Il caso di Marcello Lonzi: carcere e paura della veritàFederazione Nazionale dell'Informazione dal e sul carcere, 9 febbraio 2006 Ci sono alcuni fatti che nella cronaca carceraria rischiano di assumere un tono scontato, quasi di normalità. E questo non perché avvengano con unelevata frequenza, ma perché la dinamica di quel che è accaduto, liter investigativo, il percorso giudiziario assumono delle similitudini che non possono che far riflettere. È così la storia di Marcello Lonzi di 29 anni, trovato morto nella sua cella in una pozza di sangue con il cranio fracassato: siamo all11 luglio del 2003. Secondo lautopsia la morte sarebbe dovuta a cause naturali, il famigerato arresto cardiaco che in carcere assume ormai, giustamente o meno, un senso cinico dellovvio: il cuore ha cessato di battere, come se normalmente ci fosse alternativa in caso di morte ad un sintomo del genere. Liter giudiziario lo potete leggere sul sito di "Ristretti http://www.ristretti.it/areestudio/disagio/lonzi/index.htm e sulla newsletter del 3 febbraio 2006, e non è su questo che ci vogliamo soffermare, anche perché è tristemente simile ad altri, di altre storie che si sono interrotte dietro le sbarre, storie di giovani, di persone anziane, di uomini come di donne a cui il carcere ha arrestato il cuore: persone morte per cause naturali. Sono delle situazioni dove ormai cè un senso di abbandono, di rassegnazione, dove neanche lurlo di una madre disperata arriva a far sperare in un po più di verità, e questo solito esito dove il massimo accertabile è che il cuore di Marcello si sia fermato lascia un sapore strano in bocca, soprattutto per chi il carcere lo conosce. Ora la magistratura avrà sicuramente fatto il suo lavoro, avrà accertato laccertabile, i medici avranno fatto la loro parte, certificando il certificabile, i testimoni saranno stati onesti ed avranno raccontato tutto quello che cera da raccontare, eppure in questi episodi che avvengono dentro le carceri cè quasi sempre qualcosa che non va. Sarebbe fin troppo semplice attaccare a destra e a manca i vari protagonisti della certificazione di morte naturale, perchè certo per chiunque abbia visto le foto, che sono state fatte circolare, le perplessità vengono automatiche. Ma perché i magistrati avrebbero dovuto indagare male? Perché i medici avrebbero omesso di certificare le reali cause della morte? Non dovrebbe aver senso dubitare però viene automatico, le foto di Marcello, quelle immagini sono un controsenso: cè troppa violenza in quelle foto di fronte a una morte naturale così beatamente certificata.. Ecco, forse quello che lascia inquieti è proprio lassuefazione alla morte in carcere. E una foto come quella di Marcello Lonzi, finisce comunque per corrispondere allimmaginario di molta gente, per cui la violenza è naturale in carcere, e così quasi nessuno si meraviglia se tutto è archiviato come un episodio assolutamente nella norma. Un tentativo di risposta a queste domande occorre iniziare a darselo, perché la vera sensazione è che non sia più possibile che quando si parla di carcere si arrivi a rendere automatica la censura su ciò che vi avviene allinterno. Il flusso delle informazioni che arrivano fuori è spesso filtrato dalle direzioni di Istituto, di tante cose che succedono non si riesce ad avere mai conferma o smentita tanto che chi si trova a tentare di fare informazione va spesso in crisi. Nellesperienza fatta raccogliendo notizie per il dossier Morire di carcere ci sembra ricorrente il tentativo di divulgare il meno possibile i fatti, di non informare, e spesso di alcune morti per malattia o sospette è solo grazie ai familiari ed al volontariato che ci è possibile informare. Eppure siamo nel 2006, e non esistono ragioni di sicurezza, sufficientemente valide, per continuare ad avere delle carceri dove anche le visite ispettive dei parlamentari di rado consentono di arrivare a verificare quali sono le reali condizioni di un istituto. Quando poi succede qualcosa allinterno diventa quasi impossibile sapere la realtà dei fatti. In genere scatta il silenzio generale, si provvede a trasferimenti anomali, nemmeno chi ci vive dentro è spesso in grado di conoscere la verità. Il carcere resta ancora una realtà chiusa e la chiusura aumenta quando succede qualcosa, il nostro lavoro sullinformazione è continuamente alle prese con notizie riportate da detenuti e sulle quali è spesso impossibile avere una verifica, notizie su fatti che non vengono mai denunciati: ma questo non significa che siano false. Succede poi spesso che arrivino anche notizie distorte, a volte strumentali, e a queste fanno da contraltare le sensazioni di sommarietà e superficialità delle indagini della magistratura. Così dopo la seconda archiviazione della denuncia per omissione di atti dufficio fatta dalla madre di Marcello Lonzi, nonostante lei avesse chiesto addirittura al Presidente della Repubblica di avere maggiore chiarezza sulla vicenda del figlio, ci troviamo oggi con un senso di grande amarezza perché per quanto si sia chiesta la verità, una spiegazione coerente con quello che era possibile intuire da quelle terribili foto che erano disponibili su internet non è stata data. Così finisce la gran parte delle storie come quella di Marcello Lonzi, una storia che non convince nessuno e che pretende di accontentare tutti, con una madre che grida allingiustizia ma che non ha la forza per smuovere un sistema come quello delle nostre carceri, dove la vita delle persone che vi entrano vale immediatamente di meno, e non cè bisogno di aspettare che muoiano per rendersene conto. Basta citare la situazione della Sanità, il sovraffollamento, gli abusi per i quali certi istituti sono noti, è di fronte a tutto questo che la morte di Marcello, che resterà comunque poco chiara, diventa improvvisamente normale, ed è contro questa assurda normalità che chi vuole veder cambiare le cose ha messo linformazione come perno centrale ai percorsi di cambiamento della cultura penitenziaria. Senza informazione difficilmente esistono diritti, compreso quello di vivere, perché senza informazione qualsiasi cosa ti succeda in carcere praticamente non esiste, nessuno la saprà mai. Quello che è avvenuto nel carcere delle Sughere sfugge ancora allinformazione e questo è emerso sin da subito, occorre quindi che i detenuti ed i volontari che credono nel senso di umanità comincino a darsi da fare, perché il carcere non sia un mondo governato fuori dalle leggi, perché storie come quelle di Marcello Lonzi, 29 anni, ristretto nel carcere delle Sughere, non vengano dimenticate e non avvengano mai più. P.S.: chiediamo scusa per la crudezza di queste fotografie; però sono prove importanti, ed è giusto che le vediate, come le hanno viste la mamma di Marcello Lonzi, i medici e i magistrati. |