CARTA MONDIALE DELLE DONNE PER L’UMANITA’

Preambolo

Noi donne marciamo da molto tempo per denunciare l’oppressione che viviamo come donne, per affermare che la dominazione, lo sfruttamento, l’egoismo e la ricerca sfrenata del profitto che portano ad uno stato di ingiustizia, alla guerra e alle violenze, avranno una fine.

Dalle nostre lotte femministe, da quelle delle nostre antenate, in tutti i continenti, sono nati nuovi spazi di libertà, per noi stesse, per le nostre figlie (e i nostri figli) e per tutte le bambine e i bambini che calpesteranno questa terra in futuro.

Noi costruiamo un mondo in cui la differenza è una ricchezza e in cui si riconosce il valore sia dell’individualità che della collettività, dove si scambiano le esperienze senza costrizioni, dove le parole, i canti e i sogni possono circolare liberamente.

Questo mondo che vogliamo considera la persona umana come una delle cose più preziose. E’ un mondo dove regna l’uguaglianza, la libertà, la solidarietà, la giustizia e la pace. Abbiamo la forza per crearlo.

Noi donne costituiamo più della metà dell’umanità. Diamo la vita, amiamo, lavoriamo, creiamo, lottiamo, ci divertiamo.

Assicuriamo attualmente la maggior parte delle attività indispensabili per la prosecuzione della vita e la continuità dell’umanità. Eppure il nostro ruolo nella società rimane sottovalutato.

La Marcia mondiale delle donne, di cui facciamo parte, identifica il patriarcato come il sistema che opprime le donne e il capitalismo come sistema che permette ad una minoranza di sfruttare l’immensa maggioranza delle donne e degli uomini del pianeta. Questi sistemi si rafforzano reciprocamente e si intrecciano con il razzismo, la xenofobia, l’omofobia, il colonialismo, l’imperialismo, e lo schiavismo.

Essi alimentano gli integralismi che negano le libertà fondamentali delle donne e degli uomini; generano povertà, esclusione, violazione dei diritti umani, in particolare delle donne, e mettono in pericolo la stessa sopravvivenza del pianeta.

Noi rifiutiamo questo mondo.

Ci proponiamo di costruire un altro mondo dove lo sfruttamento, l’oppressione, l’intolleranza e le esclusioni cessino di esistere, dove l’incolumità, la diversità, i diritti e le libertà di tutte e di tutti siano rispettati.

Questo altro mondo, come lo concepiamo noi, si fonda sui seguenti valori: uguaglianza, libertà, solidarietà, pace e giustizia.

UGUAGLIANZA

Affermazione 1. Tutti gli esseri umani e tutti i popoli sono uguali in tutti i campi e in tutte le società. Hanno uguale accesso alle ricchezze, alla terra, ad un lavoro dignitoso, ai mezzi di produzione, alla casa, all’educazione, alla formazione professionale, alla giustizia, ad un’alimentazione sana, nutriente e sufficiente, ai servizi di sanità fisica e mentale, alla sicurezza della vecchiaia, a un ambiente sano, alla proprietà, alle funzioni rappresentative, politiche e decisionali, all’energia, all’acqua potabile, ai mezzi di trasporto, alle tecniche, all’informazione, ai mezzi di comunicazione, al tempo libero, alla cultura, al riposo, alla tecnologia e ai prodotti della scienza.

Affermazione 2. Nessuna condizione umana o situazione può giustificare la discriminazione.

Affermazione 3. Nessun costume, nessuna tradizione, religione, ideologia, nessun sistema economico giustifica l’inferiorizzazione di chiunque o autorizza atti che pregiudicano la dignità e l’incolumità fisica e psichica.

Affermazione 4. Le donne sono cittadine a pieno titolo prima di essere compagne, spose, madri, lavoratrici.

Affermazione 5. L’insieme delle attività non rimunerate, dette femminili, che assicurano la vita e la riproduzione sociale (lavori domestici, educazione, cura dell’infanzia e dei parenti) sono attività economiche che creano ricchezza e che devono essere valorizzate e condivise.

Affermazione 6. Gli scambi commerciali tra Paesi sono equi e non portano nessun pregiudizio allo sviluppo dei popoli.

Affermazione 7. Ogni persona ha accesso a un lavoro equamente rimunerato, effettuato in condizioni sicure e salubri e che rispetti la sua dignità.

LIBERTA’

Affermazione1. Tutti gli esseri umani vivono liberi da ogni violenza. Nessun essere umano appartiene ad un altro. Nessuna persona può essere schiava, essere sottoposta a lavoro forzato, oggetto di traffico, di sfruttamento sessuale.

Affermazione 2. Ogni persona gode delle libertà individuali e collettive che garantiscono la sua dignità dalla nascita alla morte: libertà di pensiero, di coscienza, di opinione, di religione, di espressione, di vivere il proprio orientamento sessuale in maniera libera e responsabile, di scegliere il/la proprio partner di vita, di votare, di essere eletta, di partecipare alla vita politica, di associarsi, di riunirsi, di appartenere ad un sindacato, di manifestare, di scegliere il proprio luogo di residenza e stato civile, di scegliere i propri studi, la professione ed esercitarla, di spostarsi, di disporre della propria persona e dei propri beni, di utilizzare la lingua di comunicazione di sua scelta, (nel rispetto delle lingue di minoranze e delle scelte della società riguardanti la lingua parlata in casa e al lavoro, ) di farsi una cultura, di accedere alle tecnologie e all’informazione.

Affermazione 3. Le libertà si esercitano in un quadro democratico e partecipativo, di cooperazione, di partenariato, di tolleranza, di rispetto dell’opinione di ognuna e ognuno. Esse comportano responsabilità e doveri nei confronti della comunità.

Affermazione 4. Le donne decidono liberamente del loro corpo, la loro sessualità e la loro procreazione. Scelgono di avere o non avere figli/e.

Affermazione 5. La democrazia si radica nella libertà e nella giustizia.

SOLIDARIETA’

Affermazione 1. La solidarietà internazionale tra individui e popoli è promossa (avulsa da ogni forma di manipolazione o di influenza)

Affermazione 2. Tutti gli esseri umani sono interdipendenti. Condividono il dovere e la volontà di vivere insieme, di costruire una società generosa, libera da oppressione, esclusioni, discriminazioni, intolleranza e violenze.

Affermazione 3. Le risorse naturali, i beni e i servizi necessari alla vita di tutte e di tutti sono beni e servizi pubblici ai quali ogni persona ha accesso in modo equo e ugualitario.

Affermazione 4. Le risorse naturali vengono amministrate dai popoli che vivono sui corrispettivi territori, nel rispetto dell’ambiente e con la preoccupazione della loro preservazione e della loro durabilità.

Affermazione 5. L’economia di una società è al servizio di coloro che la compongono. E’ rivolta alla produzione e allo scambio di prodotti socialmente utili, che vengono distribuiti tra tutte e tutti, che assicurano innanzitutto la soddisfazione dei bisogni della collettività, che eliminano la povertà e che assicurano un equilibrio tra l’interesse generale e gli interessi individuali. Assicura la sovranità alimentare. Si oppone alla ricerca esclusiva del profitto a scapito dell’utilità sociale e all’accumulazione privata dei mezzi di produzione, delle ricchezze, del capitale, delle terre, alla concentrazione della presa di decisione nelle mani di singoli gruppi o individui.

Affermazione 6. Il contributo di ognuna e ognuno alla società è riconosciuto e portatore di diritti sociali, qualunque sia la funzione che vi si occupa.

Affermazione 7. Le manipolazioni genetiche sono controllate. Non esiste brevetto sulla materia vivente e sul genoma umano. La clonazione umana è proibita.

GIUSTIZIA

Affermazione 1. Tutti gli esseri umani, indipendentemente dal loro paese di origine, luogo di residenza o dalla loro nazionalità, sono considerati cittadini e cittadine a pieno titolo, che godono pienamente dei diritti umani (diritti sociali, economici, politici, civili, culturali, ambientali) in un quadro equo e democratico.

Affermazione 2. La giustizia sociale è basata su una ridistribuzione equa delle ricchezze che elimina la povertà, limita la ricchezza, e assicura la soddisfazione dei bisogni essenziali alla vita e che punta al miglioramento del benessere di tutte e di tutti.

Affermazione 3. L’incolumità fisica e psichica di tutte e di tutte viene garantita. La tortura, i trattamenti umilianti e degradanti sono proibiti. Le aggressioni sessuali, lo stupro, la mutilazione genitale, le violenze contro le donne e il traffico sessuale e il traffico delle persone in generale vengono considerati crimini contro la persona e contro l’umanità.

Affermazione 4. Viene instaurato un sistema giudiziario accessibile, ugualitario, efficace e indipendente.

Affermazione 5. Ogni persona gode di una protezione sociale che le garantisce l’accesso ad una alimentazione sana nutriente e sufficiente, alle cure sanitarie, ad una casa salubre, alla sicurezza durante la vecchiaia, ad un reddito sufficiente per vivere dignitosamente.

Affermazione 6. I servizi sanitari e sociali sono pubblici, accessibili, di qualità e gratuiti. Ciò include tutti i trattamenti e cure relative a tutte le pandemie in particolare l’HIV.

PACE

Affermazione 1. Tutti gli esseri umani vivono in un mondo di pace che significa: l’uguaglianza tra i sessi, l’uguaglianza sociale, economica, politica, giuridica e culturale. Il rispetto dei diritti, lo sradicamento della povertà, in modo che tutte e tutti possono condurre una vita dignitosa, libera da violenze e disporre di un lavoro e di un reddito sufficiente, educarsi, godere di cure sanitarie e di una protezione di vecchiaia.

Affermazione 2. La tolleranza, il dialogo e il rispetto della differenza sono garanti di pace.

Affermazione 3. Tutte le forme di dominio, di sfruttamento e di esclusione esercitate da parte di una persona sull’altra, di un gruppo su un altro, di una maggioranza su una minoranza o vice versa, di una nazione su un’altra sono bandite.

Affermazione 4. Tutti gli esseri umani hanno il diritto di vivere in un mondo senza guerre e senza conflitti. Nessuno dispone del diritto di vita o di morte sulle persone o sui popoli.

Affermazione 5. Nessun costume, nessuna tradizione, nessuna ideologia, nessuna religione, nessun sistema economico, giustifica le violenze.

Affermazione 6. Conflitti armati e non tra paesi, comunità e popoli sono risolti tramite negoziati che producono soluzioni pacifiche e eque, a livello nazionale, regionale e internazionale.

APPELLO

Questa Carta mondiale delle donne per l’umanità fa appello alle donne e agli uomini e a tutti i popoli oppressi a proclamare individualmente e collettivamente il loro potere di trasformare il mondo e a modificare radicalmente i rapporti che li uniscono per sviluppare relazioni basate sull’uguaglianza, la pace, la libertà, la solidarietà, la giustizia.

Fa appello ai movimento sociali e a tutte le forze sociali ad agire affinché i valori enunciati in questa Carta siano effettivamente messe in opera e che i poteri politici implementino le misure necessarie per applicarle.

Invita all’azione per cambiare il mondo. Ce n’è urgente bisogno!!!

Nessun elemento di questa Carta può essere interpretata o usata per enunciare opinioni o condurre azioni contrarie allo spirito di questa Carta. I valori ivi compresi formano un tutt’uno.

Rivestono la stessa importanza, sono interdipendenti e inscindibili; il posto che occupano nella Carta è intercambiabile.

Che cos’è la Marcia mondiale delle donne?

La Marcia mondiale delle donne è un movimento composto da gruppi di donne di diverse origini etniche, culturali, religiose, politiche, di classe, di età, di orientamento sessuale. Invece di dividerci questa diversità ci unisce in una solidarietà più globale.

Nel 2000 abbiamo scritto, come Marcia mondiale delle donne, una piattaforma politica che conteneva 17 rivendicazioni concrete, volte a eliminare la povertà nel mondo, realizzare la ripartizione delle ricchezze, sradicare la violenza contro le donne e ottenere il rispetto della loro incolumità fisica e psichica. Abbiamo trasmesso queste rivendicazioni ai responsabili del FMI e della BM, ai dirigenti dell’ONU. Non abbiamo ricevuto nessuna risposta concreta. Abbiamo anche trasmesso queste rivendicazioni agli eletti e alle elette, ai dirigenti e alle dirigenti dei nostri Paesi.

Da allora continuiamo a difendere le nostre rivendicazioni senza sosta. Proponiamo alternative per costruire un altro mondo. Siamo attive nei movimenti sociali e nelle nostre società. Approfondiamo la riflessione sul luogo che le donne occupano e devono occupare nel mondo.

Attraverso le nostre azioni nel 2005 e la pubblicazione di questa Carta, riaffermiamo la nostra convinzione che un altro mondo, un mondo pieno di speranza, di vita e di benessere, è possibile.

Attraverso questa Carta mondiale delle donne per l’umanità, dichiariamo il nostro amore per la vita, la bellezza, la diversità nel mondo.

APPELLO

Care Amiche,

Unitevi anche voi a Alice Walker, Susan Sarandon, Parlamentare Barbara Lee, Dolores Huerta, Eve Ensler e tante altre fantastiche donne che hanno lanciato l' Appello Urgente delle Donne per la Pace in Irak. Da oggi all'8 Marzo, Giorno Internazionale della Donna, raccoglieremo 100 000 firme da donne di tutto il mondo. L'8 Marzo le consegneremo queste firme alle ambasciate, consolati, uffici federali statunitensi, in tutto il mondo.

Non perdere l'occasione per far sentire la tua voce, firma anche tu l'Appello oggi stesso all'indirizzo
www.womensaynotowar.org <http://www.womensaynotowar.org/>, fallo conoscere a tutte le amiche e unisciti a noi l'8 marzo.

Grazie
CODEPINK: DONNE PER LA PACE

Appello delle Donne per la Pace

Noi, donne staunitensi, irachene e del mondo intero, non possiamo piú sopportare questa insulsa Guerra in Irak e i crudeli attacchi ai civili che si compiono intorno al mondo. Abbiamo già sepolto troppi cari. Abbiamo giá visto troppe esistenze dilaniate da ferite fisiche e psicologiche. Abbiamo assistito con orrore all'utilizzo smisurato delle nostre preziose risorse per scopi militari, mentre quelle destinate ai bisogni delle nostre famiglie, come la protezione, l'educazione, il cibo e la salute, restano inadeguate. Non possiamo piú sopportare di vivere in costante paura e violenza, osservando il crescere di questo cancro di odio e intolleranza che si infiltra nelle nostre case.

Questo non é il mondo che vogliamo, né per noi, né per i nostri figli. Con il fuoco nei nostri ventri e amore nei nostri cuori, noi donne cresciamo e ci uniamo oltre i confini per chiedere la fine di questo massacro e distruzione.

Abbiamo osservato come l'occupazione straniera dell'Irak abbia infiammato un movimento armato di contrasto, dando inizio ad una spirale di violenze. Siamo convinte sia giunto il momento di passare da un modello militare ad uno di risoluzione del conflitto, che rispetti i seguenti principi:

· Il ritiro immediato delle truppe e dei combattenti stranieri dall'Irak,

· negoziazioni per reintegrare gli iracheni privati dei loro diritti civili, nel pieno rispetto della societá irachena,

· una completa partecipazione delle donne durante il processo di pace e un accordo sul pieno rispetto delle pari opportunitá nel dopo guerra iracheno,

· un accordo di rinuncia di insediamento di basi militari straniere in Irak,

· pieno controllo e gestione irachena in materia di petrolio ed altre risorse,

· abrogazione delle leggi di pivatizzazione e liberalizzazione imposte sotto occupazione, permettendo al legittimo governo iracheno di impiantare la propria strategia economica,

· una ricostruzione massiccia che accordi la prioritá agli appaltatori iracheni, e basata sulle risorse finanziarie dei paesi responsabili dell'invasione ed occupazione dell'Irak,

· la composizione di una forza internazionale temporanea di peacekeeping, concretamente multilaterale e con l'esclusione delle truppe provenienti dai paesi che hanno partecipato all'occupazione.

Per incrementare questo processo di pace stiamo creando un massiccio movimento di donne attraverso le generazioni, le razze, le etnie, le religioni, le frontiere e le ideologie politiche. Insieme faremo pressione sui nostri governi, sulle Nazioni Unite, sulla Lega Araba, sui Vincitori del Premio Nobel per la Pace, sui capi religiosi e di altre comunitá internazionali, per aiutare a negoziare un forte insediamento politico. In questa epoca di fondamentalismi divergenti, richiamiamo i leader mondiali ad unirsi a noi nella diffusione dei valori fondamentali di amore per la famiglia umana e per il nostro prezioso pianeta.

LA LENTA E DIFFICILE INTEGRAZIONE DEI DIRITTI FONDAMENTALI DELLA DONNA


"Voglio essere una potente voce morale che si esprime in difesa di tutte le vittime dell'oppressione, della discriminazione e dell'esclusione, a qualsiasi Paese esse appartengano e di qualsiasi natura siano i soprusi che esse subiscono"
Mary Robinson, Haut Commissaire aux Droit de l'Homme, Assemblea Generale delle Nazioni Unite, novembre 1997

Il principio di universalità dei Diritti Umani viene contestato da alcuni governi confessionali, al primo posto quelli islamici, che vogliono perseverare nell'attuazione della discriminazione perpetrata soprattutto ai danni delle donne, ma contemporaneamente giustificare il loro comportamento al cospetto degli altri Paesi.

Il Diritto di Universalità, è bene ricordarlo non vuole imporre una Cultura Unica, ma vuole che la libertà di coscienza e di giudizio venga garantita, cercando di preservare la Differenza.

L'universalità, quindi, non è sinonimo di uniformità.

Nella Dichiarazione Programmatica di Pechino, paragrafo 118, possiamo leggere che la violenza perpetrata nei confronti delle donne, ha prodotto come effetto il potere degli uomini, e la conseguente discriminazione, che le donne hanno patito, ha rallentato lo sviluppo dell'autonomia femminile.

Testimonianza di atrocità commesse in nome della tradizione, le possiamo trovare nei riti di passaggio di molti Paesi africani e del Medio Oriente, che prevedono la mutilazione degli organi genitali esterni come passo necessario, da compiere nel pieno rispetto di riti atavici, per consacrare il passaggio dalla fanciullezza alla vita adulta. La violenza contro le donne, comprese quelle domestiche, sono da considerarsi elemento integrante del modello culturale di molti paesi non necessariamente arretrati.

Questi "interventi" compiuti in condizioni igieniche discutibili, da persone investite del potere del rito, ma non certo della conoscenza medica necessaria, sono l'esempio più eclatante della violazione dei diritti più elementari della donne.

Il numero delle adolescenti che ha subito una mutilazione di questo tipo, ad un calcolo approssimativo risulta essere di circa 130 milioni.

Numerosi sono i Documenti Ufficiali in cui vengono menzionate le violenze e le discriminazioni che hanno come soggetto le donne, come un male da estirpare attraverso interventi efficaci tesi alla totale cancellazione del fenomeno, ne sono un esempio la Quarta Conferenza Mondiale per i Diritti della Donna (1995), la Dichiarazione di Vienna (1993), in cui tutti i Paesi venivano sollecitati a ratificare la Convenzione dell'ONU sull'eliminazione delle discriminazioni nei confronti delle donne (nel 1997 solo 162 Stati su 190 avevano ratificato il documento, si spera che per il 50° anniversario della Dichiarazione dei Diritti dell'Uomo anche i 28 Stati restanti adottino tali disposizioni).

Dall'Articolo di Giulia Bugliolo Bruna apparso su "Nuovi Orizzonti Europa" Periodico degli Italiani residenti in Francia, Belgio e Lussemburgo, n° 215 del Novembre 1998

Povertà Femminile: situazioni vecchie e nuove che aprono la strada alla povertà ed all'emarginazione.

La povertà delle donne affonda radici in un passato lontano: vedove, orfane, prostitute. Le strade hanno sempre conosciuto bene il volto femminile dell'indigenza…quella che non lascia scampo ad altre vie d'uscita. Solo piccoli lavoretti e la speranza di trovare un impiego presso una casa signorile.
Le cose sono diventate più difficili con l'industrializzazione. Si è sgretolato l'istituto sociale della famiglia, e con esso il sostegno al lavoro di cura svolto dalle donne all'interno di essa. Le donne si sono trovate a lavorare fuori casa (con stipendi più bassi e condizioni meno salubri dei loro colleghi) e ad occuparsi dei figli, senza alcun aiuto esterno.
La morte improvvisa del coniuge o una gravidanza inaspettata gettavano la donna in un limbo da cui era difficile uscire. Il lavoro precario e nocivo spesso non bastava per mantenere la prole. In abitazioni fatiscenti, con un'alimentazione povera e scarsa, le donne si ammalavano e finivano con il perdere l'impiego. Un effetto domino investiva drammaticamente la sua vita, già fatta di stenti e fatica.
Non è un girone dantesco, ma le condizioni della classe operaia femminile nell'800 e nei primi decenni del secolo scorso.
Sebbene, oggi, molte cose siano cambiate, tuttavia il processo attraverso cui le donne cadono in povertà rimane lo stesso, con le dovute differenze chiaramente.
Un discorso sulla povertà femminile oggi appare quasi come la rivelazione di un nuovo e recente fenomeno sociale. In realtà non è così. La povertà femminile è sempre esistita, ma celata in generiche statistiche e all'interno dei nuclei familiari.
Nei Paesi Industrializzati il fenomeno della povertà e più nello specifico della povertà femminile sta emergendo con una proporzione preoccupante.
In riferimento all'Italia, circa il 10-13% della popolazione femminile vive in una condizione di povertà estrema, di cui il 40% è compresa in una fascia d'età tra i 19 ed i 24 anni. Un segmento, quindi, debole, per il quale l'accesso al mondo del lavoro è difficile, provocando una serie di privazioni materiali che conducono ad un processo di marginalità ed esclusione irreversibili.

Povertà Femminile: Crisi del Welfare e Lavoro non retribuito.

E' stato già accennato ad alcune delle cause che incidono in modo decisivo sulla femminilizzazione della povertà: il lavoro di cura non retribuito e la crisi del welfare.
Negli ultimi vent'anni secondo tempi e modalità differenti, in Europa occidentale si è verificata una vera e propria crisi dello Stato Sociale (altresì detto Welfare). L'indebitamento più o meno grave delle amministrazioni centrali e le necessità di un rapido risanamento che la nascita dell'Euro ha comportato hanno indotto a drastiche riduzioni della spesa sociale, principale responsabile del debito pubblico. I servizi alla persona sono stati notevolmente diminuiti, lasciando i soggetti deboli in una condizione di totale isolamento e abbandono. Una situazione che in Italia ha assunto proporzioni notevoli.
Ci si riferisce agli invalidi, ai malati cronici e agli anziani che necessitano di assistenza domiciliare quotidiana o quasi, alle strutture per l'infanzia.
Il costo sociale di questi tagli alla spesa si sono riversati, principalmente in riferimento alla situazione italiana, sulle donne in virtù di una tradizione e cultura che colloca la donna accanto al focolare. Un lavoro duro e totalizzante che non ha un riconoscimento economico e che pone la donna in una condizione di dipendenza dalla famiglia e/o dal partner.
Un lavoro che spesso rende del tutto impraticabile quello esterno, poiché i costi di quel lavoro di cura che eventualmente una donna non eseguirebbe essendo impiegata altrove sarebbero ben più elevati delle entrate di un secondo stipendio. Non stupisce, quindi, che molte donne decidano di non lavorare per non affidarsi ad una baby sitter, ad un infermiera specializzata, ad un accompagnatore/trice o, nel peggiore dei casi, ad un istituto.
Un lavoro, quello di cura, che dunque è in grado di produrre un reddito e di fornire servizi reali, che all'esterno delle mura familiari non è possibile trovare.
Servizi che però nell'attuale ripartizione della spesa di uno stato non possono trovare spazio, poiché secondari rispetto ad altre priorità. All'interno del dibattito politico, è generalizzata la convinzione che lo stato debba del tutto abbandonare una politica di servizi alla persona, identificati come un passivo irrecuperabile. Ma se si pagassero tutte le donne che prestano assistenza ad un genitore paralizzato, ad un malato, che si preoccupano di accudire i propri figli sicuramente sarebbe ben evidente il valore economico di tale occupazione.
Tuttavia, non tutto il costo sociale è assorbito dal lavoro di cura svolto dalle donne italiane. Parte di esso prende la forma di un crescente impoverimento delle fasce più deboli, e nello specifico delle donne, soprattutto di quelle donne che hanno perso il supporto del Welfare e che non possono disporre di una famiglia in grado di sostituirsi ad esso.

8 marzo la storia

La giornata della donna venne istituita il 29 agosto del 1910 a Copenaghen, in occasione della Seconda Conferenza delle donne dell’Internazionale Socialista, su proposta della leader socialdemocratica tedesca Clara Essner Zetkin, direttrice del giornale "Gleichheit" (Uguaglianza). In quella occasione si propose anche il diritto universale al voto, differente dal voto per censo chiesto dal movimento britannico delle suffragette, e il riconoscimento dell’indennità di gestazione anche alle donne non sposate. Se il 1910 come anno di istituzione della Giornata della Donna è un fatto, diverse sono le ipotesi sulla genesi dell’8 marzo, che con gli anni prese piede come data di celebrazione della ricorrenza. Molti storici collocano in quella data lo sciopero di cui furono protagoniste nel 1908 molte migliaia (qualcuno parla di 30.000) di lavoratrici dell’industria tessile di New York. Qualcuno risale addirittura fino al 1857, quando, sempre a New York, centinaia di operaie tessili avrebbero scioperato per protestare contro i bassi salari, contro il lungo orario di lavoro, contro il lavoro minorile e le inumane condizioni di lavoro. Le stesse fonti parlano anche di una forte repressione da parte della polizia e fanno risalire al 1859 la costituzione di un sindacato delle operaie tessili. Di sicuro, comunque, la nascita della Giornata internazionale della Donna si lega sia alla storia del movimento per i diritti femminili sia a quella delle lotte operaie. Altra data certa è quella del 1889, quando iI primo Congresso della Seconda Internazionale Socialista a Parigi approvò il principio del diritto alle donne ad avere una retribuzione pari a quella degli uomini. Le proteste dei lavoratori americani per la giornata lavorativa a 8 ore, che segnarono il primo decennio del XX secolo, ebbero come protagoniste anche le donne. In questo quadro si colloca il già citato sciopero del 1908, quando le lavoratrici delle sartorie sfilarono a New York anche per il diritto al voto e contro il lavoro minorile. Le lotte proseguirono fino al 1909, quando venne celebrata negli Stati Uniti la prima Giornata nazionale delle Donne, fissata per il 28 febbraio. Quella Giornata fu ricordata fino al 1913 nell’ultima domenica di febbraio, affinché non si sovrapponesse ad una giornata feriale che avrebbe causato la perdita dell’orario di lavoro. Sempre nel 1909, le operaie tessili della fabbrica nuovaiorchese "Triangle Shirtwaist Company", che produceva le camicette alla moda di quel tempo, le "shirtwaist" appunto, cominciarono uno sciopero, pare scegliendo l’8 marzo come data di avvio della protesta. La lotta, dopo diversi azioni brutali e repressive da parte della polizia e dopo una lunga trattativa, terminò il 24 dicembre 1910 con il "Protocollo di Pace", nel quale venne riconosciuto il diritto a regole per l’orario ed il salario. Pochi mesi dopo, il 25 marzo 1911, un incendio alla Shirtwaist uccise 146 donne. La maggioranza di esse erano giovani italiane o ebree dell’Europa orientale. I proprietari della fabbrica, che al momento dell’incendio si trovavano al decimo piano e che tenevano chiuse a chiave le operaie per paura che rubassero o facessero troppe pause, si misero in salvo e lasciarono morire le donne. Il processo che seguì li assolse e l’assicurazione pagò loro 445 dollari per ogni operaia morta: il risarcimento alle famiglie fu di 75 dollari. Quell’incendio segna una data importante, anche se non è da esso, come erroneamente riportato da alcune fonti, che trae origine la Giornata della donna. Migliaia di persone presero parte ai funerali delle operaie uccise dal fuoco. Fu quel fatto tragico comunque che portò alla riforma della legislazione del lavoro negli Stati Uniti e che rafforzò nel tempo la Giornata della Donna istituita l’anno prima. Ma il movimento femminile si fece sentire anche in Europa: il 19 marzo 1911, ricordando la repressione prussiana dei movimenti democratici del 1848, un milione di donne marciò per le strade di Svizzera, Austria, Danimarca e Germania, chiedendo il diritto al voto, la fine della discriminazione sessuale per le cariche pubbliche ed il diritto alla formazione professionale. Il movimento divenne universale, e nel 1913 le donne americane decisero di far coincidere la loro festa nazionale con quella individuata dall’Internazionale Socialista. L’8 marzo del 1917 (il 23 febbraio secondo il calendario giuliano-costantiniano) in Russia venne festeggiata la giornata internazionale del proletariato femminile e qualche mese dopo il governo socialdemocratico menscevico di Kerenskij concesse il voto alle donne. Quanto alla scelta della mimosa, essa è legata alla tradizione socialista italiana. L’8 marzo del 1946, su suggerimento di Rita Montagnana, le donne dell’Udi (Unione donmne italiane) scelsero come simbolo la mimosa per il semplice fatto che fiorisce proprio in quel periodo dell’anno. Una scelta premiata dal tempo, tanto che ancora oggi la mimosa rimane il simbolo della Giornata della Donna.

8 marzo OBIETTIVO PARITà

di Giuliana Pigozzo segreteria regionale Cgil FVG

Ogni anno, in occasione dell’8 marzo, si rivolgono a me decine di donne - lavoratrici, studentesse, pensionate - che vogliono essere saperne di più su com’è nata questa giornata, comprenderne le ragioni storiche e le motivazioni. Ecco perché ho deciso di sfruttare internet per mettere a disposizione del materiale, recuperato attraverso una piccola ma spero esaustiva ricerca. Credo di aver risposto non soltanto a delle sollecitazioni esterne, ma anche all’intima convinzione che la memoria abbia un’importanza fondamentale. Lo voglio fare in un momento storico, come quello di adesso, dove spesso non c’è spazio per la storia delle persone, per le loro sofferenze, per i loro drammi; per ricordare il significato ed il valore delle lotte di tante donne e tanti uomini che hanno permesso, spesso a sacrificio della loro vita, di disporre oggi di condizioni migliori di vita e di lavoro. La legislazione sul lavoro e i contratti che hanno istituito tutele e garanzie per le lavoratrici ed i lavoratori non sono caduti dal cielo. Sono il frutto di un impegno, di una consapevolezza e di una grande determinazione individuale e collettiva. Di un lavoro organizzato di militanti politici e sindacali che nel corso degli anni hanno contribuito a costruire la democrazia in questo paese. Le conquiste di libertà delle donne hanno segnato il secolo scorso e favorito un cambiamento che ha modernizzato la nostra società, in Italia come nel resto del mondo. Rimane però ancora molto da fare: nella disuguaglianza le donne sono le più diseguali, del miliardo di persone più povere che vivono in questo pianeta, tre quarti sono donne. Con meno lavoro, meno reddito e meno diritti. La società globalizzata ha caratteristiche molto "maschili" e fa fatica a vedere e comprendere l’altra parte del genere umano. La tratta delle donne è un flagello non debellato. Le guerre aggiungono ingiustizie ad ingiustizie. Nonostante ciò dalle donne viene ancora speranza, viene ancora il desiderio di un futuro migliore che è parte integrante del loro essere portatrici di vita e di istanze di libertà. Questo è il grande patrimonio che accomuna tante donne: tenaci, forti, infaticabili, intelligenti, decise a svolgere in pieno il loro ruolo nella società e nella storia. Ma ancora troppo emarginate. Il mondo in cui viviamo, tuttora costruito su forti discriminazioni tra i sessi, con classi dirigenti per larga parte formate da uomini, non è certo il migliore dei mondi possibili. Alla politica il compito di avanzare proposte per allargare gli spazi di libertà e per ridurre le disuguaglianze: le potenzialità delle donne, se siamo in grado di comprenderle e valorizzarle, sono davvero straordinarie. Una forza fresca e dinamica, la loro, che non può essere segregata nel privato, come non può essere soffocata la loro speranza di essere veramente alla pari: nei diritti, nelle opportunità, nella libertà individuale. Perché dare spazio al coraggio e alla creatività delle donne è un passaggio obbligato verso una società più giusta e un futuro migliore. Buon 8 marzo a tutte.

Donne: 8 marzo giornata della donna

Amnesty International (sezione italiana) <http://unimondo.oneworld.net/external/?url=http://www.amnesty.it/> | AIDOS - Associazione Italiana Donne per lo Sviluppo <http://unimondo.oneworld.net/external/?url=http://www.aidos.it/>

lunedì, 08 marzo, 2004

Non esistono diritti umani senza i diritti delle donne © Women's Human Rights Net 8 marzo giornata della donna. Dalla sua prima celebrazione nel lontano 1908, tante battaglie si continuano a combattere per ottenere la piena uguaglianza sul piano della dignità e dei diritti. Il Fondo delle Nazioni Unite per lo Sviluppo delle Donne <http://www.unifem.org/speeches.php?f_page_pid=77&f_pritem_pid=161> (Unifem) riconoscendo il potere della voce delle donne ricorda la lotta delle africane che si sono impegnate per l'approvazione del Protocollo sui Diritti delle donne nella Carta africana dei diritti umani dei Popoli. Oggi la Commissione dell'Unione Africana ha perciò una componente femminile pari al 50% e in Rwanda le donne occupano il 48,8% degli scanni parlamentari rappresentando uno tra i Paesi nel mondo con la maggior presenza femminile in Parlamento. L'Italia è invece l'ultimo Paese europeo <http://www.arcidonna.it> per quanto riguarda la presenza delle donne nelle istituzioni politiche. Unifem ricorda anche che le donne in questi ultimi vent'anni hanno sollevato in molti Paesi il problema della violenza di cui sono vittime. Almeno 45 nazioni hanno oggi una specifica legislazione contro la violenza domestica e altre hanno emanato disposizioni penali per castigare le aggressioni. Rimane tuttavia molto rilevante il problema della violenza <http://www.amnesty.it/campaign/maipiuviolenzasulledonne/> domestica, riconosciuta dal Consiglio dEuropa <http://80.181.0.166/Notiziario/dettaglio.asp?IdNotizia=19191> come principale causa di morte e di invalidità per le donne di età compresa tra i 16 e i 44 anni, più di cancro e incidenti automobilistici. In Italia, secondo il rapporto Istat del 1999 sulla sicurezza dei cittadini, sono 714mila, pari al quattro per cento, le donne tra i 14 e i 59 anni che hanno dichiarato di aver subito uno stupro o un tentativo di stupro nel corso della loro vita. Importante quindi la sensibilizzazione proposta dalla campagna ''Mai più violenza sulle donne <http://web.amnesty.org/actforwomen/index-eng>'' lanciata da Amnesty International <http://unimondo.oneworld.net/article/view/80823/1/>. In Guatemala 291 donne <http://www.oneworld.net/article/view/76396/1/> sono state massacrate nel 2003. L'agenzia Misna <http://www.misna.org/ita/default.htm> riporta notizia che in questo 8 marzo le organizzazioni femminili di Escuintla, 50 chilometri a sud di Città del Guatemala, marceranno partendo dalla sede della segreteria per i diritti umani per riunirsi di fronte alla sede del governo dipartimentale. Le promotrici consegneranno al governatore un documento con una lista di richieste per sollecitare indagini esaustive sugli assassinii. Se la vita o la morte di milioni di donne nel mondo dipende quindi da una decisione politica, Aidos <http://www.aidos.it/> (Associazione italiana donne per lo sviluppo) con il co-finanziamento della Commissione europea ha lanciato la campagna "Donne. Vite da salvare <http://www.donne.vitedasalvare.aidos.it/>" che ha l'obiettivo di richiamare l'attenzione politica sulle scelte che possono essere fatte - qui e ora - per contribuire a salvare una, dieci, cento, migliaia di donne. I dati <http://www.donne.vitedasalvare.aidos.it/dati.htm> colpiscono: le donne sono il 63% degli analfabeti nel mondo, ogni anno 2 milioni di donne vengono infettate dal virus HIV e 2.6 milioni di donne muoiono di AIDS. Ogni anno 2 milioni di bambine vengono costrette a prostituirsi, 585.000 donne muoiono per cause legate alla gravidanza e al parto, 60 milioni di donne mancano dalle statistiche a causa degli aborti selettivi, 130 milioni di donne nel mondo hanno subito mutilazioni dei genitali, i 2/3 dei 40 milioni di rifugiati nel mondo sono donne e bambini. L'immensa tragedia che colpisce le donne del mondo ogni anno non è però un'imprevedibile catastrofe naturale, ma un destino che si può cambiare. [RB]

http://unimondo.oneworld.net/article/archive/4262

in collaborazione con Femmis <http://www.femmis.org>

"Noi compriamo le nostre mogli, sono un nostro possesso e possiamo batterle quando ci pare".
(Ministro del Governo della Papua Nuova Guinea - 1987)

Sono vittime di violenze, dentro e fuori le mura domestiche; pagano il prezzo della flessibilità del lavoro che contribuisce a rendere sempre più al femminile la povertà; vengono ancora mutilate o muoiono di parto, lasciando milioni di orfani soprattutto nei paesi poveri. Le donne hanno tuttora molto da conquistare per ottenere pari dignità dell’uomo cominciando dall’imparare ad avere maggiore stima di sé e dal neutralizzare l’idea, diffusa in diversi paesi, di valere meno dell’uomo. L'educazione si è dimostrata la strada verso l'uguaglianza di genere. Ma non basta. Fondamentali sono anche la partecipazione della donna alla vita sociale e politica di ogni paese. La valorizzazione della capacità femminile di tessere relazioni, abilità essenziale non solo nella vita quotidiana ma anche nei momenti di crisi.

Guida Diritti delle donne <http://unimondo.oneworld.net/article/frontpage/246/3885>

Il nemico dentro - Le donne hanno la capacità di essere uguali agli uomini: non è la possibilità, ma la consapevolezza che manca loro. La consapevolezza deriva dalla coscienza di quello che si vale, ma la maggior parte delle donne impara fin dalla nascita che la donna vale meno dell'uomo. Se una donna cerca di ribellarsi a quest'iniquità, deve combattere con una voce dentro di lei che le insinua il dubbio, proprio come una nazione che combatte un nemico esterno, mentre al suo interno è indebolita da una guerra civile.

La povertà è donna - La diseguaglianza economica è un'arma potente per svalutare il valore delle donne, soprattutto quando è istituzionalizzato come "normale". E le cose vanno sempre peggio, da questo punto di vista. Le Nazioni Unite hanno stimato che a metà degli anni '90 le donne che vivevano in povertà erano il 50% di più rispetto a 30 anni prima. La situazione è particolarmente drammatica, dal momento che il benessere dei bambini dipende più dalle risorse di cui dispone la madre che da quelle del padre. In proposito, cominciano ad apparire leggi sul matrimonio e sulla proprietà, così come il nuovo sistema del microcredito.

La violenza contro le donne - In ogni parte del mondo, in ogni strato sociale si riscontrano violenze contro le donne. Per violenza fisica non si intendono solo i casi di stupro o le botte dentro le mura domestiche: ci sono forme di violenza socialmente accettate, come le mutilazioni genitali femminili, vere e proprie torture cui sono sottoposte ogni anno più di due milioni di giovani donne. Molte forme di violenza psicologica sono più sottili della violenza fisica, ma possono essere altrettanto dolorose. Talvolta le donne si autoinfliggono la violenza, indirizzando contro loro stesse la violenza che sperimentano intorno a loro.

I diritti riproduttivi - Senza il diritto a vivere la loro sessualità e alla riproduzione le donne non potranno mai aspirare alla parità con gli uomini. L'
Organizzazione Mondiale della Sanità <http://www.who.int/reproductive-health/gender/index.html> asserisce che: "La salute riproduttiva implica che gli individui possano vivere una sessualità responsabile, soddisfacente e sicura, abbiano la possibilità di riprodursi, e la libertà di decidere se, quando e quanto spesso farlo". Ma nel 1997 il rapporto del Fondo delle Nazioni Unite per la Popolazione <http://www.unfpa.org/about/report/report97/1997.htm> (Unfpa) evidenziava in maniera drammatica che la realtà, specialmente per le donne povere, è molto diversa. Solo per fare un esempio: il mezzo milione di donne che ogni anno muoiono di parto, lasciando milioni di orfani. La maggior parte di queste donne sono povere: l'assenza di interesse politico per l'assistenza alla donne povere uccide queste mamme.

La forza dell'istruzione - L'educazione si è dimostrata la strada verso l'uguaglianza di genere in Europa, e così si tenta altrove. Pare evidente che le ragazze istruite possono ottenere lavori meglio pagati, raggiungendo l'indipendenza economica dall'uomo. Ma è stato anche osservato che là dove le giovani nei paesi poveri hanno frequentato almeno quattro anni di scuola, quando diventano madri, è minore il numero dei loro bimbi che muore. L'altro aspetto positivo che è stato riscontrato è che ciò abbassa il tasso di incremento della popolazione più di qualsiasi altro singolo fattore. Anche istruire gli uomini aiuta: in alcune culture gli uomini ora trattano le donne da pari, e non le mettono ai margini.

L'altra faccia della luna

Unimondo <http://unimondo.oneworld.net/external/?url=http://www.unimondo.org>

lunedì, 17 ottobre, 2005

  La Marcia in Korea del Sud Scenderanno nelle strade, oggi, a mezzogiorno e si metteranno in cammino seguendo il tragitto del sole. Cominceranno le donne dell'Asia, poi quelle mediorientali, europee, africane ed insieme - creando un ponte immaginario sugli oceani - si congiungeranno alle loro compagne provenienti dalle Americhe. Sono le attiviste della "Marcia mondiale delle donne" che, partita l'8 marzo di quest'anno dal Brasile, arriverà oggi in Burkina Faso. Hanno attraversato 60 stati per ricordare al mondo l'"altra faccia della luna": quella fatta di discriminazione e sopruso che la terra non vorrebbe mai vedere. Ma che c'è. Il 70% di loro e dei loro bambini vive in povertà assoluta ed anche se forniscono i due terzi del lavoro mondiale ricevono solo un decimo dei redditi. Alimentano il mondo intero, ma solo il 2% delle terre fertili appartiene a loro. Alla disuguaglianza vedono sommarsi la violenza: una su tre ne è vittima e "all'inizio del XXI secolo, tra la popolazione femminile di età compresa fra i 15 e 44 anni, la violenza miete lo stesso numero di morti del cancro" - dice il rapporto pubblicato nei giorni scorsi dall'Unfpa, l'agenzia dell'Onu che fornisce dati sulla popolazione mondiale. Un fenomeno che non riguarda solo i "Paesi sottosviluppati": "in Australia, Canada, Israele, Sudafrica e Stati Uniti tra il 40 e il 70% degli omicidi femminili sono compiuti dal partner" - sottolinea il rapporto. Fra l'altro, una donna su quattro subisce abusi durante la gravidanza, una su tre è picchiata, costretta a rapporti sessuali, abusata. Anche per questo scenderanno in strada le donne della "Marcia mondiale". Dieci anni fa centinaia delle loro rappresentanti si erano incontrate a Pechino per la "Quarta Conferenza Mondiale sulle Donne". Fu l'occasione per esprimere il punto di vista femminile su diverse questioni - dalle discriminazioni sociali alla rappresentanza politica, dalla dipendenza economica alle problematiche culturali e familiari - e stimolò nuove iniziative per promuovere la parità tra donne e uomini. Ne nacque la "Piattaforma di Azione", un programma di iniziative per l'eguaglianza, lo sviluppo, la pace. E per rimuovere gli ostacoli che si frappongono alla partecipazione e all'attribuzione di poteri e responsabilità alle donne. I governi presenti a Pechino, si impegnarono ad adottare la Piattaforma, assicurarono adeguate risorse economiche soprattutto per i paesi del Sud del mondo. A dieci anni di distanza il bilancio è deludente: solo qualche timido passo è stato fatto, mentre persistono profonde le disuguaglianze di genere. Con l'azione politica della Marcia mondiale, le donne hanno voluto denunciare il fallimento degli impegni dei governi. Ma anche rilanciare la speranza, raccogliendo le loro attese in un nuovo documento: la "Carta mondiale delle donne per l'umanità". Approvata a Kigali (Rwanda) il 10 dicembre scorso, la Carta propone cinque valori: uguaglianza, libertà, solidarietà, pace e giustizia. Intrecciati da una convinzione: la differenza è una ricchezza. L'hanno voluta rappresentare anche in un "patchwork" della solidarietà mondiale: al passaggio della staffetta, ogni rappresentanza del Paese ha aggiunto un pezzo di tessuto per esprimere la propria identità. Le donne dell'America Latina hanno così rivendicato il diritto alla terra e richiamato l'attenzione sulle violenze che subiscono; in Giappone hanno chiesto al governo di non emendare l'articolo 9 della Costituzione che prevede la non-militarizzazione del paese; nella piccola Cipro le donne delle due parti si sono incontrate sulla linea di demarcazione per chiedere la riunificazione dell'isola; in Italia, il Coordinamento Nazionale della Marcia ha puntato l'indice contro la precarizzazione del lavoro. In India il patchwork è arrivato alla fine di giugno, nella stagione dei monsoni; ma le piogge non hanno impedito alle donne indiane di festeggiare l'approvazione del disegno di legge contro le violenze familiari approvato dopo dieci anni di lotte. Ora la Carta mondiale delle donne per l'umanità sta terminando il suo viaggio, insieme al patchwork "in progress". Dopo aver toccato numerosi Paesi africani arriva oggi, 17 ottobre, Giornata contro la fame nel mondo, in Burkina Faso. Le donne hanno scelto di testimoniare la loro solidarietà con le burkinabé finanziando una borsa di studio per una studentessa in giornalismo. Un piccolo segno, per contrastare l'immagine stereotipata che i media continuano a dare delle donne africane. Ancor più significativo nel Paese dove il tasso di analfabetismo femminile (il 92%) è il più alto al mondo. di Roberta Bertoldi

Who/Chi:
Secondo il rapporto sullo "Stato della popolazione nel mondo 2005" dell'Unfpa (United Nations Population Fund), la violenza domestica è quella che maggiormente colpisce le donne: una percentuale dal 10% al 69%, a seconda dei paesi, ne è vittima. Le bambine scomparse, oggetto di infanticidio e di abbandono sono almeno 60 milioni, mentre ogni anno su 800mila vittime di traffici di persone l'80% è rappresentato da donne e bambine.

What/Cosa:
La povertà nel mondo ha il volto di una donna dell'Africa sub-sahariana. Ma, nota l'Unpfa, anche la ricetta per sconfiggere il sottosviluppo ha i lineamenti di una donna: istruzione femminile e assistenza sanitaria garantirebbero ai paesi del Sud del mondo di ridurre del 14% il tasso di povertà in una quindicina d'anni. Sarebbe un investimento, anche poco costoso: basterebbero meno di 35 centesimi di euro al giorno per ogni donna del Sud del pianeta.

When/Quando:
Nel 1995 la Federazione delle donne del Quebec organizzò la prima Marcia per chiedere "pane e rose": 200 chilometri di cammino contro la povertà e le violenze sulle donne. Nel 2000 la Federazione decise di proporre la Marcia a livello mondiale: vi parteciparono oltre 4000 gruppi di donne di 153 paesi. La "Marcia mondiale delle donne 2005", alla quale hanno aderito quest'anno 6200 organizzazioni di 161 paesi, ha voluto rendere nota la "Carta mondiale delle donne per l'umanità" che chiede di eliminare la violenza (una su tre al mondo ne è vittima), lo sfruttamento, l'intolleranza e l'esclusione sociale.

25 novembre 2005

giornata internazionale contro la violenza alle donne

La violenza contro le donne commessa dal partner, marito, fidanzato o padre è la prima causa di morte e invalidità permanente per le donne fra i 16 e 44 anni, ancora prima del cancro, incidenti stradali e guerra. E' quanto emerge da un'indagine del Consiglio d'Europa resa pubblica nei giorni scorsi.


La violenza contro le donne ha molte facce e molti tentacoli che non sempre, per fortuna, conducono alla morte. Secondo uno studio basato su 50 ricerche svolte in tutto il mondo, almeno una donna su tre nella vita è stata picchiata, costretta a rapporti sessuali o ha subito altri tipi di abuso.


La violenza contro le donne è una piaga globale che continua ad uccidere, torturare e mutilare, sia fisicamente che psicologicamente; nonostante esista in tutti i paesi, attraversi tutte le culture, le classi, i livelli d'istruzione, di reddito e tutte le fasce di età è purtroppo un fenomeno ancora poco denunciato e/o documentato.


Molte donne non hanno la consapevolezza di essere vittime di un abuso, altre non denunciano per paura perché minacciate, per proteggere e difendere se stesse e i propri figli, per la frustrazione e l'umiliazione di essere picchiate, abusate proprio dalla persona con cui hanno pensato di avere un rapporto d’amore.


La politica, l'opinione pubblica, è sorda se non compiacente. Si allarma e scandalizza solo quando a commettere gli abusi sono gli "altri": i nomadi, gli immigrati. Allora si invocano misure repressive contro gli stranieri irregolari, si inneggia a misure cruente come la castrazione fisica o chimica.

Ma la violenza alle donne non è una questione di ordine pubblico, è un problema storico e culturale. E' la manifestazione di una disparità storica nei rapporti di forza tra uomo e donna, che ha portato al dominio dell'uno e all’oppressione dell'altra.


Per queste ragioni la violenza, in particolare quella domestica, è ancor oggi un fenomeno molto sommerso, nascosto, occultato.

Pari OPPORTUNITA’/1. SECONDO UNA RICERCA EURISPES LE ITALIANE BEN RAPPRESENTATE IN POLITICA, DIVISE TRA LAVORO, CASA E MATERNITA’.

(DWpress) - Roma - L’Eurispes, nel suo "Rapporto Italia 2006", presentato nei giorni scorsi, definisce le donne italiane come "acrobate" sempre più impegnate tra lavoro, lavoro di cura e maternità, e soprattutto come una grande potenzialità che l’Italia non valorizza del tutto.

"In Italia, infatti - dichiara l’Eurispes - esiste una forte carenza dei servizi per l’infanzia (attualmente l’offerta pubblica di servizi copre appena il 7,4% della domanda, mentre lascia in accolte il 32,7% delle richieste effettive) che si accompagna al permanere di una cultura che, a trent’anni dall’inizio del processo di femminilizzazione del mercato del lavoro, stenta ancora a riconoscere il mutato ruolo della donna in seno alla famiglia e alla società, e che è ben lontana dal fornire effettiva sostanza al principio delle pari opportunità. Il risultato è che - spiega l’Eurispes - contrariamente ai paesi del Nord Europa, dove le donne lavorano senza per questo rinunciare alla maternità, e dove i tassi di occupazione femminili sono prossimi o addirittura superiori agli obiettivi di Lisbona, il nostro Paese è caratterizzato da un bassissimo livello di fecondità (1,33 nel 2004) e da un altrettanto modesto tasso di occupazione femminile (45,1), il più basso dell’Unione a 15 nel 2004".

L’indagine ha evidenziato, inoltre, che "solo l’8,3% degli italiani ritiene che le donne siano già sufficientemente rappresentate e che pertanto non sia necessario favorirne una maggiore presenza. Il campione si divide sull’idea secondo cui una donna per affermarsi in politica deve dimostrare di essere molto più brava rispetto ad un uomo: il 50,7% si dichiarano poco o per niente d’accordo, al contrario il 48,3% afferma di essere abbastanza d’accordo o del tutto d’accordo".

Per quanto riguarda la scarsa presenza delle donne in politica, alcuni tra gli intervistati ritengono che si tratti di un’effettiva discriminazione, altri credono sia dovuta alla difficoltà di conciliare gli impegni politici con la casa e la famiglia e altri ancora ritengono pure che il vero motivo sia l’insufficiente preparazione delle donne sulla politica o un loro generale disinteresse.

Due italiani su tre, sempre secondo i dati dell’indagine, "si dicono favorevoli all’introduzione delle ‘quote rosa’ poiché ritengono che l’imposizione per legge di un determinato numero di posti riservati alle donne sia l’unico modo di garantire una certa presenza femminile in politica. Il 16,1%, diversamente, esprime il proprio disaccordo verso la loro introduzione, in quanto è dell’opinione che le donne debbano conquistarsi le cariche pubbliche al pari degli uomini. Il 14%, infine, è sfavorevole perché ritiene che non sia attraverso un’imposizione di tipo legislativo che si possono creare le pari opportunità e che queste vadano perseguite creando le condizioni che possano assicurare alle donne un’effettiva partecipazione alla vita pubblica".

L’Eurispes ha poi realizzato un’ulteriore indagine sugli stereotipi di genere per scoprire le opinioni in merito ai ruoli maschili e femminili nella società di oggi, l’evoluzione dei due sessi e gli stereotipi con la diffusione del maschilismo. "Il 68,2% degli italiani sostiene che il ruolo dell’uomo ed il ruolo della donna all’interno della famiglia dovrebbero essere intercambiabili, per il 23,6% dovrebbero essere in parte distinti e per il 6,9% dovrebbero essere decisamente distinti. (…) Secondo la metà degli intervistati, gli uomini e le donne sono diversi per natura, per il 28% non sono realmente diversi, per il 17,2% sono diversi soprattutto per ragioni culturali. Per la maggioranza degli interpellati, la diversità tra i due sessi è in primo luogo prodotta dalla natura, e quindi anche dalle differenze fisiche e biologiche. Una parte significativa dei soggetti - spiega ancora l’Eurispes - è dell’idea che le differenze tra le singole persone non siano determinate in modo rilevante dal sesso di appartenenza, quanto piuttosto dalle personalità individuali".

La ministra per le Pari Opportunità, Stefania Prestigiacomo, commenta così l’indagine: "I dati resi noti dall’Eurispes, con due italiani su tre favorevoli alle ‘quote rosa’, confermano, ancora una volta, come nel paese esista ormai la consapevolezza che le quote rappresentano uno strumento opportuno e necessario per avviare un processo di riequilibrio della rappresentanza nelle assemblee elettive. Ormai da mesi tutti i sondaggi indicano univocamente che gli italiani e le italiane sono favorevoli alle quote, con percentuali che vanno dal 60 all’80%. Credo che questo dato possa e debba ulteriormente confermare nelle forze politiche, alla vigilia dell’importante voto del Senato sul ddl governativo sulle pari opportunità, l’esigenza di dare un segnale politico al paese, confermando in Parlamento, ma soprattutto nella composizione delle liste la concreta volontà di valorizzare la risorsa femminile in politica", conclude Prestigiacomo.

Un’altra parte dell’indagine porta alla luce un dato che testimonia che una donna su cinque, tra quelle occupate al momento della gravidanza, non lavora più dopo il parto per svariati motivi, che no sempre però, dipendono dalla sua volontà. Nel 69% dei casi è la donne a licenziarsi, nel 23,9% è perché è scaduto un contratto che non le è stato rinnovato o perché è stata direttamente licenziata. Questo perché le donne sono considerate risorse preziose per le aziende finché non rimangono incinte, dopodiché, come dire, non servono più a nulla, vengono considerate solo dei casi ‘problematici’ dei quali magari è preferibile sbarazzarsi il prima possibile.

I dati Eurispes riportano anche la voce della maggioranza degli italiani favorevoli alla possibilità di abortire, in linea generale, ma poco propensi per alcuni casi specifici, come la mancanza di risorse economiche o la specifica volontà, da parte della madre, di non avere un bambino. Una buona percentuale degli intervistati si dice favorevole all’aborto nel caso di pericolo per la madre, di gravi anomalie e malformazioni del feto e in caso di violenza sessuale; ma le percentuali positive scendono notevolmente quando i motivi dell’interruzione sono più attinenti alle condizioni economiche o alla volontà della madre di non avere figli.