DA - LA REPUBBLICA Bagdad, via all'offensiva
finale
Si combatte a Karbala e An Najaf
Due elicotteri
angloamericani dati per dispersi
Voci di una rivolta anti-Saddam a Bassora
ROMA - Parte
l'offensiva finale delle truppe alleate alla conquista di
Bagdad e violenti scontri a sud della capitale fanno il
più alto numero di vittime dall'inizio della guerra.
Fonti del Pentagono parlano di 300/500 morti iracheni
nelle due città di Karbala e An Najaf.
Una colonna corazzata statunitense è stata affrontata da
una forza di fanteria irachena, con la quale ha
ingaggiato la battaglia di maggior rilievo fino ad ora
sostenuta, nei sei giorni di guerra in Iraq. La battaglia
si era già conclusa, quando le fonti del Pentagono ne
hanno dato notizia. "Hanno sparato loro per primi,
noi siamo stati affrontati", ha sottolineato il
funzionario citato, secondo il quale non è chiaro se sia
combattuto contro le truppe di fanteria dell'esercito
regolare iracheno, o contro milizie irregolari, quali i
Fedayin paramilitari che si ispirano a Saddam Hussein o
le milizie del Partito Baath, detentore del potere nel
regime del presidente Saddam Hussein.
Il funzionario citato
esclude invece che possa essersi verificato stanotte il
primo scontro con le divisioni della Guardia Repubblicana
a difesa di Bagdad.
Bagdad. Le divisioni angloamericane hanno inziato
l'accerchiamento di Bagdad secondo quanto riferito in
serata dal Segretario di Stato Colin Powell. Mentre il
regime del rais snocciolava dati
"trionfalistici" sui successi dell'esercito
locale nelle passate 24 ore: secondo il dittatore
iracheno nel sud del Paese le forze locali hanno
abbattuto tre elicotteri, distrutto 30 veicoli nemici tra
cui carri armati e hanno ucciso otto soldati nemici.
Infine, la minaccia delle armi chimiche: il regime
iracheno, dice Saddam, ha tracciato una sorta di
"linea rossa" attorno alla capitale e ha
autorizzato la Guardia Repubblicana a usare armi chimiche
appena le forze angloamericane la oltrepasseranno.
Nassiriya. Dopo una dura battaglia i marines
americani hanno passato l'Eufrate a Nassiriya, in Iraq
meridionale e da lì hanno iniziato una rapida avanzata
verso Nord. Fino a quel momento i soldati Usa erano stati
impegnati in una battaglia durissima contro le truppe
irachene. Ma superato l'ostacolo, passando un ponte
minato, un grande convoglio di marines ha passato
l'Eufrate e intrapreso la strada di Bagdad. Un primo
provvisorio bilancio, fatto dalla France Press, parla di
oltre 100 cadaveri di iracheni ma anche i comandi
americani ammettono "alcune perdite". Percorsi
pochi chilometri la colonna di carri armati è stata
nuovamente attaccata dalle forze irachene mentre due
elicotteri risultano dispersi nella terribile tempesta di
sabbia che sta imperversando nella regione.
Bassora. I network televisivi britannici
riferiscono di una rivolta contro il regime di Saddam
nella città. Secondo il ministero della Difesa di Londra
i miliziani di Saddam hanno aperto il fuoco sulla folla.
Due soldati inglesi sono stati uccisi ieri - ma la
notizia è stata data oggi - dal fuoco amico in un
incidente.
Umm Qasr. Umm Qasr è caduta. Gli alleati hanno
conquistato la città e il porto iracheno che si affaccia
sul Golfo Persico. "Adesso è sicuro e aperto"
dice un comandante britannico, precisando che la prima
unità navale con gli aiuti umanitari destinati alla
popolazione irachena potrebbe giungere nella città,
centro strategico per il traffico mercantile verso
l'interno del Paese, nel giro di 48 ore.
(25 marzo 2003)
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DA - LA REPUBBLICA
Una squadra di mammiferi
per bonificare la baia
In azione anche le otarie al largo del Barhein
In arrivo a Umm
Qasr
i delfini sminatori
Grazie al sonar
biologico scovano la mina e la segnalano
Saranno ospitati in apposite vasche fino alla fine del
lavoro
BAGDAD - Partono i
rinforzi dalla Florida per sminare il porto di Umm Qasr,
la città a 50 chilometri a sud di Bassora. Ma gli
sminatori in arrivo non hanno mimetiche né stellette,
piuttosto pinne e un sonar eccezionale. Si tratta infatti
di una "squadra scelta" di delfini, ai comandi
dell'esercito americano, che collaborerà alla ricerca di
mine sui fondali. Saranno anche loro a rendere possibile
l'arrivo delle navi, che porterano rifornimenti militari,
e aiuti per i civili, nell'unico porto ormai funzionante
dell'Iraq. Ma non basta. Se la squadra dei delfini
lavorerà principalmente in appoggio a Umm Qasr, scende
in campo anche un gruppo scelto di otarie, 20 leoni
marini addestrati, usciti dalla base californiana di San
Diego, di stanza al largo del Bahrein con la quinta
flotta della US Navy. A fare compagnia, fra l'altro, ai
1.600 cani da guerra già schierati dagli americani sul
fronte iracheno.
Tutto è pronto, nella
baia, per accogliere i preziosi collaboratori. Il
capitano Mike Tillotson ha annunciato che la caccia agli
ordigni, posizionati dagli iracheni, sarà affidata al
sonar naturale di un gruppo di delfini (una decina,
divisi in tre gruppi, tra cui alcuni figli di cetacei
"veterani" della prima Guerra del Golfo), che
arriveranno a bordo di aerei cargo speciali, con vasche
piene d'acqua, e saranno ospitati in recinti costruiti
appositamente. Nessuno è più abile dei delfini nel
pattugliamento e nella ricognizione dei fondali, e nel
percepire la presenza del nemico a miglia e miglia di
distanza. Ed in profondità, diventano avversari
imbattibili: a colpi di coda possono affrontare due
incursori contemporaneamente.
Ma anche le otarie, arruolate per la prima volta in
questa guerra, si sono dimostrate, in addestramento,
reclute infaticabili. I "sea lions" si tuffano
nelle acque del Golfo, e raggiungono in pochi secondi
profondità anche di 300 metri (nuotano alla velocità di
45 chilometri l'ora). Senza stancarsi mai, né essere
costrette a tener conto degli obblighi della
compensazione. Con un vantaggio, rispetto ai delfini: il
leone marino è capace di camminare anche sulla
terraferma, il che gli consente di arrivare sui fondali
più bassi, o dove ci sono porti e approdi.
Non è la prima volta che i delfini vengono utilizzati
durante operazioni di guerra. Nel 1959 la Marina militare
americana aveva avviato un programma di studio e
addestramento dei mammiferi, per sfruttare il loro
straordinario sonar biologico. Da allora, drappelli
selezionati vengono sottoposti ad un lungo e delicato
addestramento, dal quale escono preparati a rintracciare
le mine sui fondali. Ma non spetta a loro intervenire
diettamente sull'ordigno: il compito dei delfini è
piazzarci sopra una boa visibile dalla superficie, e
faclitare così il lavoro degli arificieri (e ridurre,
anche i rischi per i militari), ai quali non resta che
disinnescare la mina.
La prima missione dei "war dolph" - così
vengono chiamati - risale alla guerra del Vietnam. Poi
vennero i pattugliamenti nei porti del Barhein, negli
Anni Ottanta, nelle acque del Golfo Persico rese
pericolose dal conflitto fra Iran e Iraq. E tornarono in
azione anche durante la prima Guerra del Golfo, nel
1991-1992: in quell'occasione i militari montarono sul
muso dei mammiferi alcuni ordigni esplosivi, mandandoli
contro il nemico. Ma la strategia non piacque alle
associazioni animaliste, che insorsero contro la Us Navy.
E squadre di delfini sono state anche utilizzate per la
preparazione di questo conflitto iracheno, con un
accurato lavoro di ricognizione, nel mese di gennaio, in
alcune aree del Golfo.
Ma anche per gli animali impegnati nelle operazioni
belliche ci sarà il meritato riconoscimento: a Londra
sta per nascere il primo cimitero per gli "eroi di
guerra" con coda, pelo, ali e pinne. Costerà oltre
un milione di sterline, sarà chiamato Animals in War
Memorial Found, ed avrà come mascotte il soldato
2709: un eroico piccione, che sacrificò la propria vita
per la corona nella Prima Guerra Mondiale.
(25 marzo 2003)
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DA - IL MANIFESTO
Come mai?
LUIGI PINTOR
Sembrava probabile e quasi ovvio, non solo ai fautori e
sostenitori della guerra ma anche ai suoi avversari, che
l'Iraq sarebbe crollato in breve tempo. Per ragioni
militari, prima di tutto, data la smisurata sproporzione
delle forze in campo. Ma soprattutto per ragioni
politiche, essendo quello di Saddam un regime tirannico e
fantoccio. Non è andata e non va così. Ci promettono
che la guerra sarà lunga, ci saranno molte perdite da
entrambi le parti (soprattutto da una parte, si capisce),
l'invasione incontra una resistenza non sporadica ma
generalizzata (Bassora è in queste ore un teatro di
guerra e guerriglia e diventerà un cimitero). Perché,
come mai, com'è possibile? Non è un qualsiasi errore di
calcolo, è un rovesciamento di scenari su cui riflettere
e da cui trarre conseguenze non superficiali.
Gli americani possono essere stati abbagliati dalla loro
potenza e superbia militare ma c'è molto di più. C'è
al fondo di questa impresa una «ignoranza», se così si
può dire, un'ignoranza che è peggio della menzogna e
che purtroppo non è solo una loro prerogativa ma è
sempre esistita in occidente e resta evidentissima
nell'italietta cobelligerante. E' l'ignoranza di tutto un
mondo che fu e rimane, secondo questa mentalità,
essenzialmente «coloniale».
Ci troviamo invece e inopinatamente di fronte a una
nazione, a un territorio che appartiene a chi lo abita da
sempre, a un paese di trenta milioni di anime che viene
bombardato e invaso e non ci sta. Noi la chiamiamo
liberazione da un tiranno, ma non c'è stata chiesta né
da un partito fratello né da un governo in esilio. E per
chi la subisce è intanto e semplicemente quello che è,
un'aggressione e un'invasione straniera che promette
cioccolata e sigarette a prezzo di una soggezione
completa. Saddam il tiranno può ben fare appello non
più ad Allah ma alla guerra patriottica, alla guerra di
indipendenza contro un destino coloniale.
Vecchio scarpone, quanto tempo è passato etc. Non
c'entra ovviamente niente la guerra d'Abissinia, né le
guerre d'Africa pre-fasciste, ma la televisione che in
quegli anni era la copertina illustrata della Domenica
del Corriere mostrava i ras etiopi scalzi e con la
lancia a fronte dei caschi coloniali che con le
mitragliatrici avrebbero spazzato quel deserto
lastricandolo di moderne autostrade. Poi però per
vincere ci sono voluti i gas asfissianti, a cui Indro
Montanelli non ha mai onestamente voluto credere, perché
anche il Negus Neghesti era un imperatore preferibile al
maresciallo Rodolfo Graziani.
Ma ora siamo in Iraq nel 2003, le guerre d'indipendenza
si addicono al nostro risorgimento e non certo a un paese
terzo o quarto come quello, e infatti questo scenario
inatteso può benissimo rovesciarsi di nuovo. La
disinformàzia ci dice contemporaneamente che gli inglesi
si ritirano da Bassora, dove una volta morirono in
cinquantamila, ma sono a cento chilometri da Baghdad,
dove moriranno invece cinquantamila iracheni. E un altro
scenario può rovesciarsi, giacché finora contiamo i
morti militari e civili col pallottoliere ma un massacro
può essere l'esito finale.
Lo scenario che non cambierà, oggi né domani, è quello
del mondo che invoca la pace come unica vittoria. Non la
invoca con la retorica o con le manifestazioni ma la
mantiene viva, sotto il fuoco della guerra, come sinonimo
di esistenza e garanzia di futuro.
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DA - IL MANIFESTO
BERLUSCONI La
guerra non c'è
STEFANO BENNI
Cittadini italiani. Qui è Silvio W. Berlusconi che vi
parla. Anche se la propaganda comunista e vaticana cerca
di convincervi del contrario, i miei avvocati mi hanno
rassicurato che: a) l'Italia non è belligerante
b) non solo non è belligerante, ma non è neanche in
guerra
c) non c'è in realtà nessuna guerra
Non abbiamo mai concesso né basi né spazio aereo agli
americani. Era già tutto loro. Le basi americane sono da
tempo territorio Usa a tutti gli effetti, occupano uno
spazio grande come una regione e non sono ancora Stato
Usa autonomo perché stanno decidendo per il nome:
Italiaska o New Pizzland. In quanto alla spazio aereo,
gli americani ci scorazzano già da anni, basta pensare
al Cermis o a Ustica. Vi posso assicurare che nessun
aereo Usa parte per missioni di guerra dalle nostre basi.
Alcuni portano in giro le bombe, perché a stare chiuse
nell'hangar si arrugginiscono. Altri fingono di partire
per confondere il nemico, a volte tornano, a volte
restano nascosti in qualche garage o luogo appartato. Io
ho due B 52 nel mio giardino a Arcore.
Non sono mai transitati sul suolo italiano treni con
armi. Se qualcuno ha portato con sé un carro armato o un
cannone, lo ha fatto a titolo personale, l'importante è
che non lo abbia messo in mezzo al corridoio intralciando
i passeggeri o il servizio ristoro. Abbiamo espulso i
diplomatici iracheni non perché ce lo ha chiesto Bush,
ma perché ai sensi della legge Bossi-Fini non avevano
più un lavoro, in quanto, come sapete, tutti gli sforzi
diplomatici sono falliti.
Non abbiamo mai venduto armi agli americani. Agli
iracheni sì, ma allora Saddam era un amico.
Non è vero che siamo già in corsa per la ricostruzione
dell'Iraq e stiamo arraffando le commesse. Io di commesse
ne ho avute a migliaia alla Standa e nessuna può dire
che io le ho messo le mani addosso. Sono fedele a mia
moglie anche se è una traditrice pacifista e secondo
alcuni pettegolezzi attualmente è fidanzata con un certo
Schopenauer.
Non siamo belligeranti, in quanto non c'è nessuna
belligeratura in corso. E' semplicemente in atto
l'operazione per disarmare Saddam. Non mi risulta che ci
siano morti né tra i civili né tra i militari. Aprite
la televisione e vedrete che nulla è cambiato: le solite
sigle, le solite facce, i soliti conduttori, e gli
esperti che giocano con le mappe e i soldatini. Si
discute di Iraq, ma come si parla del brutto tempo o dei
virus della polmonite, sono inconvenienti che un
palinsesto non può ignorare.Qualcuno con criminoso
cattivo gusto, in un rigurgito Santoriano, ha mandato in
onda scene di qualche film pulp dove si vedevano marines
americani massacrati e civili iracheni morti. E' ovvio
che simili cose non possono avvenire in una moderna
chirurgica operazione di disarmo. Ho dato l'ordine a
Gasparri di mettere durante queste scene il sottotitolo fiction,
e il pallino rosso sullo schermo. Mi ha risposto: ci
costerà un sacco di soldi dipingere il pallino su ogni
televisore italiano. E' più cretino di quanto credevo.
Ma insomma, cittadini italiani, ragionate! Vi sembra che
se ci fosse la guerra il mio amico Bush andrebbe in
vacanza nel suo chalet? Vi sembra possibile che un grande
democrazia arresti millecinquecento persone a San
Francisco perché manifestano contro la guerra? Mi si
attribuiscono battute meschine sui pacifisti, che poi mi
tocca di smentire. Ma io so bene che, non essendoci
guerra, non ci sono pacifisti. E' un mistero per me cosa
facciano quei milioni di persone in strada, con quella
bandiera tutta colorata che sembra la maglia del Milan
che ha fumato marijuana.Se ci fosse davvero la guerra,
con tutti i missili che hanno tirato su Baghdad avrebbero
ucciso Saddam. Invece eccolo lì che parla in diretta.
Maledetto concorrente! E' uno dei pochi che in video è
tronfio e bugiardo come me.Il migliore in televisione,
comunque, è sempre George Wermacht Bush. Ha il carisma e
la statura morale di un pupazzo da ventriloquo e
ultimamente si è messo anche a fare il comico. Ha detto
che l'Iraq deve rispettare la convenzione di Ginevra. Che
i suoi prigionieri devono essere trattati umanamente,
proprio come quelli di Guantanamo. Ha invocato anche il
tribunale dell'Aia. Mancava solo che chiedesse l'invio di
ispettori dell'Onu nella zona delle operazioni. Quando
poi ha detto che bisogna rispettare il diritto
internazionale, si sono sentite le risate dei cameramen e
gli spari di Colin Powell che li abbatteva.
Riassumendo: l'Italia non è in guerra, non c'è nessuna
guerra, non ci sono morti né da una parte né
dall'altra, gli elicotteri inglesi abbattuti dal fuoco
amico non sono eventi bellici ma incidenti dovuti alla
congestione del traffico aereo, come a Fiumicino. Non ci
sono manifestazioni sanguinose in tutto il medio Oriente,
e il popolo iracheno, come ho già anticipato a suo
tempo, è entusiasta di questa pacifica invasione. Ci
sono invece le armi chimiche e di sterminio di massa.
Sono a Aviano, pronte a essere trasportate in Iraq nel
caso gli americani non ne trovassero. Ci avete creduto?
Ma siete proprio dei ingenui, era una battuta.
Sapete qual è la verità? La vera arma di sterminio di
massa sono io col mio governo di ipocriti, quello che
vuole farvi credere che non sta succedendo niente.
Abbiamo cominciato con lo sterminio dell'informazione,
poi abbiamo intrapreso quello del diritto, ora ci
proviamo con lo sterminio delle coscienze. Una nube di
indifferenza, ecco la nostra arma chimica. Per il momento
non ci riusciamo. Ma confidiamo nella tendenza degli
Italiani a dimenticare in fretta, e in un pronto
intervento dei servizi segreti contro il crescere del
movimento pacifista. Perciò se vedete alla televisione
immagini volgari di sangue e morte e bombardamenti,
pensate che non sono vere, perchè la guerra moderna non
fa morti. Sono semplicemente degli errori di
sceneggiatura.
E adesso vi lascio, prima di andare via per il week-end
devo discutere con Blair e Aznar sui nuovi oleodotti e
sulla ricostruzione di Baghdad. Io ho proposto Baghdad
due, un ridente complesso residenziale a pochi chilometri
da Baghdad, in una località che si chiama Teheran. Ha
detto Bush che ci pensa lui a sgombrarmi il terreno. E
poi c'è il progetto di un ponte tra Messina e Amman, con
un solo pilone a Creta. E per finire una fusione tra
Mediaset e Lockeed, perché non c'è la guerra, ma
stranamente in Borsa le azioni della fabbriche di armi
triplicano. Misteri della finanza.
Italiani, state tranquilli. Niente sangue né dolore né
lacrime. Strike & Awe non è un'azione di guerra e
non vuole dire Sconvolgi e Terrorizza. E' un serial con
due poliziotti, Strike il bruno e Awe il biondo. Me lo ha
detto Frattini che ha studiato inglese con la
Playstation. Io vi proteggerò, vi consolerò, vi
rassicurerò, io sono la tempesta di sabbia che tutto
nasconde, io sono l'operazione Forget&Fard.
Credetemi. Non sta morendo nessuno. So prendermi le mie
responsabilità e non dico bugie. Ve lo giuro sui figli
di Blair.
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DA -. IL MANIFESTO
Gli Usa: «I
russi con Saddam»
«Tecnici russi stanno aiutando gli iracheni a disturbare
la nostra azione»
FRANCO PANTARELLI
NEW YORK
Gli Stati uniti hanno aperto un serio contenzioso al
massimo livello con la Russia, accusandola di esportare
armi «illegali» in Iraq e, praticamente, di avere
uomini che combattono a fianco degli iracheni. Bush in
persona ha telefonato a Putin per sollevare il caso nel
modo più forte. «Abbiamo prove credibili - ha detto Ari
Fleischer, portavoce della Casa bianca - che alcune
compagnie russe hanno fornito assistenza e attrezzature
militari proibite al regime iracheno, visori notturni,
congegni per disturbare le comunicazioni radio e missili
anticarro teleguidati». Dunque, «abbiamo chiesto al
governo russo di far cessare immediatamente simili
attività inquietanti, proibite dalle Nazioni unite». Un
anonimo funzionario del Pentagono si spingeva poi molto
oltre, affermando che «sappiamo che dei tecnici russi
sono a Baghdad, in questo momento, e aiutano gli iracheni
a gestire questi sistemi di accecamento Gsm che
danneggiano la nostra azione militare». Lo stesso Colin
Powell interveniva più tardi dicendo che «tutto ciò
mette a rischio i nostri ragazzi... danno al nemico un
vantaggio che non vogliamo abbia». Poco prima, il
ministro degli esteri russo Igor Ivanov aveva formalmente
negato. «La Russia - aveva detto Ivanov - rispetta
rigorosamente i suoi obblighi internazionali e non ha
fornito all'Iraq nessuna attrezzatura, tantomeno
militare, in violazione delle sanzioni in atto». Poi,
come uno che risponda a un interlocutore particolarmente
petulante, Invanov aveva aggiunto: «La parte americana
ci ha chiesto varie volte a proposito di possibili
forniture all'Iraq di attrezzature proibite. I nostri
esperti hanno controllato meticolosamente e l'ultima
risposta che abbiamo dato risale al 18 marzo: non è
stato trovato nulla che provi le preoccupazioni
americane».
La storia degli «aiuti militari» russi all'Iraq,
infatti, sta andando avanti da giorni, dopo che il Washington
Post l'aveva portata alla luce, innescando una serie
di smentite: dal vice capo dello staff del Cremlino
Aleksej Volin («non è solo una storia inforndata, è
del tutto inventata»), dai responsabili delle due
compagnie russe chiamate in causa, la Aviaconversija e la
Kbp Tula, e dalla Rosoboroneksport, cioè l'istituzione
che è l'unica intermediaria per le esportazioni russe di
materiale militare. L'altro ieri però questa storia era
stata tirata fuori da molte tv Usa nel contesto dei
resoconti sui soldati americani uccisi o catturati in
Iraq, il che suggeriva di fatto che quel rovescio era
stato colpa delle forniture russe.
E' per questo che ieri era arrivata la smentita formale
di Ivanov: ma visto il botta e risposta fra le sue parole
e quelle di Fleischer, il portavoce della Casa bianca ha
di fatto dato del bugiardo al ministro degli esteri
russo. Cose da guerra fredda: e infatti poco più tardi,
quando si è appreso che Bush aveva personalmente
chiamato Putin, la sensazione diffusa era che quella
chiamata somigliasse più al «telefono rosso» dei tempi
di Breznev che alle «conversazioni fra amici» del
post-1989.
Stando a ciò che si è appreso, Putin ha risposto alle
accuse di Bush con vaghe assicurazioni ma esortandolo
anche a «evitare una catastrofe umanitaria in tutta la
regione». Putin è andato comunque avanti con la sua
azione che già nel mattino presto si era delineata:
quella di agire contro gli Stati uniti nelle «sedi
competenti». Il governo di Mosca si è rivolto alla
Commissione dell'Onu per i diritti umani, che ha sede a
Ginevra e che è attualmente riunita per la sua annuale
sessione ordinaria, affinché dedichi una seduta speciale
alla guerra dell'Iraq. Alla richiesta russa si sono
affiancati altri otto paesi. Poi Ivanov ha detto di voler
anche chiedere una convocazione del Consiglio di
sicurezza per discutere ciò che sta accadendo in Iraq.
Bush intanto a partire da ieri è impegnato anche in una
battaglia interna: quella di ottenere il finanziamento
della guerra da parte del Congresso. Il «conto», che
stavolta dovrà essere pagato soltanto dagli Stati uniti
per avere voluto questa guerra disponendo di scarso
seguito nel mondo (dieci anni fa le spese furono
ripartite fra molti paesi e Washington finì per
contribuire con uno scarso 25 per cento), è di circa 70
miliardi di dollari. O comunque questa è la richiesta
che Bush ha rivolto a deputati e senatori. E' la stessa
stima fatta da mesi, ma Bush si era sempre rifiutato di
ufficializzarla perché - sosteneva - c'erano troppe
variabili da considerare. Così il nuovo bilancio è
stato necessario vararlo senza la voce «guerra» e ciò
ha irritato molto i parlamentari. Questo spiega come mai
l'altro giorno un senatore democratico, Russ Feingold,
sia riuscito a mettere insieme una maggioranza che ha
«congelato» 100 dei 700 miliardi di dollari di
riduzioni fiscali che Bush ha promesso, proprio per
pagare la guerra senza salti mortali contabili. Gli
uomini di Bush sono al lavoro per far rovesciare quel
voto, ma non sarà facile.
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DA - IL CORRIERE DELLA
SERA
Al Jazira sul
Web colpita dagli hacker
Aumento verticale del
traffico dopo aver pubblicato le foto dei prigionieri
americani non trasmesse negli Usa, poi la crisi
MILANO - Appena nato, il
nuovo sito web in inglese dell'emittente del Qatar Al
Jazira è finito nel mirino degli hacker che, complici
alcuni problemi tecnici, lo hanno mandato in tilt.
L'accesso all'indirizzo www.english.aljazeera.net , che contiene il notiziario in
inglese, è impossibile da quando, ieri, è stato
lanciato in
rete.
VERSO L'EUROPA - Oltre all'attacco dei pirati della rete,
che ha colpito anche la versione in arabo www.aljazeera.net
i tecnici
dell'edizione on-line dell'emittente devono far fronte
alla decisione dell'host DataPipe, statunitense, di
rescindere il contratto e costringere i responsabili di
al-Jazira a spostare il sito su server europei. Mentre la
versione in inglese non dispone del software in grado di
mostrare video, quello in arabo ha diffuso ieri le
immagini dei marines catturati e uccisi in Iraq. Così,
secondo il sistema di monitoraggio del motore di ricerca
Lycos, la parola «jazeera» è stata ieri la più
cercata di tutto il web. Al momento della redazione di
questo articolo entrambi i siti non sono traggiungibili
dall'Italia.
ALJAZIRA.IT - È invece accessibile una versione «non
ufficiale» di Al Jazira in italiano redatta da un «un gruppo
informale di qualificati traduttori dall'arabo, studiosi
ed esperti di mondo arabo-islamico». Il sito traduce le
notizie di Al Jazira e diffonde una rassegna stampa dei
media arabi. È stato registrato nel gennaio 2002.
25 MARZO 2003
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DA IL CORRIERE DELLA SERA
Il Papa:
«Viviamo un'ora difficile della storia»
Il Santo Padre, parlando
a un gruppo di cappellani militari, torna a condannare il
conflitto in Iraq e a sostenere la pace
CITTA' DEL VATICANO -
«Unora difficile della storia». Questo per il
Papa è la guerra in Iraq visto che «il mondo si trova
ancora una volta ad ascoltare il fragore delle armi».
Giovanni Paolo II torna a parlare con angoscia del
conflitto in corso: «Il mio pensiero delle vittime,
delle distruzioni e delle sofferenze provocate dai
conflitti armati arreca sempre profonda preoccupazione e
grande dolore» ha affermato in un messaggio rivolto ai
Cappellani Militari in occasione del corso di formazione
al diritto umanitario organizzato dalla Congregazione dei
Vescovi e dal Pontificio Consiglio Giustizia e Pace.
RIPUDIO DELLA GUERRA - Il Papa, inoltre, sottolinea che
«ormai dovrebbe essere chiaro a tutti» che la guerra
come «strumento di risoluzione delle contese tra Stati
è stata ripudiata, prima ancora che dalla Carta delle
Nazioni Unite, dalla coscienza di gran parte
dellumanità». Poi aggiunge: «Fatta salva la
liceità della difesa contro un aggressore», come ad
indicare, seppur implicitamente, che la guerra preventiva
voluta da Bush per rovesciare Saddam non rientra in
questa casistica. Wojtyla non manca di riflettere
sulllazione dei pacifisti che in queste settimane
hanno manifestato a milioni in tutto il mondo per dire
«no» alla guerra irachena. «Il vasto movimento
contemporaneo a favore della pace, la quale secondo
linsegnamento del Concilio Vaticano II, non si
riduce a una semplice assenza di guerra, traduce questa
convinzione di uomini di ogni continente e di ogni
cultura».
TINTE FOSCHE - In questo quadro internazionale dalle
tinte fosche, il Papa assegna alle religioni un ruolo
importantissimo al fine di non far scivolare questa
guerra in uno scontro tra civiltà. «Lo sforzo delle
diverse religioni per sostenere la ricerca della pace è
motivo di conforto e di speranza - afferma Giovanni Paolo
II - Nella nostra prospettiva di fede, la pace pur frutto
di accordi politici e intese tra individui e popoli, è
dono di Dio che va invocato insistentemente con la
preghiera e la penitenza». Rimane, per Wojtyla, un punto
chiave per procedere alla pacificazione: «senza la
conversione del cuore non cè pace. Alla pace non
si arriva se non attraverso lamore». Poi un
appello rivolto - indistintamente - a tutti gli uomini di
buona volontà: «a tutti viene chiesto ora
limpegno di lavorare e pregare affinché le guerre
scompaiano dallorizzonte dellumanità». 25
marzo 2003
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«Il rischio è vincere
la guerra e perdere la pace»
Casini:«Le
ostilità potrebbero creare molti problemi
ai leader arabi moderati e inasprire il fondamentalismo»
ROMA - «Il rischio è
quello di vincere la guerra e perdere la pace». E' il
timore del presidente della Camera, Pier Ferdinando
Casini, il quale paventa
questo rischio nelle ripercussioni della guerra in Iraq
sull'area mediorientale. «A testimoniarlo - afferma
Casini - sta il fatto che l'amministrazione Usa ha
riaperto la questione palestinese poco prima dell'inizio
del conflitto. È infatti evidente che la guerra può
creare gravi difficoltà ai leader arabi moderati e
inasprire il fondamentalismo, tanto che gli Usa hanno
riaperto un dossier che stava dormendo».
QUADRO - «Questa è la vera questione - ha continuato
Casini - ed è per questo che quello che mi preoccupa di
più seguendo i telegiornali non è tanto la situazione
delle operazioni militari, ma è il quadro collaterale di
quello che sta capitando nei paesi limitrofi»
25 marzo 2003
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DA - LA REPUBBLICA
Guardia repubblicana
verso Najaf
parte la controffensiva irachena
Mezzi armati
iracheni lasciano Bassora diretti ad Al Faw
Parà forse provenienti dall'Italia prendono un aeroporto
a nord
BAGDAD - A Bagdad
esplodono le bombe e la popolazione muore sotto i missili
dell'ennesimo raid. Un portavoce militare iracheno
annuncia che le legioni della Guardia repubblicana sono
entrate per la prima volta in azione nella capitale e
sono partite in colonna alla volta di Najaf per
riconquistare il ponte sul fiume Eufrate. Anche a Bassora
gli iracheni contrattaccano: 120 mezzi corazzati e carri
armati sono usciti dalla città, dove erano arretrate le
forze irachene nei giorni scorsi, diretti verso la
penisola di Faw.
Ed è nell'Iraq centrale che si combatte la battaglia
più dura. A Najaf sono un migliaio i morti da parte
irachena e il contingente della coalizione subisce
attacchi di guerriglia devastante mentre è intasato
sotto l'ennesima tempesta di sabbia. Il ministero della
Difesa di Londra non conferma né smentisce le
affermazioni della televisione del Qatar Al Jazeera che
ha mostrato oggi le immagini di due soldati morti e di
due prigionieri sostenendo che si tratta di militari
britannici.
Bagdad. Dopo una notte di bombardamenti a tappeto
la Croce Rossa internazionale conta ufficialmente 8 morti
e 60 feriti, inclusi 6 bambini in gravi condizioni. Poco
prima delle 12 italiane, due missili si abbattono sul
mercato della città affollato di persone: un primo
bilancio, non ufficiale, parla di 14 morti e 30 feriti ma
le vittime potrebbero essere addirittura 16. Colpiti
anche i capisaldi della Guardia repubblicana - come
conferma il Pentagono - e il centro della tv di Stato che
per un paio d'ore è costretta a interrompere le
trasmissioni. Il segretario generale dell'Onu, Kofi
Annan, si dice "turbato" per quanto accaduto
nella capitale irachena mentre il Comando centrale
statunitense tace per tutta la giornata. Da Washington,
il generale Stanley McChrystal rilancia: "Non sono
nostri missili potrebbe essere stata la contraerea
irachena a colpire quei civili".
Al tramonto suonano
nuovamente le sirene e i raid aerei ripartono come
annunciato dal ministro della Difesa britannico, Geoff
Hoon, che ha parlato nel pomeriggio alla Camera dei
comuni. "La strage di Bagdad non fermerà i
bombardamenti - ha detto Hoon - al contrario, i raid
saranno intensificati per preparare l'ingresso in città
delle truppe di terra". Infine a Bagdad la tv di
Stato annuncia l'entrata in scena, oggi per la prima
volta, dell'elite della Guardia repubblicana, che avrebbe
inflitto "pesanti perdite" alle forze
dell'alleanza. Una colonna di circa mille mezzi,
approfittando della tempesta di sabbia, è uscita dalla
capitale diretta a Sud con l'obiettivo di riconquistare
il ponte sul fiume Eufrate, preso nei giorni scorsi dalle
forze della coalizione.
La rivolta a Bassora. La seconda città del paese
continua a essere assediata dalle truppe britanniche, che
non sono riuscite a imporvi il proprio controllo a causa
di focolai di resistenza che continuano a creare problemi
agli occupanti. Le voci di una rivolta della popolazione
contro il dittatore si ridimensionano e il portavoce
dell'opposizione sciita spiega: non è in corso una
ribellione contro le forze di Saddam, ma semplicemente
una protesta provocata dalla mancanza di acqua e
elettricità. Fonti militari britanniche riferiscono che
una colonna di tank iracheni ha lasciato la città
finendo sotto il fuoco delle forze della coalizione. La
colonna corazzata è stata individuata dai radar
britannici, mentre sembrava puntare verso la penisola di
Faw percorrendo la strada lungo il canale dello Shatt al
Arab, dove avevano già preso posizione diverse unità
del Comando 40 dei Royal Marines britannici, per tagliare
la via di fuga.
Najaf. Centinaia di morti, addirittura un
migliaio, come dicono alcuni ufficiali americani. La
battaglia più cruenta fra quella combattute in Iraq
nella prima settimana di guerra si è svolta a Najaf,
città santa sciita nell'Iraq centrale, a soli 180
chilometri dalla capitale. Sono stati ancora una volta
scontri atipici e "asimmetrici", durante i
quali i carri armati statunitensi sono stati fronteggiati
da agili e veloci pick-up iracheni a quattro ruote
motrici armati di missili filoguidati. Dopo una giorno di
battaglia le truppe alleate hanno conquistato il ponte
sull'Eufrate e ora si attende la controffensiva irachena:
una colonna di 1000 carri armati è partita da Bagdad
alla volta del ponte per riconquistarlo.
Nuovo stop a nord di Nassiriya. Marines di nuovo
bloccati sulla strada che porta verso Bagdad. Le forze
Usa sono state fermate dalla resistenza irachena a Ash
Shatrah, una quarantina di chilometri a nord della città
dove proprio ieri si era svolta una delle battaglie più
cruente della guerra. La notizia giunge da un
corrispondente della Reuters, secondo il quale le truppe
americane si sono arrestate in attesa della copertura
dell'artiglieria. Fonti di Bagdad parlano di 500 civili
feriti durante gli scontri nei dintorni di Nassiriya. E
in serata parte la controffensiva: una ventina di soldati
americani feriti dai razzi lanciati dalle truppe
irachene.
Il fronte nord. Dall'alba di oggi i bombardamenti
aerei sono ripresi anche su Mosul, nel nord del paese. Le
prime esplosioni sono risuonate alla periferia della
città, capoluogo di un ricchissimo distretto petrolifero
ai confini con il Kurdistan. Colpite anche le postazioni
irachene sulle colline che guardano su Shanshamal, città
di una enclave controllata dai curdi fin dal 1991. Mille
paracadutisti, normalmente di stanza nella base italiana
di Ederle (Vicenza), si sono lanciati su una pista di
atterraggio nell'Iraq del Nord, occupandola. I
paracadutisti che hanno aperto il fronte del Nord, nel
terroritorio curdo, appartengono alla 173/a divisione
aerotrasportata. La pista di atterraggio è stata
occupata per aprire il passaggio ai carri armati ed ai
mezzi corazzati da combattimento Bradley.
Rinforzi. Il Pentagono ha annunciato che circa 30
mila uomini della quarta divisione di fanteria partiranno
tra breve per raggiungere il Golfo.
Prigionieri. La televisione satellitare al Jazeera
ha trasmesso oggi un video che mostra due soldati
britannici che sarebbero stati uccisi, secondo
l'emittente in lingua araba, in un agguato nei pressi di
al-Zubayer a sud di Bassora. Il video mostra anche dei
soldati britannici che sarebbero prigionieri degli
iracheni, un veivolo senza pilota abbattuto ed un mezzo
corazzato per il trasportato delle truppe strappato ai
britannici.
(26 marzo 2003)
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Ancora missili su
Bagdad
Colpiti case e un mercato
Il comando Usa:
"Potrebbe essere stata la contraerea"
Bombardate la tv di stato e quella satellitare
BAGDAD - Missili
su un mercato, e su alcune palazzine di un quartiere
popolare di Bagdad. E' accaduto alle 11.30 ora locale,
quando la capitale irachena aveva già subito numerose
ondate di bombardamenti. Il ministero iracheno
dell'Informazione ha parlato di "molte, molte
vittime", i testimoni riferiscono di almeno 15 morti
e 30 feriti. Le operazioni di soccorso procedono a
fatica, fra le macerie fumanti, i bombardamenti che
continuano incessanti, la tempesta di sabbia e la pioggia
che sta cadendo sulla capitale.
Dei missili sul mercato e contro i palazzi, il Comando
centrale statunitense per tutta la giornata non dà
notizie. "Non sappiamo se gli ordigni fossero
nostri" ha dichiarato il generale Vincent Brooks,
durante una conferenza stampa presso il Comando centrale
Usa nella base di As Salyiya, in Qatar. "Non
possiamo dire che non c'entriamo - ha proseguito - anche
se gli errori possono sempre capitare, semplicemente non
ne sappiamo niente". Poi, in serata, il Pentagono
specifica: l'aviazione aveva messo nel mirino nove siti
missilistici terra-terra in un attacco intorno alle 11.00
(ora locale). "I missili e lanciamissili erano
piazzati all'interno di zone residenziali di civili -
dice il Comando centrale Usa - la maggior parte di
missili era posizionato a meno di 90 metri dalle case.
Stiamo lavorando ad un rapporto completo
sull'accaduto". Poi, da Washington, il generale
Stanley McChrystal rilancia: "Potrebbe essere stata
l'antiaerea a colpire quei civili".
Sono le immagini a
raccontare l'entità del raid, quelle trasmesse dalla tv
araba Al Jazeera e dalla Bbc: corpi
mutilati e carbonizzati, pozze di sangue, edifici
devastati, la folla che alza i pugni al cielo e grida
"Allah akbar" ("Dio è grande"). Il
direttore della Difesa civile irachena, Hamad Al Dulaimi,
ha detto che alcuni degli edifici colpiti ospitano, al
piano terra, officine meccaniche e, ai piani superiori,
appartamenti privati. Sul luogo si sta recando anche un
medico del comitato internazionale della Croce rossa, e
il delegato del comitato a Bagdad, Roland Benjamin, ha
spiegato: "Non abbiamo ancora informazioni di prima
mano, ma vogliamo vedere se i feriti possono essere
trasportati subito negli ospedali, e se questi dispongono
del materiale necessario".
Intanto si prepara la battaglia di terra per la conquista
di Bagdad. E continua, incessante, la tempesta di sabbia:
il cielo è a tratti arancione e la visibilità,
compromessa anche dalla pioggia che ha iniziato a cadere
sulla capitale irachena, non supera i 500 metri. L'aria
è resa irrespirabile dal fumo del petrolio, sparso e
incendiato lungo le trincee dalla Guardia Repubblicana.
Poche decine di chilometri separano la testa delle truppe
dalla capitale, ma una fonte del Comando centrale in
Qatar informa che il regime iracheno ha minato i ponti di
accesso a Bagdad e intensificato il ricorso a
"tattiche terroristiche".
Avanza anche il Settimo cavalleggeri delle forze armate
Usa: è a un passo dalla "cintura" difensiva
della Guardia Repubblicana, ma anche dalla temuta guerra
"casa per casa". Si attendono rinforzi da sud,
gli stessi che hanno ripreso l'avanzata da Nassiriya,
sull'Eufrate, dove le truppe alleate sono state impegnate
in sanguinosi combattimenti.
Ma fin dall'alba di oggi gli aerei di Usa e Gb hanno
bombardato diverse zone di Bagdad, in particolare la
parte meridionale della città, dove sono risuonate
decine di esplosioni con nel mirino cinque divisioni
della Guardia repubblicana schhierate a difesa della
capitale. Bombe alleate anche nel centro, colpito il
ministero dell'informazione. Attaccate, nella notte, le
"aree del potere" di Saddam. Da una parte il
centro della comunicazione del raìs, da dove sono
partite le immagini dei morti e dei prigionieri Usa;
dall'altra (il fianco meridionale della capitale) i
capisaldi dov'è asserragliata la Guardia Repubblicana.
Colpita anche la televisione satellitare irachena: solo
dopo qualche è tornata a trasmettere, mandando in onda
canzoni patriottiche. La tv di Stato, che ieri sera ha
interrotto i programmi per 45 minuti dopo i bombardamenti
che avevano centrato i ripetitori, alle 9 ha ripreso le
trasmissioni con una lettura del Corano. Il Pentagono ha
confermato che i bersagli dell'attacco nel cuore di
Bagdad erano i centri di comunicazione. "Abbiamo
colpito la principale stazione televisiva - dicono fonti
della Difesa Usa - così come un complesso sotterraneo
per telecomunicazioni e il centro per comunicazioni
satellitari di Bagdad".
(26 marzo 2003)
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Gli Usa inviano i
rinforzi
Altri trentamila uomini
WASHINGTON - La
Quarta divisione di fanteria degli Stati Uniti è in
partenza per il Golfo. Trentamila uomini di rinforzo per
le truppe che stanno combattendo in Iraq. Lo ha deciso il
Pentagono e la partenza è prevista a breve. Domani o al
più tardi venerdì gli uomini della Quarta divisione di
fanteria potrebbero già essere a destinazione. E' la
prova che la guerra si annuncia lunga e difficile, che la
resistenza incontrata sul terreno è maggiore di quella
che la Coalizione si aspettava. E che forse il Pentagono
sta modificando in corsa i suoi piani di attacco per la
forte resistenza incontrata nelle città del sud.
La quarta divisione è considerata una di quelle
tecnologicamente più preparate. Nelle intenzioni
iniziali dei vertici militari americani avrebbe dovuto
essere inviata in Turchia, per attaccare l'Iraq dal nord.
E' stato il "no" del Parlamento di Ankara al
passaggio dei militari americani sul suo territorio a
indurre il Pentagono a modificare i piani.
Di stanza a Fort Hood, in Texas, e a Fort Carson, in
Colorado, la Quarta divisione comprende 16 mila uomini,
ma insieme con le forze di appoggio i militari che
partiranno verso il Golfo nelle prossime ore vengono
stimati in 30.000 circa.
(26 marzo 2003)
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DA - IL MANIFESTO
Bombarda e doma
ALESSANDRO PORTELLI
Non so se avete presente quella vecchia canzone
proletaria romana che dice «vent'anni e più di tirannia
fascista \ col carcere, il confino ed il bastone \ non
hanno menomato al comunista \ la convinzione»; e poi
continua: «questa città ribelle e mai domata \ dalle
rovine e dai bombardamenti...» Sono versi che abbiamo
sentito tante volte che non si pensa più a che vogliono
dire. E invece fermiamoci un attimo e facciamoci caso: la
canzone non attribuisce ai bombardamenti la funzione di
liberare la città, ma quella di domarla. Uno dei
miti che accompagnano le guerre a cavallo del millennio
è che se tu bombardi un popolo oppresso, questo te ne
sarà grato e ti accoglierà con fiori e confetti, e la
festosa accoglienza alle truppe alleate nel 1944-45 in
Italia è il precedente storico che fa scuola. Le buone
ragioni le sappiamo: i primi a bombardare e a provocare
la guerra eravamo stati noi; l'arrivo segnava la fine di
una lunga guerra (non l'inizio di una guerra lampo) e la
costruzione di un nuovo ordine internazionale (non la sua
distruzione); gli alleati erano occidentali come noi, non
esponenti di una cultura e di una religione diverse e
spesso ostili o percepite come tali; soprattutto, direi,
oltre che oppressa dal fascismo, l'Italia era già
un paese occupato da un altro esercito straniero,
particolarmente efferato.
Tuttavia, la canzone (e una quantità di narrazioni orali
raccolte nel corso degli anni) suggeriscono che i
bombardamenti non vengono percepiti solo come alternativa
liberatrice all'oppressione, ma anche come una sua
continuazione sotto altre forme e per altre mani: da una
parte, le rovine e i bombardamenti pongono fine ai
vent'anni e più; da un'altra, vi si aggiungono. Le
disgrazie si accumulano sulla povera gente; la regola non
è «chiodo scaccia chiodo», ma «piove sul bagnato».
Troppo spesso, quando parliamo di regimi dittatoriali,
pensiamo alle popolazioni come se l'oppressione politica
fosse l'unico aspetto che conta della loro esistenza (e,
per gli oppositori, i ribelli, gli esuli praticamente lo
è). Ma anche sotto Mussolini o sotto Saddam, le città
sono piene di gente che nel frattempo manda i figli a
scuola, fa la spesa, va al cinema, va in chiesa o alla
moschea, si sposa... tutte cose che la dittatura rende
difficili, e che le bombe rendono impossibili.
Anche per questo credo che dobbiamo fare specialmente
caso al verbo usato nella canzone: «domata». Qui,
naturalmente, si parla soprattutto degli oppositori, dei
partigiani («ribelle»). Ma più ampiamente, l'idea che
l'effetto delle bombe sia quello di «domare» la città
si riferisce alla soggettività: una città domata non è
solo sconfitta, ma ha anche interiorizzato
l'inevitabilità e la giustezza della propria sconfitta.
In questo senso la canzone sembra anticipare la
terminologia della guerra in corso - quello «shock and
awe» che, come scrivono i suoi teorici James Wade e
Harlan Ullman, consiste nello «intontire, terrorizzare,
decapitare, spezzare la volontà di resistenza». Forse
la traduzione più giusta e letterale di «shock and
awe» va cercata nel manzoniano «percossa, attonita»:
sotto shock, appunto, e ammutolita davanti a un evento
luminoso di incomprensibile grandiosità.
Però qui c'è un altro problema. Già durante la seconda
guerra mondiale i bombardamenti erano accompagnati da
volantini che incitavano la popolazione a ribellarsi
contro Mussolini e contro i tedeschi, giustamente
indicati come la causa prima delle loro disgrazie. Lo
stesso è avvenuto in Irak, e l'invasione è stata
intrapresa con l'aspettativa che non solo non ci sarebbe
stata resistenza, ma che la popolazione si sarebbe
sollevata contro il suo sanguinario tiranno. Finora, di
questa sollevazione non c'è segno, salvo in territori
come il Kurdistan irakeno dove già esiste una struttura
sociale alternativa al regime. Ma come aspettarsi che una
società civile disarticolata dalle bombe, una massa di
individui intontiti e senza volontà, costretti a mettere
in primo piano l'esigenza elementare di sopravvivere
(senza acqua, senza elettricità...) - come si fa ad
aspettarsi che una società in queste condizioni, per
quanto odi il tiranno, trovi le energie e
l'organizzazione per insorgere? Più ancora: dopo aver
ridotto una società in questo stato, come si fa a
immaginare di poterci trovare le basi di una democrazia?
26 MARZO 2003
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DA - IL MANIFESTO
Senz'acqua,
«target militare»
La città di Bassora ora è un obiettivo militare per le
truppe britanniche. Ma ieri sera era ancora senz'acqua,
così come Umm Qasr. La Croce Rossa internazionale
descrive una crisi umanitaria
MARINA FORTI
La città di Bassora ora è «obiettivo militare». Lo ha
annunciato ieri mattina un portavoce del comando militare
britannico (le truppe britanniche hanno la
responsabilità dell'Iraq meridionale mentre quelle
statunitensi si dirigono verso Baghdad). Cosa vuol dire?
«Semplicemente che è un obiettivo perché ha un'enorme
importanza militare e politica», ha spiegato il
portavoce militare ai cronisti presso il Comando centrale
delle forze anglo-americane in Qatar. Tradotto: attorno
alla seconda città irachena, con una popolazione tra 1,5
e 2 milioni di abitanti, le forze della coalizione hanno
trovato forte (forse inaspettata) resistenza militare:
ora puntano a prendere la città. «Ci sono elementi che
consideriamo obiettivi militari: i fedayyin, la Guardia
repubblicana, le milizie del partito Baath che stanno
combattendo». Ma, aggiunge il portavoce, non intendono
entrare subito nell'abitato, «per paura di danni
collaterali» (vittime civili). Resta da vedere cosa
significa tutto questo per la vita materiale di Bassora.
Lunedì il Comnitato internazionale per la Croce Rossa
aveva lanciato un allarme, ripreso dal segretario
dell'Onu Kofi Annan e da agenzie umanitarie come
l'Unicef: la città, sen'acqua né luce, è sull'orlo di
una catastrofe umanitaria. Fino a lunedì ci sono stati
cannoneggiamenti, l'unica tv straniera presente a
Bassora, Al Jazeera, continua a mostrare feriti e
vittime. (Il corrispondente di Al Jazeera ieri sera ha
anche smentito la notizia di una rivolta popolare contro
il regime). Ieri i cannoneggiamenti sono cessati, e i
tecnici del Comitato internazionale per la Croce Rossa
(Icrc) hanno finalmente potuto raggiungere la centrale di
pompaggio e potabilizzazione dell'acqua di Wafa Al Qaed,
a nord dell'abitato: da venerdì pomeriggio è ferma
perché nei primi combattimenti sono stati interrotti i
cavi dell'alta tensione. Hanno portato un generatore
d'emergenza, ma perché l'impianto riprenda a funzionare
apieno bisognerà intervenire sulla centrale elettrica, e
poi bisogna aspettare che ci sia abbastanza pressione -
insomma, ieri sera a Bassora l'acqua non era ancora
tornata.
Una città sen'acqua da quasi 5 giorni è in crisi. I
tecnici della Croce rossa internazionale, insieme a
quelli dell'ente idrico municipale, erano riusciti sabato
a far funzionare con generatori altre stazioni di
pompaggio minori, ma coprono solo il 30 o 40% del
fabbisogno. «E non è acqua sana», ci dice al telefono
dall'Iraq Giuseppe Renda, operatore del Comitato
Internazionale per la Croce Rossa: «I miei colleghi
dicono che molti abitanti ormai vanno ad attingere acqua
nel fiume, lo Shatt-e-Arab. Considerate che Bassora è
già in una situazione molto fragile, intere zone hanno
solo fogne a cielo aperto. Tutto questo può diventare
drammatico». Già: in regime di sanzioni commerciali, le
magre risorse dello stato iracheno sono andate a
potabilizzare l'acqua, mentre il trattamento delle fogne
e acque di scarico è tralasciato e va tutto direttamente
nei fiumi. L'Unicef si allarma per la situazione di
almeno 100mila bambini sotto i 5 anni a rischio: le
malattie diarroiche sono già tra le prime cause di
mortalità infantile. L'Organizzazione mondiale per la
Sanità teme uno scoppio di queste malattie, compreso il
colera - già comparso in passato a Bassora.
Manca l'acqua anche a Umm Qasr, appena 4.000 abitanti,
che ieri le truppe britanniche hanno dichiarato
«pacificata». Anche qui acqua e luce sono andate via
appena cominciati i combattimenti, giovedì scorso: ieri
i reporter entrati al seguito delle truppe britanniche
hanno visto gruppi di persone che si avvicinavano alle
truppe per chiedere acqua, mettendo le mani a scodella
per farsi capire. Nel pomeriggio sono circolati veicoli
militari con altoparlanti per annunciare che presto
arriveranno acqua e aiuti - due piccole autobotti sono
arrivate in serata e hanno permesso alla popolazione di
riempire le taniche.
I portavoce militari dicono che gli aiuti più
sostanziali arriveranno oggi, una nave da cargo aspetta
solo che sia sminato il braccio di mare che porta proprio
a Umm Qasr, l'unico porto marino dell'Iraq. L'arrivo
degli aiuti è essenziale, per il comando
anglo-americano, «per far fronte all'emergenza
umanitaria» - e per risollevare la propria immagine: si
aspettavano di essere accolti come liberatori, almeno non
siano coloro che provocano la fame. Proprio lunedì sera
UsAid (l'ente Usa per gli aiuti internazionali) ha
firmato un contratto da 4,8 milioni di dollari per
gestire il porto di Umm Qasr: è andato alla società
Stevedoring Services of America di Seattle, Ssa, ed è il
secondo di otto contratti previsti per gestire la
ricostruzione dell'Iraq distrutto dalla guerra.
Giuseppe Renda però è preoccupato anche per le città
di Mosul e Kirkuk, nel nord dell'Iraq, al centro della
seconda zona petrolifera del paese. Renda ci parla da
Arbil, città settentrionale dell'Iraq, nella zona
autonoma di fatto dal governo centrale di Baghdad. La
Croce rossa Internazionale è delegata a occuparsi delle
vittime dei conflitti armati - e infatti è presente
nelle zone più difficili del mondo, nei teatri di
conflitto noti o dimenticati, dall'Afghanistan alla
Liberia - passando appunto per l'Iraq. Nelle ultime
settimane nel Kurdistan iracheno «abbiamo visto arrivare
migliaia di sfollati». Ci sono gli abitanti delle città
kurde nei territori autonomi, che hanno lasciato le
città per andare nei villaggi di montagna, presso
parenti e amici. Poi ci sono gli sfollati di Kirkuk e
Mosul, che invece sono nel territorio sotto sovranità
del governo di Baghdad (ma con importanti popolazioni
kurde): «Almeno duemila, duemila cinquecento persone che
hanno preferito mettersi al riparo nel territorio
semi-autonomo. E però i posti di passaggio al territorio
autonomo sono chiusi dal 19 marzo, cioè dallo scopio
delle ostilità». Gli sfollati hanno portato voci
disparate sulla situazione nelle due città. «Non
possiamo dare credito a voci incontrollate. Ma siamo
preoccupati, abbiamo chiesto accesso a Kirkuk e Mosul».
Per ora invano
26 MARZO 2003
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DA - IL MANIFESTO
FALCHI
Bombe e
bambini
Come si spiega la guerra ai bambini? Un esempio da non
seguire, chiarisce un editoriale di Ruggero Guarini su Il
Giornale di ieri, è quello della "sinistra
piazzaiola": «La visione del mondo che la sinistra
dei padri e dei nonni sta trasmettendo ai suoi figli e
nipoti mediante questa fatua e petulante pagliacciata non
stop della pace a tutti i costi è uno stomachevole
impasto di tutti i suoi sogni e miraggi abortiti. Di
tutte le sue eterne presunzioni culturali, vanaglorie
morali e imposture sentimentali. Di tutti i suoi eterni
rancori, i suoi inestinguibili odi, i suoi progetti
assassini in salsa - volta a volta - terroristica,
giustizialista o buonista». Ma la destra come spiega la
guerra ai bambini? Il Giornale, in un apposito
articolo, affida una risposta a Gianfranco Fini, che
indossa i panni di padre «e spiega la guerra come se
stesse parlando a suo figlio». Fini racconta che
«L'Iraq è un Paese sfortunato perché c'è un signore
molto cattivo. Dove i bambini non godono di nessun
diritto. Ora dei papà e delle mamme di un altro Paese
sono partiti per andare a liberare questi bambini...».
«Cercherei di spiegare la guerra a un bambino di 10 anni
- aggiunge Fini - dicendogli innanzitutto che bambini
come lui non possono andare a scuola. Bambini come lui,
quindi, non hanno diritto alla felicità». «I più
piccoli - puntualizza opportunamente l'articolo - devono
sapere ma senza strumentalizzazioni». (g.r.b.)
26 MARZO 2003
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DA - IL CORRIERE DELLA
SERA
Proteste, due
premi Nobel per la pace arrestati
La nordirlandese Mairead
Corrigan Maguire e l'americana Jody Williams in manette
insieme a 35 leader religiosi
WASHINGTON - Due premi
Nobel per la pace sono state arrestate dalla polizia
americana per proteste davanti alla Casa Bianca. La
nordirlandese Mairead Corrigan Maguire, Nobel nel 1976, e
l'americana Jody Williams, premiata nel 1997, sono state
ammanettate insieme a 35 leader religiosi e al pacifista
dell'epoca del Vietnam Daniel Ellsberg mentre erano
seduti nel parco antistante la Casa Bianca cantando
canzoni di pace e mentre inalberavano cartelli con foto
di vittime civili.
26 marzo 2003
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LE BALLE DI
FRATTINI
DA - IL CORRIERE DELLA
SERA
Appartengono
alla divisione di stanza alla caserma di Vicenza
Mille parcadutisti Usa
aprono il fronte nel Nord
Sono uomini delle forze
speciali, atterrati in territorio curdo: uno dei più
massicci lanci di paracadutisti nella storia recente
KUWAIT CITY - Si sta per
aprire in modo deciso anche il fronte nord della guerra
in Iraq. Mille paracadutisti americani si sono lanciati
in una zona del Kurdistan, nell'Iraq settentrionale, dove
si trova una pista di atterraggio che servirà come testa
di ponte per aprire il fronte del Nord. Si tratta di
uomini delle forze speciali cheappartengono alla 173esima
divisione aerotrasportata, riattivata nel giugno del
2000, normalmente di stanza alla caserma Ederle a
Vicenza. Proprio l'altro giorno il ministro degli Esteri, Franco
Frattini, era stato sollecitato dall'opposizione a render
conto delle indiscrezioni in merito a paracadutisti
americani in partenza da basi italiane per l'Iraq
Quello odierno nel Nord dell'Iraq è stato uno dei più
massicci lanci di paracadutisti americani nella storia
recente. Nei piani di guerra originari, l'avamposto
sarebbe dovuto essere aperto dalla Quarta divisione di
fanteria, scendendo sull'Iraq, via terra, dalla Turchia.
Ma il parlamento turco ha negato agli Usa l'uso delle sue
basi per l'invasione. La pista dovrebbe servire per far
arrivare altre truppe, carri armati e blindati. 26 marzo
2003
L'ARTICOLO PRECEDENTE IN
CUI IL MINISTRO FRATTINI AFFERMAVA DI NON SAPERE NULLA
«Aerei Usa dall'Italia
all'Iraq? Non ne so nulla»
Il ministro degli Esteri
risponde così alle indiscrezioni sui 1800 parà
americani partiti da basi italiane per Bagdad
ROMA - «Non siamo uno
stato belligerante e non sappiamo nulla di operazioni
militari, l'Italia non deve essere informata, perché noi
sulle operazioni militari sentiamo la Cnn come voi».
Così il ministro degli Esteri replica alla domanda se
avesse notizie di 1.800 paracadutisti americani che,
secondo l'opposizione, sarebbero partiti da basi italiane
per raggiungere l'Iraq violando quindi l'impegno in
Parlamento preso dal Governo. «Noi non siamo uno Stato
belligerante - ha detto Frattini - ho già detto che non
so assolutamente niente di operazioni militari. Le
apprendo come voi dalla Cnn. Non abbiamo soldati
impegnati, non abbiamo ufficiali quindi non lo so».
DIPLOMATICI ESPULSI - A margine dell'audizione alle
commissioni Esteri di Camera e Senato il ministro si è
espresso anche sulla questione dei diplomatici iracheni
espulsi dall'Italia che ha sollevato accese polemiche
nell'opposizione e portato allo scontro tra i poli «Stavano compiendo atti che
andavano contro la sicurezza del nostro Stato». Alla
richiesta di un commento alla dichiarazione del
vicepremier Fini, secondo il quale i diplomatici espulsi
probabilmente erano spie, Frattini risponde: «Ci sono
elementi che derivano anche da relazioni dei nostri
servizi. Il presidente Andreotti ha chiesto che vengano
conosciute le motivazioni dal comitato parlamentare sui
servizi segreti. L'importante è che non se ne parli in
pubblico».
SI' PARZIALE AGLI USA - Frattini ha precisato che la
richiesta di espulsione avanzata dagli Stati Uniti «non
riguardava queste quattro persone ma lintero
complesso della rappresentanza irachena. Non è stata
quindi accolta nei modi in cui gli Usa lavevano
formulata, perché abbiamo ritenuto che non ci fossero le
condizioni per chiudere la rappresentanza daffari:
labbiamo accolta fin dove lo ritenevamo
opportuno». Frattini ha puntualizzato che sui quattro
funzionari espulsi il governo «aveva già degli elementi
raccolti dai Servizi» prima della richiesta Usa. Le
motivazioni specifiche delle espulsioni, ha ribadito più
volte il ministro, «non possono e non saranno mai rese
pubbliche». Frattini non ha però escluso una eventuale
comunicazione su questa vicenda davanti al Comitato di
controllo sui servizi, come suggerito dal senatore a vita
Andreotti.24 marzo 2003
26 MARZO 2003
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DA - IL SOLE 24 ORE.
Attacco a
Baghdad, ultima opzioneFonti militari italiane spiegano
andamento e scenari futuri del conflitto. Come funziona
la "strategia flessibile" di Franks.di
Mattia Losi
La battaglia di Baghdad
potrebbe anche non esserci: questa almeno è la speranza
dei vertici militari anglo-americani. E se proprio fosse
necessario combattere nella capitale irakena
lattacco non potrà partire, salvo situazioni di
emergenza al momento imprevedibili, prima della metà
della prossima settimana.
Questa la convinzione espressa da fonti militari italiane
(che al momento non desiderano essere citate) sullo
svolgimento dellazione in territorio irakeno da
parte delle forze americane e inglesi. Fonti che ci
consentono di fare qualche precisazione sul reale
svolgimento della guerra, al di là delle semplici
interpretazioni o del parere degli analisti.
I TEMPI: la concezione di guerra rapida è molto diversa
per un militare o un civile. Quella in corso in Irak è
unavanzata rapidissima. Nessun militare poteva
pensare di risolvere davvero il conflitto in cinque o sei
giorni. E infatti nessun militare ha mai parlato di
"giorni". Se anche le azioni sul campo
dovessero durare altre due o tre settimane si tratterebbe
comunque di unazione molto rapida.
LA STRATEGIA: il vero
obiettivo, in questa fase, è arrivare presto a Baghdad.
Ma non sono quelle attualmente sul campo le forze
destinate, nel caso fosse necessario, a portare
lattacco nel cuore della capitale irakena. I
soldati impegnati nei combattimenti stanno svolgendo un
compito di preparazione per chi dovrà, in una seconda
fase, sostenere i veri scontri. La fase in corso punta a
stabilire un lungo corridoio "sicuro", che si
snoda su tre strade che vanno dal Sud al Nord del Paese,
allinterno del quale possano passare i convogli
logistici. E, subito dopo, le forze di combattimento.
Una strategia di questo tipo è resa possibile dal totale
controllo dello spazio aereo: le forze irachene non
possono muovere in forze, perché così facendo sarebbero
facile preda dei bombardamenti in quota. Restando sparse
sul terreno, al contrario, obbligano chi attacca a
operazioni singole e mirate, più difficili e rischiose.
Ma, per contro, le forze anglo-americane devono gestire
solo il rischio di piccoli attacchi e non di una vera e
propria azione concertata da parte delle Divisioni della
Guardia Repubblica. Che, se attuata, sarebbe addirittura
un inatteso "regalo" per laviazione
americana, che potrebbe facilmente distruggere le
formazioni dei blindati irakeni.
LA STRATEGIA
"FLESSIBILE": una delle novità
dellazione anglo-americana studiata dal generale
Franks, dal punto di vista militare, consiste nella
possibilità voluta fin dallinizio di cambiare
strategia durante il conflitto. Per esempio: dopo la fase
iniziale nella quale sembrava evitabile la presa di
controllo delle diverse città nel Sud del Paese, le
forze attaccanti si stanno preparando a un attacco per
avere il controllo di Bassora. In genere i cambiamenti di
stategia "in corso" vengono interpretati come
la risposta a errori di pianificazione. In questo caso,
invece, si tratta dellattuazione di quella che il
comando anglo-americano chiama "strategia
flessibile". Con la capacità di modificare i piani
rapidamente in base allevoluzione delle operazioni.
INTORNO A BAGHDAD: le
truppe che si stanno dispiegando intorno alla capitale
irakena, a circa 70 chilometri dalla città, stanno
attuando un dispositivo che verrà "riempito"
progressivamente dai supporti logistici e dalle forze di
attacco. Al momento la Divisione Medina della Guardia
Repubblicana mantiene i suoi uomini e mezzi dispersi sul
territorio. La situazione è quindi abbastanza simile a
quella che si verifica nelle zone al Sud e al Centro
dellIrak. Uno degli obiettivi delle forze
anglo-americane è proprio quello di provocare una
reazione della Guardia Repubblicana, che muovendo in
forze diventerebbe vulnerabile vista la superiorità
tecnologica dei mezzi corazzati americani e il totale
controllo dello spazio aereo.
Ma la vera scommessa, o auspicio, è costringere alla
resa la Guardia Repubblicana per evitare di dover
attaccare Baghdad in modo massiccio.
ATTACCO ALLA CAPITALE: la
speranza è di evitare unazione diretta sulla
città. Le informazioni che arrivano dal territorio
parlano di mezzi corazzati e pezzi di artiglieria
"interrati" alla periferia di Baghdad per
rendere difficile una loro localizzazione. Da questo si
può immaginare che i generali di Saddam desiderino uno
scontro cittadino, con tutti i problemi legati alla
guerriglia urbana.
Anche in questo caso, a fronte di oggettive difficoltà
nellattaccare mezzi nascosti a filo del terreno,
gli anglo-americani potranno godere di un vantaggio: i
mezzi interrati non possono essere spostati in tempi
rapidi. E, in caso di attacco alle spalle, sarebbero
spesso messi nelle condizioni di non poter fare fuoco.
Una ipotesi di azione, nel caso fosse necessario entrare
a Baghdad combattendo, potrebbe puntare così su truppe
paracadutate nelle zone centrali della città (dotate di
larghissimi e lunghissimi viali), destinate a
neutralizzare proprio prendendolo dalle spalle un settore
del perimetro di difesa. Consentendo, una volta eliminata
la resistenza, lavanzata delle truppe via terra.
Ma la battaglia dentro Baghdad resta lultima
ipotesi sul tavolo per il comando anglo-americano;
sarebbe comunque una lotta sanguinosa, destinata a fare
molte vittime.
ARMI CHIMICHE: al momento
resta unipotesi, che però non è stata
sottovalutata. Il rischio aumenta progressivamente man
mano che le truppe anglo-americane si avvicinano a
Baghdad. Difficile che unazione con armi chimiche
possa scattare in questa fase del conflitto, con le forze
attaccanti non ancora concentrate intorno alla capitale.
Gli irakeni peraltro sanno che la capacità di combattere
in ambiente chimico e batteriologico è decisamente
sbilanciata a favore degli americani. Ci sarebbero
sicuramente numerosi morti, ma forse i danni più gravi
li subirebbero proprio gli irakeni. Per questo le armi
chimiche potrebbero essere lultima carta del regime
di Saddam, che potrebbe averle già distribuite
allultima linea di difesa, quella attestata alla
periferia di Baghdad. Ma usarle qui, più che sui
militari, avrebbe effetti devastanti sulla popolazione
civile. E si spera che di fronte a questa ipotesi gli
stessi militari fedeli al Rais possano rifiutarsi di
usarle.
26 marzo 2003
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DA - IL MESSAGGERO
La
difesa degli iracheni
è primitiva, ma gli alleati
avrebbero conquistato
solo degli avamposti deboli
dal nostro inviato
VALERIO PELLIZZARI
si era scatenata, sicuri dei loro congegni elettronici. E
un bombardamento ancora più pesante, decisivo, veniva
minacciato per la notte, attorno allarea
dellhotel Rashid, che continua ad essere il cuore
di questo poligono iracheno circondato da cinque milioni
di civili. Sempre di più sembra che i missili e i
bombardieri debbano fare quello che i soldati a terra non
riescono ad ottenere.
Un portavoce al ministero dellInformazione afferma
che "molti missili" hanno mancato il bersaglio.
Sicuramente negli anni Ottanta in condizioni atmosferiche
simili gli elicotteri americani che dovevano portare in
salvo gli ostaggi di Khomeini impazzirono con i loro
strumenti e poi precipitarono nel deserto di Tabas, in
Iran. Anche gli stessi iracheni e gli stessi iraniani,
familiari con queste bufere, erano incapaci di volare
durante le operazioni militari dell87. Gli abitanti
normali di questa città, quelli che cercano un negozio
aperto per il pane o unautomobile che alle 10 di
sera li riporti a casa dopo il lavoro pagando pochi
dinari, appena vedono uno straniero ripetono questa
domanda infantile: come fanno gli aerei nemici ad essere
così sicuri di colpire giusto quello che devono colpire?
Un amico arabo è appena tornato da un viaggio di cinque
giorni a Bassora. Dice che secondo lui le forze
anglo-americane non riescono a venire avanti. Ma lui non
è un esperto di cose strategiche. Le autorità irachene
ieri invece sostenevano in modo più tecnico che gli
invasori non hanno preso nessuno dei loro obiettivi
Bassora, Umm Qasr, Nassiriya, Kerbala, Najaf,
Ninive ma solo zone disabitate esterne a queste
località. E sempre secondo i bollettini iracheni gli
americani cercano di rinforzare questi avamposti deboli
numericamente trasportando nuovi uomini, per strada, con
gli elicotteri, paracadutandoli. Lo ha detto Saddam e lo
dicono i soldati Usa in missione: combattere dentro il
territorio nemico è diverso che fare la guerra con gli
aerei.
Appese ad alcune palme gli americani hanno trovato delle
divise vuote e dei baschi: finti soldati, finti
obiettivi. Metodi di guerra primitivi, come le trincee
riempite di petrolio e pneumatici per nascondere i
bersagli con il fumo. Qualcosa di primitivo rimane anche
nei metodi di combattimento delle forze tribali, alle
quali Saddam continua a tributare omaggio, attive dalla
penisola di Fao almeno fino a Najaf. Le famiglie beduine
bombardate proprio in questa ultima zona avranno altri
motivi per scatenarsi contro gli invasori. Non sembrano
invece altrettanto determinati i riservisti allineati
davanti alle varie trincee ricavate negli ultimi giorni,
ai quali la propaganda mette in mano un microfono. Dicono
frasi di circostanza ma i loro occhi guardano tutti in
basso. A differenza invece di alcuni mullah militanti,
immortalati con il kalashnikov in una mano e il Corano
nellaltra.
Le bombe hanno sconvolto i ritmi della gente. Non
cè mai una fascia di tempo sicura, garantita,
magari anche breve, per addormentarsi senza incubi, per
lavarsi senza angoscia, durante il giorno e la notte.
Cambia la vita anche dentro gli stessi rifugi antiaerei.
In certi bunker ormai cè un cd con le preghiere
del mullah che viene trasmesso ininterrottamente e si
diffonde la lettura del Corano. Alla mattina la sveglia
viene data con disciplina alle 7,30 perché la notte è
passata ma pochi hanno veramente dormito. Possiede altre
protezioni il nunzio apostolico che anche ieri è andato
a visitare le sue parrocchie, aggredite come qualsiasi
altro edificio dai boati delle bombe. Sembrano invece in
balia della malasorte tutti quei lavoratori stranieri
sudanesi, etiopi, marocchini venuti qui per
i lavori umili in un Paese un tempo florido. Assieme a
loro anche i palestinesi. Abdul è nato a Hebron, venne
in Iraq quando Arafat con la sua impresa edile costruiva
la strada per il Kuwait. Poi è rimasto. Avanti e
indietro con il camion da qui alla Giordania. In questi
giorni non guida. Sta a casa, con la moglie e i figli.
Per lui e per gli altri civili ieri il portavoce
americano ammoniva: non usate lauto, restate in
casa, rimanete calmi. Fuori, per tutti, bufera di sabbia
e bombe.
26 MARZO 2003
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DA - IL MESSAGGERO
A una
società Usa il contratto per ricostruire Umm Qasr
NEW YORK -
L'amministrazione Bush ha concesso il primo contratto per
la ricostruzione in Iraq. Alla Stevedoring Service of
America (Ssa) di Seattle è stato affidato il compito di
far ripartire il traffico nello strategico porto di Umm
Qasr, con un accordo da 4,5 milioni di dollari stretto
mentre erano ancora in corso combattimenti in città.
La Ssa è una società a capitale familiare che gestisce
150 terminal in diversi porti del mondo. Il contratto
prevede la riapertura delle operazioni portuali a Umm
Qasr, unico porto iracheno in acque profonde. Lo sbarco
degli aiuti umanitari, previsto nei prossimi giorni,
inizierà prima dell'intervento della società.
L'appalto concesso alla Ssa è solo una parte dei
contratti che verranno stretti dall'americana Agency for
International Development per ricostruire Umm Qasr. La
società di Seattle gestirà i piloti che condurranno le
imbarcazioni ai moli, l'accesso al porto dei camion e la
sorveglianza degli impianti. Altri più lucrosi contratti
verranno stesi prossimamente per la vera e propria
ricostruzione.
La rapidità nel negoziare contratti «per ricostruire
ponti che ancora non sono stati bombardati», è stata
criticata dalla deputata democratica Maxine Waters, che
ha chiesto maggiore trasparenza nella concessione degli
appalti. Water intende ripresentare un emendamento
bocciato da una commissione della Camera, che punta ad
escludere dai contratti le società nelle quali hanno
lavorato pezzi grossi dell'amministrazione Bush nei
quattro anni precedenti all'inizio della presidenza. Nel
mirino c'è la texana Halliburton, guidata fino al
duemila dal vice presidente Dick Cheney.
Tramite la sussidiaria Kellogg Brown and Root, la
Halliburton è una delle sette compagnie americane che si
sono candidate per i principali appalti della
ricostruzione. E proprio alla società statunitense che
ha avuto come chief executive officer l' attuale
vicepresidente Usa, Dick Cheney, sembra essersi già
aggiudicata anche un contratto per gestire i pozzi
petroliferi di Baghdad nello scenario del dopo-conflitto.
26 MARZO 2003
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DA - L'UNITA'
Non
belligeranti? No, neutrali "benevoli" e
"qualificati"
di Fabio
Luppino
Un po a favore e un
po no. Il governo ha messo lItalia in
rapporto al conflitto in una posizione di mezzo. Non
belligeranti (anzi, come dice Giovanardi, il governo ci
ha posti in una inedita "neutralità benevola e
qualificata") ma alleati, con gli Stati Uniti e con
lOnu, con lEuropa e, per non farci mancare
nulla, contro Francia e Germania.
Come tutti i termini di mezzo il problema è sapere la
metà del tutto in cui siamo verso cosa ci protende. Se
la non belligeranza può un giorno diventare
a-belligeranza o probelligeranza. Insomma il nostro
bicchiere (mezzo) è mezzo pieno perché se fosse tutto
saremmo un paese pacifista o e mezzo vuoto?
Come si dice, anche con il mezzo quel che contano sono i
fatti. Al momento occorre registrare due situazioni non
edificanti. Alla vigilia della guerra il capogruppo ds
Gavino Angius ha chiesto al governo lumi su 22 soldati
italiani che, secondo le sue informazioni, sarebbero
impegnati nel Golfo in operazioni di guerra. Il governo
del "non" è stato coerente: non ha risposto.
Domenica scorsa scoppia il caso dei diplomatici iracheni.
Gli Usa chiedono di cacciare quelli presenti nella
rappresentanza diplomatica italiana, il ministro Frattini
li accontenta. Le opposizioni chiedono perché e il
ministro dà risposte vaghe, insomma "non"
risponde. Ieri, sempre Frattini, doveva riferire in
Parlamento. La maggioranza lo consiglia per il meglio e
gli impone di "non" andare. Quindi, al momento
non si sa perché lItalia promuove espulsioni di
diplomatici pur essendo in stato di non belligeranza. Una
democrazia che non in guerra non informa è un po
più fragile. "Non", è.
26 MARZO 2003
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DA - L'UNITA'
Tempo di
guerra, tempo di bugie
di Robert
Fisk
Finora le forze armate
angloamericane hanno servito la propaganda agli iracheni
su un piatto dargento. Anzitutto sabato ci è stato
detto grazie alla cortesia della Bbc che
Umm Qasr, la minuscola cittadina portuale irachena sul
Golfo, era «caduta». Perché per la Bbc le città
debbono «cadere» resta per me un mistero;
lespressione viene dal Medioevo quando le mura
della città crollavano sotto lassedio.
Poi ci è stato detto ancora una volta dalla BBC -
che Nassariyah era stata catturata. Poi il suo
corrispondente «al seguito» ci ha informato e
qui le mie sospettose antenne da vecchio giornalista si
sono drizzate che era stata «bonificata».
Perché la BBC dovrebbe usare lappariscente
espressione militare «bonificata» anche questo per me
è un mistero. «Bonificata» dovrebbe suonare come
«catturata», ma quasi invariabilmente significa che una
città è stata bypassata o semi-circondata o, nel
migliore dei casi, che un esercito invasore è a mala
pena arrivato nei quartieri periferici. E come volevasi
dimostrare nel giro di 24 ore si è saputo che la città
musulmana sciita a ovest della confluenza tra il Tigri e
lEufrate, era tuttaltro che «bonificata»,
infatti non era stata occupata tanto è vero che 500
soldati iracheni appoggiati dai carri armati combattevano
ancora a difesa della città.
Con che gioia il vicepresidente iracheno Taha Yassin
Ramadan ci ha informato ieri che «sostengono di aver
catturato Umm Qasr, ma ora sapete che è una menzogna».
Con quale felicità il ministro dellInformazione
iracheno, Mohamed Said al-Sahaff, si è vantato ieri che
Bassora è ancora «in mani irachene», che le «nostre
forze» a Nassariyeh stanno ancora combattendo.
E avevano ben ragione di vantarsi perché a dispetto di
tutti gli sproloquii degli americani e degli inglesi in
Qatar, quanto gli iracheni affermavano al riguardo era
vero. Le solite rivendicazioni irachene di aerei
americani e inglesi abbattuti quattro «colpiti
dalla contraerea» intorno a Bagdad e uno vicino a Mosul
sembravano più credibili alla luce del fatto che
gli iracheni erano riusciti a dimostrare che la
capitolazione delle loro forze al sud non rispondeva al
vero a parte il filmato dei prigionieri trasmesso
ieri sera.
Sappiamo che gli americani stanno usando nuovamente in
Iraq munizioni ad uranio impoverito come fecero nel 1991.
Ma ieri la BBC ci ha detto che i Marines degli Stati
Uniti avevano chiesto lintervento aereo degli A-10
per colpire le «sacche di resistenza» ancora un
po di gergo militaresco da parte della BBC
ma si è dimenticata di ricordare che gli A-10 usano
proiettili ad uranio impoverito. Quindi per la prima
volta dal 1991 noi loccidente stiamo
impiegando in Iraq meridionale bombe ad uranio
impoverito; e non ce lo dicono nemmeno. Perché no? E da
dove viene, per lamor di Dio, lignobile e
quanto mai disonesta espressione «forze della
coalizione»? Non cè nessuna «coalizione» nella
guerra in Iraq. Ci sono gli americani, gli inglesi e
qualche australiano. Tutto qui.
La «coalizione» della guerra del Golfo del 1991 non
esiste. La «coalizione» delle nazioni disposte a «dare
una mano» a questo conflitto illegittimo include, a
voler lavorare di fantasia, anche il Costa Rica e la
Micronesia e, suppongo, la povera, neutrale Irlanda che
ha concesso il diritto di transito agli aerei militari
americani a Shannon. Ma non sono «forze della
coalizione». Perché la BBC usa questa espressione?
Nemmeno durante la seconda guerra mondiale e non
pochi giornalisti sono convinti che stanno «coprendo»
proprio quella guerra dicevamo questa menzogna.
Quando sbarcammo sulle coste del Nord Africa nel corso
dellOperation Torch, lo definimmo «sbarco
anglo-americano».
E questa è una guerra anglo-americana che ci piaccia
giornalisti «al seguito» compresi oppure
no. Gli iracheni sono furbi abbastanza da ricordarsene.
Sulle prime annunciarono che i soldati americani o
inglesi catturati sarebbero stati trattati come
mercenari, una decisione che ieri è stata saggiamente
corretta dallo stesso Saddam quando ha dichiarato che
tutti i prigionieri sarebbero stati trattati «secondo la
Convenzione di Ginevra».
Alla fin fine, non è stato un gran fine settimana per
Bush e Blair. Né, ovviamente, per Saddam anche se
questultimo gioca alla guerra da quando Tony Blair
era un ragazzino. E anche quei giornalisti che sono stati
talmente coraggiosi da cercare di capire da soli cosa sta
succedendo senza la protezione dellesercito
ad esempio una troupe della ITC vicino a nassariyah
stanno rischiando la pelle.
Ed ecco una domanda fatta da uno che appena una settimana
fa era convinto che Bagdad sarebbe caduta senza colpo
ferire e che una bella mattina ci saremmo svegliati
scoprendo che la milizia baathista e lesercito
iracheno se ne erano andati e che gli americani, fucili
in spalla, percorrevano la via Saadun. Se gli iracheni
dopo quattro giorni resistono ancora contro forze
soverchianti a Umm Qasr, se continuano a combattere a
Bassora e a Nassariyah questultima città
insorse contro il regime di Saddam nel 1991 - perché le
forze di Saddam non dovrebbero battersi a Bagdad?
Certo, la storia irachena non sarà completa senza un
altro capitolo del «martirio» nelleterna
battaglia del paese contro le forze straniere di
occupazione. Gli ultimi combattenti di Umm Qasr
diventeranno negli anni a venire qualunque sia il
destino di Saddam uomini ricordati nelle canzoni e
nelle leggende. Molto tempo fa gli egiziani fecero la
stessa cosa per i loro uomini uccisi a Suez nel 1956.
Naturalmente potrebbe essere un calcolo errato. Quella in
mano ai giocatori potrebbe non essere una mano stupenda.
Ma allimprovviso, durante il fine settimana, la
guerra rapida e facile, il conflitto dello «stupore e
terrore» lespressione del Pentagono è un
classico slogan tratto dalle pagine della vecchia rivista
nazista Signal - non sembra così realistica. Le cose
stanno andando male. Non stiamo raccontando la verità. E
gli iracheni se ne stanno approfittando alla grande.
© The Independent
Traduzione di Carlo Antonio Biscotto
26 MARZO 2003
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