LA MANIFESTAZIONE DEL 2 MARZO 2002 COMMENTATA DALLE PAGINE DI ALCUNI QUOTIDIANI

CORRIERE DELLA SERA

Una grande folla di centinaia di migliaia di persone a Roma, sotto le bandiere dell'Ulivo, contro il governo Berlusconi. I fatti che si intrecciano in questi giorni pongono nuovi interrogativi alla sinistra. Dall'intervento di Nanni Moretti in piazza Navona al girotondo intorno al Palazzo di Giustizia di Roma, dall'incontro tra Ds e intellettuali alla «giornata della legalità» con i 40 mila di Milano. Dall'Ulivo che abbandona l'aula al momento del voto sul conflitto d'interessi, alla manifestazione di Roma. E' davvero cominciata una rinascita della sinistra?

IL MATTINO

L’Ulivo raccoglie a Roma migliaia di manifestanti: 120 mila per la Questura, 500 mila per gli organizzatori
La sinistra riscopre la piazza
Rutelli: «Finalmente è suonata la sveglia». Fassino: «Ricomincia la vera sfida»
D’Alema e i ds sicuri: «Il movimento crescerà ancora e torneremo al governo»

Quanti erano? Cinquecentomila, dicono trionfanti i leader dell’Ulivo; non più di centoventimila secondo la Questura di Roma. La solita guerra dei numeri. Una cosa è certa: ieri a Roma c’è stata una grande mobilitazione, con politici, intellettuali, gente comune uniti dalla voglia di manifestare contro il governo e di riaffermare le ragioni della sinistra e la forza della piazza. Rutelli ha esclamato: «È suonata la sveglia». Fassino gli ha fatto eco: «Oggi è ricominciata la sfida a Berlusconi». Ottimista D’Alema: «Torneremo al governo», mentre Angius, leader dei senatori ds, argomenta: «Un movimento come quello che sta nascendo nel Paese non si fermerà». Tra i manifestanti anche molti napoletani, in testa il presidente della Regione Bassolino.

BERLUSCONI

Per Berlusconi «c’è chi non accetta le regole democratiche e si aspetta una spallata al governo da colpi di piazza e di malagiustizia». «In Italia - dice ancora il premier - c’è il vento dell’odio giacobino, un odio quasi ideologico, e ci sono le piazze che inveiscono e diffamano». Sull’articolo 18, Berlusconi si dice disponibile «a fare un passo indietro in presenza di nuove proposte». Ma Cofferati resta irremovibile. Al congresso della Lega, intanto, Bossi polemizza sull’Europa, mentre Speroni propone una «giustizia federale».

«Questo è Ulivo selvatico»
protesta Pecoraro Scanio

«È la vittoria dell' Ulivo selvatico sull'Ulivo moderato»: questo il commento del presidente dei Verdi, Alfonso Pecoraro Scanio, subito dopo la manifestazione a piazza San Giovanni. «È quello che è emerso anche dagli umori della piazza - ha aggiunto Pecoraro - cioè un Ulivo per la legalità e per l'ambiente, per un'opposizione rigorosa a Berlusconi». Pecoraro ha giudicato poi un «errore» non aver fatto parlare Di Pietro, «visto che Di Pietro aveva chiesto la parola e che anche Bassolino aveva insistito per dargliela. Speriamo di rimediare invitandolo nel nuovo Ulivo».

Casarini: «Un funerale, quello di Roma»

Messaggio dei NoGlobal, che hanno manifestato a Bologna contro i Centri di permanenza immigrati, al popolo dell'Ulivo che manifestava a Roma: «A quelli che stanno manifestando a Roma io dico "amen" - ha dichiarato Luca Casarini - A quella manifestazione io non ci sono andato perché mi sono stufato di andare ai funerali. Manderò un telegramma a Rutelli e gli dirò condoglianze. Qui, a Bologna, c'è festa, energia, magari caotica. Ma lì, a Roma, ci sono veramente i funerali di prima classe. Spero che sia uno degli ultimi funerali che fanno».

IL CORTEO
A ROMA


«È suonata la sveglia»: messaggio ricevuto, assicura Francesco Rutelli. Lo aveva detto prima di lui Piero Fassino: «Quando si perde, c’è sempre un tempo per riassorbire lo choc, la botta e i lividi. Quel tempo è finito. C’è voglia di riscossa e siete stati voi a soffiar via la cenere che la copriva». Insomma, «da qui e da oggi» riparte l’Ulivo. Le parti si sono invertite: la piazza chiama e la politica risponde. È vero, la manifestazione fu annunciata prima di Moretti e dei girotondi. Ma senza Moretti e i girotondi, senza i professori e l’Ulivo selvatico, è facile pensare che non sarebbero stati in tanti in piazza San Giovanni.
«Unità», è lo slogan gridato più d’ogni altro: «Unità, unità e Berlusconi se ne va» come garantisce una assordante signora per tutto il percorso. Unità tra le tante anime che in partenza sono una risorsa ma se litigano sono la sconfitta. Il centrosinistra ha tante voci, le ha mostrate tutte anche ieri. Ma da ieri - giura Pierluigi Castagnetti - «è difficile per tutti sfuggire alla richiesta di unità. È assolutamente ineludibile.
Il centrosinistra è Francesco Rutelli che promette «sappiamo che dobbiamo guidare la coalizione partendo da due concetti: la destra divide, l’Ulivo vuole unire l’Italia». Sullo schermo - tra fischi assordanti - scorrono le immagini di Berlusconi che giura che i pensionati «avranno il milione a partire da gennaio, con la nuova finanziaria»: «Grazie all’inettitudine del governo, la grande maggioranza dei pensionati resta a bocca asciutta». Il centrosinistra è anche quell’uomo che dice a Rutelli «verranno giorni migliori» per sentirsi rispondere «oggi è già un giorno migliore». Un giorno per denunciare la politica di occupazione dell’informazione o l’eterno conflitto d’interessi
Il centrosinistra è anche la signora bolognese che implora Fassino: «Tieni duro e, mi raccomando, mangia». Vedi mai che se ingrassasse un po’, starebbe meglio anche il partito. Quel partito che incoraggia il suo capo con pressanti «resistere, resistere» e si sente rispondere «sconfiggere, sconfiggere, sconfiggere»: sconfiggere la destra dimostrando che «abbiamo un progetto per una società di cittadini e non di individui, una società di diritti e servizi». «Il diritto di governare - dice Fassino - non è una cambiale in bianco, dà il diritto di attuare un programma non di disporre delle regole: sarebbe come se un guidatore di bus, vinto il concorso da autista, invece di rispettare il percorso decidesse di andare a casa sua con tutti i passeggeri. Vogliamo scendere e tornare a casa nostra, onorevole Berlusconi».
Il centrosinistra è anche Clemente Mastella contento di esserci ma convinto che «questo non basta: bisogna dire parole di centro per convincere chi ha scelto l’altra parte». È anche Bertinotti che ha deciso di non esserci e viene fischiato. È Maura Cossutta che traduce la piazza in «uno scossone di forza e unità» convinta che «ci sia tanta gente che aspetta solo di esser chiamata e mobilitata su un progetto». Ma è anche il kamikaze socialista Luciano Pellicani che solleva una salva di fischi predicando contro «l’indignazione permanente». O Antonio Di Pietro che è venuto ma scalpita perché, come tanti, non parlerà e dice che sì, è per l’unità, ma «con chi Berlusconi lo combatte coi fatti, non a parole». O ancora il sorridente Giovanni Berlinguer che, dopo «questa prima risposta», chiede alla coalizione «risposte in termini di indicazioni programmatiche». Lo dice anche Pierluigi Castagnetti: «Questa non è l’antipolitica. È il nostro popolo che ha capito che da soli, in un Parlamento reso inutile, non ce la facciamo. Ci vuole un governo ombra: non dobbiamo seguire l’agenda di Berlusconi ma produrre un progetto. È la politica che unisce l’Ulivo, non i coordinamenti».
Le luci si spengono, la gente inizia a sfollare. È sorridente anche Giorgio Napolitano: «Sì, è stato importante. Ma ora... l’importante è durare».

IL MANIFESTO

Due uomini in fuga

Berlusconi e Previti chiedono che il processo Sme venga allontanato da Milano. Perchè la procura fa politica, Borrelli la resistenza e quelli del Palavobis avvelenano il clima. Una città infida, insomma, nonostante sia la patria del capo del governo e sia governata da un sindaco di Forza Italia

Scoppia lo scontro nel mondo politico. L'Ulivo accusa: il premier apre un conflitto istituzionale. I magistrati a congresso accolgono il ministro Castelli con un silenzio di ghiaccio. Applausi per l'ex presidente Scalfaro che li invita a resistere.@ E oggi a Roma l'opposizione scende in piazza

C'è poco da ridere
LUIGI PINTOR

Una risata vi seppellirà. Bei tempi quando una gioventù ottimista pensava di liberarsi così facilmente dei potenti e dei prepotenti della terra. Ahimè, siamo noi a rischiare di essere seppelliti dalla risata, dallo sghignazzo, della nuova razza padrona che impazza al governo.
Non è una legge ma appunto uno sberleffo e un'irrisione che un grande proprietario non possa allenare una squadra di calcio ma possa presiedere un consiglio dei ministri per governare in funzione dell'interesse privato sovrapposto al bene pubblico. Trecento e otto sberleffi, neanche i tenutari di Las Vegas ridono tanto sebbene sia un casino e non una repubblica.
Berlusconi può permettersi questo e altro, agisce come un bullo compressore perché in questo mondo il sistema proprietario è l'architrave intangibile della società e l'unità di misura di tutte le cose, intollerante di lacci e lacciuoli (cioè regole, norme, limiti, escogitati nei secoli dal pensiero liberale non meno che socialista). Chi pretenderebbe che l'avvocato Agnelli venda la Fiat (la Juventus mai) se vuole ascendere al Quirinale? E' come pretendere uno statuto da un re medievale.
Non sono passati cinquant'anni ma mille dal 13 maggio 1947 (curiosa, questa ricorrenza del 13 maggio) quando fu approvato l'articolo 42 della Costituzione repubblicana in questi termini: "la proprietà privata può essere, nei casi preveduti dalla legge e salvo indennizzo, espropriata per motivi di interesse generale". Una costituzione liberaldemocratica con tratti socialisti secondo Berlinguer, una "trappola" secondo gli anticomunisti dell'epoca. Si dà infatti il caso che oggi governano i ragazzo di Salò.
Ovvio che una repubblica rifondata sulla proprietà così intesa non sia più fondata sul lavoro come ancora c'è scritto sulla carta. L'articolo I della medesima costituzione è già stato formalmente cancellato ieri e quando altri 308 voti bulgari cancelleranno l'articolo 18 dello statuto dei lavoratori torneremo al bracciantato e al caporalato. Rose e fiori, tuttavia, a confronto della nuova legge negriera sugli immigrati. Redatta da un analfabeta come Bossi in tandem con un alfabetizzato come Fini questa legge inventa perfino la parola "badante" per indicare una nuova figura sociale: femmine a servizio di cani e anziani, che avranno cittadinanza perché più utili e meno pericolose degli operai usa e getta del nord-est e degli stagionali del sud-ovest.
Dice D'Alema, che spesso confonde il solstizio con l'equinozio, che non c'è un minaccioso regime in atto o in divenire. Ci crederò se lo diranno con altra forza le piazze il 23 marzo e anche oggi e il corpo sociale il 5 aprile. Con molta forza, perché non ci basta una risata. Se penso alla sorte dei profughi palestinesi o dei bambini di Kabul o ai presidi americani in Georgia o alla pianificazione della guerra irachena, allora anche le sei televisioni di Las Vegas e le piste anarchiche di Scajola non mi fanno più ridere.

IL SOLE 24 ORE

Conflitto d'interesse, ok all'art.6

L'aula della Camera ha approvato l'articolo sei della legge sul conflitto di interessi che riguarda le funzioni dell'autorità antitrust. I voti a favore sono stati 274, i no 209 e due astenuti. La norma prevede che l'autorità antitrust dovrà vigilare sul rispetto delle norme e sugli atti dei ministri. Potrà in caso di violazione «promuovere» la rimozione o la decadenza dalla carica. In questo articolo è contenuta quella che per maggioranza e governo è la sanzione più forte all'operato di ministri che dovessero incorrere in un conflitto di interessi: la comunicazione «motivata» al Parlamento del danno arrecato. E in più un parere sulle misure per porre «rimedio tempestivo» alle violazioni e indicazioni per evitare che si ripetano casi analoghi. L'antitrust non può annullare l'atto di un ministro ma può suggerire i rimedi. L'opposizione aveva chiesto un'autorità a parte con poteri specifici.

L'UNIONE SARDA

di Alberto Testa Davanti ai 500 mila in piazza (massimo 120 mila per la Questura, ma il dato, come spiega L’Unità va moltiplicato per quattro, mistero algebrico) i colleghi del "quotidiano fondato da Antonio Gramsci" riscoprono il gusto perduto delle cronache militanti. C’è sì o no l’emergenza democratica, siamo o no col fascismo alle porte? Fosse solo quello. Sentite: "Ogni delegazione - scrive la redazione on line - s’è inventata un particolare,un segno distintivo, un messaggio. Dal gruppo di ballerini della Sardegna, ai pensionati della Toscana, ciascuno con una t-shirt diversa.Una bellissima, fatta a mano, aveva il logo di Forza Italia perfettamente ricopiato. Solo che c’era scritto: Forza Mafia". Un clima da democrazia compiuta, da rispetto dell’avversario, in perfetto stile social-liberal-riformista. Non basta? Il serafico Gad Lerner legge il messaggio di Roberto Benigni (comico di riserva, dopo il giullare del Palavobis) costretto a letto dall’influenza. Un messaggio davvero tutto politico e per niente offensivo: " Approfitto di questi giorni di forzato riposo per mettere a posto alcune cosucce che mi erano rimaste indietro: falsificare due o tre bilanci e far rientrare i capitali dall’estero..." Un’altra star della sinistra cine-televisiva, Sabrina Ferrilli, non lancia ne’ baci ne’ messaggi, ma basta e avanza la sua presenza. Riesce a far tornare il sorriso persino a Rutelli e Fassino, reduci dai fischi morettiani, mentre l’intrepido Pietro Folena (l’altro ieri alla Camera faceva il pirata all’arma bianca) si tormenta col solito telefonino. Ma chi lo chiama quando sta in corteo e poi addirittura sul palco? Fidel Castro o Woody Allen? Chiederò i tabulati alla Telecom. Il popolo della sinistra è fatto così, di slogan qualche volta azzeccati ("Art.18-Licenziamo il presidente operaio per giusta causa"), di qualche striscione da ironia involontaria ("Fassino c’è", ricordano i compagni di Carmagnola, patria del peperone), ma anche di insulti pesanti e di sberleffi. Giusto per dire siamo vivi, siamo qui e soprattutto siamo uniti. Ma purtroppo distanti anni luce dai raduni di sfavillanti bandiere rosse, sempre nella mitica piazza San Giovanni, dove Berlinguer poteva mostrare con orgoglio la copia de L’Unità con un titolo di scatola: "Eccoci !". Ma era un segno di vittoria, non solo di serietà. E non c’erano i clown, le bonazze d’annata, i direttori di giornale scopertisi frichettoni, insomma "i Nanni e le ballerine" del nuovo corso ulivista. Intendiamoci, c’erano tutte le ragioni del mondo per la chiamata alla piazza, per i cortei che uniscono almeno per la durata di una sfilata. Lo sfogatoio sui sampietrini non riscalda solo la diretta tv, ma anche il cuore dei militanti dopo lo choc della sconfitta. Ma il "Pinocchio" Berlusconi ha tutto il diritto di reclamare che "soffia il vento dell’odio giacobino, del livore ideologico, delle piazze che urlano, inveiscono, diffamano e condannano". dei dati è comunque tutelata a norma di legge.    

L'UNITA'

Non è che un inizio
di Furio Colombo

Un giorno i politologi e gli esperti di comportamento collettivo studieranno questo fenomeno: una moltitudine di persone di tutte le età (a piazza San Giovanni il 2 marzo c’erano bambini e ottantenni, adulti e adolescenti, un mare di donne di tutte le età) si mobilita praticamente da sola per partecipare alla politica, per esserci; per contare, per sostenere, sono venuti a dire ai leader politici in cui hanno fiducia: contate su di noi.

Credo di poter dire che ciò che è accaduto in rapide sequenze in questi giorni in Italia, piazza Navona, i girotondi ai palazzi di Giustizia, i diecimila di Firenze, i quarantamila di Milano, i quarantamila di Napoli e adesso (ma siamo solo all’inizio) i seicentomila e più di Piazza San Giovanni, a Roma, non ha alcun precedente, certo non in Italia. Il senso degli eventi che ho citato negano o cambiano tutto ciò che sappiamo o crediamo di sapere sul rapporto fra i cittadini e la politica. Mai prima era accaduto questo farsi avanti di decine di migliaia di persone che si mobilitano per dire: voglio esserci anch’io. Voglio partecipare e voglio essere ascoltato.

I lettori sanno (perché c’erano tantissimi lettori dell’Unità, con l’Unità bene in vista in Piazza San Giovanni) che questa immensa manifestazione risponde a un invito. Ma è qui la differenza inaspettata e incredibile rispetto al passato. C’era l’invito, a venire. E’ stato fatto con calore e al momento giusto al popolo dell’Ulivo. Ma tutto il resto, dire di sì, organizzarsi, per ciascun gruppo, famiglia, individuo che avrebbero composto un parlamento di seicentomila è stata la somma di una infinità di iniziative e comportamenti e decisioni spontanee. Qui non ci sono né le grandi somme di danaro né le strutture e i servizi solidamente finanziati delle piazze di destra.

Chi ha partecipato ieri al corteo e alla manifestazione mentre parlavano Fassino e Rutelli e vissuto quelle ore indimenticabili, sa che in Piazza San Giovanni non c’è alcun distacco fra Palavobis e San Giovanni, fra Napoli e Roma, fra il reticolato di interventi e movimenti e autoconvocazioni e l’evento di Roma. E’ un evento politico? Sì, nel modo più bello e profondo. L’impressione era che ciascuno fosse in quella piazza per una ragione sua, profonda e condivisa con ognuno degli altri. L’impressione è stata che Fassino e Rutelli (e D’Alema, che non ha parlato ma tutti hanno visto alla testa del corteo) hanno risposto in piazza alla domanda appassionata, di ognuno e di tutti, per sapere che opposizione faremo, quando, come, con chi. E’ la persuasione di dialogo, di dire e ascoltare e parlare e rispondere, che ha dato all’evento di San Giovanni un senso di grande mobilitazione ma anche di una bella, grande festa popolare realizzata direttamente dalle centinaia di migliaia di cittadini che hanno provocato l’invito e poi lo hanno entusiasticamente accettato.

Non so se Berlusconi creda davvero che «c’è il vento dell’odio giacobino, e ci sono le piazze che urlano, inveiscono e diffamano». Lo ha detto in televisione e questo non gli giova. Viene voglia di dire all’imprenditore: Dottor Berlusconi, è sicuro che le conviene mostrare di non capire niente degli umori della gente? Il suo famoso, mitico mercato sembra stanco del suo prodotto. Meglio saperlo, no? Non ha gridato, non ha urlato, non spende le proprie energie a odiare, quel vasto schieramento di cittadini. E quelli che votano per lei, mi consenta, non sono perduti in un sogno d’amore, hanno solo voluto provare i suoi prodotti e forse si stanno pentendo. Solo i dittatori pretendono di essere amati.

Pensare e dire ad alta voce che seicentomila persone che hanno deciso di venire e che hanno voluto incontrare i propri leader perché «si illudono di dare una spallata al governo» sembra una cosa stupida, prima che estranea alla politica. Cosa dirà il pover’uomo quando vedrà il 5 aprile nelle strade d’Italia i lavoratori dello sciopero generale? Forse anche lui sospetta che il suo sia un cattivo governo, egoista, avvolto negli interessi di pochi, prepotente, maleducato e scortato dalla gente poco raccomandabile della Lega padana. Ma, come dicono sempre le mamme, almeno le buone maniere. Fai finta di rispettare l’opposizione e puoi anche essere scambiato per un democratico. Ascoltando frasi del genere, per tanti di noi riesce difficile crederlo.

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Conta una manifestazione bella, grandiosa e pacifica contro un governo, una manifestazione che ha una voce imponente ma nasce e vive - per la sua stessa natura e la sua storia - dentro la democrazia? Conta perché in essa si sono agganciate la vasta opposizione che sta percorrendo tutto il Paese e che continuerà a moltiplicare testimonianze di partecipazione e presenza, e i politici che la rappresentano in Parlamento. Il bello di Piazza San Giovanni era che i politici (deputati, senatori, parlamentari europei) i pochi che hanno parlato e i molti che c’erano, non apparivano come un gruppo a parte, con una psicologia e una sociologia diversa, come spesso accade. Erano lì in piazza, parte del corteo e della celebrazione della volontà di opporsi, in un rapporto nuovo, ciascuno mischiato con tutti i seicentomila del 2 marzo che hanno parlato (con la loro presenza, i loro cartelli, i loro striscioni, le loro parole e grida e applausi e interruzioni e indignazione sacrosanta e condivisa da tutti). Essi hanno ascoltato due discorsi e un unico grande impegno: mai separarsi da chi dà il senso e la forza e il sostegno per quello che fai. Mai pensare che la politica vada per una sua strada di specialisti e gli altri ti vengono dietro. Ieri c’è stata una vasta presenza di uomini e donne che hanno posto le loro condizioni. Eccole: vogliamo sapere, vogliamo ascoltare, vogliamo essere ascoltati, vogliamo sentire alta e chiara la voce di chi ci rappresenta. Siamo noi la politica. Mi sembra che Fassino e Rutelli abbiano detto: impegno preso.