Considerazioni inattuali sul problema della libertà

di wanda piccinonno

Le nuove tecniche di dominio , la velocità delle dinamiche globali , la barbarie dell’assetto tecno-economico , le forme perverse e anomiche di integrazione sociale , il linguaggio omologato "alter-globalizzato " dei Social forum , il connubio tra agire comunicativo e razionalizzazione produttiva , le forme violente di controllo sicuritario , "l’estensione del diritto proprietario alla sfera immateriale",l’identificazione fra azienda e società , la regolazione politico-militare globale, impongono una sorta di pathos del disincanto .

Il che spinge ad assumere un atteggiamento radicalmente anti-utopico , vuoi per valutare il rapporto tra pensiero e velocità , vuoi per mettere in discussione le idee assiomatiche del contesto odierno . In altri termini , bisogna rimuovere le idèes recues di cui parla Flaubert , ossia le idee accettate , banali , convenute , per dispiegare un pensiero pensante e critico intrinsecamente legato al tempo . Ciò è necessario , perché nel mondo veloce e pieno del globalismo si celebra il trionfo del pensiero irriflesso , tant’è che ogni forma di profondità risulta ingannevole . Ne consegue che anche le contrapposizioni tra " avere " ed "essere" , tra libertà e non-libertà , sembrano assumere una valenza inedita . Ogni rapporto , infatti , è caratterizzato da una sorta di sfioramento , sicché pare quasi che l’unica forma di socialità sia " la socialità di rete " .

In realtà , al di là dell’impenitente ottimismo dei buontemponi , non solo si manifesta una babele delle lingue , mascherata con l’apparenza di un accentuato pluralismo , ma dilagano anche surrogati e simulacri , che interagendo , generano un’immaginazione privatizzata .

Da qui una critica semplicistica e pericolosa , che banalizza problemi cruciali , come libertà , democrazia , eguaglianza , ecc .

A questo punto si pone un quesito : perché focalizzare l’attenzione sul tema della libertà ? Le motivazioni dovrebbero essere palesi , dal momento che esiste un legame indissolubile tra etica della liberazione , libertà e potere . D’altra parte , la storia della libertà procede di pari passo con la storia delle privazioni della libertà . Quest’ultima , se intesa nell’accezione più autentica , è rivoluzionaria , sicché decostruire il satanismo del potere e le sue perverse commistioni , può risultare un’operazione feconda , soprattutto considerando l’imperversare della crisi di senso .

Pertanto , rimuovendo tutti i postulati metafisici , si rileva che libertà e illibertà sono unite in un rapporto di integrazione reciproca . In altre parole , esiste una inquietante dialettica tra "servitù volontaria e potere ". D’altro canto , se il potere , sia pure con alterne vicende , è riuscito a sottomettere e a soggiogare le forze liberatorie del contropotere , ciò è da attribuire anche al fatto che negli esseri umani è presente anche la pulsione alla rinuncia .

A questo proposito conviene tornare sul mirabile trattato di La Boètie , " Il contr’uno o della servitù volontaria " . Cosa dice di preciso ? Che gli uomini producono la loro sottomissione ma non per questo la desiderano e ne godono , la vogliono e l’amano così poco che di fatto non finiscono mai di protestare contro il suo giogo , eppure questa rivolta è , per così dire , colpita da maledizione , sempre e dovunque mutata in un nuovo modello di servitù ; e infatti la padronanza è la Legge di questo mondo e non c’è decreto o cataclisma che riesca a scuoterla " . Senza indulgere al catastrofismo , ma non sottovalutando le armi della critica , ritengo che , considerato l’argomento , non si possa prescindere da un breve riferimento al grande Deleuze . Quest’ultimo afferma che il Potere è un’emanazione , un prodotto dei dominati , ma questa emanazione discende da un perverso godimento di servire .

E’ necessario dunque negare le fughe nell’utopia e prendere coscienza che il desiderio di liberazione , il profumo inebriante del radicalismo , non possono ignorare gli insegnamenti crudeli della storia concreta . Difatti , al di là dei miraggi di un illusorio ottimismo , si evince che puntualmente alle vittorie della libertà sono seguite nuove oppressioni imposte , basti pensare agli esiti della Rivoluzione russa , alle guardie rosse maoiste , che perpetravano le torture più spietate ai danni dei "nemici " veri o presunti .

Pertanto , se non vogliamo che la libertà , intesa in senso lato , sia destinata a restare un postulato e un’aspettativa , occorre , come sostiene Boltanski , rimuovere alcuni paradigmi , per prendere atto che " le minoranze potrebbero diventare esse stesse oppressive " .

D’altra parte , la verità e la libertà sono rivoluzionarie , sicché conviene penetrare nei perversi meccanismi dell’officina infernale del potere , per evitare che il desiderio di liberazione si traduca in un ciarliero e mortifero chiacchiericcio . Da qui la necessità di optare per una sorta di pessimismo lucido e combattivo . Questo atteggiamento, apparentemente contraddittorio , discende dalla constatazione che i rivoltosi di tutti i tempi hanno esaurito le forze e immolato anche la vita per combattere i bastioni della Padronanza, ciononostante le vitali pulsioni del contropotere sono state via via neutralizzate dalla legge di tutte le leggi , ossia dall’algebra del dominio . Ciò è da attribuire al fatto che la scienza idiomatica del potere è polimorfa , pervasiva , corruttrice , sicché sistematicamente le forze attive della libertà si disintegrano in un’organizzazione "monocefalica " , o in una disorganizzazione " policefalica ". Il potere , dunque , non fa altro che comporre seguaci o scomporre in seguaci , ritagliare elementi o tagliuzzare in elementi , produrre atomi o ridurre in atomi . Il fatto inquietante è che l’ambizione demiurgica del potere , giocando d’astuzia , riesce sempre a trasformare il desiderio di liberazione in accettazione , sottomissione , in costrizioni istituite .

Ciò significa che i partigiani postmoderni della liberazione dovrebbero vigilare sulle perverse macchinazioni dei professionisti della politica , che intendono perpetuare i giochi nefasti della manipolazione , Difatti , al di là delle ricorrenti omelie umanistiche , gli "imprenditori di voti" continuano a profanare l’autentica valenza della libertà , strumentalizzando anche fulgide figure rivoluzionarie come Rosa Luxemburg , che è diventata il nume tutelare del neonato partito della sinistra europea . Il dettaglio non trascurabile è che il partito suddetto è formato anche da impenitenti stalinisti : ciò conferma che le crudeli lezioni della storia non insegnano alcunchè .

D’altra parte , la rimozione dell’esperienza storica è diventata una costante , infatti , dopo che " il bordello dello storicismo " ha chiuso i battenti , sta dilagando l’oblio della cultura storica . Si dimentica così che la marxista radicale R. Luxemburg si oppose costantemente a tutte le forme di dittatura degli apparati , sicché risulta piuttosto bizzarro che sia diventatata l’emblema venerabile di irriducibili stalinisti .

Chiusa questa breve parentesi , riannodando le fila del discorso e continuando a problematizzare il tema della libertà, giova esplorare più territori , non trascurando la psicanalisi e la sociologia . Ciò è estremamente importante , perché se vogliamo sfuggire alla rete dei poteri dobbiamo penetrare nei meandri più riposti delle nostre esistenze , vuoi per rendere intelligibili tutti i nodi della repressione , vuoi per evitare che le istanze della libertà rivoluzionaria siano assorbite da una mistificata retorica della liberazione .

Da qui la necessità di porre una serie di interrogativi : che cos’è la libertà come esperienza umana ? Il desiderio di libertà è immanente alla natura umana ? L’esperienza della libertà è identica in ogni tipo di civiltà ? Quali sono i fattori sociali ed economici che promuovono l’impegno a favore della libertà ? Non c’è anche , forse , oltre a un desiderio di libertà , una pulsione alla sottomissione ? E la sottomissione è sempre determinata da un’autorità manifesta , oppure esistono autorità interiorizzate , costrizioni interne ? Quali sono le condizioni psicologiche e sociali che rafforzano la logica del potere ? Quali elementi alimentano il prestigio del capo ? Perché l’esercito , la chiesa , il partito , sono intrinsecamente connessi alla sottomissione volontaria ? In realtà , ogni definizione sulla dimensione effettiva della libertà risulta riduttiva . Superando , però , le diverse chiavi di lettura , si può sostenere che dal punto di vista filosofico la libertà non è libertinismo , né può dipendere dal carattere razionale o non razionale delle nostre azioni , sicché essa si esplicita in tutta la sua potenza solo se l’uomo " si riconosce " nella propria vita e "approva " le vicende del mondo . A questo punto senza rispondere in modo dettagliato a tutti i quesiti posti , rivisitando Freud e analizzando la psicologia delle masse , si evince che l’individuo , per effetto della "suggestione " e del " contagio " esercitato dalla massa , perde di autonomia acquistando in cambio un sentimento di forza che deriva dall’essere parte di un tutto rassicurante e coerente .

Ne consegue che i fenomeni regressivi individuali e sociali sono il risultato di un’interazione tra manifestazioni sociali e psicologia individuale . Non senza ragione G. Le Bon sostiene : " Ciò che più ci colpisce di una massa psicologica è che gli individui che la compongono – indipendentemente dal tipo di vita , dalle occupazioni , dal temperamento , dall’intelligenza - acquistano una sorta di anima collettiva per il solo fatto di trasformarsi in massa ….Nella massa , aggiunge Le Bon , le acquisizioni individuali del singolo scompaiono e con ciò scompare il suo modo d’essere specifico " .

E’ bene sottolineare che l’individuo all’interno della massa manifesta anche caratteristiche nuove , in precedenza non possedute . La mutazione discende da diversi fattori : la prima causa è che l’individuo in massa acquista , per via del numero , un sentimento di potenza invincibile . Ciò gli permette di cedere a istinti che , se fosse rimasto solo , avrebbe necessariamente tenuto a freno . Inoltre , il " contagio mentale " determina nelle masse il manifestarsi di speciali caratteri e al tempo stesso il loro orientamento . Di più , l’individuo in massa mostra caratteri a volte opposti a quelli dell’individuo isolato .

Da qui uno stato di fascinazione , che sotto certi aspetti è simile al rapporto ipnotizzato - ipnotizzatore . " In lui , scrive Le Bon , come nell’ipnotizzato , talune facoltà possono essere spinte a un grado di estrema esaltazione mentre altre sono distrutte . L’influenza di una suggestione lo indurrà con irresistibile impeto a compiere certi atti . E l’impeto risulterà ancor più irresistibile nelle masse piuttosto che nel soggetto ipnotizzato , giacchè la suggestione , aumenta enormemente perché viene reciprocamente esercitata " .

Il fatto inquietante è che , a seconda delle circostanze , gli impulsi cui la massa obbedisce possono essere generosi o crudeli , eroici o pusillanimi ; sono però imperiosi al punto di non lasciar sussistere l’interesse personale , anche quello di autoconservazione .

La massa , dunque , non conosce né dubbi né incertezze , sicché l’assenza del dubbio non solo crea la confusione tra vero e falso , ma , per via della suggestionabilità , genera anche la sottomissione all’autorità , al capo , al leader .

Vero è , però , che per influsso della suggestione , le masse sono capaci di realizzazioni alte, quali l’abnegazione , il disinteresse , la dedizione a un ideale .

Per evitare fuorvianti generalizzazioni , conviene aggiungere che la morfologia delle masse è polimorfa . Non senza ragione Freud afferma che esistono masse transitorie e masse durevolissime ; masse omogenee , composte da individui affini , e masse non omogenee ; masse naturali e masse artificiali , la cui coesione richiede anche una coercizione esterna ; masse primitive e masse articicolate , organizzate in misura notevole . Queste ultime sono sottoposte a un capo , che può essere rappresentato dalla chiesa , dall’esecito , dallo Stato .

Le considerazioni fatte evidenziano che anche il concetto di massa non va banalizzato , perché un effettivo processo di emancipazione esige un esercizio critico e uno svolgimento cosciente .

A questo punto è opportuno rilevare che esistono sostanziali differenze tra massa , folla , gruppo, collettivo . Per quanto concerne quest’ultimo è necessaria un’elaborazione critica radicale , vuoi per comprendere la relazione individuo –gruppo , vuoi perché può risultare proficuo in sede sociale - politica . Gilbert Simondon , con un ‘esemplare indagine , ha messo in luce che bisogna rimuovere l’abitudine di opporre i nomi di natura , società , tecnica . Partendo da questi presupposti l’autore citato osserva : " La vita non è solo ciò che risulta dall’individuazione vitale , ma essa è " perpetua individuazione " , perché come il vivente non è solo risultato ma " teatro di individuazione " . Ciò significa che l’individuo all’interno del collettivo non attenua la propria individualità , ma attua invece un ulteriore processo di individuazione . In altri termini , " la vita è una prima individuazione ; ma questa prima individuazione non è stata in grado di esaurire tutte le forze ; essa non ha risolto tutto ; abbiamo un movimento per andare sempre più lontano , dice Malebranche ; in effetti abbiamo tensioni e potenziali per diventare altri , per una nuova individuazione che non distrugge la prima " . Il collettivo quindi , se concepito in tal senso , non inficia l’esercizio della libertà , ma diventa un salutare stimolo per attivare un’autentica etica della liberazione , che peraltro è lontana anni-luce dalla retorica della liberazione . Difatti , pur sussistendo le condizioni di possibilità per una svolta decisiva , si avverte la spiacevole sensazione che stia prevalendo la nauseante retorica dei " rivoluzionari di professione " , ossia i politicanti falsari e cacciatori di voti un po’ radical chic . Il fatto destabilizzante è che i suddetti politicanti , in nome di un opinabile e misterioso comunismo , suggellano un far credere , che è intriso di banalità e di imposture.

Eppure basterebbe esercitare un pensiero riflessivo e critico per demisificare le astuzie di questi ciarlatani , che con notevole capacità acrobatica si destreggiano tra cespugli ulivisti, centri sociali , partito , forum .

Le osservazioni fatte non sono vane , perché gli imbonitori postmoderni , pur essendo fuori tempo e fuori luogo , tentano con perverse macchinazioni di incrementare le "intensità servili " di cui parla Jean Francois Lyotard .

In realtà , se intendiamo seguire il filo rosso della liberazione e se vogliamo attivare le dinamiche di una libertà rivoluzionaria , non possiamo prescindere dalle armi della critica . Difatti , per allontanare da questo mondo i tratti maligni e distruttivi , si dovrebbero demistificare tutti i meccanismi di fuga , per discernere le linee di confine tra verità e menzogna , tra civiltà e barbarie , tra libertà formale e libertà sostanziale .

Detto ciò , considerato l’argomento è necessario focalizzare l’attenzione sul rapporto libertà- volontà – libero arbitrio . Semplificando il discorso si può affermare che la " volontà " è la facoltà dell’uomo di autodeterminarsi , mentre il " libero arbitrio " è la facoltà di scegliere , consapevolmente ed autonomamente , tra possibilità differenti .

Per quanto concerne la " volontà " , pur essendo molte e variegate le chiavi di lettura , conviene fermare l’attenzione sul concetto di " volontà generale " . Rousseau chiamò "volontà generale " la presa delle decisioni collettive , guidata dalla ragionevoleza ed orientata al bene comune ; denominò invece " libertà di tutti " quella che esprime la maggioranza delle volontà individuali e gli interessi particolaristici . A questa concezione nell’Ottocento si ispirarono le dottrine politiche che volevano limitare le funzioni e le prerogative di parlamento e governo .

Con la filosofia della prassi Marx operò una vera e propria rottura , perché propose di mettere la filosofia al servizio dell’iniziativa rivoluzionaria .

Da un sommario excursus storico si evince , inoltre , che nelle diverse forme di anarchismo ottocentesco ( Proudhon , Stirner , Bakunin ) la volontà individuale è considerata superiore a qualsiasi condizionamento ed a qualsiasi norma etica e sociale .

Successivamente Gramsci , Bloch , Blondel , il pragmatismo , ecc. , sia pure con diverse interpretazioni , incentrarono l’attenzione sul tema della " volontà " .

Assodato il rapporto volontà – libertà , occorre aggiungere che la storia si manifesta come tentativo costante degli individui di allargare la propria libertà d’azione ( libertà negativa ) e di affermare il principio dell’autodeterminazione contro il riprodursi delle forze oppressive, o , " come una serie di risposte alla sfida sempre ritornante della illibertà " ( N. Matteucci ).

Ciò significa che libertà e illibertà sono unite in un rapporto d’integrazione , infatti , senza l’una non c’è l’altra . Ne consegue che la conquista di alcune libertà si risolve sempre in una illibertà .

A questo punto sorge spontaneo un quesito : perché le conquiste della libertà sono assorbite dai meccanismi della non-libertà . Ovviamente esiste una commistione variegata di cause , ma le ragioni più significative discendono dal fatto che spesso i difensori della libertà si trasformano in carnefici della libertà .

La verità è che , se non si vuole banalizzare e barattare l’alta valenza della libertà , bisogna prendere coscienza che essa richiede un costante esercizio di senso , onestà umana e culturale , impegno critico e costruttivo , uno spirito autenticamente rivoluzionario , un desiderio sensuale ed affettivo di cambiare il mondo .

D’altra parte , come voleva Sartre , la libertà non è una facoltà dell’anima tale da poter essere identificata e descritta isolatamente . In realtà , la coscienza della libertà non è generata da una sorta di diritto di nascita , né può essere concepita come amor fati , ossia come pura e semplice accettazione della fattualità storica ; essa , invece , implica la presenza degli altri , il rapporto sempre aperto con i corpi desideranti , un conatus irrefrenabile di redimere il passato oppresso , cioè quello rivoluzionario .

Ma , dal momento che si vuole andare oltre il Novecento , " senza se e senza ma " , conviene fare alcune considerazioni inattuali sulle variegate valenze del passato .

Si dovrebbe riflettere sul fatto che la storia non è la conservazione integrale , e per così dire automatica del passato , nel senso di una coscienza universale o comune a tutto il genere umano . E’ invece un dovere per l’uomo la possibilità di rintracciare e riconoscere nel proprio passato gli aspetti veritieri e di farli valere come norme di limitazione e di scelta delle possibilità a venire . Ne consegue che la problematicità della storia vieta così l’ottimismo come il pessimismo , perché entrambi tentano di legare la sorte dell’umanità ad un ordine storico necessario . In altri termini , la problematicità della storia mostra gli elementi di fiducia o di speranza come quelli d’incertezza e di dubbio .

Ciò significa che sarebbe riduttivo percepire la società umana come una somma di coscienze sempre pronte alla pace e alla felicità , perché di fatto ciascuno di noi vive nella coesistenza con gli altri su uno sfondo di storicità che non ha scelto .

Non senza ragione Merleau Ponty osserva : " Siamo stati portati ad assumere ed a considerare nostre non solo le intenzioni e il senso che i nostri atti hanno per noi , ma anche le conseguenze esterne di tali atti , e il senso che assumono in un certo contesto storico ". In realtà , " la coscienza incarnata in un corpo e nel mondo , va sempre al di là di se stessa : è , in altre parole , "intenzionale ".

Le considerazioni di Merleau Ponty per certi aspetti richiamano Marx , che nei "Manoscritti economico-filosofici " scrive : " Non bisogna , innanzitutto , fissare di nuovo la società come un’astrazione di fronte all’individuo " .

Lo sforzo di Merleau Ponty , però , è stato quello di ricondurre l’astrazione alla concretezza originaria , insistendo soprattutto su due temi : il ritorno alla percezione e il senso o significato della realtà . Il primo gli apre la strada all’analisi concreta degli uomini, ambienti , situazioni . La ricerca del senso , invece , è quella che rivela la direzione della vita e della storia , che peraltro non è mai precostituita e definitiva .

In questa prospettiva , dunque , la coscienza della libertà , avvalendosi costantemente di un controllo critico , dovrebbe misurare il rischio e il compito , fuori dai parametri del non-senso e fuori dalla logica del potere .

A questo punto è opportuno fare un breve cenno a due forme di libertà , ossia la " libertà positiva " e la " libertà negativa " . Quest’ultima si configura come " assenza d’impedimento o di costrizione" , sicché qualifica l’azione ; la " libertà positiva " , invece , intesa come autodeterminazione , qualifica la volontà . In realtà le due libertà sono storicamente connesse anche se non si implicano . Queste distinzioni sono indubbiamente rilevanti , ma non sono in grado di svelare appieno il profondo senso della vita e dell’"ègalibertè".

Bisogna quindi ritornare al rapporto coscienza-mondo , vuoi per rimuovere il carattere deterministico e opaco di una sorta di pseudomaterialismo , vuoi per evitare le ricadute in senso spiritualistico . Ciò è di basilare importanza non solo per attivare una esaustiva decostruzione storica , ma anche per promuovere la " schizo-rivoluzione ", ossia una rivoluzione che si sottrae all’ordine delle cose . In realtà , per non vanificare l’alta valenza del materialismo , occorre evidenziare che esso è una filosofia liberatrice perennemente feconda che guida il filo rosso della liberazione .

Oggi , per via del capitalismo cognitivo , il materialismo potrebbe esprimere tutta la sua potenza , a condizione che non si operino confusioni tra etica della liberazione e retorica della liberazione . Da qui la necessità di prendere atto che nel mondo "uno" e"pieno" del globalismo , " la coscienza è al contempo pungolata e placata in un unico gesto caritatevole" (Z. Bauman) . Ne consegue che, considerato l’intreccio delle dipendenze globali , il desiderio di comunità si traduce spesso in una sorta di "comunità estetica ".

Pertanto , se effettivamente si vuole rivoluzionare il mondo , senza inebriarsi di folli speranze, si dovrebbe vivificare l’immaginazione produttiva spinoziana , perché essa è la facoltà che sostiene la storia della liberazione .

Per non aggiungere infamia ed impostura allo status quo , si dovrebbe promuovere la militanza del "comune" , demistificando anche l’illusionismo politico degli apostoli di un comunismo acefalico e destoricizzato . Ciò si impone , perché si sta confondendo la decostruzione critica con un becero revisionismo .

A questo punto , considerato l’argomento , si impone un esplicito riferimento alle feroci semplificazioni che emergono dal Bertinotti-pensiero in un’intervista pubblicata sul "manifesto ".

Leggendo la suddetta intervista si avverte la spiacevole sensazione che dalla frutta siamo passati al dessert . Il seduttivo leader di Rifondazione , che peraltro ha espulso dallo statuto del partito il riferimento a Gramsci ,infatti , scimmiotta Gandhi , predicando la non-violenza tout –court e , al tempo stesso , andando " oltre il Novecento ", getta con allegra disinvoltura nel letamaio della storia il bambino e l’acqua sporca .

Per non inficiare l’ontologia e la teleologia del " comune " sono, dunque , necessarie alcune precisazioni . Difatti , se la cultura e l’esaltazione della violenza sono sempre deprecabili , è altresì vero che sono imprescindibili alcuni distinguo per leggere in modo adeguato circostanze , fasi , situazioni e momenti storici . D’altra parte , se si biasima la violenza , "senza se e senza ma " , si potrebbe cadere nel ripugnante paradosso di condannare la Rivoluzione francese , la Resistenza, Che Guevara , etc .

Pertanto , se non si vuole ridurre la non –violenza a etichetta rassicurante , bisogna prendere atto che il tema della violenza richiede una serie di approcci . Occorrerebbe , invece, una doviziosa indagine su parole-chiave , come potere , potenza , forza , autorità , violenza , per comprendere che esse sono sinonimi perché hanno la stessa funzione e perché indicano i mezzi attraverso i quali l’uomo domina sull’uomo . Inoltre , va rilevato che se la resistenza non –violenta di Gandhi si fosse scontrata con un nemico diverso - la Russia di Stalin , la Germania di Hitler, invece che con l’Inghilterra - il risultato non sarebbe stato la decolonizzazione , ma un massacro e la sottomissione .

Da qui l’esigenza di evidenziare che , se si destorifica e si decontestualizza il fenomeno , ogni giudizio si trasforma in aberrante pre-giudizio o in una forma di stucchevole "angelismo ".

Superando quindi le cortine fumogene di un pensiero debole , conviene rimarcare che per redimere il passato oppresso , ossia quello autenticamente rivoluzionario , si dovrebbero " fendere le cose , fendere le parole " ( G. Deleuze ).

In realtà il dibattito su violenza e non-violenza non solo è un imbroglio , come sostiene giustamente Luca Casarini , ma è anche una grande e fallace "robinsonata " .

Ciò detto , nella consapevolezza che anche la manipolazione della verità effettuale è una forma di repressione , occorre aggiungere che la presunta suprema catarsi e l’angelismo del Bertinotti-pensiero sono intrinsecamente legati al culto della celebrità , all’individualismo narcisistico , alla personalizzazione della politica . Quest’ultima , sostiene Bertinotti , " è disastrosa " . Il che risponde al vero , ma l’affermazione assume caratteri grotteschi se si considera che la sentenza viene pronunciata da un rappresentante del leaderismo politico –mediatico .

Ma l’acrobatico e camaleontico politicone non si ferma qui , infatti , oscillando tra principio di causalità e libertinaggio culturale –politico , mostra di ignorare i rapporti tra potere , verità e soggetto , tant’è che sostiene : " La questione del potere è difficile, ma si può affrontare ".

A dire la verità il problema del potere è stato già trattato in modo esaustivo da intellettuali di grande spessore , basti pensare a Foucault , Deleuze , Guattari , Negri , Hardt e molti altri , sicché è auspicabile che l’ex sindacalista eviti di affrontare l’argomento , anche perché il discorso si potrebbe rivelare scomodo per il Bertinotti-pensiero . Il dettaglio non trascurabile è che per attivare un’autentica etica della liberazione occorre rendere intelligibile il rapporto potere-contropotere , convivendo con Marx , ma andando anche oltre Marx .

Non senza ragione E. Balibar sostiene : " Si leggerà ancora Marx nel XX1 secolo : non solo come momento del passato , ma come autore attuale ….Non un ritorno a Marx "autentico" e " codificato " in una presunta filosofia marxista , ma un viaggio con occhi nuovi nell’universo teorico marxiano ….Alla ricerca di una intelligenza critica che cessi di insidiare l’ordine disciplinato dei saperi e dei poteri ". Ma , per valicare le miserie del presente va rilevato che "ispirarsi a un certo spirito del marxismo sarebbe essere fedeli a quel che ha sempre fatto del marxismo , un principio e innanzitutto , una critica radicale , cioè un modo di procedere pronto all’autocritica "( Jacques Derrida ). Marx ,dunque , non può essere collocato in archivio , sic et simpliciter , anche perché , oggi , più che mai , per via del capitalismo cognitivo , si registra la correlazione tra saperi e poteri , sicché conviene fare qualche considerazione per mettere in luce che il facilismo pressappochistico e demagogico di Bertinotti si rivela decisamente fuorviante .

Tengo a precisare che , se insisto sull’argomento , è perché sono fermamente convinta che per combattere il terrorismo economico e politico del globalismo si impongono significativi esercizi di senso . Da qui la necessità di rilevare che il Bertinotti- pensiero manifesta griglie interpretative nebulose , opinabili , ambigue , contraddittorie .

Il leader di Rifondazione afferma : " E’ inutile pensare che ci sia qualcuno così intelligente da fare un progetto ". E’ evidente che "l’angelismo " funzionale e strumentale qui tocca il fondo e indigna le coscienze rivoluzionarie . Come si può , infatti , ipotizzare un altro mondo, prescindendo dall’organizzazione della resistenza e dalla presenza di una soggettività materiale e politica? In realtà , la nuova militanza dovrebbe " costruire la moltitudine come soggetto e come progetto" . Inoltre , sarebbe auspicabile che la moltitudine assumesse forme di resistenza costituenti , fuori dall’area istituzionale e in vista di una radicale trasformazione del mondo .

Pertanto, contro l’ottimismo equivoco dei politicanti , contro le astute mistificazioni dei ciarlatani, contro le tesi folcrolistiche dei buffoni di corte , contro i falsiloqui funzionali dei cacciatori di voti , per redimere il passato rivoluzionario giova ricorrere all’illuminante pensiero di Deleuze . Quest’ultimo scrive :" Il 68 è stato la manifestazione , l’irruzione di un divenire allo stato puro . Oggi è di moda denunciare gli orrori della rivoluzione . Non c’è niente di nuovo , tutto il romanticismo inglese è permeato di una riflessione su Cromwell del tutto analoga a quella che si fa oggi con Stalin . Si dice che le rivoluzioni hanno un brutto avvenire . Ma non si smette di mescolare le due cose , l’avvenire delle rivoluzioni nella storia e il divenire rivoluzionario della gente . Non si tratta neppure delle stesse persone nei due casi . La sola possibilità degli uomini è nel divenire rivoluzionario . Solo così possono scongiurare la vergogna o rispondere all’intollerabile " .

A questo punto , constatando che paradossalmente il Bertinotti –pensiero sta acquistando proseliti , per non profanare l’alta valenza della " libertà assoluta ", ossia quella rivoluzionaria , è opportuno insistere su alcuni temi cruciali .

Ciò si impone , perché , se l’assetto odierno offre condizioni di possibilità alternative , è altresì vero che il mondo globalizzato è attraversato da diaboliche contraddizioni e da una proliferazione incontrollata di gerarchie .

Per rendere dunque feconde le condizioni di possibilità della situazione presente , non solo si dovrebbe rendere intelligibile ed operante il rapporto teoria-pratica , ma si dovrebbe anche intendere il presente come " futuro anteriore " .

Per quanto concerne la prassi , ovvero il rapporto teoria-pratica , non si dovrebbe sottovalutare che " la ratio agendi è prodotto della ratio cognoscendi , e viceversa".

Inoltre , dal momento che si vuole cancellare il Novecento , sono doverose alcune considerazioni .

In realtà , senza enfatizzare il concetto di " memoria storica " e constatando che la storia è stata scritta dai vincitori , bisogna valorizzare il " futuro anteriore ".

Paolo Virno a questo proposito , rompendo con le ricorrenti banalità e avvalendosi del "condizionale controfattuale " , sostiene che occorre intendere il presente come il futuro anteriore di tutto ciò che è accaduto in precedenza , ossia come prova di appello per gli sviluppi alternativi che sono stati condannati in primo grado .

Preso atto , dunque , che il mitico salto nel regno della libertà non è automatico e che la realtà fattuale appare sempre più dura , è bene tracciare le coordinate adeguate per neutralizzare la società del rischio e per costruire una nuova realtà ontologica .

Pertanto , se il postfordismo , mettendo al lavoro il linguaggio , ha generato l’intelletto pubblico , è altresì vero che la moltitudine dovrebbe elaborare un progetto di trasformazione, fuori dai miti della rappresentanza , fuori dalla logica dei partiti , fuori dai parametri di una teologia patriarcale e fallocentrica . Si può obiettare che la moltitudine , per via del suo modo d’essere , ripudia già alcuni paradigmi , ma così facendo si sottovaluta il dettaglio non trascurabile che essa è ambivalente , perché ingloba libertà e servilismo , potenzialità e involuzioni . Non senza ragione Marco Bascetta osserva che " il mito , assai in voga nel "movimento dei movimenti " , di una società civile globale che prende le distanze , nell’immediatezza del suo fare , dalla sfera politica del potere , riservandosi il diritto di rivendicare i suoi interessi , si condanna a un elevato grado di impotenza , o a un ritorno ai suoi originari connotati borghesi di pura e semplice libertà mercantile". Ciò significa che se il comune è privo di contenuto e prescinde dall’autoorganizzazione , allora " è esposto a inquietanti derive e ad un fatale sdoppiamento " ( M . Bascetta – " La libertà dei postmoderni") .

Ma , andando al di là della speranza rivoluzionaria , si impone anche l’esigenza di rimuovere il mito collettivo del progresso , che è poi connesso in gran parte al marxismo .

Questa teoria ha perpetuato l’idea che " coloro che sono in basso " giocano un ruolo attivo nella storia , spingendosi, e spingendola , verso "l’alto " ( E. Balibar ) .

E’ evidente che l’esecizio della libertà esige la rimozione di teorie e categorie consolidate, proprio perché esse inficiano e pre-giudicano i processi dinamici della liberazione .

Occorre quindi ribadire che le condizioni di possibilità alternative possono assumere una valenza dirompente , a condizione che non siano pervase da fabulazioni egocentriche e da una fuorviante retorica della liberazione .

In realtà , l’assetto odierno non consente un rozzo e ingiustificato ottimismo , dal momento che si manifestano fenomeni estremamente inquietanti , basti pensare alle guerre ordinative , al rullo compressore dell’omogeneizzazione del mercato , alle pratiche di sicurezza ossessive , alle forme di esasperato nazionalismo , alla xenofobia e al razzismo , alla crescente islamofobia , alla recrudescenza dell’antisemitismo .

Focalizzando l’attenzione sul razzismo , si evince che esso è polimorfo , sicché va sempre contestualizzato nei diversi periodi storici .

Per evitare semplificazioni e per cercare di rendere intelligibile il suddetto fenomeno , è bene ricorrere anche alla psicologia sociale e alla sociologia . Innanzitutto , per valutare le ragioni della discriminazione , dobbiamo rispondere al seguente interrogativo : come e perché nasce il pregiudizio ? Si può sostenere che emergono i meccanismi mentali della categorizzazione e della generalizzazione . Questi processi portano al pregiudizio , perché spingono la mente ad accomunare tra loro oggetti e persone , ancora prima di conoscerli .

Da qui gli stereotipi , ossia quelle opinioni riguardanti gruppi sociali o etnici , basate su dati di realtà e però generiche e superficiali . Ne consegue che stereotipi e pregiudizi non solo innescano processi di nefaste ipergeneralizzazioni , ma assolvono anche la funzione di "capro espiatorio ". Secondo l’approccio psicodinamico in momenti di difficoltà sociale ( ad esempio di crisi economica ) , in cui prevalgono sentimenti di impotenza , si rafforza la tendenza a trovare un capro espiatorio . Queste chiavi di lettura risultano illuminanti per comprendere le ragioni per cui il potere costituito incrementa e alimenta la stigmatizzazione dell’immigrato , del musulmano , del disobbediente , del diverso .

Detto ciò , per rendere più incisiva l’argomentazione non si può prescindere da un riferimento a Foucault . Ques’ultimo evidenzia che lo stato moderno , lo stato capitalista, il socialismo sono segnati dal razzismo . Partendo da ques’ottica il grande filosofo , delineando le strategie di resistenza al potere e al bio-potere , focalizza l’attenzione sul nazismo e afferma : " La cosa straordinaria che troviamo nella società nazista è il fatto che si tratta di una società che ha generalizzato in modo assoluto il bio-potere , che ha insieme generalizzato il diritto sovrano di uccidere ….. Il nazismo ha solamente spinto sino al parossismo il gioco tra il diritto sovrano di uccidere e i meccanismi del bio-potere " .

Ma Foucault va oltre , infatti , avvalendosi di un’analisi penetrante sui meccanismi del bio-potere , aggiunge che " tutte le volte in cui il socialismo è stato costretto a insistere sul problema della lotta , della lotta contro il nemico , sul problema dell’eliminazione dell’avversario all’interno stesso della società capitalista ; quando si è trattato , di conseguenza , di pensare allo scontro fisico con l’avversario di classe , il razzismo è riemerso …. Il razzismo socialista è stato liquidato in Europa solo alla fine del XIX secolo , da un lato dalla dominazione della socialdemocrazia , dall’altro grazie a una serie di fenomeni come l’affare Dreyfus in Francia " .

A questo punto , considerando che gli spettri minacciosi dell’antisemitismo stanno attraversando l’Europa , conviene , al di là delle giornate della memoria e dei rituali istituzionali , affrontare lo spinoso problema . I sondaggi sono inquietanti , perché , malgrado le lezioni crudeli della storia , rivelano il persistere del pregiudizio antisemita .

Difatti , anche se può sembrare paradossale , si perpetuano nefasti luoghi comuni che si sono via via sedimentati nell’immaginario collettivo .

Per cercare di ricostruire la storia dei pregiudizi antisemiti si dovrebbero rivisitare le numerose leggende mistificatorie dell’antigiudaismo medievale . Basti pensare a quella inerente " l’accusa di sangue ". Gli ebrei , secondo questa credenza , praticavano omicidi rituali di cristiani e si cibavano del loro sangue .

Le leggende , la profezia dell’espiazione del deicidio , i pregiudizi dell’Europa cristiana , hanno contribuito ad alimentare l’antisemitismo razziale e la politica nazista dello sterminio. E’ bene , però , rilevare le varianti dell’antisemitismo , infatti, facendo un sommario excursus storico , si evince che il primo è l’antisemitismo "teologico " della chiesa cattolica e riformata ; il secondo è l’antisemitismo razziale del nazismo ; il terzo è l’antisemitismo connesso al nazionalismo politico . La politica nazista dello sterminio , dunque , è intrinsecamente connessa allo sviluppo occidentale . Non senza ragione a questo proposito Z. Bauman , nel libro " Modernità e olocausto ", sottolinea come lo sterminio degli ebrei non sia stato un’eccezione irrazionalistica ma una possibilità iscritta nella logica implicita e opaca dello sviluppo occidentale " .

Preso atto che il fenomeno si manifesta nelle dinamiche dei processi storici , si impongono alcuni interrogativi : come si può spiegare la recrudescenza dell’antisemitismo dopo l’orrore dell’Olocausto ? L’antisemitismo odierno presenta caratteristiche che si possono collegare al passato ?

Indubbiamente i pregiudizi , i luoghi comuni , gli stereotipi , , hanno contribuito a perpetuare una vera e propria costruzione culturale , che poi emerge in periodi di crisi e di incertezza . Assodato che alcuni retaggi culturali sussistono , occorre evidenziare che, oggi , soprattutto per via del nazionalismo arabo ," lo stato ebraico viene rappresentato come un avamposto occidentale , come un rappresentante dei paesi ricchi sul confine , peraltro conteso , con quelli poveri , e i legami dello stato di Israele con le comunità ebraiche nel mondo come potenza imperialista dell’occidente : si dice spesso Israele e si intende America , e viceversa" (Marco Bascetta ) . E’ evidente che le griglie interpretative inerenti il conflitto medio-orientale fanno persistere i paradigmi del nazionalismo, che notoriamente è stato cagione di massacri e di tragedie . Inoltre , una parte della sinistra esprime posizioni decisamente filopalestinesi . Queste posizioni sono legittime , ma , in una fase storica tanto complessa e delicata , potrebbero sortire fraintendimenti ed effetti nefasti . In realtà , al di là delle verità assolute e incontrovertibili di alcuni " intellettuali carismatici ", l’intricato conflitto medio-orientale non può essere spiegato, sic et simpliciter , solo facendo appello al paradigma sionista , sarebbe , invece , opportuno operare una decostruzione storica della Palestina , partendo addirittura dal 2600 a . C . In altri termini , se le becere e criminali manovre del governo di Sharon vanno penalizzate , è altresì vero che si dovrebbero valutare le variegate vicende del conflitto . Di più , si dovrebbe rivisitare il bipolarismo per comprendere che gli Stati Uniti e l’URSS hanno contribuito a mantenere aperta la contesa. Entrambi , notoriamente , aspiravano al controllo di questa zona di grande importanza strategica e, in questa fase, gli stati arabi si sono appoggiati, strumentalmente, di volta in volta , all’una o all’altra superpotenza , dimostrando una certa disinvoltura nel creare fronti filoamericani , filosovietici o neutralisti . Va però precisato che anche la perversa manipolazione dell’Olocausto va demolita tout court . Non senza ragione la cittadina israeliana Yehudith Harel ha affermato : " Noi siamo stati condizionati ad assumere di essere immuni , a causa della nostra tragedia , da ogni critica , e di essere le eterne , giuste vittime , chiamate a qualsiasi atto brutale e immorale per il bene della nostra autodifesa . Quel che è peggio , nel nostro subconscio collettivo abbiamo imparato a giustificare ogni male e sofferenza che imponiamo al nostro " altro " , le vittime palestinesi , per il fatto che siamo stati una volta vittime , e che lo siamo ancora …. L’unica e sola legittima conseguenza dell’Olocausto è Mai Più, Per Nessuno ". Preso atto che difendere la dignità del popolo palestinese è un imperativo categorico , bisogna , però , rimarcare che , per via della complessità del problema, l’argomento meriterebbe uno scrupoloso approfondimento. Ciò si impone , anche perché nella fase odierna avvalersi solo di una decostruzione storica risulterebbe estremamente riduttivo . Un approccio critico mostra , infatti , che , per via del globalismo e dell’irruzione dell’assurdo nella storia , non si possono cercare pretestuose giustificazioni in ideologie del passato o in utopie del futuro . Bisogna quindi andare al di là del Bene e del Male , perché , oggi , le regole del gioco sono mutate radicalmente , sicché Bene e Male crescono contemporaneamente , e secondo lo stesso movimento . Il punto cruciale risiede nel fatto che sono immorali e deprecabili , al tempo stesso , la globalizzazione poliziesca e il terrorismo . Ciò significa che in questo scenario agghiacciante il popolo palestinese e il popolo israeliano non sono altro che le vittime innocenti della perversa rete dei poteri globali . Si dovrebbero , pertanto , rimuovere tutte le forme di partigianeria e di deplorevole manicheismo , anche perché risultano inaccettabili sia il Muro della vergogna , sia il nazionalismo arabo, sia il nichilismo identitario del terrorismo . In altre parole , considerando le peculiarità della logica imperiale , per non decadere a meri replicanti , sarebbe opportuno negare tutte le posizioni settarie , per promuovere la politica dell’amicizia e della libertà .

Ciò detto , riannodando le fila del discorso giova sottolineare che purtroppo, oggi, non emergono solo sentimenti antisemiti , ma anche forme di intolleranza per le diverse appartenenze religiose . Ne consegue che una critica politica militante dovrebbe demistificare anche la retorica di una opinabile laicità e di una "tolleranza repressiva ".

Da qui la necessità di evitare un approccio unidimensionale , nella convinzione che il problema della laicità non è meno importante di quello della politica sociale . Bisogna , pertanto , focalizzare l’attenzione sulla questione delle appartenenze religiose , anche perché la laicità occidentale , ovvero quella che E. Morin definisce " catto-laicità ", è pervasa da palesi ambiguità .

A questo proposito risultano incisive le osservazioni di Daniel Cohn-Bendit , deputato dei verdi all’Assemblea di Strasburgo e simbolo della generazione del 68 . In un’intervista ("L’espresso N 6 ") , Cohn-Bendit , rilevando che il governo di Parigi ha deciso di bandire il velo da ogni scuola pubblica , segnala un pericolo allarmante e dichiara : " Attenti , applicando in Europa alla minoranza musulmana gli stessi criteri dell’integrazione che furono sperimentati con gli ebrei a partire dalla seconda metà dell’Ottocento ( assimilazione culturale forzata pena l’esclusione ) , si corre il rischio di scatenare i peggiori istinti , mai sopiti in seno alla nostra società ". Ma per decostruire l’ideologia odierna del "malicidio" e per comprendere la crescente islamofobia , bisogna anche fare un riferimento storico alla programmatica demonizzazione del mondo musulmano . Nelle chansons de geste , nella Summula brevis di Pietro il Venerabile , nei discorsi dei pontefici , da Urbano II a Onorio III , Maometto appariva via via come l’anticristo , come la bestia dell’Apocalisse, come un mostro dalla testa d’uomo , dal collo di cavallo e il corpo di uccello , e i musulmani come esseri abietti , dediti a culti diabolici e alla sfrenata lussuria . Nell’indire la I Crociata , Urbano II li qualificò " gente turpe , degenere , serva dei demoni". Questi pregiudizi erano tanto radicati che due secoli dopo anche Dante , nel celebrare la gloria del suo avo , il crociato Cacciaguida , chiamerà i Saraceni " gente turpa". Ma per sottolineare l’ininterrotta sobillazione ideologica delle crociate è utile citare l’agghiacciante formulazione di Bernardo di Chiaravalle , che sostenne : "Quando il cavaliere di Cristo uccide i malfattori , il suo gesto non è omicida , ma , se posso dire così , "malicida"; egli è in tutto l’agente della vendetta di Cristo su quelli che commettono il male " . E’ evidente che la demonizzazione degli ebrei e dei musulmani è legata ad una serie di stereotipi che si sono sedimentati nel tempo e che hanno generato devastanti pregiudizi .

Dalle considerazioni fatte si evince , dunque , che le crescenti violenze economiche , sociali , psichiche e culturali , spingono a riflettere sull’urgenza dell’emancipazione e della trasformazione del mondo . Ciò significa che le drammatiche scadenze del presente richiedono una critica serrata e , al tempo stesso , un lavoro di elaborazione complesso e variegato , per promuovere una politica della libertà , fuori dai miti della rappresentanza , fuori dai paradigmi del comando statuale, fuori dai codici del compromesso fordista . Si dovrebbe , inoltre , evitare che " il modello di resistenza si fondi esclusivamente sul riferimento della forza lavoro e al suo sfruttamento da parte del capitale , perché potrebbe farci oscillare tra un economicismo arcaico e un economismo futurista " ( E. Balibar ).

Contro la cecità ideologica , contro la fiera della vanità e delle banaltà , si dovrebbero tracciare le coordinate di una sorta di grammatica della liberazione , capace di inglobare la " membratura dell’intersoggettività " .

Ciò significa che si dovrebbero attivare processi liberatori e alternativi , considerando , però, che l’esperienza umana è sempre in una perpetua dialettica tra senso e non-senso .

Ovviamente questi ambiziosi obiettivi richiedono efficaci operazioni di smascheramento , per demistificare , come voleva Nietzsche , " il regno della mediocrità e delle cineserie ".

A questo punto conviene esplicitare le motivazioni per cui ho parlato di grammatica della liberazione . Notoriamente il postfordismo , mettendo al lavoro il linguaggio , produce l’intelletto pubblico . Quest’ultimo , però, presenta caratteri ambivalenti , infatti , ingloba possibilità di liberazione e al tempo stesso di sussunzione . Ne consegue che il linguaggio può assolvere una funzione preziosa e feconda , a condizione che esso sia liberato dai non-sensi .

L’elaborazione di una grammatica della liberazione , quindi , per essere efficace , dovrebbe includere una pars destruens e una pars construens .

La pars destruens dovrebbe negare i sofismi (ragionamenti falsi ) ; le anfibolie (ambiguità ) ; il dogmatismo dottrinario ; tutte le forme di meccanicismo ; la logica del potere ; il culto della celebrità ; tutte le perverse macchinazioni della società dello spettacolo ; la logica amico-nemico e tutte le forme di fondamentalismo e di ideologismo .

Sicché , nella convinzione che l’acriticità è uno dei punti rilevanti del pregiudizio , si dovrebbe assumere l’idea di ègalibertè in un’ottica ampia e variegata , perché di fatto la complessità del globalismo non consente chiavi di lettura unidimensionali . Difatti , come si evince dalle osservazioni fatte , la globalizzazione capitalista non solo globalizza la miseria , i soprusi , l’ingiustizia , ma fa anche riemergere , sia pure in guise diverse , antichi pregiudizi , basti pensare alla recrudescenza dell’antisemitismo e all’islamofobia .

Detto ciò , considerato il fatto che le sfide del presente e l’etica della liberazione richiedono un esercizio critico radicale , irriverente , pressante , va aggiunto che bisognerebbe ridimensionare la retorica di alcune riviste no-global . Difatti , si registra la presenza di una sorta di mercato editoriale alter-globalizzato , che paradossalmente non disdegna il culto della celebrità , i parametri della società dello spettacolo e ambigue commistioni con i poteri costituiti.

In realtà , con lo smantellamento della forma panottica di dominio , diventa piuttosto arduo creare una netta linea di demarcazione tra forze del potere e forze antagoniste . D’altra parte, al di là delle ricorrenti semplificazioni , il globalismo rappresenta una rottura epocale , proprio perché , essendo " uno " e "pieno ", implica una serie di dipendenze globali .

Da qui l’esigenza di rimuovere tutte le forme di cecità ideologica , per prendere coscienza che la globalizzazione armata va combattuta anche con le armi della critica e con la forza delle idee , non dimenticando che , come voleva Nietzsche , " lo spirito libero è l’eccezione , quello vincolato la regola " . La verità è che il feticismo della velocità , il cretinismo mediatico , il culto della celebrità , interagendo , inficiano una lucida critica sociale collettiva . Sicché , per non impoverire l’esperire umano , si dovrebbe demistificare anche il predominio dell’emotività del ragionamento . Occorre quindi rivalutare la virtù paziente dell’ascolto , per riconoscere le voci che pensano a libertà con libertà . Tra queste risulta degna di particolare merito quella di Etienne Balibar .

L’autore citato , nel libro " L’Europa – L’America – La Guerra ", sostiene che il funzionamento di una " democrazia conflittuale " non si può limitare al problema delle disuguaglianze economiche , ma deve necessariamente prendere in considerazione gli antagonismi religiosi . Partendo da quest’ottica Balibar ricerca una soluzione multilaterale e afferma che l’Europa può contribuire in modo decisivo a condizionare la trasformazione del mondo , " a patto di dileguarsi man mano che il suo intervento , o la sua mediazione , si faccia più determinante ". In altre parole , l’Europa , al di là delle immagini e dei miti , come "mediatore evanescente ", dovrebbe " penetrare sempre più profondamente nella logica dei conflitti che lacerano il mondo ".

In questa prospettiva l’Europa dovrebbe assolvere la funzione del "traduttore " , dal momento che le circostanze storiche hanno generato scambi linguistici e traduzioni . Ciò è estremamente importante , perché l’idea di traduzione delle lingue si può estendere all’idea di traduzione delle culture . Il che implica " la ricerca delle equivalenze o degli " universali" ( etici , epistemologici , tecnologici , estetici ) e , nel contempo , " il riconoscimento delle incompatibilità , passando dunque per la traduzione delle letterature , dei diritti , o anche delle religioni " .

L’idea di traduzione non si ferma qui , infatti , Balibar non manca di fare esplicito riferimento alle chiavi di lettura di Umberto Eco e di Jean - Marc Lèvy - Leblond . Quest’ultimo parla di plurilinguismo ( lingua materna , lingua delle etnie vicine , etc ) e precisa che esso è " praticamente indipendente da qualsiasi apprendimento formale e scolastico " . " Si tratta di una grande differenza , che non significa , al contrario , che il plurilinguismo africano o indiano, o latinoamericano … non abbia davanti a sé un grande avvenire culturale , legato al cambiamento di status delle lingue orali e scritte " .

Ne consegue che l’idea di traduzione potrebbe rivelarsi particolarmente feconda , vuoi per avversare il modello di società teocratica , vuoi per affermare i diritti del popolo-mondo , vuoi per rivendicare la " cittadinanza di tutti ", vuoi per promuovere la cultura della pace, vuoi per eliminare le discriminazioni di classe e di genere .

Per evitare , però , visioni riduttive , va detto che l’assetto odierno è quanto mai inquietante , basti pensare al "razzismo istituzionale" , al restringimento dei diritti e delle libertà , " alla ricolonizzazione degli immigrati " , all’" Apartheid sociale ".

Di qui l’esigenza di concepire la cittadinanza in una prospettiva inedita e fuori dai parametri proposti dalla storia .

Etienne Balibar , nel prezioso libro " Noi Cittadini D’Europa " , osserva che la cittadinanza non si è mai realizzata . Difatti , " la città antica , in particolar modo la polis greca , ha escluso includendo , segregando nello spazio "domestico " le donne , i bambini , gli schiavi ". Inoltre , per quanto concerne " la nazione democratica moderna ( risultato di " grandi rivoluzioni borghesi " , e quindi conformemente all’etimologia del termine , di rivoluzioni della cittadinanza ) i cui principi hanno dato luogo alle " dichiarazioni dei diritti dell’uomo e del cittadino" o a loro equivalenti ", esclude , denaturando , tutto ciò che essa ritiene essere incapace di giudizio autonomo . Detto altrimenti , è stata la nazione moderna ad inventare l’alterità antropologica con le sue variabili escludenti e differenzianti basate sul sesso , sulla razza , sulla morale , sulla salute , sull’età " .

Oggi , per via del globalismo , dilagano nuove pratiche di esclusione , sicché " noi dobbiamo necessariamente ripensare le antinomie che sono alla base della nozione stessa di comunità".

" Non ci si può presentare , quindi , né come un movimento che fa delle semplici rivendicazioni d’inclusione , né come un movimento che fa delle iniziative umanitarie dalla parte di chi vede nell’universalismo civico una legittimazione dei suoi propri diritti . Ciò che occorre è un’operazione comune in cui possa esservi un atto politico in grado di essere "condiviso " dagli uni e dagli altri - per esempio dai " con " e dai "sans " .

Ciò significa che lo spirito della resistenza dovrebbe inglobare la coscienza di classe , la lotta antirazzista , i diritti materiali , individuali e collettivi .

Tengo a precisare che se insisto sulle lucide argomentazioni di Balibar , è perché non solo imperversano chiavi di lettura opinabili e fuorvianti , ma anche perché si registrano forme di populismo demagogico , che inficiano una decostruzione critica efficace e proficua .

In realtà , il tema della cittadinanza va analizzato in relazione ad un contesto radicalmente metamorfosato , sicché assumere categorie obsolete significa sottovalutare le sfide del presente . Dopo la fine della Guerra fredda l’ideologia globalista ha prodotto sconvolgimenti planetari , che hanno generato lo smantellamento dello stato sociale , nuove retoriche culturali dell’esclusione , lo stato di guerra permanente , violenze etnico -religiose, la penalizzazione e la ricolonizzazione degli immigrati , "una linea di demarcazione fra "umanità" e " sub-umanità ", il connubio fra razzismo e reazione.

Si impone quindi l’esigenza di inventare la cittadinanza in vista di una democrazia radicale, che dovrebbe inglobare l’idea del " diritto ai diritti ". Essa , scrive Balibar , non indica un riferimento minimo , non designa un residuo giuridico e morale che la politica deve preservare , ma costituisce , al contrario , un progetto massimo . Per non essere travolti , dunque , dalla spirale della distruzione ," la cittadinanza non può che essere una cittadinanza " imperfetta " , ovvero non già una semi-cittadinanza o una cittadinanza limitata , ma una cittadinanza in via di rifondazione permanente ".

Dalle considerazioni fatte si rileva che l’esubero di performances dell’intelletto generale post-fordista non può garantire il salto nel mitico regno della libertà , sarebbe , invece , opportuno incrementare la trama di differenze per rendere operante un patrimonio comune, in vista di un universalismo antidogmatico e autoriflessivo .

Ne consegue che l’etica della liberazione richiede una costante ricerca di senso , la rimozione di categorie precostituite e di formule obsolete .

Occorrerebbe , dunque , una filosofia militante che non si lasci dominare dalle alternative stereotipate e che , al tempo stesso , sia in grado di recepire appieno l’alta valenza della politica della libertà .

 

 

 

 

 

 

 

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