EUROPPOSIZIONE LO DICONO LORO "L'economia mondiale sta viaggiando sul filo del rasoio. Basta un niente per farla precipitare nella parte buia. E questo, secondo alcuni, sarebbe già avvenuto o potrebbe avvenire nel giro di pochissimo tempo". Queste parole le leggiamo non su un bollettino sovversivo ma su "Affari e Finanza". Allo stesso tempo un rapporto dell'Agenzia per il commercio e lo sviluppo dell'Onu ci informa che "da 30 anni a questa parte il mondo è diventato più povero" o meglio che la miseria, quella assoluta e quella relativa come dimostrava tempo fa un vecchio barbuto, è l'unico futuro prospettato per i proletari. Alla faccia di ogni post-"ismo", della presunta fine del lavoro salariato e della "moltitudine" più o meno variopinta, un rapporto della Banca Mondiale ci dice che la forza lavoro pari a 1.325 milioni di lavoratori nel 1965 è passata nel 1996 a 2.476 milioni e la previsione per il 2025 è di 3.665 milioni di salariati. Ci si dice inoltre, e i dati vengono confermati dalla Organizzazione Internazionale del Lavoro, che a fronte di una riduzione della durata annuale del lavoro sino agli anni 1975-80 dal 1990 circa la tendenza è al rialzo. La cosiddetta "globalizzazione" non è affatto una fase inedita del modo di produzione capitalistico; l'interconnessione e l'apertura delle economie capitalistiche si trova oggi al grado di internazionalizzazione raggiunto a cavallo tra Otto e Novecento (la crescita del commercio mondiale si configura così: 3,4% tra il 1914 e il 1950; 9% tra il 1950 e il 1973; 3,6% tra il 1973 e il 1990 che è grossomodo anche il livello attuale); a livello di impresa la "libertà" dal "fordismo" ha determinato ritmi più intensi, una riduzione del numero degli occupati, una tensione sul lavoro maggiore, incidenti più numerosi. Nelle "post" fabbriche snelle gli operai sono controllati e osservati in ogni mossa ben più che nell'organizzazione tradizionale del lavoro. Che succede insomma? Una risposta c'è, e da tempo. Le difficoltà e i limiti del capitalismo hanno la loro causa teorica e pratica nei rapporti di produzioni capitalistici. Il carattere necessario dell' accumulazione e delle crisi e la fine storica del capitalismo sono già insiti nei rapporti di produzione stessi. Gli uomini non compiono mai delle rivoluzioni sociali fintanto che il modo di produzione nel quale vivono può contenere le forze che essi creano. Rapportato al capitalismo questo può essere così enunciato: fino a quando è possibile l'estrazione del plusvalore, essa è necessaria, e viceversa. Dunque, finché questo modo di produzione può contenere e utilizzare, la classe operaia e i proletari, questo è storicamente fondato e ogni tentativo di rovesciarlo è illusorio. Ora la nostra epoca è, per la precisione, quella in cui i rapporti di produzione entrano in contraddizione con le forze produttive e, da ciò, con il modo di produzione che non può più sviluppare notoriamente queste ultime. Accelerazione dell'accumulazione, aumento della produttività, sovrapproduzione, crescente composizione organica del capitale, caduta tendenziale del saggio di profitto sono soltanto differenti aspetti dello stesso processo. Il sistema economico entra in decadenza, perde il suo carattere di necessità storica e diventa un ostacolo che fa piombare la società in una barbarie crescente. Abbiamo in pratica la formulazione matematica della ribellione ognor crescente, oggettiva e biologica, dell'umanità lavoratrice al capitale. "Ad un certo grado del loro sviluppo le forze produttive materiali della società entrano in collisione con i rapporti di produzione esistenti, o con i rapporti di proprietà in seno ai quali esse si erano mosse fino ad allora . Allora comincia un'era di rivoluzione sociale". E' l'apparire di questa "collisione" in modo definitivo, irrimediabile che apre l'era di decadenza di una società. Ma "nessun sistema economico, per quanto debole esso sia, crolla 'automaticamente'; esso deve comunque venire abbattuto". Questo è un compito che spetta alla lotta di classe. IL RAFFORZAMENTO DELLO STATO La storia dei sistemi economici non può essere che storia degli uomini che ci vivono. Lo sviluppo, la conservazione e il superamento di una data società sono opera di gruppi di uomini decisi ad agire seguendo la loro posizione economica in seno al sistema. La forza di conservazione di un sistema è prima di tutto quella della classe che ne trae il maggior profitto. La forza della nuova società è anche quella della classe che vi trova il maggiore interesse. E' nell'azione delle classi sociali che si concretizzano tutte le forze oggettive che hanno immerso la società in una contraddizione. A un dato momento il conflitto di classe non è altro se non quello che oppone nella realtà lo sviluppo delle forze produttive ai rapporti di produzione esistenti. Se il diritto traduce l'interesse e la volontà della classe dominante, sotto forma di legge, lo Stato è la forza armata incaricata di farlo rispettare. Esso è il garante dell'ordine necessario allo sfruttamento di una classe da parte di un'altra. Di fronte ai disordini economici e sociali che caratterizzano la fase di decadenza di un sistema, lo stato non può che rafforzarsi. Nato come forza armata della classe dominante, lo stato è il servitore di una classe, quella borghese. Tuttavia, è in questo "servitore" che si cristallizzano nel modo più perfetto gli interessi della classe al potere: il suo compito è di mantenere un ordine globale, generale. In questo senso esso ha una visione più completa del funzionamento del sistema e delle sue necessità di quella degli individui che costituiscono la classe privilegiata. Separato dall'insieme della società, poiché organo di oppressione al servizio di una minoranza, esso si distingue anche da questa minoranza per il suo carattere di organo unico di fronte alla diversità degli interessi frazionali o individuali degli sfruttatori. La nascita del superstato della borghesia europea, pur fra rallentamenti e contraddizioni, è la sola risposta - necessaria e obbligata - che il padronato del vecchio continente si trova a poter praticare nel confronto/scontro mondiale con le altre borghesie, in primis quella americana, per la supremazia planetaria ; e questo perché 1) è l'economia che detta le regole della politica; 2) gli stati nazionali non possono più contenere il volume in continua espansione delle merci. E' sempre più in sede di Unione europea che vengono prese decisioni (anche e soprattutto sulla repressione: come si mostra in altra parte) a cui gli stati aderenti sono chiamati ad uniformarsi. Alle singole espressioni statuali del superstato europeo rimane e anzi si rafforza il ruolo di gendarme posto a garanzia dell'estrazione di plusvalore sulla pelle del proletariato. A fronte dunque delle frottole neoliberali sullo smantellamento dello stato la borghesia europea, nella sua praticità per la propria sopravvivenza, risponde con la creazione di un organismo da una parte in grado di far rispettare i propri interessi a livello locale e internazionale, e dall'altra sempre più invasivo nella vita quotidiana di ognuno tramite l' uso selettivo di "consenso", controllo sociale e repressione. Ai proletari il compito di abbattere questo nuovo moloch per la libertà propria e di tutta la specie umana. |