TORTURE E TRAPIANTI

di claudio giusti.

 

24 aprile 2004

24/04/1792  A Strasburgo Claude Joseph Roget de Lisle scrive il Canto di guerra dell’armata del Reno diventato poi La Marsigliese.

 

 

Aldo Forbice ha ragione. Un commercio internazionale d’organi per i trapianti esiste veramente. Solo che non è dove dice lui.

AF è un giornalista italiano e, in quanto tale, non è tenuto a controllare se quello che scrive è vero o falso. A questo Forbice aggiunge anche la pessima abitudine di prendere per buona qualsiasi sciocchezza sia pubblicata da altri. Così, dopo avere infarcito di comiche nefandezze un libro sulla pena di morte, ora AF ha sposato la tesi dell’esistenza di un commercio internazionale d’organi espiantati ai bambini del Terzo Mondo. Dopo avere scoperto questo traffico in Brasile, sulle navi ormeggiate nel Bosforo e in altri esotici luoghi, ora Forbice l’ha scovato, grazie al Resto del Carlino, in Mozambico.
Di questi traffici si parla da vent’anni, ma nessuno ha mai fornito la più piccola prova della loro esistenza. Ovviamente né AF, né il quotidiano bolognese si sono preoccupati di controllare se un traffico del genere sia tecnicamente possibile ed economicamente conveniente. Nemmeno si sono chiesti da dove arrivi tanta gente, così ricca e disperata, da tenere in piedi un simile commercio. Forbice e il Carlino non si preoccupano del fatto che nessuna organizzazione, o quotidiano, internazionale li abbia presi in considerazione. Anzi! Sono sdegnati per non essere considerati degni di credito. 

Sfortunatamente né Forbice né il Carlino, troppo assorti nella loro bufala, si sono accorti che Amnesty International ha pubblicato l’ennesimo rapporto sulla pena di morte nella Repubblica Popolare Cinese. Rapporto in cui si danno i dettagli del vero traffico internazionale per i trapianti: quello che avviene ogni giorno in Cina, dove i condannati a morte sono una banca degli organi vivente. E’ un fatto noto che in quel paese vengono fatte centinaia (forse migliaia) di esecuzioni all’anno e che a questa strage corrisponde una quantità di trapianti di cui beneficiano anche gli stranieri che, per cifre modiche, possono ricevere un organo sano in condizioni di assoluta legalità. Certo che sarebbe stato di cattivo gusto parlare di un simile orrore durante la visita in Italia di un alto papavero del partito comunista cinese.

 

Claudio Giusti

 

ATTENZIONE !   E’ ANCORA VALIDO IL GIOCO A PREMI !

Nel testo che segue è nascosto un grossolano errore. Il primo che lo scopre riceverà una mia splendida gigantografia con dedica autografa.

ANCORA SUL LIBRO DI ANTONIO MARCHESI

Marchesi afferma che la pena di morte americana sarebbe stata “dichiarata incostituzionale” a causa  “delle discriminazioni fondate sulla razza che inevitabilmente comportava”. La cosa è divertente, visto che, anni dopo, la stessa Corte Suprema ha deciso, con la sentenza McCleskey, che "apparent disparities in sentencing are an inevitable part of our criminal justice system" .

Poi M. mostra di non tenere in alcuna considerazione le differenze, così importanti per la giurisprudenza americana, fra chi è pazzo, chi è diventato pazzo e chi invece è minorato mentale. Contento lui…..

Infine M. ci regala uno splendido esempio di umorismo involontario inciampando nelle sue stesse elucubrazioni. Marchesi si ostina a credere che la giuria decida a maggioranza la pena di morte e chiama in suo aiuto un documento di Amnesty International (AMR 51/046/2003, 24 April 2003, UNITED STATES OF AMERICA, Death by discrimination - the continuing role of race in capital cases) riferendo che, a pagina 22, si legge di un caso dell’Alabama in cui “The jurors voted 10-2 to sentence Victor Stephens to life rather than death. However, they were overruled by the elected trial judge, who was white.” Marchesi non ha ritenuto opportuno leggere tutto il rapporto: se l’avesse fatto avrebbe scoperto che, a pagina 2, si legge “In both cases, as has happened on other occasions, the solitary black juror later alleged that he or she had been singled out for heavy pressure from their fellow jurors in order to get them to change their vote from life to death.”.  L’apparente contraddizione fra le due frasi sta tutta nel fatto che, fino alla sentenza King del 2002, le giurie di Alabama, Florida e Delaware non emettevano sentenze di morte, ma davano un parere che il giudice poteva ribaltare, mentre nel resto del paese, con l’eccezione di Arizona, Idaho, Montana, Colorado e Nebraska dove le sentenze erano decise solo da giudici, era la giuria a emettere all’unanimità la sentenza.  Victor Streib, all’insaputa di Marchesi, scrive: “If the jurors cannot agree unanimously upon a sentence, they are considered deadlocked and a mistrial is ordered” [VICTOR STREIB  “Death Penalty” St Paul MN, West Group, 2003, p. 173]. Come vedete è importante essere aggiornati.

Credo che non sia il caso di continuare a infierire su chi è così sfortunato da non conoscere nessuno che sia in grado di indicargli la retta via. (Si ha quasi l’impressione che in tutta la sezione italiana di Amnesty International non vi sia nessuno preparato in materia). Chiudo quindi la polemica.

 

Può darsi che qualcuno di voi sia finito per sbaglio nella mia rubrica.
 FATE CIRCOLARE QUESTO MESSAGGIO!

Non dimenticate mai che la lotta per i diritti umani e contro la pena di morte è la stessa in tutto il mondo

17 maggio 2004 

17/05/1954 Brown vs. Board of Education of Topeka

 

Non mi preoccupano le foto false. Mi preoccupano le torture vere.
Mi inquieto nel vedere gli inglesi occuparsi di quello che scrivono i loro giornali e non di quello che combinano i loro soldati e i loro governanti.  I terroristi, islamici o cattolici che siano, mi spaventano, ma ancor più mi sgomenta la tranquillità con cui soldati “democratici” si possono trasformare in torturatori. Irritante è lo starnazzare degli americanisti da quattro soldi: quelli che strillano che le democrazie individuano le mele marce e le puniscono, quelli che credono che gli iracheni debbano essere orgogliosi di essere torturati a morte da qualche depravato, quelli che credono che una testa mozzata pareggi tutto, quelli che non leggono i rapporti dello Human Rights Watch e di Amnesty International.

Questa storia poi delle mele marce è una balla colossale. In realtà non ci sono mele marce. Ci sono organizzazioni marce. Ancor più grande è la balla delle punizioni. In Israele nessuno ha pagato per torture e uccisioni. La Francia non ha ancora fatto i conti con la tortura in Algeria e la Gran Bretagna con quella in Irlanda del nord. Noi italiani, nel nostro piccolo, non li abbiamo fatti con Bolzaneto. Nelle normali carceri americane la tortura è endemica e nelle carceri in Iraq, Afganistan e a Guantanamo è programmata al più alto livello. La tanto citata strage di Mi Lay fu preceduta da stragi accuratamente nascoste (lo sappiamo solo ora grazie al Toledo Blade) e la famosa punizione, per centinaia di civili inermi torturati, stuprati e assassinati, si ridusse a tre giorni di carcere per il solo Ten, Calley. In Iraq si vuol far sparire la faccenda il più velocemente possibile e persino le tre scimmiette che ci governano si dovrebbero preoccupare dell’incredibile velocità con cui si sono approntati i processi ai torturatori.

L’unica cosa positiva in tutta questa spaventosa faccenda è la rivincita dei diritti umani. Dati per morti sono in realtà più vivi che mai, anche se l’opinione pubblica mondiale si è svegliata solo dopo la pubblicazione delle fotografie.

Può darsi che qualcuno di voi sia finito per sbaglio nella mia rubrica.
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