LA
BORSA PETROLIFERA IRANIANA E' UNA MINACCIA DIRETTA CONTRO
IL DOLLARO
DI
MIKE WHITNEY
L'amministrazione Bush non permetterà mai che il governo
iraniano apra una borsa petrolifera iraniana basata
sull'euro. Se ciò dovesse accadere centinaia di miliardi
di dollari rifluirebbero negli Stati Uniti con l'effetto
di schiacciare il biglietto verde e affondare l'economia.
Ecco perché Bush & Co, vogliono fare la guerra
all'Iran. Si tratta puramente e semplicemente di
difendere l'attuale sistema mondiale e la sua moneta di
riserva: il dollaro.
L'accusa che l'Iran si stia preparando a sviluppare armi
atomiche è un semplice pretesto. Secondo la NIE
(National Intelligence Estimate) l'Iran avrà bisogno
ancora di una decina d'anni per poter sviluppare qualche
forma di armamento atomico. Il direttore della IAEA,
Mohammed ElBaradei ha ripetuto continuamente che la
propria agenzia di controllo non ha trovato "nessuna
prova" che esista un programma nucleare militare.
Non esiste infatti nessun piano nucleare di armamenti,
né tantomeno nessun armamento nucleare, in realtà sono
i progetti economici iraniani che costituiscono una
minaccia mortale per l'economia americana, e la minaccia
non può essere ignorata lasciando che sia l'inesorabile
funzionamento delle leggi del libero mercato a regolare
le cose. Fatto sta che l'America ha il monopolio sul
mercato del petrolio. Il petrolio viene venduto
esclusivamente in dollari presso le borse di New York
(NYMEX) o di Londra (IPE), ambedue in mani americane.
Questo comporta che le banche centrali mondiali sono
costrette a mantenere grosse riserve di dollari anche con
un biglietto verde appesantito da un debito di 8 mila
miliardi di dollari e con l'amministrazione Bush che ha
dichiarato di continuare nella sua politica di
indebitamento rendendo permanenti i tagli alle tasse. Il
monopolio americano, come valuta mondiale di riserva,
segue perfettamente lo schema piramidale di una catena di
Sant'Antonio. Dal momento che le altre nazioni sono
obbligate a comprare dollari per potersi approvvigionare
di petrolio, gli USA possono continuare nella loro
politica sfrenata di indebitamento senza pagare pegno.
(Attualmente il dollaro rappresenta il 68% dell'ammontare
complessivo delle riserve mondiali, contro il 51% di
appena una decina di anni fa.) L'unica minaccia a questa
strategia è la prospettiva di una concorrenza
rappresentata da una terza borsa mondiale indipendente,
che costringerebbe il già pericolante dollaro a
confrontarsi faccia a faccia con una valuta di riserva
più stabile (e senza grossi debiti) come l'euro. Questa
situazione consentirebbe alle banche centrali di
diversificare le loro riserve rimandando in America
miliardi di dollari con l'effetto di provocare un
devastante ciclo di iperinflazione. Gli sforzi di
mantenere lontano dai titoli di prima pagina l'apertura
della borsa petrolifera iraniana sono stati coronati da
un grande successo. Una ricerca con Google ci dimostra
che NESSUNO dei maggiori giornali o reti TV ha parlato
dell'imminente borsa iraniana. L'avversione dei mezzi di
informazione principali a riferire su temi controversi di
interesse del pubblico si è manifestata in modo evidente
in molti altri casi, come per esempio le elezioni
fraudolente del 2004, i resoconti stenografici di Downing
Street e la distruzione di Falluja. I grandi mezzi di
comunicazione invece di informare il pubblico hanno fatto
da grancassa ai disegni del governo, manipolando così
l'opinione pubblica ripetendo in continuazione i temi
demagogici di Bush. Il risultato è che pochi sono a
conoscenza della gravità della situazione che minaccia
l'economia americana. La controversia non è quindi tra
"liberali contro conservatori". Tutti quelli
che hanno analizzato il problema sono giunti alla
medesima conclusione, se la borsa iraniana avrà successo
il dollaro precipiterà con gravi conseguenze per
l'economia americana. Ecco che cosa riferisce Krassimir
Petrov, laureato in economia, in un suo recente articolo
dal titolo: La proposta borsa petrolifera iraniana:
"Da un punto di vista puramente economico se la
borsa iraniana avrà successo verrà presto preferita
dalle maggiori forze economiche mondiali accelerando
l'abbandono del dollaro. La caduta del dollaro aumenterà
in modo drammatico l'inflazione americana facendo salire
verso l'alto gli interessi americani a lungo termine. A
questo punto la Fed si troverà a fronteggiare una
difficile scelta: deflazione o iperinflazione, quindi o
farà ricorso alla "medicina classica" dello
schema deflativo, con l'aumento dei tassi di interesse,
che, a loro volta causeranno una depressione economica
grave, con la caduta del mercato immobiliare,
l'implosione delle azioni, dei bonds e dei mercati dei
derivati, insomma un collasso finanziario totale, oppure,
in alternativa, scegliere la strada di Weimar
dell'inflazione. Senza alcun dubbio il Comandante in Capo
Ben Bernanke, un applaudito studioso della Grande
Depressione, sceglierà l'inflazione il Maestro gli ha
insegnato che la panacea di ogni problema finanziario è
quella inflativa, accada quello che accada¦ per evitare
la deflazione si farà ricorso alle rotative tipografiche
del Tesoro, e, se necessario, si monetizzerà tutto
quello che c'è da monetizzare. Il risultato finale sarà
la distruzione della valuta americana per mezzo delle
iperinflazione. Così, o si aumentano i tassi di
interesse e si provoca un "crollo finanziario
totale" oppure si sceglie "la strada di
Weimar" e si ottiene la "distruzione
dell'economia americana a causa della
iperinflazione". Le prospettive non sono buone, alle
stesse conclusioni pervengono anche gli analisti di
destra. L'articolo di Alan Peter, "La minaccia dei
Mullah non è infondata", pubblicato su
frontpagemagazine.com, presenta le stesse preoccupanti
conclusioni a riguardo dei pericoli di una borsa
petrolifera iraniana: "Un monte di dollari in
possesso delle Banche Centrali e dei leader asiatici, in
aggiunta ai ridotti tassi di interesse offerti agli
investitori da parte degli USA ha messo il dollaro in
pericolo"; un dito nervoso sul grilletto del mercato
dei cambi può colpire e abbattere il dollaro anche senza
nessuna cattiva intenzione. Le stime più diffuse
ritengono che il dollaro possa scendere a livelli
terra-terra con una rapida perdita di almeno il 50%,
tenuto conto della sua supervalutazione attuale del 40%.
L'erosione di valore del biglietto verde era stata
prevista dall'ex direttore della Fed Paul Volcker il
quale aveva detto che "vi è il 75% di probabilità
che il dollaro crolli entro i prossimi cinque anni".
Questo crollo comporterebbe l'innalzamento dei tassi di
interesse, una iperinflazione, un impennata stratosferica
dei costi energetici, una diffusione massiccia della
disoccupazione e, forse, una depressione. Questo è il
preoccupante scenario che si apre di fronte alla
prospettiva della borsa iraniana che può far cadere il
dollaro dal suo traballante trespolo. Ecco perché la
guerra contro l'Iran, anche nucleare, è molto probabile.
L'articolo continua così: "Con le economie mondiali
strettamente interconnesse e interdipendenti una
depressione mondiale, non solo americana, avrebbe un
effetto domino che provocherà la povertà in tutto il
mondo. I mercati necessari alle merci americane, ora
disponibili a costi bassissimi, non si potrebbero più
materializzare. Il risultato, secondo stime dello SME,
potrebbe essere la disoccupazione di 200 milioni di
americani con la gente che muore di fame per le strade
mentre niente e nessuno li può aiutare, a differenza
della Grande Depressione del 1920/30 quando venivano
fornite minestre calde e aiuti ai poveri". Liberali
o conservatori, le analisi coincidono. Se l'America non
riesce a fronteggiare il potenziale catastrofico della
borsa iraniana gli americani si possono aspettare le
peggiori conseguenze. Adesso si può comprendere perché
i media americani si sono preoccupati di non fare nessun
accenno alla borsa petrolifera iraniana. Si tratta di un
segreto che i padroni del vapore vogliono mantenere per
se stessi. E' più facile convincere il pubblico ad
accettare una nuova guerra per via dei fanatici islamici
o della paura nucleare che non per le vere ragioni della
difesa di un dollaro piuttosto anemico. Cionondimeno
quello che stiamo facendo in Irak e che, presumibilmente,
faremo nel prossimo futuro in Iran, è nient'altro che la
difesa del dollaro. (Saddam si era convertito all'euro
nel 2000, nel 2001 sono incominciati i bombardamenti.)
(In preparazione dell'invasione nel 2003. NdT). Il
dilemma può essere risolto in maniera pacifica, ma ciò
non è possibile se Bush insiste a nascondersi dietro lo
stupido inganno del terrorismo e degli armamenti nucleari
immaginari. Bush dovrebbe essere chiaro con gli elettori
per quanto riguarda la vera natura della crisi energetica
globale e smetterla di invocare Bin Laden le armi di
distruzione di massa per giustificare le aggressioni
americane. C'è bisogno di una strategia energetica
omnicomprensiva (che comprenda il finanziamento
governativo per progetti di conservazione, per la ricerca
di fonti alternative e per lo sviluppo di una nuova linea
di veicoli ibridi "made in America", negoziati
in buona fede con l'Iran per regolamentare le quantità
di petrolio che potranno mettere sul mercato in valuta
euro (permettendo così al dollaro di trovare una via di
uscita con calma) e un approccio collettivo
"internazionale" per il consumo e la
distribuzione dell'energia (sotto gli auspici di una
Assemblea Generale dell'ONU). Bisognerebbe incoraggiare
una maggiore parità fra le valute per rafforzare le
democrazie e rinvigorire i mercati. Se si consentono
nuovi modelli di sviluppo politico si può infondere
nuova vitalità ai mercati senza il timore di essere
schiacciati dal prototipo capitalista. L'attuale
predominio del biglietto verde ha creato un impero
mondiale che, per mantenere la propria supremazia, deve
fare ricorso, in larga misura, all'indebitamento, alla
tortura, e alla guerra. La borsa petrolifera iraniana
rappresenta oggi una delle più grandi sfide al dollaro e
ai suoi difensori della Federal Riserve. Se Bush va
avanti per la sua strada e risponde con attacchi
"nucleari" preventivi contro siti nucleari
presunti allora gli alleati si allontaneranno ancora di
più mentre altri paesi saranno costretti a reagire. Come
dice il dottor Petrov: "I paesi con le maggiori
riserve in dollari possono decidere tranquillamente di
reagire inondando il mercato con montagne di dollari,
impedendo così agli USA di finanziare le proprie
ambizioni militari". E' sempre più probabile che il
più grande campione dell'attuale sistema sia anche
quello che ne avrà provocato la caduta.
Mike Whitney
Fonte:www.dissidentvoice.org
Link:: http://www.dissidentvoice.org/Jan06/Whitney24.htm
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