio sotto sovranità del governo di Baghdad (ma con importanti popolazioni kurde): «Almeno duemila, duemila cinquecento persone che hanno preferito mettersi al riparo nel territorio semi-autonomo. E però i posti di passaggio al territorio autonomo sono chiusi dal 19 marzo, cioè dallo scopio delle ostilità». Gli sfollati hanno portato voci disparate sulla situazione nelle due città. «Non possiamo dare credito a voci incontrollate. Ma siamo preoccupati, abbiamo chiesto accesso a Kirkuk e Mosul». Per ora invano

26 MARZO 2003


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DA - IL MANIFESTO

FALCHI


Bombe e bambini


Come si spiega la guerra ai bambini? Un esempio da non seguire, chiarisce un editoriale di Ruggero Guarini su Il Giornale di ieri, è quello della "sinistra piazzaiola": «La visione del mondo che la sinistra dei padri e dei nonni sta trasmettendo ai suoi figli e nipoti mediante questa fatua e petulante pagliacciata non stop della pace a tutti i costi è uno stomachevole impasto di tutti i suoi sogni e miraggi abortiti. Di tutte le sue eterne presunzioni culturali, vanaglorie morali e imposture sentimentali. Di tutti i suoi eterni rancori, i suoi inestinguibili odi, i suoi progetti assassini in salsa - volta a volta - terroristica, giustizialista o buonista». Ma la destra come spiega la guerra ai bambini? Il Giornale, in un apposito articolo, affida una risposta a Gianfranco Fini, che indossa i panni di padre «e spiega la guerra come se stesse parlando a suo figlio». Fini racconta che «L'Iraq è un Paese sfortunato perché c'è un signore molto cattivo. Dove i bambini non godono di nessun diritto. Ora dei papà e delle mamme di un altro Paese sono partiti per andare a liberare questi bambini...». «Cercherei di spiegare la guerra a un bambino di 10 anni - aggiunge Fini - dicendogli innanzitutto che bambini come lui non possono andare a scuola. Bambini come lui, quindi, non hanno diritto alla felicità». «I più piccoli - puntualizza opportunamente l'articolo - devono sapere ma senza strumentalizzazioni». (g.r.b.)


26 MARZO 2003

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DA - IL CORRIERE DELLA SERA

Proteste, due premi Nobel per la pace arrestati

La nordirlandese Mairead Corrigan Maguire e l'americana Jody Williams in manette insieme a 35 leader religiosi

WASHINGTON - Due premi Nobel per la pace sono state arrestate dalla polizia americana per proteste davanti alla Casa Bianca. La nordirlandese Mairead Corrigan Maguire, Nobel nel 1976, e l'americana Jody Williams, premiata nel 1997, sono state ammanettate insieme a 35 leader religiosi e al pacifista dell'epoca del Vietnam Daniel Ellsberg mentre erano seduti nel parco antistante la Casa Bianca cantando canzoni di pace e mentre inalberavano cartelli con foto di vittime civili.

26 marzo 2003

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LE BALLE DI FRATTINI

DA - IL CORRIERE DELLA SERA

Appartengono alla divisione di stanza alla caserma di Vicenza

Mille parcadutisti Usa aprono il fronte nel Nord

Sono uomini delle forze speciali, atterrati in territorio curdo: uno dei più massicci lanci di paracadutisti nella storia recente

KUWAIT CITY - Si sta per aprire in modo deciso anche il fronte nord della guerra in Iraq. Mille paracadutisti americani si sono lanciati in una zona del Kurdistan, nell'Iraq settentrionale, dove si trova una pista di atterraggio che servirà come testa di ponte per aprire il fronte del Nord. Si tratta di uomini delle forze speciali cheappartengono alla 173esima divisione aerotrasportata, riattivata nel giugno del 2000, normalmente di stanza alla caserma Ederle a Vicenza. Proprio l'altro giorno il ministro degli Esteri, Franco Frattini, era stato sollecitato dall'opposizione a render conto delle indiscrezioni in merito a paracadutisti americani in partenza da basi italiane per l'Iraq
Quello odierno nel Nord dell'Iraq è stato uno dei più massicci lanci di paracadutisti americani nella storia recente. Nei piani di guerra originari, l'avamposto sarebbe dovuto essere aperto dalla Quarta divisione di fanteria, scendendo sull'Iraq, via terra, dalla Turchia. Ma il parlamento turco ha negato agli Usa l'uso delle sue basi per l'invasione. La pista dovrebbe servire per far arrivare altre truppe, carri armati e blindati. 26 marzo 2003

L'ARTICOLO PRECEDENTE IN CUI IL MINISTRO FRATTINI AFFERMAVA DI NON SAPERE NULLA

«Aerei Usa dall'Italia all'Iraq? Non ne so nulla»

Il ministro degli Esteri risponde così alle indiscrezioni sui 1800 parà americani partiti da basi italiane per Bagdad

ROMA - «Non siamo uno stato belligerante e non sappiamo nulla di operazioni militari, l'Italia non deve essere informata, perché noi sulle operazioni militari sentiamo la Cnn come voi». Così il ministro degli Esteri replica alla domanda se avesse notizie di 1.800 paracadutisti americani che, secondo l'opposizione, sarebbero partiti da basi italiane per raggiungere l'Iraq violando quindi l'impegno in Parlamento preso dal Governo. «Noi non siamo uno Stato belligerante - ha detto Frattini - ho già detto che non so assolutamente niente di operazioni militari. Le apprendo come voi dalla Cnn. Non abbiamo soldati impegnati, non abbiamo ufficiali quindi non lo so».

DIPLOMATICI ESPULSI - A margine dell'audizione alle commissioni Esteri di Camera e Senato il ministro si è espresso anche sulla questione dei diplomatici iracheni espulsi dall'Italia che ha sollevato accese
polemiche nell'opposizione e portato allo scontro tra i poli «Stavano compiendo atti che andavano contro la sicurezza del nostro Stato». Alla richiesta di un commento alla dichiarazione del vicepremier Fini, secondo il quale i diplomatici espulsi probabilmente erano spie, Frattini risponde: «Ci sono elementi che derivano anche da relazioni dei nostri servizi. Il presidente Andreotti ha chiesto che vengano conosciute le motivazioni dal comitato parlamentare sui servizi segreti. L'importante è che non se ne parli in pubblico».

SI' PARZIALE AGLI USA - Frattini ha precisato che la richiesta di espulsione avanzata dagli Stati Uniti «non riguardava queste quattro persone ma l’intero complesso della rappresentanza irachena. Non è stata quindi accolta nei modi in cui gli Usa l’avevano formulata, perché abbiamo ritenuto che non ci fossero le condizioni per chiudere la rappresentanza d’affari: l’abbiamo accolta fin dove lo ritenevamo opportuno». Frattini ha puntualizzato che sui quattro funzionari espulsi il governo «aveva già degli elementi raccolti dai Servizi» prima della richiesta Usa. Le motivazioni specifiche delle espulsioni, ha ribadito più volte il ministro, «non possono e non saranno mai rese pubbliche». Frattini non ha però escluso una eventuale comunicazione su questa vicenda davanti al Comitato di controllo sui servizi, come suggerito dal senatore a vita Andreotti.24 marzo 2003

26 MARZO 2003

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DA - IL SOLE 24 ORE.

Attacco a Baghdad, ultima opzioneFonti militari italiane spiegano andamento e scenari futuri del conflitto. Come funziona la "strategia flessibile" di Franks.di

Mattia Losi

La battaglia di Baghdad potrebbe anche non esserci: questa almeno è la speranza dei vertici militari anglo-americani. E se proprio fosse necessario combattere nella capitale irakena l’attacco non potrà partire, salvo situazioni di emergenza al momento imprevedibili, prima della metà della prossima settimana.
Questa la convinzione espressa da fonti militari italiane (che al momento non desiderano essere citate) sullo svolgimento dell’azione in territorio irakeno da parte delle forze americane e inglesi. Fonti che ci consentono di fare qualche precisazione sul reale svolgimento della guerra, al di là delle semplici interpretazioni o del parere degli analisti.

I TEMPI: la concezione di guerra rapida è molto diversa per un militare o un civile. Quella in corso in Irak è un’avanzata rapidissima. Nessun militare poteva pensare di risolvere davvero il conflitto in cinque o sei giorni. E infatti nessun militare ha mai parlato di "giorni". Se anche le azioni sul campo dovessero durare altre due o tre settimane si tratterebbe comunque di un’azione molto rapida.

LA STRATEGIA: il vero obiettivo, in questa fase, è arrivare presto a Baghdad. Ma non sono quelle attualmente sul campo le forze destinate, nel caso fosse necessario, a portare l’attacco nel cuore della capitale irakena. I soldati impegnati nei combattimenti stanno svolgendo un compito di preparazione per chi dovrà, in una seconda fase, sostenere i veri scontri. La fase in corso punta a stabilire un lungo corridoio "sicuro", che si snoda su tre strade che vanno dal Sud al Nord del Paese, all’interno del quale possano passare i convogli logistici. E, subito dopo, le forze di combattimento.
Una strategia di questo tipo è resa possibile dal totale controllo dello spazio aereo: le forze irachene non possono muovere in forze, perché così facendo sarebbero facile preda dei bombardamenti in quota. Restando sparse sul terreno, al contrario, obbligano chi attacca a operazioni singole e mirate, più difficili e rischiose. Ma, per contro, le forze anglo-americane devono gestire solo il rischio di piccoli attacchi e non di una vera e propria azione concertata da parte delle Divisioni della Guardia Repubblica. Che, se attuata, sarebbe addirittura un inatteso "regalo" per l’aviazione americana, che potrebbe facilmente distruggere le formazioni dei blindati irakeni.

LA STRATEGIA "FLESSIBILE": una delle novità dell’azione anglo-americana studiata dal generale Franks, dal punto di vista militare, consiste nella possibilità voluta fin dall’inizio di cambiare strategia durante il conflitto. Per esempio: dopo la fase iniziale nella quale sembrava evitabile la presa di controllo delle diverse città nel Sud del Paese, le forze attaccanti si stanno preparando a un attacco per avere il controllo di Bassora. In genere i cambiamenti di stategia "in corso" vengono interpretati come la risposta a errori di pianificazione. In questo caso, invece, si tratta dell’attuazione di quella che il comando anglo-americano chiama "strategia flessibile". Con la capacità di modificare i piani rapidamente in base all’evoluzione delle operazioni.

INTORNO A BAGHDAD: le truppe che si stanno dispiegando intorno alla capitale irakena, a circa 70 chilometri dalla città, stanno attuando un dispositivo che verrà "riempito" progressivamente dai supporti logistici e dalle forze di attacco. Al momento la Divisione Medina della Guardia Repubblicana mantiene i suoi uomini e mezzi dispersi sul territorio. La situazione è quindi abbastanza simile a quella che si verifica nelle zone al Sud e al Centro dell’Irak. Uno degli obiettivi delle forze anglo-americane è proprio quello di provocare una reazione della Guardia Repubblicana, che muovendo in forze diventerebbe vulnerabile vista la superiorità tecnologica dei mezzi corazzati americani e il totale controllo dello spazio aereo.
Ma la vera scommessa, o auspicio, è costringere alla resa la Guardia Repubblicana per evitare di dover attaccare Baghdad in modo massiccio.

ATTACCO ALLA CAPITALE: la speranza è di evitare un’azione diretta sulla città. Le informazioni che arrivano dal territorio parlano di mezzi corazzati e pezzi di artiglieria "interrati" alla periferia di Baghdad per rendere difficile una loro localizzazione. Da questo si può immaginare che i generali di Saddam desiderino uno scontro cittadino, con tutti i problemi legati alla guerriglia urbana.
Anche in questo caso, a fronte di oggettive difficoltà nell’attaccare mezzi nascosti a filo del terreno, gli anglo-americani potranno godere di un vantaggio: i mezzi interrati non possono essere spostati in tempi rapidi. E, in caso di attacco alle spalle, sarebbero spesso messi nelle condizioni di non poter fare fuoco.
Una ipotesi di azione, nel caso fosse necessario entrare a Baghdad combattendo, potrebbe puntare così su truppe paracadutate nelle zone centrali della città (dotate di larghissimi e lunghissimi viali), destinate a neutralizzare proprio prendendolo dalle spalle un settore del perimetro di difesa. Consentendo, una volta eliminata la resistenza, l’avanzata delle truppe via terra.
Ma la battaglia dentro Baghdad resta l’ultima ipotesi sul tavolo per il comando anglo-americano; sarebbe comunque una lotta sanguinosa, destinata a fare molte vittime.

ARMI CHIMICHE: al momento resta un’ipotesi, che però non è stata sottovalutata. Il rischio aumenta progressivamente man mano che le truppe anglo-americane si avvicinano a Baghdad. Difficile che un’azione con armi chimiche possa scattare in questa fase del conflitto, con le forze attaccanti non ancora concentrate intorno alla capitale. Gli irakeni peraltro sanno che la capacità di combattere in ambiente chimico e batteriologico è decisamente sbilanciata a favore degli americani. Ci sarebbero sicuramente numerosi morti, ma forse i danni più gravi li subirebbero proprio gli irakeni. Per questo le armi chimiche potrebbero essere l’ultima carta del regime di Saddam, che potrebbe averle già distribuite all’ultima linea di difesa, quella attestata alla periferia di Baghdad. Ma usarle qui, più che sui militari, avrebbe effetti devastanti sulla popolazione civile. E si spera che di fronte a questa ipotesi gli stessi militari fedeli al Rais possano rifiutarsi di usarle.

26 marzo 2003

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DA - IL MESSAGGERO

La difesa degli iracheni
è primitiva, ma gli alleati
avrebbero conquistato
solo degli avamposti deboli

dal nostro inviato
VALERIO PELLIZZARI

si era scatenata, sicuri dei loro congegni elettronici. E un bombardamento ancora più pesante, decisivo, veniva minacciato per la notte, attorno all’area dell’hotel Rashid, che continua ad essere il cuore di questo poligono iracheno circondato da cinque milioni di civili. Sempre di più sembra che i missili e i bombardieri debbano fare quello che i soldati a terra non riescono ad ottenere.
Un portavoce al ministero dell’Informazione afferma che "molti missili" hanno mancato il bersaglio. Sicuramente negli anni Ottanta in condizioni atmosferiche simili gli elicotteri americani che dovevano portare in salvo gli ostaggi di Khomeini impazzirono con i loro strumenti e poi precipitarono nel deserto di Tabas, in Iran. Anche gli stessi iracheni e gli stessi iraniani, familiari con queste bufere, erano incapaci di volare durante le operazioni militari dell’87. Gli abitanti normali di questa città, quelli che cercano un negozio aperto per il pane o un’automobile che alle 10 di sera li riporti a casa dopo il lavoro pagando pochi dinari, appena vedono uno straniero ripetono questa domanda infantile: come fanno gli aerei nemici ad essere così sicuri di colpire giusto quello che devono colpire?
Un amico arabo è appena tornato da un viaggio di cinque giorni a Bassora. Dice che secondo lui le forze anglo-americane non riescono a venire avanti. Ma lui non è un esperto di cose strategiche. Le autorità irachene ieri invece sostenevano in modo più tecnico che gli invasori non hanno preso nessuno dei loro obiettivi — Bassora, Umm Qasr, Nassiriya, Kerbala, Najaf, Ninive — ma solo zone disabitate esterne a queste località. E sempre secondo i bollettini iracheni gli americani cercano di rinforzare questi avamposti deboli numericamente trasportando nuovi uomini, per strada, con gli elicotteri, paracadutandoli. Lo ha detto Saddam e lo dicono i soldati Usa in missione: combattere dentro il territorio nemico è diverso che fare la guerra con gli aerei.
Appese ad alcune palme gli americani hanno trovato delle divise vuote e dei baschi: finti soldati, finti obiettivi. Metodi di guerra primitivi, come le trincee riempite di petrolio e pneumatici per nascondere i bersagli con il fumo. Qualcosa di primitivo rimane anche nei metodi di combattimento delle forze tribali, alle quali Saddam continua a tributare omaggio, attive dalla penisola di Fao almeno fino a Najaf. Le famiglie beduine bombardate proprio in questa ultima zona avranno altri motivi per scatenarsi contro gli invasori. Non sembrano invece altrettanto determinati i riservisti allineati davanti alle varie trincee ricavate negli ultimi giorni, ai quali la propaganda mette in mano un microfono. Dicono frasi di circostanza ma i loro occhi guardano tutti in basso. A differenza invece di alcuni mullah militanti, immortalati con il kalashnikov in una mano e il Corano nell’altra.
Le bombe hanno sconvolto i ritmi della gente. Non c’è mai una fascia di tempo sicura, garantita, magari anche breve, per addormentarsi senza incubi, per lavarsi senza angoscia, durante il giorno e la notte. Cambia la vita anche dentro gli stessi rifugi antiaerei. In certi bunker ormai c’è un cd con le preghiere del mullah che viene trasmesso ininterrottamente e si diffonde la lettura del Corano. Alla mattina la sveglia viene data con disciplina alle 7,30 perché la notte è passata ma pochi hanno veramente dormito. Possiede altre protezioni il nunzio apostolico che anche ieri è andato a visitare le sue parrocchie, aggredite come qualsiasi altro edificio dai boati delle bombe. Sembrano invece in balia della malasorte tutti quei lavoratori stranieri — sudanesi, etiopi, marocchini — venuti qui per i lavori umili in un Paese un tempo florido. Assieme a loro anche i palestinesi. Abdul è nato a Hebron, venne in Iraq quando Arafat con la sua impresa edile costruiva la strada per il Kuwait. Poi è rimasto. Avanti e indietro con il camion da qui alla Giordania. In questi giorni non guida. Sta a casa, con la moglie e i figli. Per lui e per gli altri civili ieri il portavoce americano ammoniva: non usate l’auto, restate in casa, rimanete calmi. Fuori, per tutti, bufera di sabbia e bombe.

26 MARZO 2003

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DA - IL MESSAGGERO

A una società Usa il contratto per ricostruire Umm Qasr

NEW YORK - L'amministrazione Bush ha concesso il primo contratto per la ricostruzione in Iraq. Alla Stevedoring Service of America (Ssa) di Seattle è stato affidato il compito di far ripartire il traffico nello strategico porto di Umm Qasr, con un accordo da 4,5 milioni di dollari stretto mentre erano ancora in corso combattimenti in città.
La Ssa è una società a capitale familiare che gestisce 150 terminal in diversi porti del mondo. Il contratto prevede la riapertura delle operazioni portuali a Umm Qasr, unico porto iracheno in acque profonde. Lo sbarco degli aiuti umanitari, previsto nei prossimi giorni, inizierà prima dell'intervento della società.
L'appalto concesso alla Ssa è solo una parte dei contratti che verranno stretti dall'americana Agency for International Development per ricostruire Umm Qasr. La società di Seattle gestirà i piloti che condurranno le imbarcazioni ai moli, l'accesso al porto dei camion e la sorveglianza degli impianti. Altri più lucrosi contratti verranno stesi prossimamente per la vera e propria ricostruzione.
La rapidità nel negoziare contratti «per ricostruire ponti che ancora non sono stati bombardati», è stata criticata dalla deputata democratica Maxine Waters, che ha chiesto maggiore trasparenza nella concessione degli appalti. Water intende ripresentare un emendamento bocciato da una commissione della Camera, che punta ad escludere dai contratti le società nelle quali hanno lavorato pezzi grossi dell'amministrazione Bush nei quattro anni precedenti all'inizio della presidenza. Nel mirino c'è la texana Halliburton, guidata fino al duemila dal vice presidente Dick Cheney.
Tramite la sussidiaria Kellogg Brown and Root, la Halliburton è una delle sette compagnie americane che si sono candidate per i principali appalti della ricostruzione. E proprio alla società statunitense che ha avuto come chief executive officer l' attuale vicepresidente Usa, Dick Cheney, sembra essersi già aggiudicata anche un contratto per gestire i pozzi petroliferi di Baghdad nello scenario del dopo-conflitto.

26 MARZO 2003

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DA - L'UNITA'

Non belligeranti? No, neutrali "benevoli" e "qualificati"
di Fabio Luppino

Un po’ a favore e un po’ no. Il governo ha messo l’Italia in rapporto al conflitto in una posizione di mezzo. Non belligeranti (anzi, come dice Giovanardi, il governo ci ha posti in una inedita "neutralità benevola e qualificata") ma alleati, con gli Stati Uniti e con l’Onu, con l’Europa e, per non farci mancare nulla, contro Francia e Germania.
Come tutti i termini di mezzo il problema è sapere la metà del tutto in cui siamo verso cosa ci protende. Se la non belligeranza può un giorno diventare a-belligeranza o probelligeranza. Insomma il nostro bicchiere (mezzo) è mezzo pieno perché se fosse tutto saremmo un paese pacifista o e mezzo vuoto?
Come si dice, anche con il mezzo quel che contano sono i fatti. Al momento occorre registrare due situazioni non edificanti. Alla vigilia della guerra il capogruppo ds Gavino Angius ha chiesto al governo lumi su 22 soldati italiani che, secondo le sue informazioni, sarebbero impegnati nel Golfo in operazioni di guerra. Il governo del "non" è stato coerente: non ha risposto. Domenica scorsa scoppia il caso dei diplomatici iracheni. Gli Usa chiedono di cacciare quelli presenti nella rappresentanza diplomatica italiana, il ministro Frattini li accontenta. Le opposizioni chiedono perché e il ministro dà risposte vaghe, insomma "non" risponde. Ieri, sempre Frattini, doveva riferire in Parlamento. La maggioranza lo consiglia per il meglio e gli impone di "non" andare. Quindi, al momento non si sa perché l’Italia promuove espulsioni di diplomatici pur essendo in stato di non belligeranza. Una democrazia che non in guerra non informa è un po’ più fragile. "Non", è.

26 MARZO 2003

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DA - L'UNITA'

Tempo di guerra, tempo di bugie
di Robert Fisk

Finora le forze armate angloamericane hanno servito la propaganda agli iracheni su un piatto d’argento. Anzitutto sabato ci è stato detto – grazie alla cortesia della Bbc – che Umm Qasr, la minuscola cittadina portuale irachena sul Golfo, era «caduta». Perché per la Bbc le città debbono «cadere» resta per me un mistero; l’espressione viene dal Medioevo quando le mura della città crollavano sotto l’assedio.
Poi ci è stato detto – ancora una volta dalla BBC - che Nassariyah era stata catturata. Poi il suo corrispondente «al seguito» ci ha informato – e qui le mie sospettose antenne da vecchio giornalista si sono drizzate – che era stata «bonificata».
Perché la BBC dovrebbe usare l’appariscente espressione militare «bonificata» anche questo per me è un mistero. «Bonificata» dovrebbe suonare come «catturata», ma quasi invariabilmente significa che una città è stata bypassata o semi-circondata o, nel migliore dei casi, che un esercito invasore è a mala pena arrivato nei quartieri periferici. E come volevasi dimostrare nel giro di 24 ore si è saputo che la città musulmana sciita a ovest della confluenza tra il Tigri e l’Eufrate, era tutt’altro che «bonificata», infatti non era stata occupata tanto è vero che 500 soldati iracheni appoggiati dai carri armati combattevano ancora a difesa della città.
Con che gioia il vicepresidente iracheno Taha Yassin Ramadan ci ha informato ieri che «sostengono di aver catturato Umm Qasr, ma ora sapete che è una menzogna». Con quale felicità il ministro dell’Informazione iracheno, Mohamed Said al-Sahaff, si è vantato ieri che Bassora è ancora «in mani irachene», che le «nostre forze» a Nassariyeh stanno ancora combattendo.
E avevano ben ragione di vantarsi perché a dispetto di tutti gli sproloquii degli americani e degli inglesi in Qatar, quanto gli iracheni affermavano al riguardo era vero. Le solite rivendicazioni irachene di aerei americani e inglesi abbattuti – quattro «colpiti dalla contraerea» intorno a Bagdad e uno vicino a Mosul – sembravano più credibili alla luce del fatto che gli iracheni erano riusciti a dimostrare che la capitolazione delle loro forze al sud non rispondeva al vero – a parte il filmato dei prigionieri trasmesso ieri sera.
Sappiamo che gli americani stanno usando nuovamente in Iraq munizioni ad uranio impoverito come fecero nel 1991. Ma ieri la BBC ci ha detto che i Marines degli Stati Uniti avevano chiesto l’intervento aereo degli A-10 per colpire le «sacche di resistenza» – ancora un po’ di gergo militaresco da parte della BBC – ma si è dimenticata di ricordare che gli A-10 usano proiettili ad uranio impoverito. Quindi per la prima volta dal 1991 noi – l’occidente – stiamo impiegando in Iraq meridionale bombe ad uranio impoverito; e non ce lo dicono nemmeno. Perché no? E da dove viene, per l’amor di Dio, l’ignobile e quanto mai disonesta espressione «forze della coalizione»? Non c’è nessuna «coalizione» nella guerra in Iraq. Ci sono gli americani, gli inglesi e qualche australiano. Tutto qui.
La «coalizione» della guerra del Golfo del 1991 non esiste. La «coalizione» delle nazioni disposte a «dare una mano» a questo conflitto illegittimo include, a voler lavorare di fantasia, anche il Costa Rica e la Micronesia e, suppongo, la povera, neutrale Irlanda che ha concesso il diritto di transito agli aerei militari americani a Shannon. Ma non sono «forze della coalizione». Perché la BBC usa questa espressione? Nemmeno durante la seconda guerra mondiale – e non pochi giornalisti sono convinti che stanno «coprendo» proprio quella guerra – dicevamo questa menzogna. Quando sbarcammo sulle coste del Nord Africa nel corso dell’Operation Torch, lo definimmo «sbarco anglo-americano».
E questa è una guerra anglo-americana che ci piaccia – giornalisti «al seguito» compresi – oppure no. Gli iracheni sono furbi abbastanza da ricordarsene. Sulle prime annunciarono che i soldati americani o inglesi catturati sarebbero stati trattati come mercenari, una decisione che ieri è stata saggiamente corretta dallo stesso Saddam quando ha dichiarato che tutti i prigionieri sarebbero stati trattati «secondo la Convenzione di Ginevra».
Alla fin fine, non è stato un gran fine settimana per Bush e Blair. Né, ovviamente, per Saddam anche se quest’ultimo gioca alla guerra da quando Tony Blair era un ragazzino. E anche quei giornalisti che sono stati talmente coraggiosi da cercare di capire da soli cosa sta succedendo senza la protezione dell’esercito – ad esempio una troupe della ITC vicino a nassariyah – stanno rischiando la pelle.
Ed ecco una domanda fatta da uno che appena una settimana fa era convinto che Bagdad sarebbe caduta senza colpo ferire e che una bella mattina ci saremmo svegliati scoprendo che la milizia baathista e l’esercito iracheno se ne erano andati e che gli americani, fucili in spalla, percorrevano la via Saadun. Se gli iracheni dopo quattro giorni resistono ancora contro forze soverchianti a Umm Qasr, se continuano a combattere a Bassora e a Nassariyah – quest’ultima città insorse contro il regime di Saddam nel 1991 - perché le forze di Saddam non dovrebbero battersi a Bagdad?
Certo, la storia irachena non sarà completa senza un altro capitolo del «martirio» nell’eterna battaglia del paese contro le forze straniere di occupazione. Gli ultimi combattenti di Umm Qasr diventeranno negli anni a venire – qualunque sia il destino di Saddam – uomini ricordati nelle canzoni e nelle leggende. Molto tempo fa gli egiziani fecero la stessa cosa per i loro uomini uccisi a Suez nel 1956.
Naturalmente potrebbe essere un calcolo errato. Quella in mano ai giocatori potrebbe non essere una mano stupenda. Ma all’improvviso, durante il fine settimana, la guerra rapida e facile, il conflitto dello «stupore e terrore» – l’espressione del Pentagono è un classico slogan tratto dalle pagine della vecchia rivista nazista Signal - non sembra così realistica. Le cose stanno andando male. Non stiamo raccontando la verità. E gli iracheni se ne stanno approfittando alla grande.
© The Independent
Traduzione di Carlo Antonio Biscotto

26 MARZO 2003