I padri e i
padroni:
alla Rai chi comanda
sono i produttori.
Avevamo promesso di tirare in ballo Giovanni Minoli che
appare oggi uno dei più agguerriti difensori di una
Televisione ben precisa, o per meglio dire, di una Rai
che sia davvero Servizio Pubblico. L'occasione ce l'ha
offerta un'intervista di Stella Pende su Panorama nella
quale Minoli non solo si è tolto qualche sassolino dalla
scarpa, metti contro Vespa che, pur essendo
"eccellente giornalista che coniuga al meglio
politica, intrattenimento e cronaca" compie tuttavia
un abuso di potere mettendo il veto a Mixer. Ma è
soprattutto contro la Rai in subappalto, contro le
trasmissioni fatte "fuori", contro i format e i
loro padri padroni che Minoli ha puntato il dito
accusatore. Andando a toccare quel nervo scoperto che si
chiama: chi decide chi in Rai? E la risposta per
l'inventore di Mixer è che non decidono i giornalisti
nè i dirigenti nè, men che meno, i capistruttura.
Decidono i Bibi Ballandi, i Lele Mora, quelli di Endemol
e di Magnolia (Bassetti e Gori). Se però sono i Gori, i
Basetti, i Ballandi quelli che scelgono conduttori,
conduttrici, attori e registi, scrittori e sceneggiatori,
registi e truccatori, la Rai che ci sta a fare? Il
capostruttura d'antan aveva un ruolo centrale, seguiva
passo passo i programmi ideati all'interno dell'azienda,
era l'ufficiale di collegamento che accompagnava attori e
tecnici lungo il sentiero tracciato da Mamma Rai. Non
solo, ma gli ideatori dei programmi si chiamavano Umberto
Eco, Furio Colombo, G.F.Bettettini, Renzo Arbore, Angelo
Guglielmi, Gigi Locatelli e altri ancora. La mancanza di
un vivaio e l'assenza di capacità di scelte e di
decisionde, quasi tutte delegate, privilegia il ruolo
burocratico e non quello creativo e produttivo di una
macchina ed il risultato è un doppio scacco. Quello
qualitativo, più volte rilevato dal Presidente Ciampi,
la cui signora Franca non ha esitato a definire
"deficiente "la nostra TV e quello del
subappalto esterno, una sorta di rilocalizzazione
produttiva Rai, sul tipo del tessile dal Veneto alla
Romania o in Bangladesh.
Come non dare ragione a Ciampi? La Rai è pedagogia,
qualità, modello, stile, insegna ogni volta che
trasmette, irradia programmi di valori e di
comportamenti, deve concentrarsi sul suo compito
fondamentale che le reti commerciali non possono
assolvere: salvaguardare il pluralismo politico (non
partitico, attenzione) e la qualità culturale dei
programmi. Tutto ciò sembra appartenere ad un'altra Rai,
lontana, sperduta nel tempo, irripetibile. Certo, ma si
spiega anche con un fatto che ha dell'incredibile: che
una Rai con oltre 10 mila dipendenti produce fuori,
subappalta il 70 per cento circa di quello che trasmette.
Ha ragione dunque Minoli quando ripete fino alla noia la
metamorfosi in negativo, qualcuno ha parlato di mutazione
genetica nella TV, con "la prevalenza del
cretino" quando cioè la corsa è fatta coi cretini
(deficienti, per donna Franca). Il corto circuito è
derivato anche da questo e provoca una spoliazione
sistematica della Rai delle sue più autentiche qualità
giacchè una "Isola dei famosi", vale a dire il
reality che più reality non si può, non è la Rai e,
soprattutto, non dovrebbe passare in Rai, come ci
ricordano all'unisono Stefano Munafò e l'Emerito
Presidente Cossiga.
Una mamma che ingolfa i palinsensti di trash e riempie i
programmi di orrori pur di fare audience, e che sembra
una TV caraibica dalle sette di mattina alla mezzanotte,
è una matrigna ,peggio, una strega. Il che rimette in
discussione il canone. Che è pure il più basso
d'Europa. Che fare? Ha suggerito Giovanni Minoli:
mettiamo il pallino verde( il ministro Landolfi parla di
pallino blu) sui programmi pagati dal canone, va da sè
che gli altri saranno pagati dalla pubblicità.
Elementare Watson,s taremmo per dire. Ma le
controindicazioni indicate ieri dall'ottimo Munafò non
sono affatto peregrine. Ci vuole ben altro. Ne parleremo.
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