COMUNICATO STAMPA

IL PMLI CONDANNA LA COSTITUZIONE
DEL REGIME NEOFASCISTA
      
Ferma è la condanna dei marxisti-leninisti della Costituzione del regime capitalista, neofascista, presidenzialista e federalista.
La marcia su Roma del neoduce Berlusconi si è così conclusa in base al cosiddetto “piano di rinascita democratica” e dello “Schema R” della P2. E’ accaduto esattamente quello che il PMLI ha denunciato fin dagli anni ’70, e in particolare dalla prima salita di Berlusconi a Palazzo Chigi nel 1994.
La storia marcherà a lettere di fuoco i parlamentari della casa del fascio che hanno varato la nuova costituzione. Ma non ne escono bene nemmeno i partiti della “sinistra” borghese che non hanno avuto il coraggio di appellarsi alla piazza per buttar giù il governo del nuovo Mussolini. Macchiandosi della stessa colpa dei loro omologhi che non seppero sbarrare il passo all’ascesa al potere di Mussolini. Hanno fatto di peggio accettando lo stesso terreno di Berlusconi sulle controriforme costituzionali, e aprendo la strada del federalismo separatista bossiano con la “riforma” ulivista del Titolo V della Costituzione del ’48.
E’ inutile ora piangere sul latte versato. Tuttavia non si può assistere passivamente, consolandosi con delle parole di circostanza e non sempre adeguate alla gravità del fatto e con atti puramente parlamentari e istituzionali, alla cancellazione da destra della Costituzione democratica borghese e antifascista e alla restaurazione piena del regime fascista. Che la “sinistra” borghese si unisca al proletariato e alle masse popolari per preparare il referendum, per combattere veramente il governo del neoduce Berlusconi e per buttarlo giù con una o più spallate della piazza.
I marxisti-leninisti sono pronti, e in ogni caso non daranno tregua al nuovo Mussolini e al suo regime per l’Italia unita, rossa e socialista.

L’Ufficio politico del PMLI

Firenze, 26 marzo 2004, ore 10,00

Sulle colonne compiacenti del quotidiano trotzkista "Liberazione"
Cremaschi si smaschera come anticomunista al pari di Berlusconi e Bertinotti


Il noto sindacalista della Fiom si richiama alla Luxemburg per attaccare Lenin e Stalin e accreditare le sue tesi sulla nonviolenza e la democrazia borghese


Continua su "Liberazione" il "dibattito" sulla non violenza iniziato dalla recente "svolta" pacifista di Bertinotti.
In questo quadro "Liberazione" del 6 febbraio ha ospitato un intervento di Giorgio Cremaschi, ex diessino passato nel 2001 al PRC e noto sindacalista della Fiom, della cui segreteria generale fa attualmente parte. Per la sua posizione di raccordo con il sindacato Cremaschi è considerato un personaggio assai importante al vertice di Rifondazione, molto vicino al segretario e alle sue posizioni, tanto che al congresso di Rimini dell'aprile dello scorso anno fu accreditato tra i papabili alla successione di Bertinotti nel caso quest'ultimo avesse deciso di passare la mano per guidare la "sinistra antagonista" com'era nei suoi progetti.
In questo intervento Cremaschi non solo, come c'era da aspettarsi dato il tipo, sposa in pieno la "svolta" non violenta e pacifista di Bertinotti, ma lo fa con argomentazioni e tesi particolarmente sporche e indigeribili, perché di marcato stampo antileninista e anticomunista, al punto dal non distinguersi nella sostanza da quelle ossessivamente ripetute a ogni pié sospinto dal neoduce Berlusconi.
Cremaschi esordisce prendendo subito di petto l'argomento che gli sta a cuore e che vuole demolire: "Il comunismo del Novecento", come lo chiama bertinottianamente anche lui, per dire che chi si richiama ancora ad esso crede erroneamente nella "violenza del potere al servizio degli oppressi". Una terminologia involuta per riferirsi alla dittatura del proletariato. Il nostro sindacalista si dice meravigliato che questo concetto sopravviva ancora al "crollo del socialismo reale" in Urss e in Cina. Non tanto e non solo "per il giudizio sugli orrori dello stalinismo", quanto per una questione "ben più di fondo, che può persino ripresentarsi oggi, di fronte alla moderna, tremenda brutalità del capitalismo globalizzato", dice Cremaschi: e cioé la questione della "lotta per la liberazione degli oppressi", che per Lenin come per Marx "giustifica il ricorso alla dittatura rivoluzionaria. Così come fecero ed insegnarono i giacobini nel difendere la rivoluzione francese".
Questo per Cremaschi è inammissibile, non a caso stabilisce una falsa identità storica tra giacobinismo e marxismo-leninismo, per screditare naturalmente quest'ultimo affibbiandogli automaticamente un marchio di violenza settaria e dispotica. è inammissibile cioè che gli oppressi continuino ancora ad ispirarsi alla via rivoluzionaria dell'Ottobre e alla dittatura del proletariato, che per lui, come per Bertinotti, sono non tanto e non solo concetti gravati da un "fallimento" storico, ma sbagliati e pervertiti in sé stessi, alla loro stessa origine: "L'esperienza ci ha insegnato - pontifica infatti il nostro sindacalista trotzkista - che così gli oppressi sottoscrivono un patto col diavolo. Possono sconfiggere l'avversario, ma ne assumono le sembianze (sic!). E con l'uso degli stessi mezzi di coloro che combattono, travolgono i loro stessi fini".
Si tratta di una vecchia favola ad uso e consumo degli oppressori, appunto. Ma per Cremaschi questa è invece una legge storica, anzi un dogma, e così procede a testa bassa smascherandosi non solo come trotzkista, luxemburghiano nella fattispecie, ma anche spudorato sostenitore della più insulsa democrazia parlamentare borghese classica. Infatti, questo ineluttabile trasformarsi della violenza rivoluzionaria nel suo contrario, a suo dire "lo aveva lucidamente previsto dal carcere una donna, Rosa Luxemburg, quando i bolscevichi, nel 1918, sciolsero l'Assemblea costituente: l'unico vero parlamento democratico mai avuto dalla Russia, compresi i giorni nostri e la finta democrazia di Putin. La Luxemburg scriveva che Lenin e Trotzki (Stalin fu irrilevante nell'Ottobre) sottoponevano la dittatura del proletariato a quella del partito. Alla quale si sarebbe sostituita quella del comitato centrale, a sua volta soppiantata da quella di un uomo solo. A questa lucida profezia non c'è altro da aggiungere".
Cosicché, a parte la scontata falsificazione storica di equiparare i ruoli di Lenin e Trotzki e di negare quello di Stalin nella Rivoluzione d'Ottobre, Cremaschi sostiene in pratica con l'antileninista Rosa Luxemburg (e con tutta la storiografia revisionista e anticomunista di oggi) che tale rivoluzione avrebbe dovuto svilupparsi verso la democrazia parlamentare borghese e il capitalismo, e non verso la dittatura del proletariato e il socialismo, come fu con Lenin e Stalin.
Il resto dell'intervento discende da questo perentorio quanto desolante assunto come il liquame cola dalla fogna. Ecco allora la condanna di Cremaschi, sulle orme di Bertinotti, della violenza rivoluzionaria e la teorizzazione della non violenza come scelte assolute e universali, in qualunque situazione e condizione storica, politica e geografica. Ecco "la scelta della democrazia radicale, della partecipazione e del consenso", come alfa e omega di ogni movimento di lotta. Ecco l'esortazione a rigettare per sempre ogni retaggio di leninismo e di comunismo per "emancipare definitivamente la lotta contro lo sfruttamento capitalistico dalle illusioni e dai guasti della dittatura rivoluzionaria", ecc.
Perfino le lotte armate dei popoli per la liberazione dagli aggressori imperialisti, come in Iraq e Palestina ad esempio, non sono più ammissibili per questo anticomunista ormai dichiarato, dal momento che a suo dire oggi "non ci sono nuovi Hitler in campo (e Bush cos'è, di grazia? E Berlusconi, non è forse il nuovo Mussolini?, ndr), ma non c'è neppure una guerra partigiana paragonabile alla resistenza antifascista o al Vietnam. è tutto diverso, è tutto più sporco".
In realtà qui di sporco ci sono solo le sue false e ingannatorie tesi di imbroglione trotzkista e borghese, mediate dal suo compare Bertinotti, con le quali mirano entrambi a spargere l'anticomunismo, l'interclassismo, il riformismo, il pacifismo e l'elettoralismo nei movimenti di lotta anticapitalisti, no-global, contro la guerra e nella stessa base del PRC, per impedire che questi vengano influenzati dal marxismo-leninismo e abbraccino la lotta per il socialismo. E anche, naturalmente, per guadagnarsi la fiducia della borghesia in vista di qualche poltrona in un futuribile governo di "centro-sinistra".


(Articolo de "Il Bolscevico", organo del PMLI, n. 9/2004)

 

 

 

 

 

 

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