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GLI STATI UNITI PREPARANO LA GUERRA ALL'IRAN

NOTIZIE DAL MONDO

a) Gli Stati Uniti proseguono nel preparare il terreno per lo scatenamento di una nuova aggressione, stavolta all’Iran. Tra le notiziole in merito, segnaliamo quelle del 4 (sulla farsa che si è consumata all’AIEA, Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica, è la più significativa tra le altre in tema), del 4 e del 14 (un paio di notazioni sullo zelo servile –agli USA– della Germania), del 12 (due notiziole sui piani di guerra di USA e Israele) e del 13 (le prime stime sui morti iraniani). A contornare meglio il quadro, notizie diffuse (1, 2, 3, 4, 7, 8, 11, 13). Alla fin fine se proprio sarà inevitabile questa nuova aggressione imperialista, con il codazzo di alleati/subalterni che non mancheranno, piace pensare alla ‘profezia’ di James Petras (4), stante anche le ripercussioni tutt’altro che remote che paventa l’Oxford Research Group (13).

b) Parliamo (ancora) di Palestina. Le elezioni non hanno offerto il responso gradito all’imperialismo regionale (Israele) e al suo sponsor imperialista globale (Stati Uniti). Esilarante l’imbarazzo e l’acredine dei ciarlatani occidentali di supposte democrazie e presunte libertà nel dover commentare quei dati elettorali. Le intimidazioni alla popolazione palestinese, nei Territori Occupati, sulle conseguenze di un voto dato ad Hamas hanno ricevuto come risposta una valanga di attestati di non sottomissione e di resistenza. Segnaliamo un paio di notiziole del 1° febbraio sull’atteggiamento di Hamas che distingue tra ebrei ed Israele con interessanti notazioni storiche. Da non perdere anche la carrellata al 14: alcune, riportando dichiarazioni di esponenti di Hamas, delineano le più o meno immediate prospettive d’azione e di governo, altre (la 2^ e la 3^ del 14) illustrano le misure legislative antidemocratiche che il parlamento uscente egemonizzato dalla classe dirigente corrotta e servile di Fatah ha varato per cercare di imbrigliare la politica di Hamas. Ma è tutta la carrellata del 14 che merita di essere conosciuta, nonché chicche sparse al 7, 8, 9, 10 e 13. Per converso segnalazioni da Israele (9, 10, 11, con la prima ed ultima particolarmente significative).

c) Sull’attivismo imperialista statunitense nel mondo: NATO-USA / Afghanistan (1, 3); USA / Giappone (10) e USA (3, 4, 7, 8, 9, 13, ).

d) Nell’area asiatica e caucasica, segnaliamo innanzitutto la Cina (1, un nutrito blocchetto di notizie al 3 con direttrici Africa, Iran, Russia, e 10); quindi Russia (1, 2, 9, 11); Georgia (5); Kirghizistan (3).

Euskal Herria. 1 febbraio. «Il modello della Catalogna non serve per risolvere il conflitto in Euskal Herria». Lo sostiene Arnaldo Otegi, portavoce dell’illegalizzata Batasuna, intervistato tre giorni fa dal quotidiano indipendentista basco Gara. E aggiunge: «Il processo di superamento del conflitto politico ed armato in in Euskal Herria non ha niente a che vedere con una riforma statutaria come quella della Catalogna che accetta la legalità spagnola e rinegozia il testo (lo Statuto, ndr) a Madrid. Non è lo stesso obiettivo né lo stesso metodo. La nostra impostazione non consiste nel riformare le cornici politiche, ma nel risolvere il conflitto in termini strutturali. Noi puntiamo ad un tavolo di accordi in Euskal Herria, quindi ad un processo di negoziazione con gli Stati (Spagna e Francia, ndr) sull’applicazione di accordi che siano scaturiti dal nostro popolo». Del resto, osserva, «CiU (formazione autonomista catalana, ndr) ha fatto un patto per gestionare i suoi affari e tornare a gestire la Generalitat. Indipendentemente dal fatto che non sappiamo se sarà accettato (in Catalogna, ndr), quel che è certo è che questo paese non ha seguito un processo tipo quello di Lizarra (accordo basco tra forze politiche, sindacali, sociali, culturali per l’autodeterminazione, ndr). Qui i limiti sono chiari. Superare il conflitto in questo paese (Euskal Herria, ndr) significa riconoscere il suo carattere di nazione e concordare formule che rendano possibile il suo diritto a decidere liberamente e democraticamente. Altro non serve».

Gran Bretagna. 1 febbraio. Schedati nell’archivio ministero dell’Interno i dati del DNA di 24mila minorenni incensurati. Lo ha scoperto e denunciato un parlamentare conservatore, Grant Shapps. La notizia è stata diffusa dal sito della Bbc il 21 gennaio. Shapps ha annunciato una campagna per ottenere che questi dati vengano cancellati dagli schedari. Il caso è venuto alla luce perché nella schedatura genetica di massa è incappato anche il figlio di un elettore del collegio di Shapps, arrestato per uno scambio d’identità. Nonostante questo, il suo DNA era stato inserito nell’archivio della polizia. Il parlamentare è riuscito a far rimuovere i suoi dati genetici dallo schedario, ma nel corso del procedimento ha scoperto che nell’archivio del ministero dell’Interno ci sono i dati del DNA di 24mila giovani dai 10 ai 18 anni. In precedenza, però, il ministero aveva annunciato che nel giro di due anni verrà inserito negli schedari informatici il DNA del 7% della popolazione britannica. Al momento il 5% dei residenti britannici ha il proprio DNA inserito negli archivi, un tasso molto alto se confrontato con la media europea dell’1.13% e con quella dello 0.5% degli Stati Uniti. In Gran Bretagna le autorità prendono i dati del Dna di tutte le persone sospettate che vengono fermate per un qualunque reato che preveda il carcere, e i dati vengono conservati anche se la persona è scagionata da ogni accusa.

Russia. 1 febbraio. Vladimir Putin e George Bush II hanno scelto lo stesso giorno per celebrare i loro "discorsi alla Nazione". Un discorso battagliero è stato quello del presidente russo, con frecciate rivolte soprattutto ai piani bellicosi di Washington. «Mosca ha provato un sistema missilistico difensivo che nessuno al mondo è in grado di avere, un sistema missilistico capace di essere immune ad ogni tipo di attacco e in grado di cambiare la sua traiettoria», è stato un argomento centrale di Putin, che ha esortato pure Stati Uniti ed Unione Europea a non bloccare i fondi da destinare all’Autorità Nazionale Palestinese in conseguenza della vittoria di Hamas dopo le elezioni generali del 25 gennaio scorso. Putin non ha lesinato frecciate anche all’Ucraina di Yushenko. Nell’esprimere soddisfazione per l’accordo sul gas, Putin ha aggiunto di aver notato «che i nostri partner ucraini hanno ammesso di aver preso del gas. Vorremmo che lo pagassero». Dispiacere è stato espresso per l’incidente diplomatico con la Gran Bretagna in seguito all’operazione di spionaggio condotta da Londra, anche se il capo del Cremlino ha puntualizzato che non ci dovrebbero essere ripercussioni sulle relazioni tra i due paesi. Putin ha poi espresso considerazioni sul prossimo G8 che si svolgerà a San Pietroburgo, auspicato l’ingresso di Mosca (osteggiato dagli Stati Uniti) nel WTO, e dichiarato solidarietà all’Uzbekistan, asserendo che la prospettiva di una rivoluzione (foraggiata dagli USA) potrebbe trasformare lo Stato dell’Asia Centrale in «un altro Afghanistan».

USA-NATO / Afghanistan. 1 febbraio. Nuovo ruolo della NATO in Afghanistan. L’olandese Jaap de Hoop Scheffer, dal 2004 segretario generale della NATO, intervistato dal quotidiano USA International Herald Tribune (30 gennaio 2006), chiede nuove truppe per l’allargamento della missione ISAF (International Security Assistance Force), sino al prossimo maggio sotto comando del generale italiano Mauro Del Vecchio, alle zone più pericolose dell’Afghanistan, cioè nel sud-est lungo il confine del Pakistan. L’esortazione è diretta in particolare al Parlamento olandese che, dopo averla bloccata, si appresterebbe ad approvare la proposta del primo ministro di centrodestra Jan Peter Balkenende di inviare altri effettivi. In precedenza, la NATO aveva deciso a livello di ministri degli Esteri di passare da un ruolo di peacekeping (mantenimento della "pace", ruolo affidatole dall’ONU) a quello più attivo di peacemaking, che comporterebbe il coinvolgimento in combattimenti ad alta intensità nelle aree più turbolenti dell’Afghanistan. A tutt’oggi, l’ISAF staziona nella capitale Kabul e in aree meno pericolose del nord-ovest. L’espansione al sud (fino a controllare tre quarti del territorio afgano) porterà le forze della NATO fianco a fianco con i reparti dell’operazione Enduring Freedom, guidata dagli USA. E questo ha suscitato la reazione negativa di Paesi come la Francia e il Belgio, che non vogliono confondere l’ISAF con l’altra missione o che temono addirittura la loro fusione sotto l’unico "cappello" della NATO.

USA-NATO / Afghanistan. 1 febbraio. Anche nel Sud del paese si vogliono insediare i cosiddetti PRT (Provincial Reconstruction Teams) militari, con compiti di "assistenza" alle autorità civili locali. Vi partecipa anche l’Italia (così come nella forza multinazionale ISAF operante a Kabul). Nel Regno Unito è stato lo stesso ministro della Difesa, John Reid, a spiegare ai Comuni il 26 gennaio che il governo laburista ha deciso di inviare nel sud del Paese (provincia di Helmand, con una base avanzata a Kandahar) 3300 effettivi, oltre ai mille già dislocati a Kabul e al nord. Londra conta già sul contributo militare dell’Australia, del Canada e della Danimarca e attende la decisione finale del Parlamento olandese. L’impegno allargato al sud potrà agevolare il piano USA per la riduzione da 19.000 a 16.500 unità, presenti laggiù, entro fine 2006.

USA-NATO / Afghanistan. 1 febbraio. Le considerazioni esposte dal segretario generale al quotidiano USA non sono però confinate al caso afgano. Sta emergendo una linea politica di svolta teorica e pratica su obiettivi -e quindi strutture- della NATO dopo il crollo del Muro. L’Alleanza Atlantica si è già dotata della NATO Response Force, un contigente di "proiezione rapida" che entro ottobre 2006 conterà 25mila effettivi per missioni globali in grado di dislocarsi con appena cinque giorni di preavviso e di operare sul posto per almeno trenta giorni. Afferma de Hoop Scheffer, «l’Afghanistan è la più importante operazione della NATO (…) Questa è una alleanza fondata sulla solidarietà in cui le nazioni non possono scegliere ciò che preferiscono (…) La solidarietà richiede in questa alleanza che, se sei in grado di partecipare all’operazione, devi farlo. Non dovresti dire, mi spiace, è troppo pericoloso. È una argomentazione che non raccolgo».

Iran. 1 febbraio. «L’Iran e i suoi alleati potrebbero mandare lo Stato sionista in un coma eterno come quello del Primo Ministro Ariel Sharon». Così il ministro della Difesa iraniano Mostafa Mohammada Najar ha replicato il 25 gennaio scorso alle minacce israeliane. Frattanto, riferisce il quotidiano britannico Daily Telegraph, la guida spirituale e massima autorità del Paese, l’ayatollah Ali Khamenei, ha ordinato che strutture sotterranee protette siano completate entro il prossimo luglio. Per la costruzione di questa rete di tunnel sotto terra o nelle montagne, aggiunge la rivista Jane’s Defence Weekly, gli iraniani avrebbero avuto la collaborazione dei nordcoreani. Un vasto impianto sotto terra per l’arricchimento dell’uranio, in fase di costruzione, è stato scoperto nel 2003 dagli ispettori dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (AIEA) vicino alla città di Natanz. Altre strutture costruite in superficie, come l’impianto di conversione dell’uranio di Isfahan, sono invece più vulnerabili ad eventuali attacchi missilistici: per difenderli, Teheran si sta affrettando a rafforzare le difese aeree.

Iran. 1 febbraio. Il testo della bozza di risoluzione sull’Iran, frutto di un estenuante negoziato, che sarà presentato all’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (AIEA), chiede che l’AIEA «riferisca» al Consiglio di Sicurezza dell’ONU sul programma nucleare di Teheran. L’intervento di Cina e Russia, membri permanenti del Consiglio di sicurezza, ha evitato l’uso della parola «deferimento», che avrebbe potuto aprire la strada a possibili sanzioni dal Palazzo di Vetro, rimandando ogni azione del Consiglio di Sicurezza a questo riguardo al prossimo vertice dell’AIEA, previsto per il 6 marzo, dov’è atteso un rapporto del direttore dell’agenzia, Mohamed El Baradei. La proposta di risoluzione chiede ai governatori dell’AIEA di "portare" davanti al Consiglio di Sicurezza «tutti i rapporti e le risoluzioni adottate dall’AIEA» sul programma nucleare iraniano. La bozza, poi, intima a Teheran di sospendere la ricerca sul nucleare e ogni attività di arricchimento dell’uranio, inclusa quella di ricerca e sviluppo.

Iran. 1 febbraio. La risposta iraniana alla bozza di risoluzione è perentoria: «Non vi è alcuna base giuridica per un rinvio al Consiglio di Sicurezza dell’ONU», ha dichiarato il capo dell’agenzia iraniana per l’energia nucleare, Gholamreza Aghazadeh. «In base ai regolamenti dell’AIEA, gli europei non possono riferire il caso iraniano al Consiglio di Sicurezza». Il vice capo del Supremo consiglio per la sicurezza nazionale, Javad Vaidi, ha annunciato poi che la ripresa della ricerca sul combustibile nucleare è «irreversibile».

Iran. 1 febbraio. «La nazione iraniana non si piegherà davanti al linguaggio della forza di alcuni Paesi» ha detto il presidente iraniano Mahmud Ahmadinejad. Il presidente iraniano ha parlato oggi in un comizio a Bushehr, dove è in fase di realizzazione la prima centrale nucleare iraniana, e ha aggiunto che il programma nucleare iraniano proseguirà. Ahmadinejad ha detto che la centrale di Bushehr, con una capacità di 1.000 megawatt, entrerà in funzione entro la fine del 2006.

Palestina. 1 febbraio. L’Iran si è offerto di sopperire ai bisogni dei Palestinesi e il Qatar ha promesso l’invio immediato di 33 milioni di dollari. Khaled Mashaal, esponente di Hamas rifugiato a Damasco, così risponde, su The Guardian di ieri, alle minacce di USA e Unione Europea di congelamento dei fondi. Dello stesso Khaled Mashaal è significativa un’altra dichiarazione, la cui sostanza è peraltro reiterata dai diversi dirigenti di Hamas: «Il nostro messaggio ad Israele è questo: non vi combattiamo perché siete di una certa religione o cultura. Gli ebrei hanno vissuto con i musulmani per 13 secoli in pace ed armonia; gli ebrei sono, per la nostra religione, "il popolo del libro"; il nostro conflitto con voi è politico, non religioso. Non abbiamo problemi con gli Ebrei che non ci sono ostili, ma con quelli che vengono nella nostra terra, si impongono con la forza, distruggono la nostra società e cacciano la nostra gente. Non riconosceremo mai a nessuna potenza il diritto di toglierci la terra e negarci il diritto ad uno Stato sovrano. Non riconosceremo mai la legittimità di uno stato sionista sul nostro territorio per rimediare i peccati o risolvere i problemi di qualcun altro. Ma se volete accettare la proposta di una tregua di lunga durata, siamo pronti a negoziare. Hamas stende la sua mano in segno di pace a chi è veramente interessato ad una pace basata sulla giustizia».

Palestina. 1 febbraio. La posizione di Hamas nei confronti degli ebrei e di Israele è ben chiaramente differenziata e sinteticamente articolata da un altro esponente di Hamas, Moshir Al Masri. «Non sa (Israele, ndr) cosa voglia dire una tregua, come mostra la sua violazione della tregua attuale, e non conosce la lingua della pace», dice Al Masri. «Non conosce altro che la lingua del crimine e del terrore contro il nostro popolo. Di conseguenza confermiamo la nostra adesione a soluzioni a tappe, ma non riconosceremo mai l’occupazione del nostro territorio. Ecco perché il resto del mondo dovrà riunirsi per mettersi al fianco del nostro popolo dolente e martoriato, il cui territorio è occupato, i cui luoghi sacri sono violati e i cui figli sono le vittime della peggiore aggressione. Quanto alla creazione di uno Stato che riunisca ebrei e palestinesi, noi abbiamo sempre affermato -ma io lo voglio riaffermare ancora una volta- che noi abbiamo convissuto durante tutta la storia islamica con gli ebrei che in quanto dhimmi, nello stato musulmano, godevano degli stessi vantaggi ed erano soggetti agli stessi obblighi nostri; facevano parte della nostra patria. Di nuovo: il problema non è con gli ebrei. L’unico problema che noi abbiamo è con l’occupazione israeliana».


Palestina. 1 febbraio. Il governo palestinese deve continuare a ricevere aiuti internazionali nonostante le preoccupazioni per la vittoria elettorale del gruppo militante islamico Hamas. Lo ha dichiarato in un’intervista il presidente della Banca Mondiale, il "neoconservatore" Paul Wolfowitz. Parlando al
Financial Times, Wolfowitz ha invitato Russia, Unione Europea, Stati Uniti e Nazioni Unite -i membri del Quartetto- a consentire alla Banca di continuare a lavorare nella regione. Il Quartetto ha chiesto ad Hamas di rinunciare alla violenza e riconoscere il diritto di Israele a esistere, pena la perdita degli aiuti. «Quello che noi facciamo ora dipende da quello che il Quartetto ci chiede di fare. Spero che ci chiedano di restare», ha detto Wolfowitz, arrivato alla Banca Mondiale otto mesi fa dal Pentagono, secondo cui la vittoria di Hamas alle elezioni ha messo la sua organizzazione in una posizione difficile. «Ci troviamo in un dilemma. Dobbiamo continuare a fare pressione per le riforme, ma questo governo ad interim non è nella posizione di fare molto, ora». La Banca Mondiale presiede il comitato dei donatori di Cisgiordania e Striscia di Gaza.

Nepal. 1 febbraio. Almeno 19 tra soldati e agenti di polizia sono stati uccisi dai ribelli maoisti durante un assalto alla città di Palpa. Ci sono parecchi dispersi. Le vittime sono 16 poliziotti e tre soldati, mentre tra coloro che mancano all’appello, e sarebbero dozzine, c’è anche l’amministratore del distretto. L’episodio è avvenuto poche ore prima che re Gyanendra apparisse in Tv per lanciare un appello al paese in favore della democrazia e di uno sforzo comune per la pace.

Cina. 1 febbraio. I legami tra Pechino e «paesi rivali di Washington in America latina, come Venezuela, Cuba e Bolivia», sarebbero in costante «rafforzamento». Lo scrive un’analisi di Foreign Report, a cura del Jane’s Information Group. «Sebbene tali legami non siano motivati ideologicamente, la rivalità con Washington vi gioca sicuramente un ruolo». Nel merito, i rapporti con l’America Latina si basano soprattutto sulla ricerca cinese di fonti petrolifere, come dimostra «l’interesse che le compagnie pubbliche cinesi CNPC e CNOOC hanno manifestato per i giacimenti cubani», e sugli investimenti nel settore dei trasporti in Brasile e Venezuela.

USA. 1 febbraio. Il Parlamento centroamericano (Parlacen) ha espresso il suo «energico rifiuto» alla cosiddetta "legge di protezione frontaliera, antiterrorismo e controllo dell’immigrazione illegale", approvata il 16 dicembre scorso dal Congresso USA, che è stata definita «uno strumento di violazione dei diritti umani universalmente tutelati». In un documento inviato alla Camera dei Deputati messicana, il presidente del Parlacen, il panamense Julio Palacio Sambrano, sollecita il Senato USA a depennare dalla nuova normativa le disposizioni che criminalizzano l’immigrazione, in particolare quella relativa «al vergognoso muro che dovrebbe essere costruito in quattro Stati di confine con il Messico». Muro con cui gli Stati Uniti intendono frenare il flusso dell’immigrazione "clandestina", che negli Stati confinanti con il Messico sta portando ad una sempre più marcata prevalenza dei "latinos". Secondo il Parlacen, però, una simile barriera «non contribuisce affatto al rafforzamento della necessaria cooperazione che deve esistere tra gli USA e i paesi dell’America Latina per affrontare con possibilità di successo le nuove minacce alla sicurezza e il consolidamento del processo democratico nel nostro emisfero». L’assemblea centroamericana ha inoltre sollecitato Washington a mantenere il trattamento preferenziale accordato ai migranti centroamericani, a eccezione del Guatemala, attraverso il cosiddetto Status di protezione temporanea (Tps). La risoluzione del Parlacen è stata trasmessa al Dipartimento di Stato USA, alla Commissione interamericana dei diritti umani, all’Organizzazione degli Stati americani (OSA) e alle Nazioni Unite.

Venezuela. 1 febbraio. «Vi teniamo d’occhio». Il presidente venezuelano Hugo Chávez ha lanciato il suo avvertimento agli Stati Uniti: «Smettete di spiarci», ha detto Chávez, perché «abbiamo infiltrati tra voi». La scorsa settimana Chávez aveva accusato l’ambasciata USA di spionaggio e ora ammette che come contromossa Caracas è passata allo spionaggio difensivo. «I militari americani dell’ambasciata ci spiano», ha dichiarato Chávez, «e noi abbiamo infiltrati. Sappiamo persino dove vanno a mangiare la arepas reina pepeada, che gli americani amano», ha aggiunto, in riferimento al popolare dolce fritto venezuelano.

Irlanda del Nord. 2 febbraio. Controlli su supposti interessi dell’IRA. Oltre un centinaio di poliziotti hanno ispezionato una ventina di proprietà nella Repubblica irlandese tra cui un bar, un hotel, e uffici di avvocati e commercialisti come parte di una inchiesta su una supposta operazione di riciclaggio di denaro da parte dell’IRA (Esercito Repubblicano Irlandese). Operazioni analoghe erano state compiute l’anno scorso a Dundalk e Manchester. Nessun arresto.


Irlanda del Nord. 2 febbraio. La Commissione di Messa fuori Uso delle Armi smentisce quanto suggerito nella relazione della Commissione di Verifica, che ha sostenuto che l’IRA potrebbe aver conservato un certo numero di armi. In quella relazione si fa anche cenno alla nascita di due nuovi gruppi dissidenti repubblicani: ONH, una scissione della Continuity IRA, e SNH, composto da giovani repubblicani di Belfast insoddisfatti dell’andamento del processo di pace.

Russia. 2 febbraio. La Russia possiede nuovi missili capaci di superare qualsiasi difesa anti missile. Princìpi e capacità di funzionamento sono state illustrate dal presidente Vladimir Putin, due giorni fa, al suo omologo francese Chirac nel corso di una visita ad una installazione militare russa. Ne dà notizia l’agenzia Interfax. Putin ha detto: «La Russia ha sperimentato sistemi missilistici che nessuno al mondo possiede; essi non costituiscono risposta a un sistema di difesa anti missile, ma non ne vengono condizionati, essendo supersonici e capaci di cambiare la loro quota e traiettoria». È così impossibile l’intercettazione poiché «un sistema di difesa anti missile è progettato per intercettare un missile che si muove secondo una traiettoria balistica». Putin ha aggiunto che questi missili possono portare testate nucleari, ma non ha precisato se siano già entrati in servizio nelle forze armate russe. La Russia si era opposta alla decisione presa da Washington nel 2002 di ritirarsi dal trattato Anti-ballistic missile (Abm) del 1972 per potere sviluppare un sistema nazionale di difesa anti missile. Mosca sostiene che il patto trentennale firmato all’epoca tra gli USA e l’Unione Sovietica è stato un punto fermo per la sicurezza internazionale. Putin ha definito la decisione degli USA un errore che potrebbe mettere a rischio la sicurezza globale ma non minacciare la Russia. Il trattato Abm aveva bandito i sistemi di difesa anti missile nella considerazione che sarebbe stato sufficiente il timore di una rappresaglia nucleare per trattenere ogni nazione dal lanciare per prima un attacco, strategia conosciuta come Mad, mutual assured distruction.

Iran. 2 febbraio. Washington si appella alla «credibilità» dell’AIEA. L’ambasciatore statunitense all’AIEA, Gregory Shulte, autoerigendosi a portavoce della cosiddetta «comunità internazionale», ha detto che l’AIEA «ha perso qualunque fiducia nell’Iran sull’origine pacifica del suo programma nucleare». Ha poi aggiunto che «lo statuto dell’AIEA e la sua credibilità ci obbligano a portare il caso al Consiglio di Sicurezza».

Iran. 2 febbraio. L’Iran non annovera al momento armi nucleari nel proprio arsenale, né ha ancora la capacità tecnica per dotarsene, dice John Negroponte. Nell’audizione alla commissione intelligence del Congresso, il Direttore dell’intelligence USA ha aggiunto però che la mera possibilità che l’Iran possa giungere alla bomba atomica nel prossimo futuro resta una questione della massima preoccupazione per gli USA e da considerare con «urgenza».

Iran. 2 febbraio. «Il programma nucleare dell’Iran non costituisce un pericolo immediato». Queste le dichiarazioni di Mohammed El Baradei, direttore dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica. Affermazioni che trovano conferma nelle dichiarazioni di John Negroponte, supercapo dell’intelligence USA: «Riteniamo che l’Iran non abbia ancora un’arma nucleare e che probabilmente non abbia ancora prodotto o acquisito il materiale necessario».

Iraq. 2 febbraio. Londra annuncia una «buona nuova» su un eventuale ritiro del contingente britannico dall’Iraq nell’arco di un anno. L’annuncio ha luogo quando giunge a cento il numero dei soldati morti, il che ha provocato proteste arrivate ieri sino alla sede del Parlamento.

Irlanda del Nord. 3 febbraio. La Polizia norirlandese tira la pietra e nasconde la mano. Il capo della polizia nordirlandese, Hugh Orde, si è rifiutato di chiarire se il passaggio incluso nella relazione della Commissione di Verifica (sul fatto che l’IRA abbia ancora armi) sia partito dalle fila dell’organizzazione di polizia che lui stesso dirige. Il chiarimento era stato richiesto dai membri del Consiglio di Polizia, dopo che la Commissione di Messa fuori Uso, nella sua ultima relazione, ha certificato l’inutilizzazione totale dell’armamento da parte dell’IRA. L’organizzazione politico/militare irlandese aveva smentito mercoledì il passaggio e criticato il contenuto totale della relazione. Il Sinn Féin ha presentato una proposta in Parlamento per lo scioglimento della Commissione di Verifica.

Catalogna. 3 febbraio. Maragall si allinea al PSOE (socialisti spagnoli) e lega lo Statuto al futuro del tripartito. Il presidente catalano, Pasqual Maragall, ha legato per la prima volta il futuro del tripartito all’appoggio dell’ERC (Esquerra Republicana de Catalunya, indipendentisti di sinistra) allo Statuto, ed ha avvertito l’esponente repubblicano, Josep Lluís Carod-Rovira, che la continuità dell’Esecutivo catalano dipenderà dalla «coerenza» della sua formazione. Il presidente catalano si allinea così alle tesi espresse da PSC (socialisti catalani) e PSOE, che vedono poco compatibile un «no» dell’ERC allo Statuto con la continuità del tripartito, anche se l’ERC ha affermato di svincolare la stabilità dell’esecutivo dalla sua decisione finale in merito. L’ERC ha sinora detto che avrebbe difeso il testo dello Statuto approvato dal 90% del Parlamento respingendo così le modifiche introdotte dal patto PSOE-CiU (Convergencia I Uniò, moderati catalani di centrodestra).

Olanda. 3 febbraio. Il parlamento olandese ha votato ieri sera stasera a favore dell’invio di un contingente di circa 1.400 uomini nel sud dell’Afghanistan. Lo ha annunciato il presidente dell’Assemblea. La decisione, sollecitata da tempo dagli alleati della NATO, era stata ritardata a causa delle riserve manifestate dall’opinione pubblica e della contrarietà di una delle componenti della coalizione di governo guidata dal premier cristiano-democratico Peter Balkenende.

Kirghizistan. 3 febbraio. Il primo ministro del Kirghizistan Felix Kulov ha annunciato ieri che il suo governo fornirà supporto alla base aerea russa di Kant (20 miglia a est della capitale Bishkek). Lo riferisce l’agenzia Ria Novosti. «Il governo del Kirghizistan fornirà ogni tipo di supporto per l’aeroporto militare e creerà condizioni favorevoli per il personale», ha affermato Kulov, specificando che il governo faciliterà i contatti tra il personale della base e i militari kirghisi. Il primo ministro ha quindi aggiunto: «Questo aeroporto militare deve essere percepito come parte della difesa del paese; ci dà la fiducia che tutto sia protetto sulle nostre teste». La base di Kant è stata aperta nell’ottobre 2003 per consentire ai velivoli russi di fornire supporto aereo ravvicinato alle unità terrestri degli Stati membri del Csto (Collective Security Treaty Organization: Armenia, Bielorussia, Kazakistan, Kirghizistan, Russia e Tagikistan) contro potenziali minacce alla loro sicurezza. Le dichiarazioni di Kulov richiamano le recenti discussioni sulla stampa locale in merito al futuro della base russa di Kant e di quella USA di Gansi, posta sull’aeroporto di Manas nella capitale. La maggior parte dei media aveva evidenziato gli aspetti positivi della presenza russa ma si era dimostrata dubbiosa sui benefici della base militare USA. Il mese scorso il Kirghizistan aveva notificato agli USA proposte di cambiamento all’accordo sullo status della base di Gansi, costituita alla fine del 2001 sotto il mandato dell’ONU come componente dell’operazione di aggressione "Enduring Freedom" guidata dagli Stati Uniti in Afghanistan.

Afghanistan. 3 febbraio. Chiuso a Londra il vertice "Afghanistan Compatto", con una promessa di stanziamento di 10mila milioni di dollari in cinque anni per risollevare le condizioni economiche e sociali del paese. Intanto gli attacchi della guerriglia si sono intensificati e le tecniche/tattiche adottate sono sempre più in stile "iracheno". Nel solo 2005 si contano 1700 morti e le diserzioni nella milizia governativa afgana superano il 30%. Le province dell’est e del sud sono quelle di maggiore attività guerrigliera. In questo scenario, il Pentagono mira a ritirare quanto prima parte del suo contingente (16mila soldati) e cerca il coinvolgimento della NATO nella scomoda operazione «antiterrorista». Una prima risposta positiva a Washington è arrivata dall’Olanda il cui Parlamento ieri ha votato per un incremento di più di mille uomini del suo attuale contingente. Intanto il governatore della provincia di Nimroz (sudest), Ghulam Dusthaqir Azad, ha avvertito dell’arrivo di mujaheddin dall’Iraq.

Iran. 3 febbraio. L’Egitto chiede l’inserimento, nella risoluzione AIEA da approvare, di una clausola che impegnerebbe Israele a sbarazzarsi delle sue armi atomiche, gli USA si oppongono e così il voto dell’AIEA sul "portare" il programma nucleare statunitense al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite viene rinviato a domani. La delegazione egiziana vorrebbe, nel testo della risoluzione, un riferimento ad una zona libera da armi nucleari da indire in Medio Oriente, per venire incontro -a quanto si apprende da fonti diplomatiche- alle preoccupazioni del mondo arabo per l’arsenale nucleare di Israele. Le delegazioni di Francia, Germania e Gran Bretagna hanno elaborato una proposta di compromesso con una formula favorevole ad Israele e agli USA: «riconoscimento del fatto che una soluzione alla questione del nucleare iraniano contribuirebbe alla finalità di un Medio Oriente libero da ogni arma di sterminio».

Iran. 3 febbraio. Venezuela e Cuba difendono i diritti dell’Iran davanti alla Giunta dei Governatori dell’AIEA e accusano: «il mondo industrializzato vuole privare la Repubblica Islamica dell’accesso alla tecnologia nucleare con fini pacifici». Secondo il massimo responsabile della delegazione venezuelana e ministro dell’Integrazione a Caracas, Gustavo Márquez, dietro l’invio della questione iraniana al Consiglio di Sicurezza dell’ONU «si muovono interessi politici ed economici che pretendono di egemonizzare il controllo del ciclo di combustibile nucleare con fini pacifici». Caracas respinge «il trattamento discriminatorio e asimmetrico»: «si condanna l’Iran a priori», mentre «si avalla la grave minaccia che rappresentano per l’umanità l’esistenza di grandi e mortiferi arsenali di armi atomiche possedute dalle potenze nucleari». Il delegato cubano, Wenceslao Carrera, ha detto che il Trattato di Non Proliferazione (TNP) è «profondamente discriminatorio e serve essenzialmente per proteggere gli interessi del ‘club nucleare’». Quei paesi che oggi si ergono a «ferventi accusatori», negando all’Iran l’accesso alla tecnologia nucleare, «violano quello che è stabilito nel TNP».

Libano. 3 febbraio. Gli Hezbollah hanno lanciato 5 razzi contro le forze israeliane che controllano la zona delle fattorie di Shebaa, al confine con Israele. Lo riferisce l’emittente Tv libanese Future. Ieri il movimento islamico sciita aveva promesso di «punire» gli uccisori di un giovane pastore trovato morto nel sud del paese dopo che gli israeliani avevano sparato in quella stessa zona. Il segretario degli Hezbollah, Hassan Nasrallah, aveva assicurato che la resistenza avrebbe punito gli uccisori senza esitazioni.

Africa / Cina. 3 febbraio. La corsa ad assicurarsi le fonti di approvvigionamento non condiziona solo il prezzo delle risorse, ma incide in modo pesante anche sulla politica verso i Paesi detentori delle risorse stesse, specie verso quelli di recente scoperta. È il caso, per esempio, di molti paesi africani, trascurati fino a oggi per l’imponente produzione dei paesi OPEC che, con i loro milioni di barili al giorno, erano sufficienti alle economie occidentali. La politica di reperimento delle risorse attuata specialmente dalla Cina sta lentamente ma inesorabilmente cambiando gli equilibri e le alleanze mondiali a partire proprio dall’Africa, da quel continente cioè troppo spesso trascurato o sistematicamente depredato. Nigeria, Benin, Ghana, Costa d’Avorio sono solo gli ultimi della lista cinese e vanno ad aggiungersi a Sudan, Zimbabwe e Madagascar in attesa di essere raggiunti da Angola, Congo e Gabon, con una manovra che assomiglia più a un’azione di rastrellamento che a una vera e propria politica di reperimento delle risorse. Questa politica della ricerca sistematica delle fonti di energia implica però tutta una serie di effetti collaterali che non si limitano all’innalzamento del prezzo del greggio. Se per quanto riguarda i paesi africani la conseguenza primaria può individuarsi in una aumentata capacità dei governi interessati di fare a meno degli aiuti economici occidentali, troppo spesso condizionati a riforme "scomode", nel caso di altre realtà è l’assistenza politico-strategica a essere determinante.

Cina / Iran. 3 febbraio. l’Iran è troppo importante come fornitore di energia e come cliente privilegiato delle tecnologie cinesi. Ne sono prova i contratti (in miliardi di dollari) conclusi di recente tra Pechino e Teheran; contratti che non riguardano solo la fornitura da parte dell’Iran di petrolio alla Cina ma comprendono anche, in contropartita, la fornitura da parte cinese di tecnologie militari e nucleari.

Cina / Russia. 3 febbraio. Attraverso il trattato Sco (Shangai Cooperation Organization) Russia e Cina hanno stretto rapporti politico-economico-militari con Uzbekistan, Kazakstan, Kirghizistan e Tajikistan, repubbliche ex-sovietiche di chiara ispirazione musulmana, le quali hanno da poco deliberato l’espulsione di tutte le basi statunitensi dal loro territorio. Questa situazione, rimasta in sordina, non è di secondaria importanza in quanto allo Sco stanno per aderire anche India, Iran, Pakistan e Mongolia. In pratica, una volta concluse le trattative di ingresso, il gruppo racchiuderebbe: quattro potenze nucleari (Russia, Cina, India e Pakistan), due potenze economiche emergenti (Cina e India), due grandi produttori di risorse energetiche (Russia e Iran), due potenziali produttori (Kazakstan e Uzbekistan), e soprattutto quattro Paesi detentori delle pipeline che potrebbero portare il greggio dall’Iran verso la Cina e l’India (Tajikistan, Uzbekistan, Pakistan e Kirghizistan) con il potenziale contributo interessato del Turkmenistan. Se, come ha sostenuto il presidente degli Stati Uniti, gli USA ed altri Stati dell’Occidente sono drogati di petrolio (risorse), la politica messa in atto da Cina e Russia, tende a impadronirsi delle risorse stesse, non solo nei canonici punti di rifornimento, ma anche nelle vie alternative (Africa) o aree ‘calde’ (Iran).

USA. 3 febbraio. Durante il discorso sullo stato dell’Unione, il presidente Bush ha reso l’idea dell’importanza delle risorse energetiche e del loro controllo, affermando: «Siamo drogati di petrolio». Con sole quattro parole ha evidenziato la dipendenza innanzitutto degli USA dall’oro nero, i suoi derivati, e da tutte le risorse a esso correlate. Se per il futuro la ricerca è concentrata verso energie alternative e pulite, nell’immediato il bisogno di petrolio e dei suoi derivati risulta essere indispensabile per qualsiasi economia, in modo particolare per quelle emergenti come Cina e India. Molti analisti concordano sul fatto che una delle principali cause dell’aumento vertiginoso del prezzo del petrolio dipende dall’aumentata richiesta dovuta all’incredibile evoluzione delle economie di questi due Paesi, con la conseguente febbrile ricerca del "fornitore di energia".

USA / Iraq. 3 febbraio. Secondo i dati del Congresso, del Pentagono e della Casa Bianca, si avvicinano al mezzo trilione di dollari i costi della guerra all’Iraq. Finora le somme già stanziate per combattere il cosiddetto "terrorismo", dopo l’11 settembre, sono pari a 320 miliardi di dollari. Ora bisognerà aggiungere i 70 miliardi che la Casa Bianca chiederà la prossima settimana al Congresso e una cinquantina di miliardi che il Pentagono inserirà nel bilancio per la difesa 2006/’07.

Venezuela. 3 febbraio. Caracas espelle militare USA accusato di spionaggio. Si tratta del capitano di fregata John Correa, aggregato all’ambasciata degli Stati Uniti. Lo ha annunciato ieri il presidente Hugo Chávez che ha specificato che le autorità venezuelane sono rispettose delle convenzioni internazionali, ma arresteranno qualunque funzionario straniero catturato in flagrante azione di spionaggio come «il capitano stava facendo». Ha avvertito che in caso di recidiva tutta la missione militare statunitense sarà espulsa dal paese. Chávez ha anche detto di essere in possesso di prove di attività di spionaggio di un gruppo di «militari venezuelani traditori che saranno sottoposti a giudizio», vicenda che dimostra che «non si è ancora finito con il risanamento dell’istituzione (militare, ndr). Questa è corruzione: chiedo la massima pena per questi traditori». Ha quindi sottolineato che il caso-Correa evidenzia come «la nazione abbia rotto le sue catene di dipendenza dagli Stati Uniti, uno dei principali obiettivi di questi ultimi sette anni» ed ha aggiunto: «è nata la V Repubblica ed abbiamo liberato la patria dalla tirannia interna di una élite contraria agli interessi della patria. Abbiamo spezzato le catene dentro e fuori».

Germania / Iran. 4 febbraio. Per la cancelliera tedesca Angela Merkel, nella disputa nucleare con l’Iran è necessario osservare una linea dura, senza più tolleranza. «L’Iran ha oltrepassato la linea rossa», ha detto la Merkel senza circostanziare alcunché, e «non merita la minima tolleranza». La Merkel ha paragonato addirittura il programma nucleare dell’Iran alla minaccia rappresentata dal nazismo all’inizio degli anni ’30. Si è quindi detta a favore di un ruolo rafforzato della NATO, «in cui azioni militari e politiche devono essere coordinate» ed ha sostenuto che la Germania è pronta «ad assumersi maggiori responsabilità nella lotta al terrorismo».

Cecenia. 4 febbraio. Sei militari russi ed un poliziotto sono morti nelle ultime ore in distinti attacchi (almeno una dozzina) della resistenza cecena. Lo riferisce France Press citando fonti dell’amministrazione cecena pro-russa.

Iran. 4 febbraio. La AIEA ha rimesso al Consiglio di Sicurezza dell’ONU il caso-Iran per il suo programma nucleare. Una risoluzione in tal senso, in cui l’agenzia afferma di «sospettare» che l’Iran stia costruendo armi atomiche, è stata adottata oggi a maggioranza dalla Giunta dei Governatori dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica. Si tratta di un deferimento dell’Iran al Consiglio di Sicurezza ONU con un mese di riflessione, dopodiché, in mancanza delle richieste previste dalla risoluzione, avverrà il deferimento effettivo. A favore hanno votato 27 paesi sui 35 che compongono l’esecutivo dell’AIEA. Cinque gli astenuti (Algeria, Sudafrica, Indonesia, Libia e Bielorussia), tre i contrari (Cuba, Venezuela e Siria). Una decisione sul caso iraniano era stata rinviata fino ad oggi per una disputa tra Stati Uniti da un lato ed Egitto e altri paesi non allineati dall’altro, giacché il paese arabo voleva includere nella risoluzione un appello per la creazione di una zona libera dalle armi nucleari in Medio Oriente, una allusione indiretta ad Israele, paese che detiene un arsenale atomico. Il nuovo testo sfuma e menziona ora come obiettivo un Medio Oriente «libero da armi di distruzione di massa». In questo modo Washington ha inteso sviare le attenzioni da Israele e appuntarle su altri paesi della regione, come ad esempio la Siria, che dispongono di arsenali biologici o chimici. Arsenali, peraltro, di cui è ben fornito lo stesso Israele. La risoluzione rimette il caso iraniano al massimo organo dell’ONU, ma senza minacciare sanzioni.

Iran. 4 febbraio. Le regole del Trattato di Non Proliferazione permettono un arricchimento dell’uranio per fini pacifici. Teheran in pratica, che questo rivendica come diritto riconosciuto a tutti i paesi, non sta operando alcuna violazione del TNP. Strappi alla regola della non proliferazione nucleare militare, invece, ci sono stati nel caso di India e Pakistan che sono entrati poi a far parte del club nucleare come soci aggregati. Su questo sfondo, l’ambasciatore cinese all’ONU, Wang Guangya, ha affermato che Pechino non appoggerà mai sanzioni contro l’Iran come «questione di princìpi», aggiungendo che il suo paese preferisce una proposta più discreta anziché confrontarsi apertamente con le ambizioni nucleari di Teheran. Il Venezuela, dal canto suo, ha ricordato che sono gli Stati Uniti a non adempiere al Tratto di Non-Proliferazione perché non solo non hanno ridotto il loro arsenale atomico, ma hanno anche sviluppato «una nuova generazione di armi nucleari più devastanti». Cuba, infine, accusa Washington ed i suoi alleati(/subalterni) di estendere in seno all’AIEA «l’impunità del silenzio di fronte al poderoso arsenale nucleare israeliano».

Iran. 4 febbraio. Quella dell’AIEA è «una decisione politicamente motivata, non ha una base giuridica ed è stata avviata solo da alcuni Stati», ha dichiarato il capo dei negoziatori iraniani a Vienna, Javad Vaeedi. Il presidente iraniano Mahmud Ahmadinejad ha quindi ordinato la ripresa dell’arricchimento dell’uranio ed il blocco delle ispezioni a sorpresa dell’ONU negli impianti nucleari del paese. Lo riferisce l’agenzia iraniana Mehr. La stessa agenzia scrive che l’Agenzia iraniana per l’energia atomica ha ricevuto istruzioni di preparare una lettera che sarà inviata «entro qualche giorno» all’AIEA (Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica) per informarla della ripresa dell’attività. Nella missiva, aggiunge la Mehr, si sottolinea che l’Iran rimane comunque «fedele al Trattato di non proliferazione nucleare». L’Iran non viene cioè meno ai suoi obblighi in base al Trattato di non proliferazione nucleare, ma non si sottoporrà alle ispezioni a sorpresa permesse dal Protocollo aggiuntivo.

USA / Iran. 4 febbraio. Il capo del Pentagono, Donald Rumsfeld ha affermato che «il governo di Teheran è il principale fautore del terrorismo». Parlando alla Conferenza sulla sicurezza, Rumsfeld ha fatto appello alla "comunità internazionale" perché moltiplichi gli sforzi per impedire all’Iran di dotarsi dell’arma nucleare. Parlando «a nome del mondo», Rumsfeld ha detto che questo «non vuole un Iran nucleare» e che gli Stati Uniti impediranno che ciò avvenga.

Iran. 4 febbraio. «L’Iran sarà l’affossatore dell’imperialismo». Ne è convinto il politologo James Petras. Ieri, riferisce Prensa Latina, ha detto di prevedere un rovinoso disastro in Iran, se la Casa Bianca oserà aggredire questo paese come ha fatto in Iraq nel marzo 2003. «L’Iran sarà l’affossatore dell’imperialismo... non c’è dubbio e non sto esagerando. Non sono (l’amministrazione statunitense, ndr) in grado di controllare questa nazione, né di limitare gli effetti di un atto di questo tipo», sostiene. Martedì, nel suo discorso sullo Stato dell’Unione, Bush ha utilizzato contro l’Iran le stesse argomentazioni impiegate nel 2003, quando presentò Baghdad come un pericolo per la sicurezza statunitense. Petras aggiunge che la configurazione delle forze mondiali è cambiata e, specificamente, per i fallimenti degli Stati Uniti in Iraq. «La situazione non è la stessa del 2003, quando avevano l’idea di andare a conquistare, schiacciare, installare un governo neocoloniale, e che tutti gli iracheni li avrebbero accolti cantando l’inno ‘God pledge America’».

USA / Venezuela. 4 febbraio. Rumsfeld accosta Chávez ad Hitler. Per il capo del Pentagono «Hugo Chávez è una persona eletta legalmente, come Adolfo Hitler fu eletto legalmente e dopo consolidò il suo potere, e ora Chávez lavora con Fidel Castro ed il signor Morales, e altri. Questo mi preoccupa». Se Chávez verrà rieletto come presidente «sarà pronto ad utilizzare il suo controllo della Legislatura e di altre istituzioni, attraverso misure che sono tecnicamente legali, ma che ciononostante limitano la democrazia». Insomma, se la "democrazia" non consiste in un sistema gradito e servile agli Stati Uniti, per Rumsfeld non va bene.

USA. 4 febbraio. «Quest’anno si celebreranno 10 elezioni presidenziali in America Latina. Di queste nessuna è più importante per gli interessi degli Stati Uniti come quella del Messico». Parola di John D. Negroponte, direttore generale dei servizi di intelligence statunitensi, davanti al Congresso USA. Nella sua estesa presentazione delle minacce che gli USA devono affrontare a livello mondiale, ha detto Negroponte al Comitato Intelligence del Senato USA, sono da annoverare la crescita economica di Cina ed India e le limitate risorse energetiche, minacce che Negroponte ha affiancato a quelle del «terrorismo» e del narcotraffico. La figura che più preoccupa in Sudamerica è quella del «radicale populista» Chávez, che approfondisce i rapporti con Fidel Castro e sta cercando relazioni economiche, militari e diplomatiche più ampie con Iran e Corea del Nord, mentre ha ridotto la sua cooperazione anti-narcotraffico con gli Stati Uniti (Chávez accusa Washington di spionaggio nel suo paese -ci sono stati arresti in tal senso di funzionari e agenti statunitensi- dietro il paravento della lotta al traffico di droga). «L’incremento dei proventi petroliferi», ha aggiunto Negroponte, «hanno permesso a Chávez di intraprendere una politica estera attivista in America Latina», che include la fornitura di petrolio a prezzi favorevoli per una pluralità di obiettivi: ottenere alleanze, «usare nuovi mezzi di comunicazione per generare appoggio sui suoi obiettivi bolivariani, intromettersi negli affari dei suoi vicini». Negroponte ha richiamato l’attenzione sulla vittoria, in Bolivia, di Evo Morales, vittoria che, a suo dire, riflette «la mancanza di fiducia della gente nei partiti politici ed istituzioni tradizionali». Dalla sua elezione, rileva, «pare aver moderato le sue promesse iniziali di nazionalizzare l’industria degli idrocarburi e cessare la coltivazione delle foglie di coca. Ma il suo governo continua a mandare segnali confusi».

USA. 4 febbraio. Washington espelle una diplomatica venezuelana in risposta alla decisione di Caracas che ha disposto l’uscita dal paese, per spionaggio, dell’aggregato navale statunitense, John Correa. Ieri il portavoce del Dipartimento di Stato USA, Sean McCormack, ha dato 72 ore perché Jeny Figueroa Frías, responsabile nell’ambasciata venezuelana a Washington, esca dal paese in quanto «persona non gradita».

USA. 4 febbraio. «Il futuro della NATO sta in un suo orientamento globale e in alleanze con altri paesi di fronte a sfide globali, come il terrorismo». È la tesi del capo del Pentagono, Donald Rumsfeld, e del segretario dell’Alleanza, Hoop Sheffer. «La vecchia NATO che difende solo l’ambito dell’Alleanza, è la NATO del passato», ha detto Rumsfeld, che propone un collegamento con Australia e Giappone. Anche Sheffer ha parlato di stretti rapporti con «Stati di medesimo orientamento fuori dell’Europa».

Irlanda del Nord. 5 febbraio. Nessuna partecipazione in nessuna istituzione con il Sinn Féin e fine dell’Accordo del Venerdì Santo (1998). Questo è scaturito dall’assemblea annuale del DUP (Democratic Unionist Party) che ha così ribadito, alzando anche i toni, la sua linea tradizionale contraria a negoziazioni con i repubblicani. Accuse anche contro il governo britannico, finora considerato alleato dell’unionismo. Il numero due del partito, Peter Robinson, è arrivato a definire il segretario di Stato britannico per il nord Irlanda, Peter Hain, come «pubblicista dell’IRA». Alla retorica bellicista del DUP si contrappone l’offerta negoziale del Sinn Féin. L’esponente repubblicano, Gerry Adams, parlando alla convenzione della gioventù repubblicana a Dublino, ha rilanciato la proposta di lavorare insieme agli unionisti.

Beluchistan. 5 febbraio. 200 razzi contro l’esercito pakistano in Beluchistan, estrema regione sud-occidentale del Pakistan, confinante con Afghanistan, Iran e Mare Arabico. Un gasdotto è saltato in aria e la principale base dell’esercito è stata ieri mattina oggetto dell’attacco. L’enclave del Beluchistan è scenario di una lotta armata di liberazione nazionale.

Georgia. 5 febbraio. La Georgia toglie un piede dalla Comunità degli Stati Indipendenti (CEI) e Mosca si muove per appoggiare le spinte indipendentiste in Abkhazia ed in Ossezia del Sud. Il governo georgiano ha sospeso la sua partecipazione al Consiglio dei Ministri della Difesa della CEI, «una organizzazione che non serve per niente alla Georgia», nelle parole del titolare alla Difesa, Irakli Okruashvili. Tbilisi mantiene il suo «obiettivo strategico» di entrare a far parte della NATO nel 2008. Immediatamente, gli esponenti delle enclave di Abkhazia ed Ossezia, nell’orbita della Russia, hanno annunciato che questa decisione «complica al massimo» la risoluzione di entrambi i conflitti dentro le frontiere della Georgia. Il gesto di Tbilisi si produce nel mezzo di un nuovo aggravamento delle sue relazioni con Mosca. La Georgia accusa il Cremlino di aver scatenato una «guerra del gas» con le recenti ed oscure esplosioni nel suo gasdotto nel Caucaso che hanno lasciato la Georgia senza forniture. Il presidente russo, Vladímir Putin, ha avvertito recentemente che l’eventuale concessione dell’indipendenza all’enclave del Kosovo, a maggioranza albanese, potrebbe servire a Mosca come precedente per riconoscere l’indipendenza ai suoi satelliti di Abkhazia ed Ossezia del Sud.

Beluchistan. 6 febbraio. Sono circa una ventina, tra militari e "civili" al seguito, i morti del nuovo attacco contro un convoglio militare, ieri, nell’area di Dera Bugti, in Beluchistan, enclave del Pakistan ricco di gas naturale. Gli indipendentisti hanno impresso una recrudescenza alla loro lotta dopo un’operazione militare governativa.

Gran Bretagna. 7 febbraio. I Conservatori chiedono che sia il Parlamento a decidere sulle guerre. L’esponente del partito conservatore britannico, David Cameron, ha chiesto ieri che si riduca il potere del primo ministro sulla capacità di dichiarare guerra senza l’appoggio del Parlamento. Cameron vuole che si esaminino le cosiddette «prerogative reali», una serie di poteri storici che detiene la regina, ma che nella pratica sono passati ai politici e consentono di prendere decisioni senza appoggio e nemmeno consultazione del Parlamento. Cameron ha aggiunto, come esempio, che «la scorsa settimana abbiamo saputo della decisione del governo di inviare 4mila soldati aggiuntivi in Afghanistan attraverso il quotidiano The Sun».

Russia. 7 febbraio. «Bisogna sterminare i terroristi come ratti». Il presidente russo, Vladimir Putin, torna ad usare parole forti «contro il terrorismo». Un attacco durissimo fatto per incitare gli uomini dei servizi segreti (FSB) impegnati nella guerra al terrore. Toni coloriti che ricordano quelli usati dal presidente all’inizio del suo mandato quando, riferendosi ai guerriglieri ceceni, aveva detto che li avrebbe «stanati anche nei cessi». Putin ha poi condannato «l’estremismo e il nazionalismo».

Iran / Gran Bretagna. 7 febbraio. Il dossier iraniano sul nucleare è già all’attenzione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU: lo rende noto l’Agenzia internazionale per l’energia atomica. Se entro un mese l’Iran non avrà soddisfatto le richieste, il 6 marzo verrà deciso il deferimento vero e proprio. Intanto il premier britannico Blair sottolinea che «per il programma nucleare iraniano non si può escludere a priori un’azione militare».

Iran. 7 febbraio. l’Iran ha avviato ieri la produzione di massa di un nuovo missile antiaereo portatile, il Misagh-2, secondo quanto reso noto dal ministero della Difesa. Secondo la stessa fonte, il nuovo vettore ha grande importanza per l’integrazione del sistema di difesa anti-aerea della Repubblica islamica, essendo «in grado di trovare e distruggere bersagli aerei che volano a bassa quota e negli angoli morti dei sistemi radar». Il ministro della Difesa, Mostafa Mohammad Najar, ha osservato che si tratta di un «passo avanti importante per l’agilità e flessibilità del sistema di difesa del Paese». L’Iran è già in possesso di missili balistici che, secondo informazioni delle autorità di Teheran, hanno una gittata di 2.000 chilometri, sufficiente a raggiungere Israele e le principali basi statunitensi nella regione.

Palestina. 7 febbraio. USA e UE sbagliano se credono di poter fare pressione tagliando gli aiuti all’Autorità Nazionale Palestinese: con una sola telefonata Hamas ha ricevuto 100 mln di dollari. A dirlo è lo sceicco Mohammed Mahmud Abu Teir, dirigente di Hamas a Gerusalemme. Ad aiutare il movimento è stato un non meglio precisato «Paese arabo». «Non riusciranno a trasformare il nostro popolo in mendicanti. In una prossima fase potremo arrangiarci anche senza gli aiuti condizionati di USA e UE», avverte Abu Teir sul sito di Hamas.

Palestina. 7 febbraio. «Israele riconosca Hamas o si troverà ad affrontare una situazione di guerra». Lo ha detto il capo dell’ufficio politico di Hamas, Meshaal. Dal Cairo, dove si trova con altri dirigenti palestinesi per consultazioni sul governo, Meshaal ha detto che «è l’assassino che deve riconoscere la vittima, non il contrario: Israele non ha altra scelta se non riconoscerci e riconoscere i nostri diritti, altrimenti si troverà ad affrontare una situazione di guerra, senza sicurezza o stabilità».

USA. 7 febbraio. Bush aumenta le spese militari per il prossimo anno. Il presidente degli Stati Uniti, George W. Bush, ha inviato ieri al Congresso il preventivo per l’anno fiscale 2007, che prevede una spesa di 2,7 bilioni di dollari, rafforzando le voci della difesa e della sicurezza nazionale. In totale, Bush prevede un 6,9% aggiuntivo per la difesa nel 2007 (circa 439.300 milioni di dollari), cifra che peraltro non include il costo dell’occupazione di Iraq e Afghanistan. Per questi la Casa Bianca ha già annunciato la settimana scorsa la richiesta al Congresso di 120mila milioni di dollari aggiuntivi per far fronte ai costi bellici fino a fine anno e inizio del 2007. Drastici tagli (65mila milioni di dollari) sono previsti nei prossimi cinque anni in materia sociale; tra questi il programma pubblico di assistenza medica (Medicare), giustiza, istruzione e trasporti. Intanto la Casa Bianca, sempre ieri, ha annunciato una previsione al rialzo del deficit di quest’anno di 423mila milioni di dollari. A determinare questo incremento di un deficit pressoché impronunciabile sono la guerra in Iraq e gli effetti dell’uragano Katrina.

USA. 7 febbraio. «Sull’Iran non esclusa l’opzione militare». Lo ha detto il capo del Pentagono, Donald Rumsfeld, in un’intervista pubblicata ieri dal quotidiano berlinese Tagesspiegel.

Palestina. 8 febbraio. Hamas contatterà altri partiti o governerà da solo se Fatah non vorrà partecipare al governo. Il nuovo governo palestinese, poi, sarà composto da tecnici, rappresentanti di partito ed indipendenti. Così ha dichiarato all’emittente al-Arabiya l’esponente di Hamas, Mahmoud Zahar, che ha aggiunto: «Vogliamo allargare la partecipazione affinché le forze esterne al Parlamento e gli indipendenti partecipino al processo di ricostruzione del paese. Ciò che serve ora è risanare la situazione economica e della sicurezza che sono in condizioni precarie». Sul tema delle pressioni internazionali affinché Hamas rinunci alla violenza e riconosca Israele, ha ribadito: «Hamas crede che la resistenza sarà parte integrante del futuro della Palestina soprattutto perché il nostro nemico Israele continua le sue aggressioni, come vedono tutti».

Palestina. 8 febbraio. La Jihad islamica non parteciperà al futuro governo dell’ANP (Autorità Nazionale Palestinese) formato da Hamas, perché ha deciso di proseguire la lotta armata contro Israele. Khaled el-Batash, dirigente della Jihad, ha aggiunto che la pressione militare israeliana sui gruppi armati legati alla Jihad islamica e ad al Fatah, ma non sul braccio armato di Hamas, Ezzedin al-Qassam, mira a seminare divisioni fra i gruppi armati dell’Intifada. «Non bisogna farsi illusioni, tutti siamo un obiettivo per gli israeliani», ha commentato.

Nepal. 8 febbraio. Elezioni all’insegna della violenza in Nepal: 9 persone sono morte in scontri tra esercito e guerriglieri maoisti nell’est del paese. I ribelli hanno annunciato di aver rapito 15 tra ufficiali di governo e personale di sicurezza proprio in concomitanza con l’inizio del voto nella città di Dhankuta, Nepal orientale. Bassa finora l’affluenza al voto, boicottato dai maoisti e dai 7 partiti dell’opposizione che vedono le elezioni come ulteriore rafforzamento del potere del re Gyanendra.

Iran / Cuba. 8 febbraio. Ahmadinejad accetta l’invito di Castro. Il presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad ha accettato l’invito del presidente cubano Fidel Castro a recarsi in visita all’Avana, per esprimergli la gratitudine di Teheran al sostegno offerto da Cuba all’Iran nella sua intenzione di dotarsi di un programma nucleare.

USA / Iran. 8 febbraio. Il capo del Pentagono Donald Rumsfeld rivela: agenti segreti iraniani entrano ed escono da tempo dall’Iraq. Per Rumsfeld la circostanza è risaputa, ma non è compito degli USA farvi i conti: «è una questione che riguarda l’Iraq e gli iracheni ne sono sensibilizzati». Il capo del Pentagono ha spiegato a una commissione della Camera che ci sono attualmente 227mila uomini delle forze di sicurezza irachene e tocca a loro gestire il confine con l’Iran.

USA. 8 febbraio. Il WTO, secondo Greenpeace, vuole facilitare i tentativi di USA, Canada e Argentina di forzare l’Europa ad accettare senza limiti OGM di ogni tipo. Lo sostiene l’organizzazione ambientalista che «critica la decisione del WTO» che ha condannato l’Unione Europea per il suo regime di importazioni, giudicando gli OGM «inutili, rischiosi e incontrollabili. Il WTO non può essere usato per indebolire il Protocollo di Cartagena sulla Biosicurezza, in base al quale gli Stati possono opporsi agli OGM».

Chiapas / Euskal Herria. 8 febbraio. Il subcomandante Marcos chiede «scuse sincere» per la sua «pigrizia» e per quanto accaduto tre anni fa con la sua iniziativa unilaterale che portò ad un accesa polemica con scambio pubblico di carteggio con ETA. Il subcomandante Marcos (Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale), si è così espresso parlando alla radio libera Hala Bedi. Marcos, ora Delegato Zero dell’EZLN nel suo giro elettorale per il Messico, ha inviato un messaggio alla radio libera di Gasteiz, cogliendo l’occasione per salutare gli «uomini, donne, ragazzi e fratelli del Paese Basco, nostri fratelli nella lotta per la liberazione ed il riconoscimento dei diritti dei popoli». Il 25 novembre 2002, attraverso il quotidiano messicano La Jornada, Marcos diffuse un comunicato nel quale faceva menzione degli attacchi all’indipendentismo basco di cui allora era protagonista il giudice spagnolo Baltasar Garzón, che poche settimane prima era stato tra le popolazioni indigene latinoamericane. Nel comunicato Marcos lo apostrofò duramente definendolo «pagliaccio grottesco» e «fascista». Dieci giorni dopo Garzón gli rispose con una lettera aperta sul quotidiano El Universal, nella quale sosteneva che «in Spagna non si illegalizzavano idee né si perseguiva nessuno per le sue idee» e lo invitava a parlare con lui «faccia a faccia e senza passamontagna». Il dirigente dell’EZLN raccolse la sfida del magistrato spagnolo, ed in un successivo comunicato lo invitò a «celebrare questo duello», per il quale fissò una serie di condizioni. Scelse Lanzarote come luogo e fissò la data tra il 3 ed il 10 aprile 2003. Inoltre chiese a Garzón che sollecitasse salvacondotti al governo spagnolo per lui ed altri sei «scudieri» affinché potessero andare nell’isola canaria e tornare in Messico senza problemi. Come terza condizione pose che nello stesso luogo si celebrasse un incontro «tra tutti gli attori politici, sociali e culturali della problematica basca», al quale avrebbero dovuto partecipare anche lo stesso Garzón, una delegazione «di livello» del governo spagnolo, e lui stesso, in qualità di ascoltatore. In un altro comunicato emesso lo stesso giorno, Marcos chiese direttamente all’ETA che dichiarasse «una tregua unilaterale di 177 giorni» a iniziare dal 24 dicembre 2002 come misura di accompagnamento per la celebrazione di questo forum. L’organizzazione armata basca rispose con un esteso comunicato datato 1° gennaio, nel quale sottolineava la sua disponibilità a dialogare «su proposte serie» e rimproverava al dirigente dell’EZLN «una profonda mancanza di rispetto verso il popolo basco» per le forme utilizzate nel dare a conoscere la sua iniziativa. ETA aggiungeva che non avrebbe preso parte «ad alcun tipo di pantomima» e dubitava della vera intenzione di Marcos. Questi replicò con un altro scritto il cui tono determinò un non dissimulato malessere nelle organizzazioni di sinistra internazionali (anche nell’EZLN che disse che Marcos aveva parlato a titolo personale). Il 1° marzo 2003, Marcos ritirò pubblicamente la sua proposta e chiese scusa «a tutte le persone del Paese Basco che stimiamo».

Irlanda del Nord. 9 febbraio. Londra ripristina gli aiuti parlamentari al Sinn Féin. Nonostante l’opposizione unionista, la Camera dei Comuni del Parlamento britannico ha votato a favore del ripristino dei pagamenti (800mila euro annuali) che spettano ai cinque deputati del Sinn Féin. Erano stati sospesi quasi un anno fa in conseguenza di una relazione della Commissione di Monitoraggio che accusava l’IRA (Esercito Repubblicano Irlandese) del furto di 38 milioni di euro alla Northern Bank di Belfast. Il Sinn Féin non occupa gli scanni alla camera legislativa britannica perché non intende fare alcun giuramento alla Corona e perché quella è l’istituzione dello Stato occupante non la propria nazionale. Al conservatore David Liddington, che ha suggerito la modifica del giuramento di lealtà alla regina se questo significasse che il Sinn Féin prenda possesso dei suoi scanni, Martin McGuinness, del Sinn Féin, ha assicurato che in nessuna maniera un repubblicano si siederà al Parlamento di Londra.

Catalogna / Spagna. 9 febbraio. Il segretario generale di CiU, Josep Antoni Duran i Lleida, ha offerto ieri al governo spagnolo il «coinvolgimento positivo» dell’organizzazione autonomista catalana per accordi in iniziative legislative concrete, senza un patto globale né far parte dell’Esecutivo. CiU (Convergencia I Uniò, moderati di centrodestra) ha aggiunto che non accetterà che questo «nuovo quadro di relazioni» coincida con un governo della Generalitat (catalano, ndr) in cui una delle componenti -chiara l’allusione a ERC (Esquerra Republicana de Catalunya, indipendentisti di sinistra)- non appoggi la riforma dello Statuto votando contro o astenendosi.

Russia. 9 febbraio. Il presidente russo Vladimir Putin ha annunciato ieri che intende invitare a Mosca dirigenti di Hamas, vincitrice delle elezioni palestinesi, per discutere la situazione in Medio Oriente e di essere pronto a cercare una soluzione sul nucleare iraniano. Chiaro l’intento di proporsi con un ruolo più significativo di quello di semplice mediatore su due delle principali crisi internazionali. Putin, in conferenza stampa dopo i colloqui col primo ministro spagnolo José Luis Rodriguez Zapatero a Madrid, ha ricordato che la Russia, contrariamente a Stati Uniti ed Europa, non ha mai classificato come «organizzazione terroristica» Hamas, al contrario di USA e UE, e ha mantenuto i contatti con gli islamici. Quella di Hamas, dice, è stata una vittoria «legittima» che va rispettata. Putin ha aggiunto di aver «alcune idee» su come trovare un compromesso per il Medio Oriente accettabile per i palestinesi, Israele e per la comunità internazionale, ed ha confermato la volontà di Mosca di estendere la propria influenza in America Latina, utilizzando «l’esperienza» della Spagna in tale continente.

Israele. 9 febbraio. Ehud Olmert ha detto di voler annettere ad Israele le tre principali colonie della Cisgiordania, che ha definito strategiche per la loro ubicazione, la stessa valle del Giordano ed ha escluso che Gerusalemme Est passi ai palestinesi. Il primo ministro in funzione, Ehud Olmert, massimo rappresentante del partito Kadima, probabile vincitore delle prossime elezioni il 28 marzo, lo ha annunciato martedì nella sua prima apparizione tv da quando ha assunto l’incarico a gennaio. Tradotto in termini quantitativi, si tratta del 50% della Cisgiordania occupata. In termini qualitativi significherebbe trasformare quel pezzo della Cisgiordania che resterebbe in mano ai palestinesi in un bantustan, circondato da truppe israeliane che ne controllerebbero confini e possibilità di comunicare non soltanto con la striscia di Gaza ma anche con la vicina Giordania. Parlare, in queste condizioni, di "Stato palestinese indipendente" significherebbe fare dell’ironia di cattivo gusto. Le parole d’Olmert hanno fatto arrabbiare tutti: palestinesi, israeliani di centro-sinistra e le destre per le quali abbandonare unilateralmente un pezzo di Cisgiordania equivale a «premiare il terrorismo». L’annuncio di Olmert si è prodotto dopo che una relazione ha confermato che le colonie in Cisgiordania si sono espanse notevolmente dopo la «sconnessione» israeliana da Gaza. Il discorso di Ehud Olmert ha rilanciato tutti i dubbi sulla volontà del governo israeliano di riprendere i negoziati con l’Autorità palestinese per arrivare a un accordo di pace. Persino Condoleezza Rice, ricevendo a Washington il ministro degli Esteri israeliano, si è sentita in dovere di ribadire che la Casa Bianca è contraria a iniziative unilaterali che possano pregiudicare e eventualmente far fallire un negoziato sul futuro della Palestina.

Palestina. 9 febbraio. Il dirigente di Hamas, Ismail Haniyeh, ha affermato che Hamas ha intenzione di accettare l’invito di Vladimir Putin in Russia. «Se riceveremo un invito ufficiale, andremo», ha detto ai cronisti.

Palestina. 9 febbraio. Visita di Hamas nei paesi arabi. Una delegazione ha terminato quella in Egitto; prossime tappe in Sudan, Qatar e Arabia Saudita. Lo scopo è principalmente quello di presentare le politiche e trovare accordi in tema di finanziamenti in vista di un futuro governo capeggiato da Hamas, ma anche cercare di rompere il fronte internazionale che appoggia Israele contro un futuro governo Hamas. Intanto Osama Hamdan, rappresentante di Hamas in Libano, ha dichiarato che le priorità del suo Movimento sono il rafforzamento della resistenza palestinese, il rilascio dei 9mila e più prigionieri palestinesi, compreso il segretario del Fronte Popolare Ahmed Saadat e gli altri 14 membri del parlamento, ed infine la riorganizzazione dell’OLP. Hamdan ha rilasciato queste dichiarazioni nel corso di una festa organizzata a Beirut per celebrare la vittoria elettorale, a cui erano presenti molte personalità di spicco del Libano compreso il ministro dei lavori pubblici Trad Hmadeh, l’ex premier Saleem Al-Hus, ed il capo sciita in Libano Hussein Fadlullah. Hamdan dice: «Le nostre priorità per il presente sono occuparci dei problemi di tutti i giorni dei palestinesi compresi i problemi della sicurezza e del sociale, e costituire un sistema giudiziario indipendente. Hamas non vuole abolire le istituzioni esistenti, oggi corrotte, ma riformarle e renderle affidabili per il popolo palestinese dal momento che confidiamo in una promettente indipendenza economica per la Palestina. Hamas abbinerà la politica alla resistenza e non abbandonerà mai le istanze nazionali. Saremo sempre per il dialogo con il governo libanese per quanto riguarda la presenza dei rifugiati palestinesi come ospiti nel loro Stato».


Nepal. 9 febbraio. I nepalesi boicottano le municipali organizzate dal monarca golpista. Il re Gyanendra ha subìto un duro rovescio alle municipali tenutesi ieri. Il monarca intendeva fare della scadenza una specie di prova generale in vista delle elezioni generali che ha promesso di organizzare per l’aprile 2007, iniziando così un suo particolare ritorno alla democrazia dopo il colpo di Stato di palazzo di cui è stato protagonista il 1° febbraio 2005. La partecipazione, pur in mancanza di dati ufficiali, è stata comunque minima. La guerriglia maoista, per parte sua, ha dato per concluso lo sciopero generale, convocato domenica scorsa, dopo aver constatato il fallimento reale delle elezioni. Prachanda, figura di riferimento della guerriglia maoista, annunciando ieri la fine dello sciopero, ha dato per «
raggiunto l’obiettivo di boicottare le elezioni». Inizialmente lo sciopero avrebbe dovuto terminare il prossimo sabato.

USA. 9 febbraio. «Noi dobbiamo prevalere in quella che sarà una lunga guerra. Dobbiamo prevalere ora mentre ci prepariamo al futuro. Ciò richiede una vasta gamma di capacità militari». E pertanto gli Stati Uniti stanziano quasi il 50% di tutte le spese militari globali. Manlio Dinucci, su il Manifesto di oggi, enuncia questi concetti contenuti nel Quadrennial Defense Review Report 2006 su cui si basa il bilancio del Pentagono per l’anno fiscale 2007 (che inizia il 1 ottobre 2006) e ne dettaglia poi il contenuto. È prevista una spesa di 439,3 miliardi di dollari: il 7% in più rispetto al 2006, il 48% in più rispetto al 2001. Previsto inoltre uno stanziamento di 50 miliardi quale "fondo di emergenza per la guerra globale al terrore" che, unito ad altre voci, porta a 504,8 miliardi di dollari la spesa totale del Pentagono. Siamo già a circa la metà dell’intera spesa militare mondiale. «Ma questo non è tutto. La spesa militare statunitense va infatti ben oltre il budget del Pentagono», rileva Dinucci. «Si aggiungono, nel 2007, oltre 10 miliardi di dollari per il mantenimento e l’ammodernamento dell’arsenale nucleare (iscritti nel bilancio del Dipartimento dell’energia), più altre spese di carattere militare: circa 45 miliardi (ufficiosi) per i servizi segreti, sempre più impegnati nella "guerra globale al terrore"; 38,3 per i militari a riposo, iscritti nel bilancio del Dipartimento degli affari dei veterani; 43,5 per il Dipartimento della sicurezza della patria. Si superano così i 640 miliardi di dollari. Ma non è finita. I 50 miliardi del "fondo di emergenza", iscritti nel bilancio del Pentagono, rappresentano solo una piccola parte della spesa complessiva per la "guerra globale al terrore". Finora solo la guerra in Iraq e Afghanistan è costata oltre 300 miliardi di dollari. Per coprire tale spesa si stanziano "fondi addizionali", che si aggiungono al budget del Dipartimento della difesa. Nell’anno fiscale 2006 vengono stanziati a tale scopo 120 miliardi. Si prevede quindi che almeno altrettanto dovrà essere stanziato sotto forma di "fondi addizionali" nel 2007. I 640 miliardi di spesa militare saliranno così ad almeno 760».

USA. 9 febbraio. La «guerra globale al terrore», prosegue Dinucci su il Manifesto di oggi, «richiede però diverse altre spese, iscritte nel budget 2007 del Dipartimento di stato: tra queste oltre 5 miliardi di dollari per "l’assistenza militare all’estero" e oltre un miliardo quale finanziamento per la "ricostruzione" dell’Iraq e Afghanistan. Per la "ricostruzione dell’Iraq" il Congresso aveva già stanziato 21 miliardi di dollari, gran parte dei quali è stata però spesa non dal Dipartimento di Stato ma dal Pentagono per le operazioni militari (quindi non per ricostruire ma per distruggere). Vanno poi conteggiati gli interessi passivi netti che gravano sul bilancio federale, 354 miliardi di dollari nell’anno fiscale 2007 (per un totale di 2.200 miliardi nel prossimo quinquennio), dovuti in gran parte alla crescente spesa militare. La spesa militare diretta e indiretta per il 2007 sale così a circa un terzo del bilancio federale. Per far tornare i conti sono previsti ulteriori tagli alle spese sociali, tra cui 36 miliardi in meno per il Medicare (l’assistenza sanitaria ad anziani e disabili senza copertura assicurativa) nei prossimi cinque anni. Si potranno così spendere, nell’anno fiscale 2007, oltre 110 miliardi di dollari per i militari e 152 per le operazioni delle forze armate. Si potranno spendere oltre 84 miliardi per l’acquisto di armamenti e 73 per la ricerca e sviluppo di nuovi sistemi d’arma. Saranno sicuramente soddisfatti gli azionisti della Lockheed Martin che, solo per lo sviluppo del caccia Joint Strike Fighter (cui partecipa anche l’Italia) riceverà nel 2007 5,3 miliardi, altro acconto su un contratto da 256 miliardi di dollari. Saranno soddisfatti anche gli azionisti della Boeing che, avendo acquisito la McDonnell Douglas, riceverà nel 2007 altri 3 miliardi di dollari per l’aereo da trasporto militare C-17 e 2,5 per il caccia F/A-18E/F Hornet».

USA. 9 febbraio. Le autorità militari USA legano a delle sedie i detenuti che fanno lo sciopero della fame al campo di Guantanamo per nutrirli forzatamente. Lo hanno detto -secondo quanto riferisce il New York Times nella sua edizione elettronica- fonti militari statunitensi.

Euskal Herria. 10 febbraio. «Deteniamo più etarras che mai». Lo hanno detto il ministro spagnolo dell’Interno, José Antonio Alonso, e quello della Giustizia, Juan Fernando López, che ieri hanno affermato che «la popolazione penitenziaria di etarras (militanti di ETA, ndr) nelle nostre carceri è la più alta della storia della democrazia, circa 800 in Spagna, oltre 200 in Francia». La loro apparizione congiunta a Madrid si realizza un giorno dopo l’annuncio di voler «costruire nuove imputazioni» contro i prigionieri per tenerli più a lungo in carcere.

Israele. 10 febbraio. Aspre critiche in Israele alla decisione di Putin di invitare Hamas per discutere sul futuro del processo di pace israelo-palestinese. Il presidente israeliano, Katsav, ha detto che la mossa di Putin è «un passo assurdo» che può provocare «danni politici». Per Peres, uno degli artefici degli accordi di Oslo, in questo modo «la Russia si fa beffe delle posizioni del Quartetto» e del Tracciato di pace già stabilito. Alla radio israeliana, il ministro israeliano Meir Sheetrit ha definito oggi l’invito di Putin ad Hamas come «una pugnalata alle spalle» ed ha aggiunto che la Russia non «può svolgere alcun ruolo nelle negoziazioni di pace tra israeliani e palestinesi a meno che cambi la sua posizione su Hamas».

Palestina. 10 febbraio. Grande interesse stanno riscuotendo nei Territori le indagini sulla corruzione ai vertici dell’Autorità Nazionale Palestinese, che hanno portato a diversi arresti di dirigenti di ministeri, mentre altri sono stati sospesi dai loro incarichi in attesa di far luce sul loro comportamento. Fra gli indagati per corruzione figura il direttore generale della compagnia petrolifera, Sansur. Il procuratore generale al-Mughani ha anche ordinato il congelamento di decine di conti bancari.

Iraq. 10 febbraio. La lista unita sciita irachena vince, ma non ha la maggioranza assoluta. Dopo quasi due mesi dalle elezioni nell’Iraq occupato, l’Ufficio elettorale iracheno ha comunicato i risultati. Confermata la vittoria dell’Alleanza Irachena Unita alle legislative del 15 dicembre scorso. Secondo i dati definitivi, la formazione sciita ha ottenuto 128 dei 275 seggi. A questi potrebbero essere sommati altri due di una lista patrocinata dall’esponente sciita Moqtada al-Sadr, che ha negoziato il suo appoggio alla lista unitaria. Confermati anche i risultati della coalizione curda (PUK e PDK), con 53 seggi (lontana dai 75 ottenuti nelle precedenti elezioni). Il sunnita Fronte Iracheno per la Concordia ottiene 44 seggi, la lista dell’ex primo ministro (un passato -e forse ancora un presente- di agente dichiarato della CIA, servizio segreto statunitense) Iyad Allawi 25 ed il sunnita Fronte Iracheno per il Dialogo Nazionale 11. Il resto dei seggi è andato a piccoli gruppi.

Cina. 10 febbraio. La Cina ha un piano di rilancio del settore ricerca che porterà il paese a investire nel 2020 il 2,5% del PIL, il doppio di adesso. In termini assoluti, la spesa complessiva sarà pari a 90 miliardi di euro. Secondo il ministro per la scienza e tecnologia, la Cina non è ancora diventata una potenza economica «per la sua scarsa capacità di innovazione». Il piano prevede più investimenti in 16 settori, tra cui software, semiconduttori, telecomunicazioni, biotecnologie e ricerca spaziale.

USA / Giappone. 10 febbraio. Proseguono alle Hawaii non senza difficoltà le trattative tra Stati Uniti e Giappone per il riallineamento di truppe e mezzi USA nel territorio nipponico. La conclusione è prevista da Donald Rumsfeld e Nukoga Fushikiro, direttore generale della National Defense Agency, per la fine di marzo. Le difficoltà, evidenziate dalle testate Asahi Shinbun, Daily Yomiuri, Japan Times e Asia Times, riguardano soprattutto la presenza militare statunitense nell’isola di Okinawa, dove è concentrato il 75% della basi USA in Giappone. La forte resistenza delle autorità locali e della popolazione ha avuto riscontro anche nelle dichiarazioni dei tre candidati a sindaco della città di Nago, tutti contrari al piano, anche se il vincitore Shimabukuro Yoshikazu, candidato del LDP di Koizumi, ha posizioni più possibiliste. Approssimativamente il governo statunitense ha previsto per il 2012 il completamento di tutte le operazioni.

USA / Giappone. 10 febbraio. Il riallineamento delle forze USA in Giappone non è stato l’unico argomento trattato dalle delegazioni statunitense e nipponica alle Hawaii. Si è deciso anche il rafforzamento e la sempre maggiore coesione tra i rispettivi sistemi di difesa, in particolare l’integrazione dei sistemi antimissilistici. Tre le consistenti novità in tal senso. La prima riguarda la ricerca congiunta per realizzare un nuovo missile intercettore imbarcato. Il nuovo missile intercettore sarà operativo prevedibilmente per il 2015 e vedrà l’industria giapponese impegnata nella realizzazione dell’ogiva di protezione del sensore a infrarossi e del motore del secondo stadio, mentre quella statunitense realizzerà il sensore a infrarossi e la testata (kinetic warhead). La seconda novità consiste nell’adozione per la fine del 2010 di 124 unità del sistema anti-missile Patriot Advanced Capability (Pac-3) ultima generazione del sistema Patriot. La terza e ultima novità riguarda i sistemi radaristici. La condivisione delle informazioni provenienti dai sistemi di avvistamento giapponesi e statunitensi consentirà di instaurare un sistema di pronto-allarme per il territorio dei due Stati. Il senso del sistema di difesa nippo-statunitense è perfettamente racchiuso in una frase del primo ministro nipponico Koizumi: «Gli Stati Uniti sono l’unica nazione che guarda a un attacco al Giappone come ad un attacco sul proprio territorio».

Euskal Herria. 11 febbraio. Batasuna critica il «cinismo» di Mosca e Madrid, in occasione della visita in Spagna del presidente russo Vladimir Putin. In relazione al compromesso ispano-russo di «rispetto dei diritti umani», Batasuna ha denunciato il «cinismo» dei due Stati che, nel corso della storia, «hanno violato il diritto umano all’autodeterminazione» e «hanno praticato il terrorismo di Stato». Espressioni di solidarità, infine, alla «giusta ed onorevole» lotta del popolo ceceno: «la soluzione, come in Euskal Herria, passa per il suo riconoscimento come popolo».

Catalogna. 11 febbraio. Con il compromesso al ribasso di CiU, «finisce il sogno democratico di definire la Catalogna per quel che siamo, una nazione». Lo ha detto il presidente dell’ERC, Josep-Lluís Carod-Rovira, con riferimento all’accordo raggiunto sullo Statuto. Disaccordo con Artur Mas (CiU), artefice del nuovo progetto, che ha parlato di «un grande giorno» per la Catalogna e per la Spagna. Secondo l’esponente dell’ERC la situazione resta «uguale come da 27 anni».


Kosovo. 11 febbraio. Il presidente kosovaro dice che l’indipendenza è «
innegoziabile». Il recentemente eletto presidente del Kosovo, Fatmir Sejdiu, ha detto ieri che la rivendicazione dell’indipendenza da parte della comunità albanokosovara è «innegoziabile». Il Parlamento ha eletto Sejdiu alla terza votazione per occupare il posto di Ibrahim Rugova, morto lo scorso mese. Sedjiu, 54 anni, è sulle stesse posizioni del suo predecessore. Il Kosovo, dopo la guerra nel giugno 1999, è sotto protettorato ONU-NATO. Le conversazioni tra Kosovo e Serbia sono previste per il 20 a Vienna.

Russia. 11 febbraio. Hamas, ostracizzata dall’Occidente ma non dalla Russia di Putin, potrebbe mandare una sua delegazione a Mosca entro fine febbraio. «È del tutto possibile. La delegazione sarà probabilmente guidata da Khaled Meshaal, capo del dipartimento politico di Hamas», ha detto Kalughin, inviato speciale russo per il Medio Oriente. Dopo l’invito ufficiale di Putin, il ministero degli Esteri russo «è già impegnato a coordinare le date e il livello della visita», ha spiegato Kalughin.

Turchia. 11 febbraio. La Turchia continua a vietare il suo suolo per attacchi contro paesi confinanti. Lo ha ribadito, in un’intervista al quotidiano Hurriyet, il ministro degli Esteri, Abdullah Gul, con riferimento d’attualità all’Iran. Ricorda Gul che «la nostra frontiera con l’Iran data dal 1639, una frontiera molto più antica della storia degli Stati Uniti e dei vari paesi d’Europa». Ankara non consentì agli Stati Uniti di usare il suo territorio come retroguardia terrestre nella sua invasione dell’Iraq nel 2003. Dal canto suo il quotidiano turco Milliyet ha informato di un’operazione congiunta tra CIA (servizio segreto statunitense) e servizi segreti turchi (MIT) per il blocco alla frontiera di tre grandi contenitori di alluminio con destinazione Iran. Per il suo «possibile doppio uso (nucleare civile e/o militare, ndr)», ha detto l’Istituto Turco di Energia Atomica, uno degli organismi che ne ha esaminato il contenuto, «non potevamo lasciare che passasse in Iran».

Turchia. 11 febbraio. Il ministro turco degli Esteri, Abdullah Gul, lancia un chiaro messaggio di benvenuto al movimento palestinese Hamas. Gul ha detto che «sono stati eletti democraticamente e debbono comportarsi democraticamente. Ci sono segnali che lo stiano facendo. Per Israele, è buono avere un socio forte. La pace si fa con soci forti, non con gruppi senza radici né appoggio popolare».

Iran. 11 febbraio. L’Iran potrebbe rivedere la sua adesione al Trattato di Non-Proliferazione nucleare se vedrà calpestati i suoi diritti in questo campo. «Cercate di non farci perdere la pazienza», ha detto il presidente Ahmadinejad. «Fino ad ora abbiamo fatto i nostri sforzi per dotarci della tecnologia nucleare nella cornice dell’AIEA (Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica) e del TNP (Trattato di Non-Proliferazione). Ma se vediamo che, usando questi regolamenti, volete calpestare i diritti della nostra nazione, allora la nostra nazione farà un riesame della sua politica». Parlando ieri a Teheran, in piazza Azadi (Libertà), davanti a «milioni di persone» in una grande dimostrazione di forza, nel 27° anniversario della Rivoluzione Islamica (11 febbraio 1979), Ahmadineyad ha anche affermato che il vero Olocausto è quello che si sta producendo in Palestina e in Iraq. Con chiaro riferimento ad Israele, Ahmadineyad ha aggiunto che «ci sono paesi che non sono membri dell’AIEA e non hanno firmato il Trattato di Non-Proliferazione ed hanno armi nucleari, ed anche così siedono all’AIEA a decidere sul futuro del nostro popolo (...). Pare che quelli che non sono membri dell’AIEA e non hanno firmato il TNP abbiano più diritti».

Israele. 11 febbraio. Il Centro Simon Wiesenthal intende costruire un Museo della Tolleranza sul cimitero musulmano più antico di Gerusalemme. I palestinesi hanno avviato una battaglia legale per fermare i lavori di costruzione del museo il cui obiettivo è promuovere «l’unità ed il rispetto tra gli ebrei e tra i popoli di ogni fede». Archeologi e promotori israeliani stanno scavando e raccogliendo resti di persone sepolte nel cimitero nel corso di almeno mille anni. Il progetto è stato lanciato in una cerimonia nel 2004 da un gruppo di personalità politiche tra i quali l’attuale primo ministro in funzione, Ehud Olmert, ed il governatore della California, Arnold Schwarzenegger. Ikrema Sabri, il mufti di Gerusalemme e massimo dignitario musulmano della città, vuole l’arresto degli scavi nel luogo che è passato sotto il controllo isareliano dopo la guerra del 1948, ed ha aggiunto che le autorità religiose musulmane non sono state consultate prima dei lavori. Il cimitero è stato usato per 15 secoli, sostiene, ed amici del profeta Maometto sono qui sepolti; è «un luogo sacro per i musulmani e deve esserci una cessazione completa dei lavori». Per la legge israeliana si tratta di una «proprietà assente»: dopo essere stato controllato dalla Waqf, l’autorità religiosa islamica, fu espropriata dalla Custodia della Proprietà Assente, dopo il 1948.

USA / Marocco. 12 febbraio. Il capo del Pentagono, Donald Rumsfeld, è giunto stasera a Rabat, proveniente dall’Algeria, per una visita di due giorni in Marocco. Rumsfeld affronterà due temi in particolare: la cooperazione militare bilaterale e la lotta contro il "terrorismo". Il segretario di Stato statunitense sarà ricevuto domani da re Mohammmed VI a Ifran, poi incontrerà alcuni ministri e ufficiali dell’esercito marocchino.

USA / Iran. 12 febbraio. Gli strateghi del Pentagono studiano piani per «bombardamenti devastanti appoggiati da attacchi con missili balistici lanciati da sottomarini» contro siti nucleari iraniani. Lo scrive oggi il domenicale britannico Sunday Telegraph. «L’azione militare», scrive l’inviato del Telegraph a Washington, Philip Sherwell, «potrebbe causare frizioni tra USA e Gran Bretagna, dato che quest’ultima teme gli effetti che i bombardamenti avrebbero in tutto il Medio Oriente». L’articolo in prima pagina dice che gli USA stanno identificando obiettivi e lavorano sulla logistica in vista di un’operazione. «È più della semplice valutazione militare standard» ha detto un alto consigliere del Pentagono. L’attacco contro le centrali iraniane potrebbe avvenire, secondo il Telegraph, con i bombardieri B2, in partenza direttamente dalle basi del Missouri, e riforniti in volo da aerei cisterna. I sottomarini in navigazione nell’Oceano Indiano potrebbero appoggiare l’azione con i loro missili.


Israele / Iran. 12 febbraio. Anche il governo israeliano ha allo studio possibili interventi "chirurgici" contro le centrali iraniane. Gli israeliani compirono una missione simile nel 1981 contro la base di Osirik, in Iraq. Ma gli iraniani hanno imparato la lezione che fu data allora al loro arcinemico, Saddam Hussein, e hanno distribuito le centrali in varie zone del Paese, nascondendole sotto terra. Non solo: l’aviazione militare iraniana è molto preparata e agguerrita, e non si farebbe infinocchiare come quella irachena. Come ha detto un alto ufficiale israeliano a
Newsweek: «Andare a bombardare le centrali non è la parte difficile. La parte difficile è tornare. Noi non crediamo in missioni kamikaze».

Palestina. 13 febbraio. Hamas non cambia su Israele: la resistenza armata -avverte- cesserà soltanto se Israele si impegnerà al ritiro da tutti i territori occupati. In un’intervista a un quotidiano russo, il capo dell’Ufficio politico del movimento, Khaled Meshal, ribadisce che «Israele è un Paese nemico che svolge nei nostri confronti una politica di aggressione». «La Road Map», aggiunge, «è priva di senso, dopo che 14 modifiche volute dallo stato ebraico l’hanno trasformata nel piano Sharon».

Siria. 13 febbraio. La Siria ha annunciato che passerà dal dollaro all’euro per tutte le sue transazioni internazionali. La decisione del primo ministro Mohammad Naji Otari indica un ulteriore irrigidimento della tensione politica tra la Siria e gli Stati Uniti. Secondo il presidente della Banca Commerciale serve evitare ogni possibile ostacolo che le banche all’estero potrebbero incontrare in caso di sanzioni commerciali alla Siria.

Iran. 13 febbraio. 10mila civili morti. Questo il calcolo dei «danni collaterali» di un eventuale massiccio attacco statunitense contro i siti nucleari iraniani, secondo le stime di Thomas Harding, giornalista del Telegraph. I primi a perire sarebbero «centinaia di tecnici e scienziati che lavorano nelle strutture nucleari» del paese del Golfo (le principali: Bushehr e Natanz). Harding cita in proposito uno studio dell’Oxford Research Group, che «conferma un altro studio realizzato dal Pentagono stesso», e che avverte delle «conseguenze di un attacco all’Iran: una guerra lunga, con coinvolgimento di Israele e Libano, e forse di altri Stati del Golfo».

Iran. 13 febbraio. L’Iran avvierà la produzione di uranio arricchito su scala industriale nel suo impianto di Natanz «sicuramente prima del 6 marzo». Lo ha detto oggi un portavoce del governo. L’avvio di questa attività è stato deciso come ritorsione alla risoluzione approvata il 4 febbraio scorso dall’AIEA, che ha deciso di trasmettere il dossier nucleare iraniano al Consiglio di Sicurezza ONU. Teheran ha inoltre deciso il rinvio dei negoziati con la Russia previsti per il 16 febbraio.

USA. 13 febbraio. La Commissione per i diritti umani dell’ONU accusa gli USA di abusi su prigionieri a Guantanamo, in alcuni casi equivalenti a torture. L’accusa, dopo un’indagine durata 18 mesi, è contenuta in un rapporto della Commissione non ancora pubblicato, ma anticipato da Los Angeles Times. Tra le accuse al Pentagono, il nutrimento forzato dei detenuti in sciopero della fame, l’uso di violenza eccessiva nel trasferimento dei prigionieri e tecniche di interrogatorio equivalenti alla tortura. A Guantanamo, il campo di prigionia statunitense a Cuba nel quali sono detenuti prigionieri islamici senza processo, il Pentagono usa metodi «che sono sulla soglia della tortura e che a volte si spingono oltre».

Germania / Iran. 14 febbraio. «L’opzione militare contro Teheran non è più tabù nemmeno per Berlino», titola trionfante Il Foglio di oggi. «Nel partito trasversale che insegue il dialogo con l’Iran e il suo dossier nucleare s’insinuano crepe vistose: ha ceduto il fronte degli indecisi guidato dall’India e dal Giappone ed è franato l’ottimismo fiducioso della troika europea. L’intervento del Consiglio di Sicurezza è invocato da tutti, come ha ricordato ieri anche il nostro ministro degli Esteri, Gianfranco Fini». E anche la Russia starebbe cominciando a «perdere la pazienza». Decisivo, per il mutamento di rotta tedesco, sarebbe stato l’allinearsi del Ministro degli Esteri SPD Steinmeier sulle posizioni del neo-cancelliere, Angela Merkel: «Incrinati già da mesi i rapporti con Londra, per Teheran è cambiata la musica anche a Berlino, sull’onda della leadership di Angela Merkel. Dopo aver più volte ribadito che la questione iraniana va risolta con la diplomazia e la diplomazia soltanto, il ministro degli Esteri tedesco, Frank Walter Steinmeier, ha cambiato rotta e sposato la linea del cancelliere».

Afghanistan. 14 febbraio. Almeno quattro soldati statunitensi muoiono in un’imboscata nel distretto di Deh Rahwod, a Uruzgan, provincia del sud dell’Afghanistan. Il blindato Humvee sul quale viaggiavano è saltato in aria in conseguenza di una prima esplosione, seguita da un attacco guerrigliero con RPG, alla fine respinto dopo l’intervento di elicotteri ed aerei da combattimento.

Palestina. 14 febbraio. «Israele non si farà ingannare da Hamas», spiega il primo ministro ad interim, Ehud Olmert, incontrando la delegazione del Partito Democratico Europeo guidata dal presidente della Margherita, Francesco Rutelli e dal francese Francois Bayrou dell’UDF. Olmert ha fatto così intendere di non considerare premessa al dialogo la dichiarazione del capo della direzione politica di Hamas, Khaled Meshaal, che in un’intervista al quotidiano russo Nazavissimaia Gazeta, ha dichiarato che «Hamas è disposta a porre fine alla resistenza armata, ma solo quando Israele riconoscerà i nostri diritti e si impegnerà al ritiro da tutti i territori palestinesi occupati».

Palestina. 14 febbraio. Ad Abu Mazen continuano a guardare i governanti israeliani. «Tra noi c’è una buona chimica», hanno confidato a Rutelli sia il raìs che Olmert. Proprio ieri il presidente dell’ANP (Autorità Nazionale Palestinese), sfidando il parere di Hamas, ha rafforzato i suoi poteri, in particolare all’interno della Corte costituzionale, che ha il potere di bocciare qualunque legge del governo. Questo ha dato l’impressione di venire incontro ai "desiderata" israeliani, esplicitati dal numero due di Kadima, Shimon Peres, che, incontrando Rutelli e Bayrou, ha sottolineato che «Israele non deve cambiare atteggiamento verso il presidente, anche perché nel sistema istituzionale palestinese poteri importanti rimangono nelle sue mani anche in caso di coabitazione con un governo di segno politico opposto». Peres, come prima Olmert e il ministro della Difesa Mofaz, hanno ribadito a Rutelli, i tre punti irrinunciabili per aprire un eventuale dialogo con Hamas: riconoscimento dello Stato di Israele, rinuncia completa alla violenza e adesione agli accordi di Oslo.

Palestina. 14 febbraio. Il parlamento palestinese uscente, con metodo e merito fortemente discutibile e a ben vedere anti-democratico, ha conferito nuovi poteri al presidente Abu Mazen, compreso quello di sciogliere il parlamento ed indire nuove elezioni in caso di dissenso politico tra il parlamento stesso ed il suo presidente. Nella legge approvata nella sua ultima seduta, si conferisce al presidente Abu Mazen anche il potere di nominare una nuova corte costituzionale, composta da nove giudici, con il compito di risolvere le contese tra il presidente del parlamento e il governo ed il parlamento stesso. È probabile che i giudici nominati apparterranno a Fatah o agli organismi alleati, e dal momento che questa corte emanerà giudizi inappellabili è evidente che questa nuova legge rafforza il ruolo del presidente Abu Mazen nei confronti di un nuovo governo guidato da Hamas. Ahmed Mubarak, parlamentare di Hamas, ha dichiarato che questa legge è illegale perché il parlamento uscente non ha l’autorità di emanare emendamenti alla costituzione.

Palestina. 14 febbraio. Destabilizzare il governo palestinese. È questo l’obiettivo dell’incontro di alti esponenti dei governi statunitense ed israeliano di cui riferisce The New York Times. Il Piano sarebbe questo: chiusura totale dei finanziamenti all’Autorità Nazionale Palestinese e creazione di uno stato di indigenza tale da creare scontento nella popolazione verso Hamas, indizione di nuove elezioni e recupero della maggioranza da parte di Fatah. Nayef Rabjoub, portavoce di Hamas nel West Bank meridionale, ha commentato: «Non ci meravigliano questi tentativi di destabilizzazione. Se realmente Israele vorrà impedire l’applicazione della democrazia sarà evidente a tutta la comunità internazionale che Israele è anti-democratico ed è una potenza occupante criminale».

Palestina. 14 febbraio. «Tre le priorità» del futuro governo a guida Hamas, «nessuna delle quali è caduca o meno importante delle altre». Le sintetizza così un suo esponente, Moshir Al Masri: «la prima priorità è il rafforzamento dell’unità interna perché è chiaro che è questa unità che protegge il campo palestinese da ogni sviluppo pericoloso. La seconda è il rafforzamento della partecipazione politica, che rappresenta un’opzione in grado di salvare la scena palestinese dall’attuale marasma. Il terzo punto è il rafforzamento del programma della resistenza come scelta strategica del nostro popolo, finché un’occupazione continuerà a pesare sulla nostra terra e finché dura l’aggressione continua contro il nostro popolo. Questa è stata la scelta di tutte le rivoluzioni del mondo, compreso in Europa e in America. Si tratta di una scelta riconosciuta dal diritto internazionale. Noi pensiamo che uno dei principi della democrazia consiste nell’accettazione dei risultati delle elezioni. La nazione non è il monopolio di nessuno, essa appartiene a tutti. Il movimento Hamas ci tiene a rassicurare tutto il mondo, l’Europa, l’America e il mondo intero, così come l’Autorità palestinese: noi non abbiamo alcuna intenzione di prendere il posto di nessuno in queste elezioni, né di contestare nessuno. Noi vogliamo consacrare una nuova tappa, quella della partecipazione politica, per farla finita con l’esclusiva nella presa delle decisioni in Palestina.
Il fatto che Hamas abbia concluso alleanze con il Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina, o con altre organizzazioni, conferma che non si tratta di un movimento settario, né sclerotico, né ripiegato su se stesso. Hamas è un movimento che si afferma come una pagina aperta a tutti, come un movimento pronto ad allearsi con tutti i figli del nostro popolo, per difenderne gli interessi superiori, nel quadro di un cambiamento e di una riforma reali nell’arena palestinese. Da qui deriva il sostegno dato da Hamas a un candidato di sinistra per il posto di sindaco di Ramallah, un sostegno che non costituisce affatto un caso isolato, tutt’altro. Noi diciamo a tutti che non vogliamo prendere il posto di nessuno, non vogliamo cacciare nessuno. Vogliamo vivere un’esistenza degna e tranquilla, al riparo da tutti i fenomeni di degrado e corruzione che la scena palestinese conosce da dieci anni. Noi vogliamo accordarci su una strategia ben definita che protegga i diritti del popolo palestinese e conservi le sue conquiste, senza fare considerazioni sulle appartenenze di questi alleati: è sufficiente che siano palestinesi e che vogliano servire la causa del popolo palestinese
».


Palestina. 14 febbraio. Sul programma sociale ed economico del futuro governo a guida Hamas, significativo quanto dichiara un altro suo esponente, Al-Zahar. Non saranno imposti né la religione e nemmeno il velo, dice. L’educazione sarà un programma di resistenza. Il turismo non sarà un programma di nudi, alcool e casinò, ma un turismo di resistenza che attirerà musulmani ed arabi. I palestinesi promuoveranno la piccola industria, attireranno investimenti e non avranno dipendenza economica dal nemico israeliano. Per combattere la corruzione verranno soppressi 37mila lavori immaginari nei servizi di sicurezza egemonizzati da Fatah e nessuno potrà usare le armi a scopo di vendetta. I militanti di Fatah e delle altre fazioni, assicura Al-Zahar, non devono avere paura perché non faremo alcuna ingiustizia. Devono sapere che preserveremo la loro vita, denaro ed onore. Per capire il contesto di quest’ultimo passaggio, leggere la notizia successiva.

Palestina. 14 febbraio. Hamas ha fondati argomenti di aspra critica nei confronti di certa dirigenza di Fatah e particolarmente delle sue figure istituzionali più in vista. È un esponente di Hamas, Moshir Al Masri, a circostanziarli, usando molta accortezza espressiva e manifestando la saggezza politica che Hamas ha sinora adottato per non cadere nel disegno sionista, perseguito da tempo, di provocare una guerra civile tra palestinesi. «La politica verso il movimento Hamas dello scomparso presidente Yasser Arafat», dice Al Masri, «è stata una politica fluttuante, che cambiava da un momento all’altro. Una cosa è certa: nel 1996, l’Autorità palestinese ha condotto una politica di arroganza e arbitrarietà verso Hamas; ha gettato in carcere i suoi militanti e dirigenti, fino a imporre gli arresti domiciliari a Shaykh Ahmad Yassin. Siamo stati pazienti, abbiamo superato le nostre ferite. Non per debolezza, ma per rispetto per il sangue palestinese e per conservare l’unità nazionale. Al contrario, ci sono stati periodi in cui il rapporto tra Hamas e il presidente Arafat era un rapporto solido: c’è stata un’interazione. Questo rapporto, si vede, non era monocolore: al contrario, ha assunto numerosi colori diversi, dei più vari. Per quanto riguarda i nostri rapporti con il presidente Abu Mazen fino a oggi, questi si è dimostrato un debole. Noi ci siamo trovati d’accordo con lui su molti punti, ma le decisioni prese non sono state tradotte concretamente sul campo, e fino ad ora è impossibile fare una vera valutazione della sua politica. Da una parte perché l’esperienza non è abbastanza lunga da permettere tale valutazione, ma soprattutto, d’altra parte, perché Abu Mazen non ha mai realmente applicato alcun progetto sull’arena politica palestinese, per quanto possiamo giudicare. Sugli arresti e gli omicidi "mirati", bisogna sapere che non avrebbero mai potuto aver luogo senza la collaborazione dei servizi di sicurezza palestinesi con lo Shin Bet (servizio segreto militare israeliano); è evidente che esiste tutta una rete di traditori, che vanno e vengono liberamente in Palestina. Sono loro che giocano un ruolo essenziale e diretto nelle operazioni israeliane di eliminazione. Lo stesso vale per le incursioni e le perquisizioni. Purtroppo, l’Autorità palestinese non è stata all’altezza delle sue responsabilità, in questo campo, e noi non abbiamo voluto assumerci i compiti di ordine pubblico, per non creare dissensi nel campo palestinese, e anche perché non si potesse dire che noi avevamo uno Stato nello Stato. Noi dirigiamo le nostre armi solo contro quelli che ci aggrediscono, e spetta alla giustizia palestinese prendere le proprie responsabilità e risolvere ogni problema interno. È evidente che l’Autorità palestinese si è legata le mani da sola firmando accordi che ci proibiscono di perseguire i traditori che praticano l’omicidio dei nostri concittadini e indicano alle forze di occupazione i luoghi in cui si nascondono i (resistenti, ndr) palestinesi ricercati per essere arrestati o, ancora più spesso, assassinati».

Palestina / Venezuela. 14 febbraio. Caracas accetterebbe con piacere una visita dei capi di Hamas. Lo ha fatto sapere il presidente venezuelano Hugo Chávez.

Israele. 15 febbraio. Ahmad Ali Ahmad, dirigente di Hamas, eletto deputato alle politiche del 25 gennaio scorso, è stato liberato da Israele. Il neo deputato, eletto nella circoscrizione di Nablus, è stato trasferito dal carcere israeliano nel deserto del Neghev a un posto di controllo militare all’ingresso di Hebron, dove è stato liberato. Nelle carceri israeliane ci sono altri 13 neo-deputati palestinesi. Il più famoso è Barghuti, capolista di Fatah, che sconta una condanna a 5 ergastoli.

USA / Iran. 15 febbraio. 75 milioni di dollari per destabilizzare l’Iran dall’interno. Durante un’audizione alla Commissione estera del Senato, Condoleezza Rice, segretario di Stato USA, ha annunciato che il presidente Bush intende chiedere al Congresso di autorizzare una spesa di 75 milioni di dollari per contribuire alla «diffusione della democrazia» in Iran. Lo stanziamento andrebbe ad aggiungersi ai 10 già previsti a tale fine nella bozza di bilancio 2006-07.