FASSINO
FURIOSOdi
anna
Piero Fassino, segretario
dei DS, ha letteralmente perso le staffe.
Ce ne dispiace sinceramente.
La situazione interna al suo
Partito, dopo il voto in Senato sul rifinanaziamento
della missione di guerra dei nostri soldati in Iraq, non
è sicuramente invidiabile. La situazione interna ai DS
peggiorerà dopo la prevedibile anzi annunciata conferma
del voto alla Camera. La
trovata furbastra di Berlusconi di
"impacchettare" la missione in Iraq con
altre missioni (quella afgana, quella nell'ex Iugoslavia,
ecc.) ha colpito nel segno. Ha diviso il gruppo dirigente dei
DS. Divide i
gruppi parlamentari dei DS. Aumenta la forbice tra il comune
sentire pacifista della base diessina e il vertice
dalemiano del partito. E,
quel che è più grave, allontana in maniera
irrimediabile la maggioranza del gruppo dirigente
diessino dal popolo della pace. Il malcontento interno ed esterno al
partito dei DS si somma ad una buona dose di
incoerenza tra il voto contrario espresso a suo tempo
alla partecipazione italiana alla guerra contro l'Iraq al
seguito di Bush e di Blair. Tutta questa situazione genera
profonda inquietudine politica e, direi, anche
psicologica nella condotta di Fassino e di D'Alema
trasferendo nell'opinione pubblica una immagine di
pericolosa e ondivaga deriva neomoderata dei DS.
E' così per Fassino diventano
insopportabili persino le critiche de IL MANIFESTO.
La reazione che ne consegue è a dir poco scomposta
oltre che risibile: l'accusa all'autorevole e storico
quotidiano comunista di "stalinismo".
Con questo modo di reagire
Fassino si pone sullo stesso terreno di Berlusconi,
quello dell'intolleranza ad ogni forma di dissenso dalla
propria "linea". Con la differenza non trascurabile
che Berlusconi dovrebbe essere l'avversario
antidemocratico da combattere e Fassino il capo di
un partito democratico importante per la coalizione che
si candida a battere Berlusconi e per garantire un
governo democratico al nostro Paese. Caro Fassino, non sarebbe meglio per
il tuo partito, per la tua base, per i tuoi elettori e
per il grande movimento della pace che alla Camera ti
riscattassi con un chiaro e tondo NO al proseguimento
della missione di occupazione delle nostre truppe
in Iraq? Ti
vorremmo tutti più bene e, quel che più conta, ti
vorrebbe meno bene Berlusconi, Schifani e Cicchitto.
Come dire? coglieresti due
piccioni con una fava!
Giancarlo
Nulla
da dire
di ROSSANA ROSSANDA
Piero
Fassino ha chiesto di parlare a il
manifesto sulla sua posizione a
proposito dell'Iraq. Ottima iniziativa, e sarebbe stata
migliore se non l'avesse accompagnata dall'accusa: siete
stalinisti, che suona alquanto bizzarra in bocca di chi
ci cacciò dalle file del Pci perché non eravamo ligi
alle imprese sovietiche. Ma gli lasciamo il gusto della
rissa. Il vero problema non è questo, è che il
segretario dei Ds null'altro aveva da dirci se non che,
sì, la guerra in Iraq è stata un errore, ma ormai è
fatta e bisogna assumersi tutti le responsabilità della
pacificazione. Quale pacificazione, prego? Fra chi e chi?
Gli Stati uniti credono di poter ripetere lo scenario
afgano, ma si sbagliano. Neanche quella guerra è stata
una bella operazione, ma se le Nazioni unite hanno potuto
coprirla è perché vi era in corso da tempo una guerra
civile acuta contro il talebani, anche sospettati con
qualche fondamento di proteggere bin Laden. E infatti il
passaggio dei poteri a Kabul non fu molto difficile,
andarono a Karzai e ai signori della guerra, figure poco
entusiasmanti ma che rappresentano in parte quel
disgraziato paese, anche se nelle province non va così
liscia. E Karzai è in grado di alzare la voce contro gli
americani quando le truppe rimaste ne fanno una di
troppo, di mettere in piedi un governo provvisorio e una
costituzione, ed è verosimile che si vada al voto nel
2004. Le Nazioni unite hanno assistito a questo processo,
i cui sviluppi, compresa l'espansione del papavero, sono
in mano agli afgani.
Gli Stati uniti fingono di credere che nell'Iraq sia lo
stesso. Non è vero. Non c'era un'opposizione a Saddam
che volesse l'intervento internazionale. L'intero paese,
avversari di Saddam compresi, ha sentito come un sopruso
intollerabile l'arrivo degli occidentali, dei quali aveva
già patito l'embargo. Contro l'occupazione è in atto
una guerriglia crescente. E nessuno riconosce il governo
che gli occupanti hanno messo in piedi, per cui non si è
in grado di indicare una data per le elezioni, né chi vi
si presenterebbe, né uno straccio di costituzione in
fieri. Il solo punto su cui sono d'accordo tutte le
posizioni è che l'occupazione deve cessare, e prima di
allora non verrà riconosciuto nessuno. Non c'è un
processo di «democratizzazione» neanche nel senso più
elastico della parola - meglio sarebbe dire di mutamento
dei poteri - da accompagnare. Siamo in presenza di un
paese che si ribella all'invasione. Quel che gli stati
vorrebbero dalle Nazioni unite è che la legittimassero a
posteriori. E' questo che, nonostante le pressioni e
forse anche qualche ricatto che il Palazzo di Vetro sta
subendo, Kofi Annan non accetta. Finora ha mandato
soltanto degli osservatori.
Questo è il senso del no dei pacifisti, e non solo.
Rispondervi con male parole invece che con argomenti è
un mezzuccio, che andrà bene per l'attuale parlamento ma
non per chi ragiona. E peggio è aggiungere, come fa
Fassino, che in certi casi la guerra ci vuole. Quali
casi? Non perché fosse pia ma perché era realista, la
Carta dell'Onu dopo il 1945 ha condannato il ricorso alla
guerra. Neanche quello in Afghanistan è stato il mezzo
giusto per battere i talebani ma quella contro l'Iraq è
soltanto un clamoroso disastro. Gli Stati uniti non sanno
come venir fuori dall'incendio che hanno provocato e
vorrebbero che fossero altri a fungere neppur da pompieri
ma da sostituti occupanti e sotto il loro comando.
Fassino dovrebbe spiegare perché i Ds non dicono a
questo un no chiaro e tondo, che sarebbe anche un
ammonimento a non ricominciare. E dovrebbero darsi da
fare sul serio perché l'Onu subentri all'occupazione in
accordo con chi è realmente in grado di coagulare le
forze di quell'infelice paese, cui dovremmo smettere di
guardare come a una banda di delinquenti da tenere a
bada.
(da IL
MANIFESTO del 29 febbraio 2004)
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