i 14 processi
del capitano ultimo di antonella - www.censurati.it
Il giallo che non è mai stato un giallo, una
storia che nessuno ha voluto ascoltare, un epilogo
pressoché scontato, che vede il Capitano Ultimo l'unica
persona processata quattro volte per aver svolto il
proprio lavoro nonostante abbiano fatto di tutto per
impedirglielo.
Il primo processo:
dall'arma dei carabinieri
Ultimo ha subìto il suo primo processo dalla
sua famiglia, l'arma dei Carabinieri che ha servito con
la massima professionalità, lealtà e a rischio della
propria vita.
Subito dopo l'arresto di Riina il suo gruppo
fu sciolto e furono abbassate le sue note caratteristiche
da persona "eccellente" a "superiore alla
media". Dopo una serie di richieste che Ultimo fece
all'arma per poter lavorare con il massimo rendimento,
vedendo che l'unica cosa che otteneva era precariatà e
mancanza di strutture e di personale, il
"capitano" chiede un trasferimento ad un altro
reparto. In risposta ad Ultimo, un comunicato all'ansa
dell'ex comandante del Ros Sabato Palazzo, replica di
aver dato la massima disponibilità a Sergio De Caprio.
Il nome di Ultimo fino ad allora era sconosciuto per ovvi
motivi di sicurezza.
A distanza di qualche anno, a seguito di un
blitz anticamorra a Pozzuoli, Sabato Palazzo è chiamato
a rispondere per reati quali corruzione, falso,
favoreggiamento aggravato e abuso di ufficio.
Il secondo processo:
giudiziario
Qui possiamo cominciare dalla fine: dopo un
anno di processo e di tentativi di incriminare chi ha -
di fatto - trovato e catturato il capo di Cosa Nostra,
siamo tornati al punto di partenza. Il 19 febbraio 2005,
esattamente un anno fa, i PM dichiararono "per noi
sarebbe difficile andare a rappresentare un'accusa alla
quale non crediamo".
I PM avevano chiesto già due volte
l'archiviazione, il non luogo a procedere, perchè
"il fatto non costituisce reato, o, in subordine, il
proscioglimento", ma il Gip, la scaltra Vincenzina
Massa (che ha combattuto con le unghie e con i denti per
farci assistere a questo penoso spettacolo da circo),
espertissima di antimafia, evidentemente, impose ai
pubblici ministeri l'incriminazione coatta con l'ipotesi
di favoreggiamento aggravato nei confronti di Cosa
Nostra, reato che non prevede prescrizione, stilando un
rapporto in cui spiegava la assoluta necessità di
incriminare i due ufficiali.
Nell'ordinanza di imputazione coatta il Gip fa
riferimento al «verbale di sopralluogo» e alla
«documentazione fotografica» che dimostrano l'esatto
contrario di quel che sostiene nel provvedimento. In
queste 35 pagine di motivazioni, la Gip si chiedeva che
fine aveva fatto la cassaforte asportata dal muro, per
esempio. Peccato però che la cassaforte non è mai stata
asportata, nè tantomeno è stata trovata aperta dai
carabinieri quando il 2 febbraio poterono finalmente
eseguire la perquisizione. Fu usata infatti la fiamma
ossidrica per aprire la cassaforte dal retro.
Oggi, a un anno dal processo, i PM devono aver
dimenticato il motivo del processo, perchè il reato di
cui vengono accusati gli imputati è quello di
favoreggiamento a Cosa Nostra. Un solo reato, per cui
però vengono fatte due richieste: una di assoluzione
perchè il fatto non sussiste, e l'altra di prescrizione
perchè il favoreggiamento potrebbe essere semplice, e
non aggravato, citando anche la discussa legge cirielli
in realtà inapplicabile per questo processo.
Una cosa ci sfugge: se, come dice Ingroia,
"favoreggiamento nei confronti di Cosa Nostra non
c'è stato" nei confronti di chi c'è stato?
Addirittura il pm Prestipino apre la requisitoria con
elogi nei confronti degli imputati: «Quello che oggi si
conclude è un processo particolare, sia per i due
imputati rappresentanti delle istituzioni, le cui
qualità professionali non sono mai state messe in
discussione, sia per le note vicende procedimentali che
lo hanno caratterizzato».
Se Ultimo non ha favoreggiato Cosa Nostra e
nel caso del Covo di Riina ci sono delle ombre, chi sono
i responsabili? Nel diario degli appuntamenti del
sostituto procuratore Aliquò si legge in data 27 gennaio
che nel corso di una riunione con i vertici del Ros,
seppur la procura sollecitasse l´effettuazione di una
perquisizione nella villa di via Bernini, l´allora
colonnello Mori "sembra non avere urgenza e dice che
l´osservazione del complesso di via Bernini stava
creando tensione e stress al personale operante,
accennando alla sua sospensione".
Peccato però che quel giorno il colonnello Mori stava
interrogando Vito Ciancimino nell'aula bunker di
Rebibbia, in compagnia proprio della sua pubblica accusa
Antonio Ingroia (che tra le altre cose aveva lodato la
"scrupolosa e minuziosa cronaca del dottor Aliquò
in presa diretta").
Diverse inesattezze sono riportate nel famoso e
scrupoloso diario, compreso l'avvenuto arresto della
Bagarella. Ma non era un errore di data. La famosa
riunione con Mori non c'è mai stata, ed a documentare il
tutto sono i registri con le autorizzazioni dell'arma sui
vari spostamenti di tutti.
Aliquò ha quindi prodotto documenti falsi?
Purtroppo per lui questa non è un'opinione, ma un fatto
inconfutabile provabile dai verbali degli interrogatori
con Ciancimino. E che sarebbe giusto approfondire.
La storia, quella vera, quella che nessuno ha
potuto smontare per l'ovvietà dell'andamento logico dei
fatti, e per i documenti presentati in questo processo,
è che via Bernini, dopo l'arresto di Riina, doveva
essere il punto di partenza di Ultimo per riuscire a
catturare anche tutta l'imprenditoria che i fratelli
Sansone stavano tenendo in piedi. Per continuare a tenere
osservata via Bernini e a controllare le 8 utenze
telefoniche riconducibili ai Sansone trovate in quel
comprensorio, bisognava trovare un modo per depistare chi
ci abitava dentro, per far credere che nessuno sapesse
che quel covo era in una situazione di pericolo. Fu
quindi deciso di fuorviare la stampa, di non dire che il
covo di Riina era in via Bernini, e furono mandati
inizialmente tutti i giornalisti altrove, mettendo così
Ultimo e il suo gruppo in condizioni di poter fare i
lavori di polizia giudiziaria per effettuare i dovuti
accertamenti bancari, intercettazioni telefoniche,
pedinamenti ecc. Malauguratamente all'interno dell'arma
ci furono delle inopportune fughe di notizie che
portarono giornalisti come Bolzoni e altri, a piantonare
via Bernini 54 per fare lo scoop, favoreggiando così
Cosa Nostra. Chi viveva in quel comprensorio, ovviamente,
avrà avuto modo di fiutare il pericolo vedendo
giornalisti curiosi nei dintorni a fare domande su Riina,
bruciando così tutta la copertura. (Interrogatorio del
2003 durante le indagini preliminari: "[...]il
Maggiore RIPOLLINO aveva avvisato i giornalisti di quale
era l'abitazione di RIINA, mentre in Procura era stato
deciso di non rivelarlo, infatti era stata fatta
l'attività su Fondo Gelsomino per non svelare che invece
sapevamo dove stava RIINA e quindi una farsa totale,
cioè se noi decidiamo di non dirlo, quello invece lo
dice, mi dice che senso ha, comunque l'esigenza nostra
era quella di sparire, lasciarli quanto più possibile
tranquilli e di riprenderli nel momento in cui loro, che
sicuramente si saranno verificati cinquantamila volte, si
ritenevano tranquilli, riprendevano la loro normale
attività di Cosa Nostra e noi allora saremmo dovuti
essere lì e avremmo fatto la stessa attività che
avevamo fatto sui GANCI. Questo è quello in cui credo e
su questo mi ci sono giocato la mia vita, la mia
professionalità".)
Un'altra domanda lecita è: se Ultimo non
avesse insistito per tenere d'occhio via Bernini invece
di Fondo Gelsomino, come richiesto dal procuratore
aggiunto Aliquò e dal colonnello Cagnazzo, Riina sarebbe
dietro le sbarre adesso?
Ci sono altri tasselli, oltre a tutto questo,
meritevoli di attenzione. Un muratore, Angelo Parisi, ha
raccontato che tra il 20 e il 22 gennaio gli venne
confermato l'incarico dal padrone della casa di via
Bernini, tale Giuseppe Montalbano, di svolgere di lavori
di ristrutturazione «del bagno, coloritura, togliere
carta da parati, eliminare umidità dalle pareti». Per
fare ciò «spostammo i mobili che abbiamo coperto per
non impolverarli», «lavorammo due o tre giorni»,
dopodiché «una mattina andammo in via Bernini 54 e
trovammo un sacco di carabinieri». La perquisizione è
del 2 febbraio. Tutto torna.
Per quanto riguarda invece l'altro giallo,
quello della mancanza di osservazione con le telecamere
in via Bernini, il punto è che il metodo che Ultimo ha
usato (e sempre con successo) non è quello di tutti, e
cioè per tenere sotto controllo un'abitazione, non solo
non è necessario tenere puntate le telecamere 24 ore su
24, ma è un modo di fare vivamente sconsigliato.
Un'attività consecutiva con il furgone per troppi giorni
porta solo ad insospettire la "preda", quindi
per tenere sotto controllo costante la zona, bisognava
pedinare, fare richerche bancarie (infatti il 26 fu
trasmessa alla procura tutta la situazione patrimoniale
dei Sansone che era stata richiesta) ascoltare le
telefonate, seguire, all'occasione usare le telecamere,
ma non in maniera troppo presente e ossessiva, perchè se
l'osservazione doveva essere costante nel tempo non
potevano permettersi di farsi beccare in maniera idiota,
magari montando un carrello elevatore sul palo della luce
per montare una telecamera all'interno del comprensorio.
Questo si, sarebbe stato deleterio, oltre che stupido. Ma
queste cose non sono informazioni che si sanno adesso
perchè c'è il processo. Sono tutti fatti che in fase
istruttoria hanno convinto i PM alla non colpevolezza dei
due ufficiali. Gli stessi fatti, poi, che hanno convinto
i PM delle loro colpevolezza, e poi ancora della loro
innocenza e "indiscussa capacità".
Il fine di Ultimo insomma, non era la cattura
di Riina e basta, ma seguire i Sansone, e ricostituire i
circuiti politico imprenditoriali. Un'operazione questa
che in Sicilia deve essere bloccata. O punita. I metodi
sono stati quelli che vediamo adesso. Teniamo anche conto
che questo processo ha giovato a Cosa Nostra perchè
adesso sanno come il gruppo di Ultimo opera (operava, è
meglio), sanno anche i nomi e i cognomi di tutti gli
appartenenti all'operazione dell'arresto di Riina.
Il terzo processo: da
Cosa Nostra
"Numerosi collaboratori di giustizia dal
1993 al 1997 riferiscono dell'esistenza di un progetto
"aperto" di Cosa Nostra (Bernardo Provenzano e
eoluca Bagarella), finalizzato all'uccisione di Ultimo.
Secondo Gioacchino La Barbera, Leoluca Bagarella avrebbe
offerto ad un carabiniere (mai indentificato) un miliardo
di lire per ottenere notizie utili all'individuazione
dell'ufficiale (fonte: L'azione - tecniche di lotta
anticrimine)".
Ora però, dalle ultime testimonianze dei
pentiti, Ultimo non doveva essere ucciso, doveva essere
solo sequestrato. Per fare una partitina a carte, magari.
A tressette col morto, forse. Pare che ad ogni modo, a
quanto risulta dai pentiti, l'ufficiale è stato
individuato, e il progetto di "sequestro" fosse
avallato anche dallo stesso Provenzano.
Brusca però di cose ne dice tante. Ha
riferito che molti pensavano che Provenzano fosse un
confidente dei Carabinieri. Ad ogni modo, chiedendo allo
stesso Ultimo cosa pensasse delle esternazioni di Brusca
su presunte collaborazioni di Provenzano, Ultimo
risponde: "in Cosa Nostra non esiste il sospetto, se
uno è sospettato di essere collaboratore, muore. Non si
fa salotto, lì, quella è una guerra. Si ammazzano tra
familiari consanguinei stretti, solo per il sospetto che
ci sia collaborazione con i Carabinieri. Ad ogni modo, se
Provenzano, il capo di Cosa Nostra, fosse un nostro
collaboratore, non ci sarebbe neanche la lotta alla
mafia, non ci sarebbe la mafia. Ma poi, come mai
Provenzano collabora con i carabinieri e Brusca lo
cattura la Polizia, Bagarella la Dia, ecc ecc?"
E come Brusca, Giusy Vitale è stata una delle
protagoniste di questo spettacolo, di cui vorrò farmi
restituire il biglietto, perchè è stato uno spettacolo
niente affatto divertente, niente affatto giusto, a
prescindere dalle decisioni del giudice.
Il quarto processo:
mediatico
"I carabinieri del Ros che arrestarono
Totò Riina abbandonarono la postazione nascondendo al
procuratore Caselli che se n´erano andati, che avevano
lasciato libera una squadretta di mafiosi di infilarsi
là dentro e svuotare il covo del boss dei boss. Questa
è una vicenda molto italiana, Leonardo Sciascia
l´avrebbe chiamata una "storia semplice".
Questo è un pezzo di articolo di Bolzoni preso da
antimafiaduemila. Ma dove le abbiamo sentite queste
parole? Ah, si, da Ingroia, nella requisitoria. (La
mancata perquisizione del covo del boss mafioso Toto'
Riina subito dopo il suo arresto e la cessazione
dell'attivita' di osservazione decisi dal Ros senza
avvertire la Procura ''altro non e' che 'Una storia
semplice''). Si farà forse preparare i testi da Bolzoni?
Scherzi a parte, Bolzoni non ha fatto altro che parlare
di Ultimo come "l'uomo famoso grazie alla
fiction", l'uomo che senza una soffiata non avrebbe
mai preso Riina, affermando il falso con la storia dei
mafiosetti entrati a svaligiare casa, ha solo buttato
fango, mettendo a caratteri cubitali le colpe additate ai
due ufficiali, perchè "così dicono i
pentiti". Questo perchè? Perchè ha scritto un
libro che avalla la tesi della trattativa tra Stato e
Mafia. Su queste dichiarazioni non ha mai voluto
rilasciare nessuna fonte avvalendosi della facoltà di
non rispondere tutelata dal segreto professionale. Un po'
come se si dicesse che Ferrara è un pedofilo senza poter
mai provare nulla. Intanto il dubbio rimane, il libro
vende, guadagna, ma la persona rimane infangata agli
occhi di chi non ha fonti alternative ai giornali
"enbedded", gli autorizzati a parlare di questi
argomeni. Durante le udienze, tra Bolzoni e Lodato c'era
la gara tra i "non so, non ricordo".
Addirittura Bolzoni non ha potuto confermare quanto
scritto in un suo libro perchè non
l'aveva riletto!!! (leggi verbale)
Il processo mediatico non finisce con i
giornali "Repubblica" o "L'unità",
che titola l'articolo della requisitoria "Mori
salvato dalla Cirielli" sapendo benissimo che la
Cirielli non è neanche applicabile nè a questo processo
nè per questo tipo di reato.
Il processo mediatico va oltre.
Il giorno che è iniziato il processo,
anticipando il palinsesto di una settimana, la Rai manda
manda in onda il film "L'uomo sbagliato", la
storia di Daniele Barillà, condannato per errore
giudiziario in un'operazione portata avanti con l'aiuto
dello stesso capitano Ultimo. Una cosa strana è che il
regista del film Stefano Reali, è lo stesso che ha
diretto la fiction "Ultimo", la prima serie,
poi sostituito nella serie successive da Michele Soavi.
Dopo essere stato scalzato da un altro regista,
stranamente, Reali dirige un film che narra le gesta
sbagliate del capitano di cui in passato ha narrato le
imprese e ha raccontato l'arresto di Riina.
Rivalsa?
Non si sa. Una cosa che si dovrebbe sapere,
però è che l'avvocato del Barillà (il protegonista de
"L'uomo sbagliato") martire assolto in appello,
è stato denunciato dalla procura della Repubblica per
aver prodotto documenti falsi per tutelare e
"aggiustare" la situazione del suo assistito. E
che l'appello è stato vinto perchè il quantitativo di
cocaina di cui fu trovato in possesso, non era di 50 kg
ma di qualcosa in meno.
On line da oggi la denuncia della procura da
domani la sentenza di condanna in primo grado. Se vuole
dire la sua gli diamo anche spazio per parlare. Ci faremo
spiegare che lavoro faceva, quanto tempo sono andate
avanti le indagini, quali erano le persone che
frequentava. Magari potrà smentire che la sua cricca era
fatta di assassini, spacciatori, ecc ecc.
Gira voce adesso che anche su Giusy Vitale
stanno preparando un film (non sappiamo quanto sia vera
la notizia, l'abbiamo scoperta con una notifica di
google. Il giorno in cui il Newsweek parlava della Vitale
come l'aspirante boss di Cosa Nostra che ambirebbe alla
Cupola, su repubblica on line si leggeva la notizia che
la storia della pentita sarà un film).
Il crimine che è stato compiuto dagli animatori della
campagna stampa che ha prodotto questo processo è stato
quindi, ed è tuttora, quello di legittimare
l'associazione mafiosa Cosa Nostra e le sue opinioni.
Clicca
qui per scaricare alcuni mp3 delle udienze e i documenti
riguardanti Barillà
Clicca
qua per vedere le foto del giallo del Covo
p.s. questo post scriptum è stato scritto il
9 marzo, come aggiornamento che non pensavo dovesse
essere utile. Tra i giornalisti che fanno di tutto per
screditare Ultimo, anche a processo finito (non quello
mediatico, evidentemente), c'è anche Sandro Provvisionato,
che qualche mese fa si
vantò con me, la scrivente, di essere stato l'artefice dei
dubbi innescati sul covo. Dopo
una serie di scambi epistolari in cui in anteprima
esponevo i fatti che sono nell'articolo di sopra,
concluse con un "sei solo una povera sfigata".
Pensavo fosse chiuso lì il discorso, ma oggi è stata
inviata la newsletter di misteriditalia, in cui si
innesca il dubbio (fondato da nulla, come tutte le accuse
giornalistiche, in fondo) che probabilmente le stragi del
'93 potevano essere evitate se Ultimo avesse perquisito
il covo. Le email scambiate con Provvisionato non le ho
mai cancellate, in caso dovessero servire per accertarne
l'esistenza a causa di denuncia per diffamazione. La
trasparenza è la nostra migliore arma.
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